Sentenza n.71 del 1973
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SENTENZA N. 71

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco  PAOLO BONIFACIO  Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione siciliana, notificato il 6 giugno 1972, depositato in cancelleria il 9 successivo ed iscritto al n. 17 del registro conflitti 1972, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della nota 30 dicembre 1971, n. 12/3506/71, del Ministero delle finanze, con la quale é stata negata alla Regione l'attribuzione dei proventi dell'imposta generale sull'entrata riscossa in abbonamento da uffici finanziari dello Stato per atti economici compiuti nel territorio siciliano da filiali, depositi e stabilimenti di società, enti ed istituti di credito aventi la sede centrale in altra parte del territorio dello Stato.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1973 il Giudice relatore Nicola Reale;

uditi l'avv. Vittorio Ottaviano, per la Regione siciliana, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 6 giugno 1972 la Regione siciliana, in persona del suo Presidente, previa delibera della Giunta regionale n. 152 del 26 aprile 1972, ha proposto conflitto di attribuzione contro lo Stato, impugnando la nota 30 dicembre 1971 (protocollo n. 12/3506/71) del Ministero delle finanze, con la quale é stata respinta la richiesta, avanzata dalla Regione medesima il 5 febbraio 1968 (con atto n. 54088), di versamento a proprio favore dell'ammontare dell'imposta generale sull'entrata riscossa dagli uffici statali per atti economici compiuti nel territorio siciliano da filiali e depositi di società, enti ed istituti di credito aventi la sede centrale fuori dell'Isola.

La Regione ha dedotto l'erronea applicazione, da parte del predetto Ministero, dell'art. 4 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, recante norme di attuazione dello Statuto siciliano in materia finanziaria, e la conseguente violazione del proprio diritto a percepire i proventi dell'I.G E. pertinenti entrate verificatesi nell'ambito del suo territorio, a favore degli enti ed istituti sopra ricordati.

L'art. 4 delle norme di attuazione - ha precisato la Regione - deve essere interpretato in correlazione sia con gli artt. 2 e 7 dello stesso decreto, sia soprattutto con l'art. 37 dello Statuto, dal quale pretende trarre il principio fondamentale che, per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori dell'Isola, ma in questa stabilimenti ed impianti, nell'accertamento dei redditi operato dagli organi statali, deve determinarsi la quota del reddito prodotto dagli stabilimenti ed impianti medesimi, affinché la relativa imposta, di spettanza regionale, possa essere percepita dalla Regione.

A tale principio é conformato l'art. 4 del ricordato decreto legislativo di attuazione. Questo, nella parte in cui stabilisce che fra le entrate spettanti alla Regione debbano comprendersi quelle che, sebbene relative a fattispecie tributane maturate nell'ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici ubicati in altra parte del territorio dello Stato, dovrebbe essere interpretata nel senso che a questa devono essere versati i tributi, il cui presupposto consista in redditi o manifestazioni di ricchezza direttamente o indirettamente prodotti nell'ambito regionale.

In riferimento al disposto dell'art. 4 delle norme di attuazione la difesa della Regione ha contestato la tesi, espressa nella impugnata nota del Ministero delle finanze, secondo la quale "si hanno entrate che affluiscono per esigenze amministrative ad uffici finanziari fuori del territorio regionale, solo se l'Amministrazione può stabilire a sua discrezione il luogo della riscossione" e non quando detto luogo risulti determinato in base al sistema impositivo di ciascun tributo.

Sarebbe stato fuori di luogo - obietta la difesa della Regione - dettare una apposita norma di attuazione per il caso che un atto discrezionale dell'Amministrazione statale fosse risultato in contrasto con la norma statutaria concernente il riparto dei tributi tra lo Stato e la Regione.

L'Avvocatura generale dello Stato, costituitasi in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri con atto 20 giugno 1972, ha sostenuto essere il ricorso non fondato.

Alle argomentazioni della difesa regionale l'Avvocatura ha replicato che nell'interpretare l'art. 4 del citato decreto 26 luglio 1965, n. 1074, in connessione con l'art. 37 dello Statuto siciliano e col successivo art. 7 dello stesso decreto, non é stata considerata la profonda diversità esistente tra il presupposto dell'imposta diretta mobiliare sul reddito (cui si richiama sostanzialmente la Regione) ed il presupposto dell'I.G.E., che invece ha natura di imposta indiretta.

Ha ricordato, a questo proposito, che, secondo anche la giurisprudenza, mentre nel caso dell'imposta mobiliare il soggetto dell'imposizione risulterebbe determinato dalla sua relazione col fatto economico produttivo del reddito, costituente il presupposto dell'imposta, il soggetto passivo dell'imposta indiretta, quale, appunto, l'I.G.E., viene ad identificarsi con quello cui spetta la disponibilità, in senso economico, del patrimonio sul quale rifluisce l'entrata, indipendentemente dalla definizione giuridica della natura del rapporto intercorrente fra i patrimoni tra i quali si realizza il trasferimento di ricchezza.

Sotto tale prospettiva - si assume - l'imposta generale sull'entrata relativa ad atti economici compiuti da filiali e stabilimenti aventi sede in Sicilia, di società, istituti di credito, enti, aziende e comunque imprese che hanno la loro sede centrale fuori del territorio della Sicilia, si riferirebbe a "fattispecie tributarie maturate" fuori dell'ambito regionale e, per ciò stesso, il relativo gettito dovrebbe spettare allo Stato.

Ciò, non tanto e non solo perché "l'accertamento" dell'I.G.E., nella ipotesi sopra considerata, avviene, specialmente quando si tratti di I.G.E. in abbonamento, mediante canoni ragguagliati al volume degli affari, nel luogo in cui é ubicata la sede principale o centrale del "soggetto cui spetta la disponibilità" patrimoniale della ricchezza colpita, ma anche, e soprattutto, perché in tale luogo si realizza compiutamente ("si matura") la "fattispecie" preveduta per la imposizione dell'I.G.E.

Considerato in diritto

1. - La controversia promossa in via di conflitto di attribuzione con ricorso della Regione siciliana trae origine dalla nota 30 dicembre 1971 (prot. n. 12/3506/71) del Ministro per le finanze, con la quale si é assunto spettare allo Stato e non alla Regione i proventi dell'imposta generale sull'entrata corrisposta in abbonamento da società, enti ed istituti di credito aventi la sede centrale fuori del territorio siciliano, nella parte relativa ad atti economici compiuti in Sicilia da filiali delle società, enti ed istituti suddetti.

2. - La controversia va decisa in base alle vigenti norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074. Essa prende le mosse dal testo dell'art. 2, in virtù del quale spettano, ai sensi dell'art. 36 dello Statuto, alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erTimes New Romani, dirette e indirette, riscosse nell'ambito del suo territorio, ad eccezione delle nuove entrate dallo stesso articolo specificate. In particolare, si incentra, alla stregua delle opposte argomentazioni della Regione e dello Stato, sulla interpretazione dell'art. 4 di detto decreto, in forza del quale alla Regione spettano anche quelle entrate che, sebbene relative a "fattispecie tributarie maturate nell'ambito regionale", affluiscono per esigenze amministrative ad uffici finanziari statali situati fuori del territorio della Regione.

Secondo la prospettazione del conflitto si pone, quindi, il quesito se gli atti economici compiuti nel territorio siciliano possano correttamente configurarsi, ai fini della applicazione del predetto art. 4, come fattispecie tributarie maturate in Sicilia, ancorché l'imposta, nella specie l'I.G.E., con riferimento al complessivo volume di affari del soggetto avente sede centrale fuori del territorio regionale, sia assoggettata al regime di abbonamento, con pagamento (e quindi con riscossione nel luogo ove trovasi la detta sede centrale) di canoni ragguagliati, in base a denunzia, a determinati periodi di tempo, salvo i successivi conguagli e gli eventuali controlli degli uffici finanziari.

Al fine del decidere, l'art. 4 delle norme di attuazione non può non essere considerato in stretta relazione col menzionato art. 2, nel contesto della disciplina dei rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione siciliana, quale risulta delineato dal citato decreto n. 1074 del 1965, in coerenza con le norme statutarie, di cui costituisce completamento e attuazione.

3. - Va rilevato preliminarmente che con l'art. 36 dello Statuto siciliano, volto ad assicurare alla Regione i mezzi necessari a far fronte alle sue esigenze finanziarie, sono, tra l'altro, con le eccezioni stabilite nel secondo comma, ad essa assegnati i "tributi deliberati dalla medesima"; che alla Regione é, pertanto, conferita competenza legislativa in materia tributaria; che da ciò si ricava spettare alla Regione la potestà di acquisire le entrate tributarie, e solo quelle, sulle quali essa può legittimamente legiferare.

E va, al contempo, ricordato che la potestà legislativa regionale siciliana in materia tributaria, secondo un'interpretazione ormai consolidata (si confronti fra le altre la sentenza n. 9 del 1957), non é esclusiva, ma concorrente o sussidiaria, nel senso che essa deve rispettare non solo le leggi costituzionali ed i limiti territoriali, ma anche i limiti derivanti dai principi e dagli interessi generali cui si informano le leggi dello Stato, secondo quanto dispone la prima parte dell'art. 17 dello Statuto siciliano. La legislazione regionale deve sempre, come fra l'altro é affermato nella sopra citata sentenza di questa Corte, risultare coordinata con la finanza dello Stato, affinché non derivi turbamento ai rapporti tributari nel resto del territorio nazionale.

In particolare, quindi, la legislazione regionale non può disconoscere i principi cui si informano le leggi tributarie dello Stato, fra i quali rientra, senza dubbio, la disciplina dei soggetti passivi dell'obbligazione tributaria in relazione alla tipologia dei singoli tributi.

Ne discende che la Regione, come non potrebbe, legiferando validamente, modificare tali principi, onde procurarsi entrate tributarie che, ove fossero rispettati detti principi, non le competerebbero, così non può pretendere che le siano attribuiti i proventi di tributi rispetto ai quali la sua potestà legislativa incontrerebbe i limiti sopraccennati.

4. - Né a tale conclusione osta l'art. 37 dello Statuto, a torto invocato dalla Regione per desumerne un diverso principio direttivo valevole per giungere a diversa soluzione.

Detto art. 37, lungi dall'esprimere un criterio applicabile ad ogni tributo erTimes New Romane, costituisce, invero, norma sicuramente eccezionale. Basta considerare che in base ad un principio della legislazione statale, l'imposta sui redditi grava sull'impresa nella essenziale sua unità e sorge, secondo la regola della territorialità del tributo, nel luogo in cui l'impresa ha la sua sede, escludendosi che assuma rilevanza ed autonomia, ai fini tributari, il singolo stabilimento o la singola filiale.

L'art. 37 dello Statuto, per contro, ha significato e portata di eccezione, introdotta dal legislatore statutario per dare, limitatamente all'imposta sul reddito (o, come risulta specificato nell'art. 7 del decreto del 1965, sulla ricchezza mobile), ciò che la Regione non avrebbe potuto acquisire in base al ricordato art. 36, primo comma.

5. - Procedendosi all'esame, in questo quadro, delle norme di attuazione di cui al citato decreto n. 1074 del 1965, si deve osservare che, in considerazione della vigenza ed operatività di leggi statali tributarie, riaffermata dall'art. 6, primo comma, esse hanno la funzione di stabilire i criteri del riparto dei proventi tributari, in modo da assicurare alla Regione medesima i mezzi finanziari occorrenti alla esplicazione delle sue competenze istituzionali.

A tale scopo é preordinato, in primo luogo, l'art. 2, primo comma, mentre l'art. 4 ha soltanto funzione di salvaguardia della corretta applicazione del sistema. Posto infatti che in base alla normativa testé ricordata il gettito di un tributo erTimes New Romane spetti alla Regione e non allo Stato, in quanto riscuotibile nel territorio della prima, si é voluto, con le disposizioni di attuazione, chiarire che, nel caso in cui "esigenze amministrative" facciano "affluire" le entrate (e qui si noti come l'espressione indichi plasticamente la materialità del fenomeno) fuori del territorio regionale, non vi é motivo per sottrarre alla Regione quei proventi che le sono attribuiti. Più chiaramente si vuol dire che lo Stato può, anche con legge, a fini di razionale organizzazione degli uffici, determinare modificazioni delle competenze di questi ed al caso disciplinare diversamente le modalità della riscossione.

Ma, ove non si tratti di modificazioni dei principi attinenti alla struttura dei singoli tributi, alla Regione deve essere garantita l'attribuzione delle entrate nella misura di sua spettanza, ancorché la riscossione avvenga fuori del suo territorio.

6. - Facendo applicazione alla controversia in esame di quanto fin qui si é detto, si giunge a concludere Che alla Regione (la quale non avrebbe competenza legislativa per Conferire, in deroga ai principi della legge statale, soggettività tributaria agli stabilimenti, filiali, depositi, ecc. di società, enti ed istituti di credito aventi sede centrale fuori della Sicilia) non spetta la quota del gettito dell'imposta generale sull'entrata secondo leggi in vigore fino alla data del 31 dicembre 1972 (art. 90 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633); quota corrispondente al tributo gravante sui trasferimenti di ricchezza conseguenti ad atti economici compiuti dagli stessi stabilimenti, filiali, depositi, ecc. E ciò in quanto l'imputazione di atti a questi ultimi non é e non era prevista dalla legge dello Stato ai fini della determinazione del luogo della riscossione nel territorio della Regione.

Si può aggiungere che questa conclusione trova ulteriore conforto nel già ricordato art. 7 del decreto n. 1074 del 1965:

la circostanza che questo articolo si sia limitato a disciplinare il modus procedendi del riparto dell'imposta di ricchezza mobile, relativamente al reddito di stabilimenti ed impianti appartenenti a soggetti tributari aventi sede principale fuori della Sicilia, conferma che le norme di attuazione escludono analogo problema per l'I.G.E. in abbonamento: ciò in perfetta coerenza con la natura eccezionale della disposizione contenuta nell'art. 37 dello Statuto.

7. - Alla stregua delle considerazioni suesposte il ricorso della Regione deve essere respinto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettano allo Stato e non alla Regione siciliana i proventi dell'imposta generale sull'entrata riscossa in abbonamento da uffici finanziari dello Stato aventi sede fuori del territorio regionale siciliano e relativa ad atti economici compiuti in Sicilia da filiali, depositi e stabilimenti di società, enti ed istituti di credito aventi la sede centrale in altra parte del territorio dello Stato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 maggio 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 6 giugno 1973.