Sentenza n. 23 del 1959
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SENTENZA N. 23

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione Trentino-Alto Adige con ricorso notificato il 30 settembre 1958, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 16 ottobre 1958 ed iscritto al n. 27 del Registro ricorsi 1958, per conflitto di attribuzione tra la Regione Trentino-Alto Adige e lo Stato, sorto a seguito del D.P.R. 22 aprile 1958 col quale furono annullate la deliberazione del Consiglio comunale di Termeno 8 agosto 1957, n. 27 e l'approvazione a essa concessa dalla Giunta provinciale di Bolzano in data 5 settembre 1957.

Udita nell'udienza pubblica dell'11 marzo 1959 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi l'avv. Karl Tinzl per la Regione Trentino-Alto Adige e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con delibera 8 agosto 1957, n. 27, il Consiglio comunale di Termeno (prov. di Bolzano) disponeva numerosi cambiamenti nella toponomastica cittadina.

Su richiesta della Giunta prov. di Bolzano, la Sovrintendenza ai monumenti e alle gallerie di Trento (delegata dal Ministro della pubblica istruzione all'esercizio delle funzioni previste dall'art. 1 R.D.L. 10 maggio 1923, n. 1158), convinta che la deliberazione fosse mossa dall'intento "di eliminare non tanto le intitolazioni che risalgono al periodo fascista, quanto tutte le denominazioni che si riferiscono a fatti e personaggi salienti della storia nazionale", si espresse in senso contrario al cambio delle denominazioni della via Verdi e della via Marconi, mentre per gli altri mutamenti fece salve le particolari determinazioni di competenza dell'autorità commissariale del Ministero dell'interno a norma della legge 23 giugno 1927, n. 1188. Nondimeno, la Giunta provinciale approvò la delibera comunale.

Con decreto del Presidente della Repubblica (su proposta del Ministro dell'interno, e dietro parere favorevole del Consiglio di Stato), adottato il 22 aprile 1958 ai sensi dell'art. 6 T.U. com. e prov. 3 marzo 1934, n. 383, a seguito di denuncia del Commissario del Governo per la Regione Trentino-Alto Adige, la deliberazione comunale veniva annullata per illegittimità, unitamente al successivo provvedimento di controllo, a causa della mancanza dell'approvazione delle modificazioni toponomastiche da parte dell'Amministrazione della pubblica istruzione, prescritta dalla citata legge del 1923 tuttora in vigore nella Regione, e stante l'interesse pubblico all'annullamento in considerazione dei pericoli per l'ordine pubblico destati dal risentimento prodotto da quelle modificazioni nel gruppo linguistico italiano.

In relazione al decreto presidenziale 22 aprile 1958, reso noto alla Giunta provinciale di Bolzano il 5 agosto successivo, la Regione Trentino-Alto Adige, con ricorso notificato il 30 settembre 1958 e depositato il 16 ottobre successivo, ha chiesto a questa Corte la definizione del conflitto di attribuzioni ai sensi dell'art. 134, secondo alinea, della Costituzione, assumendo l'insussistenza di un potere governativo di annullamento d'ufficio nei confronti dei Comuni della Regione Trentino-Alto Adige, e, subordinatamente, la spettanza del potere generale di annullamento previsto dall'art. 6 T.U. comunale e provinciale alla Regione e non allo Stato. In conseguenza ha chiesto anche l'annullamento del decreto presidenziale 22 aprile 1958.

Al ricorso resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale si é costituita in giudizio con deduzioni depositate il 18 ottobre 1958.

Col primo motivo del ricorso la Regione, premesso che l'annullamento previsto dall'art. 6 T.U. com. e prov. inerisce a un potere di controllo (come é stato dichiarato con la sentenza n. 24 del 1957 di questa Corte), osserva che, siccome il controllo sui Comuni della Regione Trentino-Alto Adige é stato "per intero e in tutta la sua ampiezza" trasferito dall'art. 48, n. 5, dello Statuto regionale alle Giunte provinciali, mentre lo Statuto non contempla alcun potere governativo di annullamento, il potere previsto dall'art. 6 cit. sarebbe da considerare venuto meno nei confronti di quei Comuni.

Subordinatamente,-osserva la Regione col secondo motivo del ricorso - quand'anche nei confronti delle deliberazioni dei Comuni del Trentino-Alto Adige dovesse ritenersi sopravvissuto il potere generale di annullamento previsto dall'art. 6 T.U. com. e prov., e quand'anche esso non fosse da considerare trasferito alle Province ai sensi dell'art. 48, n. 5, dello Statuto, si dovrebbe ritenere che il potere stesso sarebbe passato alla Regione, ai sensi dell'art. 5, n. 1, dello Statuto, combinato con l'art. 13, dato che tali disposizioni riconoscono la competenza legislativa e amministrativa della Regione in materia di "ordinamento dei Comuni". Né varrebbe opporre che il potere governativo sarebbe sopravvissuto pel fatto di inerire a un principio generale dell'ordinamento, alla cui osservanza la Regione e le Province sarebbero tenute ai sensi degli artt. 5 e 12 dello Statuto: infatti, in primo luogo, non di un principio si tratta, bensì (data la eccezionalità del mezzo) della eccezione a un principio; e, in secondo luogo, quand'anche si trattasse della espressione di un principio, questo sarebbe limitato alla esigenza di uno straordinario controllo di annullamento, e non anche alla spettanza allo Stato del controllo stesso. La Regione aggiunge che contro il trasferimento a essa del potere amministrativo di annullamento non potrebbe neanche essere opposto il mancato esercizio da parte sua del relativo potere legislativo, non costituendo tale esercizio condizione per il trasferimento dei poteri amministrativi dello Stato alla Regione.

La difesa dello Stato, con riferimento al primo motivo del ricorso, premesso che la materia dell'annullamento non attiene all'organizzazione bensì all'attività degli enti, e che quindi gli artt. 5 e 13 dello Statuto sarebbero fuori causa, osserva che la disposizione statutaria dell'art. 48, n. 5, la quale attribuisce alle Province "la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali", non esclude affatto la potestà governativa di annullamento prevista dall'art. 6 T.U. com. e prov. Questa infatti non rappresenta "un semplice potere di controllo ordinario di enti locali, nel significato giuridico corrente di tale concetto", bensì "un potere amministrativo straordinario spettante al Governo dello Stato", destinato a essere esercitato, con particolari garanzie, soltanto in presenza di "constatate esigenze di interesse pubblico", e avente portata generale, potendo essere impiegato nei confronti degli atti di qualsiasi pubblica amministrazione. Si tratta di una funzione destinata a svolgersi "al vertice" dell'organizzazione amministrativa, e corrispondente a un interesse generale "che non può essere circoscritto né in determinati Comuni o Province o Regioni, né limitato a determinate categorie di soggetti", funzione che "deve essere esercitata su tutto il territorio della Repubblica" e cui "nessuna norma statutaria particolare ha mai portato deroga alcuna" (né, del resto, avrebbe potuto apportarne "senza violare i supremi principi dell'unità nazionale, la quale esige, fra l'altro, che la tutela dell'interesse e dell'ordine nazionale ad altri non possa essere affidata che allo Stato, unico rappresentante della Nazione intera ed unico tutore degli interessi collettivi al di là e al di sopra degli interessi particolari, non solo dei privati ma degli enti territoriali minori").

In relazione al secondo motivo del ricorso, la difesa dello Stato aggiunge che: 1) l'art. 5, n. 1, dello Statuto concerne la potestà legislativa regionale in materia di ordinamento dei Comuni e delle Province e quindi non può riguardare l'attività amministrativa di controllo della Regione su tali enti; 2) l'articolo stesso non consente alla Regione di avocare a sé la potestà di annullamento di cui all'art. 6 T.U. com. e prov., in quanto ciò contrasterebbe coi principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e coi principi stabiliti dalle leggi dello Stato, che gli artt. 4 e 5 dello Statuto impongono di osservare, e tra i quali rientra la regola relativa al potere generale governativo di annullamento previsto dai cit. art. 6; 3) questo ultimo potere, del resto, non é stato mai avocato alla Regione in virtù di alcuna legge regionale.

In una memoria aggiunta, depositata il 25 febbraio 1959, la difesa della Regione ricorrente, dopo aver affermato il concetto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il potere governativo di annullamento in qualunque tempo degli atti amministrativi sarebbe un vero e proprio potere di controllo sugli atti, ribadisce che, per tale suo carattere, esso "é una emanazione del potere di tutela e di vigilanza"; e siccome quest'ultimo potere é dall'art. 48, n. 5, dello Statuto Trentino-Alto Adige attribuito alle Province, senza alcuna limitazione, a torto lo Stato pretenderebbe - sulla base di una ingiustificabile distinzione tra controlli ordinari e straordinari - sottrarre alle Province il potere generale di annullamento. Né avrebbe fondamento appellarsi all'unità, agli interessi e all'ordine pubblico nazionali; il decentramento dei controlli sancito in norme costituzionali, quali sono gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale, é istituzionalmente in armonia coi principi di struttura dello Stato.

In ordine alla tesi prospettata nel ricorso in via subordinata, la memoria della Regione, respinte le obbiezioni sollevate dall'Avvocatura dello Stato contro l'affermazione del passaggio alla Regione del potere generale di annullamento degli atti degli enti locali, insiste nel negare che il potere di annullamento governativo inerisca a un principio generale dell'ordinamento (che anzi un siffatto potere "discrezionale ed assoluto", quand'anche se ne voglia ammettere la conciliabilità con i principi dello Stato di diritto, dovrebbe essere considerato almeno come "una eccezione grave e materiale a quei principi"). A torto, poi, contro la ammissibilità della attribuzione alla Regione Trentino-Alto Adige del potere previsto dall'art. 6 T.U. com. e prov. verrebbe invocata la sentenza di questa Corte n. 24 del 1957, la quale esclude che quel potere fosse passato alla Regione sarda nei confronti dei Comuni a essa appartenenti: ciò la Corte fece sul presupposto che lo Statuto sardo riconosce alla Regione il solo controllo sugli atti, mentre l'art. 5, n. 1, e l'art. 13 dello Statuto Trentino-Alto Adige riconoscono alla Regione competenza legislativa e amministrativa per tutto quanto riguarda l'ordinamento dei Comuni, e quindi per ogni genere di controlli, sia ordinari che straordinari. D'altro canto non sarebbe esatto ritenere che il potere previsto dall'art. 6 T.U. com. e prov., essendo attribuito al Capo dello Stato, sarebbe da considerare inerente alla comunità nazionale, e starebbe quindi su un piano e un livello superiore rispetto ai poteri degli enti autonomi locali: é da considerare in contrario che l'annullamento in questione é espressione non di un potere presidenziale, e cioè proprio del Capo dello Stato, bensì di un potere governativo, anche se destinato a esprimersi in forma di decreto presidenziale.

In conclusione, la Regione, domina dell'ordinamento dei Comuni, come potrebbe avocare a sé il potere stesso, così potrebbe sopprimerlo del tutto. E fin quando non lo regoli in alcun modo, il potere spetta alle Giunte provinciali ai sensi dell'art. 48, n. 5, dello Statuto.

La difesa dello Stato non ha presentato altri scritti difensivi oltre le deduzioni sopra riferite.

All'udienza di trattazione del ricorso, i patroni delle parti hanno insistito nelle rispettive tesi e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso della Regione Trentino-Alto Adige, che ha elevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato impugnando il decreto del Presidente della Repubblica 22 aprile 1958, col quale furono annullate, per vizi del procedimento, la deliberazione del Consiglio comunale di Termeno 8 agosto 1957, n. 27, e l'approvazione di essa da parte della Giunta provinciale di Bolzano, si basa sulla tesi che non sopravviva, nei confronti degli atti amministrativi dei Comuni e delle Province del Trentino-Alto Adige, il potere governativo di annullamento per vizi di legittimità, previsto per la generalità degli atti amministrativi dall'art. 6 del vigente T.U. com. e prov. 3 marzo 1934, n. 383.

Quello dell'annullamento in qualunque tempo, da parte del Governo, degli atti amministrativi inficiati da vizi di legittimità, quando lo esigano ragioni di interesse pubblico, é un istituto che risale alla fondazione dello Stato italiano. Considerato fin da allora come manifestazione essenziale della legalità e dell'unitarietà di direzione dell'ordinamento amministrativo dello Stato, esso fu sempre riconosciuto applicabile - nonostante l'originaria mancanza di espresse disposizioni di legge (dal 1865 sino al 1934 fecero riferimento a esso, per disciplinarne la procedura, soltanto i regolamenti di esecuzione della legge comunale e provinciale) - a tutti gli atti amministrativi, da qualsiasi autorità, statale o autarchica, promanassero. L'istituto, radicato nella tradizione del nostro Stato, e oggi contemplato dall'art. 6 T.U. com. e prov. 1934, ha sopra tutto la funzione di contribuire a mantenere in armonia con altri strumenti, quali, a es., l'unità dell'indirizzo amministrativo nell'azione del Governo (art. 95 Cost.) e il ricorso straordinario al Capo dello Stato (art. 16, n. 4, T.U. Cons. di Stato) - il carattere unitario dell'ordinamento della pubblica Amministrazione nonostante la molteplicità dell'articolazione di questo in una pluralità di organismi dotati di varia autonomia. Esso rappresenta un mezzo di autotutela dell'Amministrazione pubblica intesa come ordinamento unitario. Come dispongono di vari mezzi di autotutela (tra i quali, importantissimo, il potere di autoannullamento) le singole articolazioni - di volta in volta dotate o non di vita autonoma - nelle quali la pubblica Amministrazione si snoda, così, nella sua entità unitaria, l'Amministrazione dispone di quel particolare strumento di autotutela che é contemplato dall'art. 6 T.U. comunale e provinciale.

Ritiene la Corte che questo specifico strumento, ordinato in modo da servire a un tempo alle esigenze della legalità e a quelle dell'interesse generale (senza il concorso del quale ne sarebbe illegittimo l'esercizio), e destinato a essere discrezionalmente impiegato - come si addice ai supremi uffici ai quali é attribuito in sede di alta amministrazione, non soltanto non contrasta con i principi costituzionali relativi all'organizzazione amministrativa dello Stato e alle autonomie locali, ma si inserisce in piena armonia nel sistema concepito dall'art. 5 Cost., nel quale il decentramento organico e istituzionale é ordinato in modo da non contrastare col carattere unitario dello Stato. Del resto, a meno che urti con altri precetti, non può ledere le autonomie il ripristino da parte dello Stato della legalità turbata da atti degli enti pubblici.

Specificamente é poi da escludere che il complesso delle disposizioni dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, relative al controllo sui Comuni, abbia fatto venir meno, in quella Regione e nei confronti di questi ultimi enti, il potere governativo in questione. Il potere di annullamento di cui trattasi non può considerarsi rientrante nel concetto di vigilanza e tutela che, in relazione ai Comuni, l'art. 48, n. 5, Statuto Trentino-Alto Adige attribuisce alle Giunte provinciali. La vigilanza e tutela sugli enti locali ha nella nostra tradizione legislativa un significato circoscritto, nel quale non é mai stato compreso il potere di annullamento in questione (vedansi infatti il capo V del titolo II del vigente T.U. com. e prov. 1934, e il capo VII del titolo III del vigente reg. com. e prov. 12 febbraio 1911, n. 297; i capi IV e V della legge 17 luglio 1890, n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, più volte modif., e i titoli IV e V del relativo regolamento 5 febbraio 1891, n. 99; vedansi inoltre, in particolare, l'art. 3 D.P.R. 27 marzo 1952, n. 354, e l'art. 2 D.P.R. 17 luglio 1952, n. 1064, contenenti norme d'attuazione dello Statuto Trentino-Alto Adige rispettivamente in materia di turismo e di usi civici). Del resto questa Corte ha già affermato (sent. 26 gennaio 1957, n. 24) che il potere stesso non può, per i suoi peculiari caratteri, farsi rientrare nel comune controllo sugli enti locali (vedasi, d'altronde, l'art. 59 legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulla costituzione e il funzionamento degli organi regionali). Mentre i controlli in generale vengono esercitati in via continuativa e danno luogo a provvedimenti dovuti, entrambe tali caratteristiche mancano allo istituto dell'annullamento governativo, il quale si presenta coi caratteri della estemporaneità e della discrezionalità, essendo legato non a paradigmi predeterminati, ma alle mutevoli esigenze e valutazioni dell'interesse pubblico. É dunque senz'altro da escludere che il potere di cui si discute sia passato, perciò che riguarda gli atti amministrativi dei Comuni del Trentino-Alto Adige, dal Governo della Repubblica alle Giunte provinciali.

D'altro canto, nello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige non é contenuta alcun'altra disposizione dalla quale possa desumersi che il legislatore costituente abbia inteso, per i provvedimenti degli enti locali di questa Regione, far venir meno quel potere di annullamento del Governo della Repubblica, che, come si é visto, non é, in via generale, incompatibile con l'ordine costituzionale vigente in Italia dal 1948.

In particolare - in contrasto con la tesi della Regione - non può attribuirsi un siffatto valore alla disposizione dell'art. 5, n. 1, dello Statuto, collegata a quella dell'art. 13, giacché - pur senza esaminare in questa sede la questione se l'attribuzione alla Regione della potestà normativa e di quella amministrativa in materia di "ordinamento dei Comuni e delle Province" possa essere considerata tanto comprensiva da estendersi fino alla materia dei controlli su tali enti - ritiene la Corte che, date le sue caratteristiche e la sua funzione, più sopra analizzate, il potere governativo di annullamento degli atti dei Comuni e delle Province non può considerarsi attinente né all'organizzazione di questi enti, né, a rigore, al sistema dei controlli su di essi. Per cui tale potere del Governo della Repubblica non può ritenersi né cessato nei confronti degli enti locali del Trentino- Alto Adige, né trasferito alla Regione. Al quale ultimo riguardo é il caso di ricordare che questa Corte già ebbe ad affermare che i peculiari caratteri dell'istituto non consentono che esso venga esercitato da altri che dal Governo dello Stato (sent. 26 gennaio 1957, n. 24, già citata).

Le tesi prospettate dalla Regione Trentino-Alto Adige contro la persistenza del potere governativo di annullamento previsto dall'art. 6 T.U. com. e prov. 1934 nei confronti degli atti amministrativi illegittimi posti in essere dagli enti territoriali di quella Regione vanno pertanto disattese.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara spettare al Governo della Repubblica il potere di annullamento previsto dall'art. 6 T.U. com. e prov. 3 marzo 1934, n. 383;

rigetta, in conseguenza, la domanda proposta dalla Regione del Trentino-Alto Adige per l'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 22 aprile 1958 col quale furono annullate la deliberazione del Consiglio comunale di Termeno 8 agosto 1957, n. 27, e l'approvazione a essa Concessa dalla Giunta provinciale di Bolzano in data 5 settembre 1957.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1959.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 5 maggio 1959.