Sentenza n. 118 del 2012

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SENTENZA N. 118

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                       Presidente

-           Franco                         GALLO                                                  Giudice

-           Luigi                           MAZZELLA                                                 "

-           Gaetano                      SILVESTRI                                                   "

-           Sabino                         CASSESE                                                      "

-           Giuseppe                     TESAURO                                                    "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                                             "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                           "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                                "

-           Paolo                           GROSSI                                                        "

-           Giorgio                       LATTANZI                                                   "

-           Aldo                           CAROSI                                                        "

-           Marta                          CARTABIA                                                  "

-           Sergio                         MATTARELLA                                            "

-           Mario Rosario             MORELLI                                                     "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della nota del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto: «Patto di stabilità interno per l’anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna», promosso dalla Regione autonoma Sardegna, con ricorso notificato il 5 agosto 2011, depositato in cancelleria il 19 agosto 2011, ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra enti 2011.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 14 febbraio 2012 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello Stato Barbara Tidore per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. — Con ricorso notificato in data 5 agosto 2011, la Regione autonoma Sardegna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze in relazione alla Nota del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto: «Patto di stabilità interno per l’anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna», a firma del Ragioniere generale dello Stato, con la quale, al fine di addivenire al perfezionamento dell’accordo per il patto di stabilità interno del 2011, si invitava la Regione autonoma Sardegna «a voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa».

1.1. — La ricorrente espone che con la suddetta nota la Ragioneria generale dello Stato aveva respinto la proposta della Regione autonoma Sardegna, datata 30 marzo 2011, prot. n. 2489, a firma del Presidente della Regione, indirizzata al Ministro dell’economia e delle finanze ed al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, ai fini del raggiungimento dell’accordo di cui all’art. l, comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011) che così dispone: «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino­Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell’economia e delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, in considerazione del rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131. A tale fine, entro il 30 novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell’ente trasmette la proposta di accordo al Ministro dell’economia e delle finanze. Con riferimento all’esercizio 2011, il presidente dell’ente trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2011. In caso di mancato accordo, si applicano le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario».

Il comma 131 dello stesso articolo recita a sua volta: «La ripartizione del concorso alla manovra finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all'articolo 14, comma 1, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è determinata, per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, secondo le modalità indicate nella tabella 1 allegata alla presente legge».

La Regione autonoma Sardegna, nella propria proposta, dopo aver premesso che, al fine di correggere le modalità di calcolo delle quote di compartecipazione che l’avevano penalizzata in passato, era stato concordato tra Stato e Regione la revisione del regime finanziario regionale (disposta dall’art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007»), osservava che la piena attuazione di tale nuovo regime avrebbe richiesto che il relativo innalzamento del livello delle entrate fosse accompagnato da un equo adeguamento del livello di spesa. La Regione rammentava che già in passato aveva proposto un aumento graduale del livello degli impegni e dei pagamenti rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità, sebbene poi, nello spirito di leale collaborazione ed in considerazione della grave crisi economica che stava attraversando il Paese, avesse responsabilmente deciso di concordare, anche per il 2010, un livello di spesa non corrispondente all’accresciuto livello delle proprie risorse.

Richiamato il peculiare meccanismo dell’intesa disciplinato del predetto art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, proponeva in definitiva che nel 2011 il livello complessivo degli impegni e dei pagamenti del Titolo I e del Titolo II del bilancio regionale fosse pari all’obiettivo programmatico 2010 ricalcolato e ridotto dello 0,9 per cento ed ulteriormente diminuito del contributo di cui all’art. l, comma 131, della legge di stabilità del 2011 a carico della Regione autonoma Sardegna pari ad euro 76.689.835, al netto di alcune voci di spesa, e, correlativamente, che il livello degli impegni del 2011 venisse fissato in euro 3.796.000.000, nonché che il livello dei pagamenti del 2011 fosse incrementato, a parziale adeguamento dello strutturale innalzamento del livello delle entrate, di euro 400.000.000 e che pertanto lo stesso fosse conclusivamente determinato in euro 3.510.000.000.

1.2. — La Ragioneria generale dello Stato dava riscontro a tale proposta di accordo in data 7 giugno 2011, con la nota oggetto dell’odierno conflitto. In essa si rispondeva, con particolare riguardo alla richiesta regionale di aumentare di euro 400.000.000 il limite dell’obiettivo programmatico per i pagamenti per l’anno 2011, che si prendeva atto che la Regione autonoma, in considerazione dell’aumento del livello delle entrate, conseguente alla modifica statutaria, aveva ritenuto indispensabile un parallelo innalzamento dei tetti di spesa stabiliti dal patto di stabilità interno, « […] che fanno ancora riferimento ai livelli di spesa del 2005». Nondimeno, proseguiva la Ragioneria generale dello Stato, « […] pur non sottovalutando le aspettative che la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario può aver indotto sulle maggiori potenzialità di spesa regionale si fa presente che il quadro macroeconomico di finanza pubblica non ha scontato alcun effetto in termini di maggior spesa per cui l’accoglimento della richiesta regionale necessita di un intervento legislativo volto ad individuare la corrispondente compensazione finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto. Pertanto, in assenza di una disposizione legislativa che preveda misure compensative a favore della Regione Sardegna, si rappresenta che, in sede tecnica, non sussistono margini per un ampliamento del livello dei pagamenti».

Conclusivamente, la Ragioneria generale dello Stato invitava la Regione autonoma Sardegna, «al fine di addivenire al perfezionamento dell’accordo per il patto di stabilità interno 2011», a «voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa, sulla base delle osservazioni sopra esposte».

2. — La Regione autonoma Sardegna, promuovendo l’odierno conflitto, si duole quindi che con tale nota lo Stato abbia leso le proprie attribuzioni costituzionali per la violazione del principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni, di cui agli artt. 5, 117 e seguenti della Costituzione, anche in combinato disposto con gli artt. 3, 7, 8 e 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e in riferimento altresì all’art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010.

Lamenta inoltre la violazione della propria autonomia finanziaria in riferimento ai medesimi parametri.

Espone in proposito la Regione ricorrente che l’art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, dando applicazione al principio costituzionale della leale collaborazione (desumibile, fra l’altro, dagli artt. 5, 117, e seguenti Cost.) ed a quello dell’autonomia finanziaria delle Regioni ad autonomia speciale (sancito, per la Regione autonoma Sardegna, dall’art. 7 dello statuto e dall’art. 119 Cost.), fissa il fondamentale criterio dell’accordo nella determinazione della misura del concorso rispettivo dello Stato e delle Regioni ad autonomia speciale alla manovra economico-finanziaria, con particolare riferimento alla misura delle spese e dei pagamenti. Se dunque non è in contestazione «il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza di questa Corte n. 82 del 2007), e che, «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiti complessivi alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza di questa Corte n. 36 del 2004), ed altresì che tali vincoli devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all’azione di risanamento della finanza pubblica (si fa riferimento alle sentenze n. 416 del 1995 e, successivamente, n. 417 del 2005 e n. 353, n. 345 e n. 36 del 2004), nondimeno, tale potere deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. Il metodo dell’accordo tra le Regioni a statuto speciale ed il Ministero dell’economia e delle finanze per la determinazione delle spese correnti ed in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, introdotto per la prima volta dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), ed in seguito dall’art. 28, comma 15, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), e riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate, fino alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), deve considerarsi espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto patto di stabilità (in base alla sentenza n. 353 del 2004), consentendo esso di rispettare l’autonomia finanziaria degli enti dotati di autonomia speciale.

Sulla scorta di tali considerazioni, ritiene la ricorrente che l’atto statale impugnato, rigettando la proposta della Regione autonoma Sardegna ed “invitando” quest’ultima a ritirarla ed a formularne un’altra, in realtà non fosse altro che una vera e propria imposizione e quindi che costituisca una violazione dei coordinati principi della leale collaborazione e dell’autonomia finanziaria delle Regioni speciali. Con la suddetta nota – si prosegue – lo Stato avrebbe negato in radice la possibilità di accogliere la proposta regionale e si sarebbe sottratto al confronto, assumendo la propria posizione come la sola plausibile. Né, secondo la Regione, avrebbe fondamento l’obiezione della Ragioneria generale dello Stato che evidenziava l’inesistenza di previe leggi soddisfattive degli interessi della Regione, in quanto – si obietta – il processo negoziato di determinazione dei contenuti del patto di stabilità interno comporta l’adozione sia di atti amministrativi che di atti legislativi, come dimostra anche il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,  nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che, pur non avendo a sua volta tenuto conto di quanto previsto dall’art. 8 dello Statuto della Regione autonoma Sardegna, all’art. 20 ha definito le procedure di determinazione del nuovo patto di stabilità interno e il concorso delle Regioni al patto in termini di fabbisogno e di indebitamento netto. Quindi, prosegue la ricorrente, la natura, amministrativa o legislativa, degli atti determinativi del contenuto del patto non potrebbe avere in realtà alcun rilievo, poiché il principio dell’accordo deve essere comunque rispettato. In ogni caso, al di là di quanto osservato in generale sul procedimento di definizione dei contenuti del patto di stabilità, nel caso specifico della definizione dei livelli delle spese e dei pagamenti delle Regioni ad autonomia speciale, ai sensi dell’art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, l’intermediazione legislativa – al fine della determinazione del tetto di spesa delle Regioni ad autonomia speciale – non sarebbe necessaria, poiché, come risulta dalla stessa lettera della norma di legge, ciò che è necessario e sufficiente è il semplice accordo tra la Regione ed il Ministro dell’economia e delle finanze.

Evidenzia inoltre la ricorrente che l’art. 8 dello statuto della Regione autonoma Sardegna, come novellato (ai sensi dell’art. 54 dello statuto) dall’art. l, comma 834, della legge n. 296 del 2006, nell’individuare quali siano le entrate regionali declina un regime finanziario ben più favorevole di quello precedente (introdotto dall’art. l della legge 13 aprile 1983, n. 122, recante «Norme per il coordinamento della finanza della regione Sardegna con la riforma tributaria e finanziamento del decreto del Presidente della Repubblica 7 giugno 1979, n. 259, e del decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348; e disposizioni in materia finanziaria per la regione Friuli-Venezia Giulia»), determinando un aumento delle entrate regionali. Nondimeno, si prosegue, tali entrate non sono state ancora formalmente quantificate né conferite alla Regione. Ciò non toglie, però, che esse siano statutariamente previste e che, nel procedimento di leale costruzione dell’accordo previsto dall’art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, di tali entrate lo Stato doveva tenerne conto. Non avendolo fatto, lo Stato avrebbe così determinato una violazione specificamente qualificata degli invocati principi di leale collaborazione e di autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale, con incidenza anche sull’assolvimento dei compiti spettanti in particolare alla Regione autonoma Sardegna (ivi compresi quelli di sua esclusiva competenza, ai sensi dell’art. 3 dello stesso statuto), assolvimento cui l’incremento delle entrate disposto dalla novella statutaria era funzionale.

Risulterebbe violato altresì, in tal modo, anche l’art. 54 dello statuto. Esso, infatti, non consente deroghe all’art. 8 dello statuto medesimo (e comunque alle norme di cui al Titolo III) neppure al legislatore statale, che può soltanto modificarlo, ma sempre e solamente dopo aver sentito la Regione.

2.1. — La ricorrente lamenta l’ulteriore violazione dei principi di leale collaborazione e di autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna con riguardo all’art. 8 dello statuto, come da ultimo modificato, ai sensi del successivo art. 54, dall’art. l, comma 834, della legge n. 296 del 2006, anche in riferimento agli artt. 3 e 7 del medesimo statuto, al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. ed agli artt. 81, quarto comma, 114, 117, terzo comma, 118 e 119 Cost.

Secondo la Regione la nota in questione, avendo respinto la proposta di patto di stabilità da essa formulata, invitandola a mantenere le spese regionali rilevanti ai fini del patto di stabilità al livello precedente alla modifica dell’art. 8 dello statuto, avrebbe imposto alla Regione di proporre un’ipotesi di accordo che mantenesse fermo il livello delle entrate relativo all’esercizio di bilancio 2005, livello al quale è ancora attualmente parametrato il tetto di spesa stabilito dal patto di stabilità. In tal modo, lo Stato avrebbe leso la sfera dell’autonomia costituzionalmente attribuita alla Regione autonoma Sardegna.

La ricorrente rammenta che, proprio in seguito al riconoscimento da parte dello Stato della palese insufficienza del quadro finanziario delle entrate regionali, si era addivenuti alla seconda modifica all’art. 8 dello statuto, disposta appunto con la legge n. 296 del 2006. Parimenti, anche la stessa nota impugnata, sia pur con evidente contraddizione, aveva ammesso l’incoerenza del quadro attuale delle entrate e delle spese regionali con la previsione statutaria. Essa quindi risulta censurabile anche in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., per l’intima contraddittorietà che l’affligge. Sottraendosi al leale confronto con la Regione, lo Stato avrebbe anche violato direttamente l’art. 8 dello statuto. Tale norma ha determinato un aumento delle entrate regionali del quale lo Stato doveva tenere conto nel corso del procedimento di cui all’art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010. La proposta della Regione, infatti, intendeva ottenere unicamente l’applicazione della ricordata previsione statutaria, oltretutto a diversi anni di distanza dalla sua entrata in vigore e in un momento in cui l’ulteriore differimento dell’applicazione dello statuto non era più sopportabile, tenuto conto del fatto che il meccanismo stesso del patto di stabilità determina, anno dopo anno, un aggravamento del sacrificio in capo alle autonomie. La proposta regionale, quindi, prosegue la ricorrente, dava esplicitamente conto del fatto che detta applicazione sarebbe stata solo parziale, perché la stessa Regione autonoma Sardegna si era fatta carico delle esigenze di contenimento della spesa pubblica (in piena osservanza – dunque – dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 2007), mentre emergeva la necessità di adeguare il quadro statutario alla mutata realtà economico-finanziaria di riferimento. Tale aspetto, si evidenzia, confermerebbe ulteriormente l’illegittimo aprioristico rifiuto di un confronto sul punto da parte dell’amministrazione statale, che, così facendo, avrebbe invaso e compromesso la sfera dell’autonomia regionale. Se dunque l’incremento delle entrate allora disposto con la legge n. 296 del 2006 aveva la funzione di rimediare ad una conclamata insufficienza del quadro finanziario previgente, inadeguato al soddisfacimento delle esigenze regionali sul versante della spesa, con la proposta di adeguamento dei livelli di spesa respinta dallo Stato la Regione non avrebbe fatto altro che reclamare la semplice applicazione del nuovo quadro statutario, senza mettere in discussione il principio generale della corrispondenza fra le spese e le entrate, fissato in primo luogo dall’art. 81, quarto comma, Cost., laddove si dispone che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri deve indicare i mezzi per farvi fronte. Tale principio, prosegue la ricorrente, vive in una serie di corollari, e tra di essi v’è la regola per cui, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, lo Stato non può determinare livelli di spesa regionale che siano incoerenti con l’ammontare delle entrate. Rigettando la proposta formulata, la Ragioneria generale in sostanza avrebbe impedito alla Regione autonoma Sardegna, oltre alle esigenze sottese al patto di stabilità, di utilizzare le risorse pur tuttavia garantite dallo statuto regionale, determinando una violazione dell’autonomia finanziaria e legislativa garantita alla Regione, oltre che dall’art. 7 dello statuto, dagli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., nella parte in cui attribuiscono alle Regioni competenza legislativa concorrente nella materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario

2.1.1. — Per quanto concerne la lamentata lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., secondo la ricorrente esso risulterebbe violato sotto due distinti profili. In primo luogo, il fatto che la Regione autonoma Sardegna non possa addivenire all’accordo di cui all’art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, determinerà la sottoposizione dell’Ente alla più rigida disciplina dettata per le Regioni a Statuto ordinario, trasformandosi in un’ingiustificata compressione della competenza legislativa nelle materie sopra citate. In secondo luogo, poiché la mancata considerazione delle entrate previste dall’art. 8 dello statuto impedirebbe alla Regione di legiferare potendone tenere, invece, conto.

2.1.2. — Relativamente alla denunciata lesione degli artt. 3 e 7 dello statuto, e degli artt. 118 e 119 Cost., la Regione assume che, poiché il nuovo regime finanziario era ed è funzionale all’assolvimento delle funzioni regionali, non nuove ma già in essere, la nota in questione avrebbe violato le suddette disposizioni statutarie e costituzionali laddove esse, affidando alla Regione specifiche competenze, anche in via esclusiva (art. 3 dello statuto), garantiscono l’esercizio di tali funzioni (artt. 114, comma 2, e 118, primo e secondo comma, Cost.), assicurando (secondo quanto già affermato dalla sentenza di questa Corte n. 370 del 2003) l’adeguatezza della copertura delle spese necessarie (art. 119, quarto comma, Cost.), nel rispetto dell’autonomia finanziaria regionale (artt. 7 dello statuto e 119, primo comma, Cost.).

2.2. — La ricorrente si duole infine della violazione degli artt. 7 e 8 dello statuto, anche in combinato disposto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Dall’art. 8, come da ultimo modificato (ai sensi dell’art. 54 dello statuto medesimo) dall’art. l, comma 834, della legge n. 296 del 2006, deriverebbe il principio della necessaria corrispondenza tra le entrate e le spese della Regione. Tale principio, afferma la ricorrente, implica non solo, letto dal versante delle entrate, la necessità di copertura finanziaria delle funzioni conferite, ma anche, considerato dal versante della spesa, la piena autonomia nella disposizione, da parte della Regione, delle risorse statutariamente attribuite. La necessità di tale conclusione sarebbe confermata, peraltro, dalla lettura combinata dell’art. 8 con il disposto del precedente art. 7 (giusta il quale «la Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»). In questa prospettiva, si osserva che in ossequio al generale principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., la garanzia per la Regione di una “finanza propria”, da “coordinare” con quella dello Stato (e non derivata dalle rispettive determinazioni), non avrebbe senso, se non fosse al contempo garantita alla stessa una capacità di spesa corrispondente all’ammontare delle risorse in entrata. Il principio del finanziamento integrale delle funzioni comporta infatti, da un lato, che le risorse garantite alle Regioni debbano essere tali da «finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (come stabilito all’art. 119, terzo comma, Cost.); dall’altro, e necessariamente, che l’esercizio delle funzioni loro attribuite non possa essere condizionato da vincoli etero-determinati alla capacità di spesa. Se non è garantita la piena ed effettiva autonomia di spesa, resterebbe priva di significato l’astratta attribuzione delle corrispondenti risorse.

Rammenta in proposito la Regione che la necessità di una tale conclusione, alla luce del principio di ragionevolezza, è già stata riconosciuta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 245 del 1984, nella quale è stata dichiarata l’illegittimità di alcune disposizioni della legge finanziaria per il 1984 che imponevano alle Regioni oneri di vario genere senza corrispondente attribuzione di risorse. In quella decisione la Corte costituzionale aveva ritenuto necessario “rileggere la motivazione” svolta dalla sentenza n. 307 del 1983, ricordando che «già in quell’occasione, la Corte ha ritenuto che l’imporre alle Regioni obblighi del genere contrasti anzitutto con ciò che la Costituzione prescrive nel secondo comma dell’art. 119, ossia che le Regioni dispongano di “tributi propri” (oltre che di “quote di tributi erariali”), per fronteggiare autonomamente “le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali” e che le Regioni posseggono “autonomia finanziaria considerata sul versante delle uscite”».

In tal modo, la Regione non pretenderebbe di affermare che le risorse e le spese di cui all’art. 8 dello statuto si possano sottrarre alla considerazione delle esigenze connesse al patto di stabilità, ma che l’accordo connesso al patto debba necessariamente tenere conto anche di quelle risorse e di quelle spese, la cui eventuale limitazione deve essere determinata nel contesto del procedimento dialogico e collaborativo di cui all’art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010.

2.3. — Conclusivamente, la Regione autonoma Sardegna chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spettava allo Stato, e per esso alla Ragioneria generale dello Stato, adottare, in violazione del principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni, dell’autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna, degli artt. 3, 7, 8 e 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché degli artt. 3, 5, 81, quarto comma, 114, secondo comma, 117, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost., anche in riferimento all’art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010, la nota del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, ufficio VIII, 7 giugno 2011, protocollo n. 50971, avente ad oggetto «Patto di stabilità interno per l’anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna», a firma del Ragioniere generale dello Stato, con la quale, «al fine di addivenire al perfezionamento dell’accordo per il patto di stabilità interno 2011», la Regione autonoma Sardegna è stata invitata «a voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa, sulla base delle osservazioni sopra esposte». Conseguentemente, chiede altresì che essa venga annullata.

3. — Si è ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità del conflitto.

Deduce il Presidente del Consiglio dei ministri che la nota della Ragioneria generale non esprimeva la volontà dello Stato di affermare una propria competenza in ambito teoricamente riservato alla Regione. Difetterebbe pertanto il presupposto essenziale per la stessa configurabilità astratta di un conflitto. Secondo la difesa erariale, sia le obiezioni in diritto che l’invito a rivedere le proprie posizioni, lungi dal porsi in contrasto con la logica dell’accordo e della leale collaborazione, ne esprimono anzi lo spirito in modo particolarmente fedele.

Ne risulterebbe in sostanza un “non perfezionamento” dell’accordo che il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene del tutto fisiologico, perché transitorio e rimesso all’ulteriore confronto tra le parti. Diversamente opinando si dovrebbe ritenere che una delle parti sia tenuta ad accettare immediatamente la proposta iniziale dell’altra.

Nella nota, insomma, non sarebbe dato rinvenire alcuna sorta di imposizione o presa di posizione in senso preclusivo al raggiungimento su base consensuale. Lo Stato quindi non avrebbe esorbitato dalle proprie prerogative istituzionali, specificamente esercitando la propria competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Né potrebbe sostenersi che l’attuazione del coordinamento escluda, in quanto tale, l’operatività di vincoli all’autonomia dell’Ente locale, essendo al riguardo stato chiarito, sostiene ancora l’Avvocatura, che «Nell’esercizio del potere di coordinamento della finanza pubblica nel suo complesso e in vista di obiettivi nazionali di stabilizzazione finanziaria, non può escludersi che lo Stato, in pendenza di trattative finalizzate al raggiungimento dell’accordo, possa imporre qualche limite, anche alle Regioni speciali, senza con ciò ledere l’autonomia finanziaria e di spesa delle Regioni stesse (sentenza n. 353 del 2004)». In presenza di una comunicazione meramente interlocutoria come quella oggetto del presente conflitto, non troverebbero, dunque, applicazione i principi espressi nella sentenza n. 82 del 2007 di questa Corte, richiamata dalla ricorrente.

Con riguardo alla censura consistente nell’aver lo Stato trascurato di considerare le maggiori entrate previste dall’art. 8 dello statuto della Regione autonoma Sardegna, così come modificato dall’art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, circostanza che avrebbe legittimato un corrispondente aumento dei livelli di spesa, osserva la difesa erariale che «i commi 838 ed 839 dell’art. l della legge 27 dicembre 2006, n. 296, mentre hanno indicato la copertura finanziaria per i maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato conseguenti alla revisione dell’ordinamento finanziario regionale, non hanno individuato la copertura in termini di indebitamento netto, sul presupposto che le spese della Regione sarebbero state contenute nell’ambito dei vincoli del patto di stabilità interno. Ne consegue che la pretesa di aumentare l’entità delle spese in correlazione con l’avvenuto aumento delle entrate non è, allo stato della legislazione vigente, assistita dalla necessaria copertura finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto».

Muovendo da tale assunto, andrebbe quindi inteso il richiamo, nella nota della Ragioneria, alla necessità di un intervento legislativo che fornisca gli strumenti adeguati a garantire il necessario equilibrio dei saldi di finanza pubblica. Posto che l’assoggettamento al quadro normativo condiziona in pari misura sia la Regione che lo Stato, in ossequio al principio per cui «in materia di controlli di spese delle Regioni ad autonomia speciale il metodo dell’accordo deve risultare compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità della cui salvaguardia anche le Regioni speciali devono farsi carico» (sentenza n. 82 del 2007 citata, punto 7 del Considerato in diritto), la difesa erariale conclude ritenendo di non ravvisare elementi atti a integrare la denunciata violazione di prerogative costituzionali, evocata nel ricorso.

4 — Con memoria depositata in vista dell’udienza pubblica la ricorrente evidenzia che, al di là del tono apparentemente innocuo utilizzato, la nota rappresenta una vera e propria imposizione, assolutamente non superabile dalla Regione autonoma Sardegna. In proposito si richiama l’attenzione sull’asserzione con cui la Ragioneria dello Stato conclude le proprie deduzioni circa la proposta di aumento del livello dei pagamenti: «non sussistono margini per un ampliamento del livello dei pagamenti» (pagina 3, penultimo capoverso, della nota impugnata).

In tal modo, si osserva, la Regione autonoma Sardegna poteva solo accettare l’imposizione statale, addivenendo ad un accordo raggiunto con una sostanziale coercizione, oppure non accettarla e sottostare, in questo modo, all’ipotesi dettata in via residuale dall’art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010, ossia l’applicazione delle «disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario». Risulterebbe ancor più evidente che lo Stato aveva posto sul tavolo delle trattative una condizione pregiudiziale, di per se stessa non trattabile, in specifica violazione del principio di leale collaborazione. Né, secondo la ricorrente, avrebbe pregio l’invocata legittimazione all’attuazione del coordinamento della finanza pubblica, che non esclude «l’operatività di vincoli all’autonomia dell’ente locale», come affermato a suo tempo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 353 del 2004, poiché quella decisione prendeva in considerazione il caso in cui lo Stato potesse legittimamente governare con maggior incisività la finanza pubblica delle autonomie territoriali pur «in pendenza di trattative finalizzate al raggiungimento dell’accordo» (e fu anche precisato con il solo potere di «determinare transitoriamente i flussi di cassa»), mentre nel caso presente si fa questione dell’indebita sottrazione dello Stato al confronto con la Regione autonoma Sardegna in ordine alla ricerca stessa dell’accordo, in mancanza del quale le attribuzioni dell’Ente a statuto speciale verrebbero sacrificate a causa dell’applicazione delle disposizioni stabilite per le Regioni a statuto ordinario.

Con riguardo poi alle affermazioni della difesa erariale secondo le quali la pretesa di aumentare l’entità delle spese in correlazione con l’avvenuto aumento delle entrate non sarebbe, allo stato della legislazione vigente, assistita dalla necessaria copertura finanziaria in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, e che muovendo da tale assunto andrebbe inteso il richiamo, nella nota della Ragioneria, alla necessità di un intervento legislativo che fornisca gli strumenti adeguati a garantire il necessario equilibrio dei saldi di finanza pubblica, la ricorrente ribadisce che la determinazione dei contenuti del patto di stabilità è un procedimento complesso, che può comportare l’adozione sia di atti amministrativi che di atti legislativi, sebbene, ai sensi dell’art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010, l’intermediazione legislativa al fine della determinazione del tetto di spesa delle Regioni ad autonomia speciale non sarebbe necessaria, poiché, come risulta dalla stessa lettera della norma legislativa, ciò che è necessario e sufficiente è il semplice accordo tra la Regione e il Ministro dell’economia e delle finanze.

Evidenzia, inoltre, la ricorrente che, se fosse condivisibile l’argomentazione della difesa erariale, lo Stato sarebbe legittimato a non adempiere ai suoi doveri di leale collaborazione dalla sola sua inerzia, il che sarebbe a dir poco paradossale. Al contrario, il fatto che, sebbene con l’art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, si sia riformato il regime delle entrate della Regione autonoma Sardegna, ma le nuove entrate non siano state ancora formalmente né quantificate né conferite alla Regione, non potrebbe costituire circostanza idonea ad assolvere lo Stato dall’adempimento degli obblighi di corretta esecuzione della nuova disciplina statutaria e, men che meno, dei doveri di leale collaborazione nella determinazione dei contenuti del patto di stabilità. In proposito, la ricorrente pone in ulteriore rilievo che la medesima nota impugnata dà espressamente conto della novità recata dalla riforma dell’art. 8 dello statuto della Regione («pur non sottovalutando le aspettative che la piena entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario può aver indotto sulle maggiori potenzialità di spesa regionale […]»), manifestando in questo modo la piena consapevolezza della grande novità dell’intervenuta modifica dello statuto sardo, ma allo stesso tempo anche la pervicace volontà di non tenerne conto.

5. — All’udienza pubblica le parti hanno illustrato ed ulteriormente ribadito le argomentazioni già rassegnate in atti.

Considerato in diritto

1. — Con ricorso notificato il 5 agosto 2011 la Regione autonoma Sardegna ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.

La ricorrente chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spettava allo Stato, e per esso al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (RGS), adottare la nota 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto «Patto di stabilità interno per l’anno 2011 – Proposta di accordo per la Regione Sardegna», con la quale, «al fine di addivenire al perfezionamento dell’accordo per il patto di stabilità interno 2011», la Regione stessa è stata invitata «a voler rivedere la propria proposta di accordo, corredata della tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in termini di competenza che di cassa, sulla base delle osservazioni sopra esposte».

Secondo la Regione autonoma Sardegna, l’atto impugnato violerebbe gli articoli 3, 5, 81, quarto comma, 114, secondo comma, 117, 118, primo e secondo comma, 119 della Costituzione, nonché gli artt. 3, 7, 8, 54 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), sotto il profilo dei principi di leale collaborazione, di autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale, di potestà concorrente regionale in tema di coordinamento della finanza pubblica e di copertura delle spese.

L’Avvocatura dello Stato ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del conflitto per difetto del presupposto essenziale inerente alla configurabilità astratta dello stesso: la nota della Ragioneria generale non esprimerebbe la volontà dello Stato di affermare una propria competenza in ambito teoricamente riservato alla Regione. Il mancato perfezionamento dell’accordo sarebbe del tutto fisiologico, perché transitorio e rimesso all’ulteriore confronto tra le parti.

La nota consisterebbe in una richiesta di riformulazione della proposta regionale in termini di maggiore conformità al quadro legislativo vigente in tema di patto di stabilità interno, in relazione al profilo specifico della necessità di garantire l’equilibrio tra fabbisogno ed indebitamento netto.

2. — L’eccezione di inammissibilità formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri è fondata.

Il tenore della nota della RGS non si pone in contrasto con la ratio dell’accordo, istituto attraverso il quale il legislatore (con l’art. 1, comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011»), ha voluto dare attuazione, in questa particolare materia, al principio della leale collaborazione.

Per questo motivo, il mancato perfezionamento dell’accordo, a seguito del primo scambio di proposte tra le parti, appare del tutto compatibile con il criterio del previo confronto e della progressiva negoziazione e specificazione delle singole clausole dell’accordo stesso tra Regione e Stato.

Una lettura corretta della nota della RGS dimostra che lo Stato non ha inteso sottrarsi all’accordo attraverso una controproposta chiusa al successivo confronto con la Regione, che possa intendersi come “imposizione” o presa di posizione in senso preclusivo al raggiungimento di un atto consensuale. Lo Stato si è mantenuto nell’ambito delle proprie prerogative costituzionali, non eccedendo dai propri poteri in materia di coordinamento della finanza pubblica. È bene ricordare che l’accordo è lo strumento, ormai consolidato (in quanto già presente nella legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica» e poi confermato da tutte le disposizioni che si sono occupate successivamente della materia) per conciliare e regolare in modo negoziato il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente rafforzata (ex plurimis sentenza n. 353 del 2004). Nel solco di questo indirizzo normativo l’art. 1, comma 132, della 1egge n. 220 del 2010, ha stabilito che per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le Regioni a statuto speciale, escluse la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, concordano con il Ministro dell’economia e delle finanze le concrete modalità attuative del patto di stabilità e del concorso alla manovra di finanza pubblica.

Il contenuto dell’accordo deve essere compatibile con il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità, della cui salvaguardia anche le Regioni a statuto speciale devono farsi carico e contemporaneamente deve essere conforme e congruente con le norme statutarie della Regione, ed in particolare con l’art. 8 dello statuto modificato – per effetto del meccanismo normativo introdotto dall’art. 54 dello statuto stesso – dall’art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). Quest’ultimo ha rideterminato e quantificato le entrate tributarie e la loro misura di pertinenza della Regione autonoma Sardegna.

Ne consegue che «l’equilibrio del bilancio» di cui agli artt. 5 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), e 5 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 170 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, a norma dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131) non potrà che realizzarsi all’interno dello spazio finanziario delimitato, in modo compensativo, dalle maggiori risorse regionali risultanti dalla entrata in vigore dell’art. 8 dello statuto (con decorrenza dal 1° gennaio 2010 per effetto dell’art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006) e dalla riduzione della spesa conseguente alla applicazione del patto di stabilità 2011 (tabella 1 allegata all’art. 1, comma 131, della legge n. 220 del 2010). È infatti di palmare evidenza che proprio il principio inderogabile dell’equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell’entrata.

Le norme richiamate costituiscono, nel loro complesso, il quadro normativo di riferimento della finanza regionale della Sardegna. Il combinato delle suddette disposizioni in materia di entrata e spesa compone dunque la disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma.

Alla luce delle espresse considerazioni, il conflitto sollevato dalla Regione autonoma Sardegna deve essere, allo stato, dichiarato inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’inammissibilità del conflitto di attribuzione promosso dalla Regione autonoma Sardegna nei confronti dello Stato, in riferimento alla nota del Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 7 giugno 2011, n. 50971, avente ad oggetto: «Patto di stabilità interno per l’anno 2011. Proposta di accordo per la Regione Sardegna», con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2012.