Sentenza n. 188 del 2007

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SENTENZA N. 188

ANNO 2007

 

Commenti alla decisione di

 

I. Nadia Maccabiani, La Corte insiste e bacchetta il Legislatore regionale: allo Statuto quel che è dello Statuto   (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

II. Alessandro Mangia, I limiti (formali) degli statuti materiali (sent. n. 188/2007)  (per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria          FLICK                                    Giudice     

- Francesco                 AMIRANTE                                  “

- Ugo                          DE SIERVO                                  “

- Paolo                        MADDALENA                             “

- Alfio                          FINOCCHIARO                           “

- Alfonso                     QUARANTA                                “

- Franco                      GALLO                                         “

- Luigi                          MAZZELLA                                  “

- Gaetano                    SILVESTRI                                   “

- Sabino                      CASSESE                                     “

- Maria Rita                 SAULLE                                        “

- Giuseppe                   TESAURO                                    “

- Paolo Maria              NAPOLITANO                             “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, terzo comma, dell’art. 7, primi quattro commi, e dell’art. 23 della legge della Regione Campania 29 dicembre 2005, n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2006), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 febbraio 2006, depositato il cancelleria il 7 marzo 2006 ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2006.

            Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;

            udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

            uditi l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

            1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso (n. 43 del 2006) notificato il 28 febbraio 2006 e depositato il successivo 7 marzo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, terzo comma, dell’art. 7, primi quattro commi, e dell’art. 23 della legge della Regione Campania 29 dicembre 2005, n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2006), pubblicata nel B.u.r. n. 69 del 30 dicembre 2005.

            2. – L’art. 4, comma 3, della legge regionale n. 24 del 2005, viene censurato poiché, prevedendo l’attribuzione alla Giunta regionale di una funzione di indirizzo politico-amministrativo, violerebbe la riserva di statuto configurata dall’art. 123 della Costituzione. Infatti, la disposizione impugnata determinerebbe «una modifica del sistema di relazioni tra gli organi regionali, così come delineato dal vigente Statuto della Regione, il quale attribuisce al Consiglio regionale la funzione di indirizzo politico programmatico» (art. 20, punto 1, della legge 22 maggio 1971, n. 348 recante «Approvazione, ai sensi dell’art. 123, secondo comma, della Costituzione, dello Statuto della Regione Campania») ed alla «Giunta l’attuazione delle direttive politiche e programmatiche decise dal Consiglio» (art. 31 dello statuto). Una scelta del genere non potrebbe quindi essere disposta con una ordinaria legge regionale, perché interviene in una materia rimessa in via esclusiva alla fonte statutaria.

            3. – In riferimento ai primi quattro commi dell’art. 7, relativi agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) presenti sul territorio campano, il ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 270 del 2005 per la parte relativa agli IRCSS non trasformati in fondazioni. Con questa pronuncia, si sarebbe chiarito che, pur non essendo la normativa afferente a tali istituti ascrivibile alla potestà legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., non trattandosi di enti nazionali, ma a quella regionale in tema di tutela della salute e della ricerca scientifica, nondimeno l’esigenza di garantire un’adeguata uniformità al sistema e la tutela di alcuni interessi unitari giustificano l’attrazione in capo allo Stato, in via di sussidiarietà, di funzioni che sarebbero di competenza delle Regioni.

Con la legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), e con il decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3), lo Stato avrebbe avocato a sé alcuni poteri ma, nel contempo, avrebbe affiancato ad essi la previsione di una necessaria intesa con le Regioni, da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, quanto alla determinazione delle «modalità di organizzazione, di gestione e di funzionamento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non trasformati in fondazioni». In data 1° luglio 2004 è stata, quindi, stipulata la predetta intesa.

Pertanto, la parte ricorrente sostiene che nella disciplina degli IRCCS non trasformati in fondazioni la potestà legislativa regionale dovrebbe rispettare i principi fondamentali in materia di tutela della salute «contenuti nel d.lgs. n. 288 del 2003 e nel relativo Atto di intesa, che del primo costituisce parte integrante», profilandosi altrimenti la violazione, per un verso, dell’art. 117, terzo comma, Cost., e, per altro verso, del principio di leale collaborazione desumibile dal combinato disposto degli artt. 117, 118, primo comma, e 120 Cost.

3.1. – Alla luce di tali premesse, il ricorrente impugna l’art. 7, comma 1, nella parte in cui sottopone gli IRCCS regionali «alla vigilanza della Regione», essendo in contrasto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 288 del 2003, che conserva, in capo al Ministero della salute, «le funzioni di vigilanza» sugli enti in questione e che – pur impugnato – non sarebbe stato dichiarato illegittimo nella sentenza n. 270 del 2005.

3.2. – Lo stesso vizio inficerebbe il comma 2 del citato art. 7, il quale, nel sottoporre al controllo della Regione l’attività di ricerca dei predetti istituti regionali, si porrebbe in contrasto con l’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003. In virtù di questa disposizione, l’attività di ricerca degli IRCSS su cui grava un obbligo di coerenza con il programma di ricerca sanitaria nazionale di cui all’art. 12-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sarebbe sottoposta alla vigilanza del Ministero della salute.

3.3. – Il ricorrente censura, inoltre, il comma 3 dell’art. 7, il quale dispone che i componenti del Consiglio di indirizzo e verifica degli IRCCS sono «nominati dal Presidente della Regione, su proposta dell’assessore regionale alla sanità». Dal momento che non si contempla alcuna designazione ministeriale, la disposizione risulterebbe in contrasto con l’art. 2, comma 1, della summenzionata intesa a mente del quale il predetto Consiglio è «composto da cinque membri, due dei quali nominati dal Ministro della salute e due dal Presidente della Regione ed il quinto, con funzioni di presidente, nominato dal Ministro della salute, sentito il Presidente della Regione».

3.4. – È, infine, prospettata l’incostituzionalità dell’art. 7, comma 4, relativo alla composizione del collegio sindacale degli IRCCS, i cui membri sono tutti «designati dalla Giunta regionale della Campania, su proposta dell’assessore regionale alla sanità».

Tale previsione, non prevedendo alcun componente ministeriale, violerebbe l’art. 4 dell’intesa, il quale, a sua volta, rinvia all’art. 4 del d.lgs. n. 288 del 2003, ai sensi del quale il suddetto organo è composto da cinque membri, «di cui due designati dalla Regione, uno designato dal Ministro dell’economia e delle finanze, uno dal Ministro della salute e uno dall’organismo di rappresentanza delle autonomie locali».

4. – È, da ultimo, impugnato l’art. 23 della stessa legge regionale, che modifica l’art. 2, primo comma, della l.r. n. 28 del 2003, e aggiunge il seguente comma: «Al fine di contribuire alla riduzione dell’inquinamento atmosferico derivante dal traffico veicolare, i veicoli appartenenti alle categorie internazionali M1 e N1 alimentati a metano e GPL o azionati con motore elettrico, sono esentati dal pagamento della tassa automobilistica regionale dal 1° gennaio 2005».

Il ricorrente ne denuncia l’incompatibilità con l’art. 17, comma 5, lettere a) e b), della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), che, diversamente da quanto stabilito a livello regionale, dispone la riduzione di un quarto dell’importo del tributo per i predetti veicoli. Per i veicoli con motore elettrico, la normativa statale violata dall’impugnata disposizione è l’art. 20 del d.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39, che prevede l’esenzione quinquennale per autoveicoli elettrici per il periodo di cinque anni a decorrere dalla data del collaudo.

Ciò determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di sistema tributario. Al riguardo, la Corte costituzionale avrebbe statuito che la suddetta tassa non può considerarsi un “tributo proprio” ex art. 119, secondo comma, Cost., trattandosi invece di tributo istituito con legge statale ascrivibile alla materia, di competenza esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nel cui ambito la Regione può legiferare soltanto nei limiti e secondo le misure stabilite dalla legge statale.

5. – Con memoria depositata il 27 marzo 2006, si è costituita in giudizio la Regione Campania.

5.1. – Per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 4, comma 3, la Regione resistente rileva che detta previsione non introdurrebbe nulla di innovativo rispetto al sistema di governo regionale configurato dalla legge costituzionale n. 1 del 1999. La riforma costituzionale avrebbe introdotto, sino alla adozione dei nuovi statuti regionali, «una precisa forma di governo che ha profondamente inciso l’impianto precedente. In tale contesto, determinate competenze dell’organo di governo sono del tutto conseguenti ed anzi costituiscono il minimo a fronte delle rilevanti responsabilità politiche ad esso imputate».

Peraltro la resistente afferma che la censurata disposizione prevede che la contestata funzione della Giunta sia svolta «nell’ambito dell’indirizzo politico programmatico determinato dal Consiglio regionale». In tal modo non si apporterebbe alcuna modifica all’assetto istituzionale prefigurato dalla Costituzione: «indirizzo del Consiglio, gestione politica (sulla base del primo) appartenente all’organo giuntale, e gestione amministrativa dei dirigenti di settore».

5.2. – Al fine di confutare i rilievi d’incostituzionalità prospettati in relazione all’art. 7, commi 1, 2, 3 e 4, la parte resistente ricostruisce, in via preliminare, il quadro legislativo di riferimento esistente dopo la sentenza n. 270 del 2005 di questa Corte.

La legge n. 3 del 2003 reca, all’art. 42, una delega «per la trasformazione degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in fondazioni». Fra i princìpi a tal fine enunciati, la lettera p) vincola il Governo a «prevedere che istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, non trasformati ai sensi della lettera a), adeguino la propria organizzazione e il proprio funzionamento ai princìpi, in quanto applicabili di cui alle lettere d), e), h), e n), nonché al principio di separazione fra funzioni di cui alla lettera b), garantendo che l’organo di indirizzo sia composto da soggetti designati per metà dal Ministro della salute e per l’altra metà dal Presidente della Regione, scelti sulla base di requisiti di professionalità e di onorabilità, periodicamente verificati, e dal presidente dell’Istituto, nominato dal Ministro della salute, e che le funzioni di gestione siano attribuite ad un direttore generale nominato dal consiglio di amministrazione, assicurando comunque l’autonomia del direttore scientifico, nominato dal Ministro della salute, sentito il Presidente della Regione interessata».

In attuazione di questa delega il d.lgs. 16 ottobre 2003, n. 288, ha, tra l’altro, imposto nomine ministeriali nella composizione degli organi di gestione (art. 3) e degli organi di controllo (art. 4). L’art. 5 ha demandato ad una intesa in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni l’organizzazione ed il funzionamento degli IRCCS non trasformati in fondazioni.

In questo quadro è stato stipulato l’accordo del 1° luglio 2004 sulla organizzazione, gestione e funzionamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non trasformati in fondazioni. La Regione sottolinea al riguardo che tale intesa consta sia di disposizioni meramente riproduttive di vincoli già stabiliti a livello legislativo, sia di disposizioni frutto «del libero confronto negoziale fra Stato e Regioni».

Dalla premessa dell’intesa si evince che il fondamento normativo di alcune delle clausole ivi contenute sarebbe costituito proprio dall’art. 42, comma 1, lettera p), della citata legge n. 3 del 2003. In particolare, alla stregua di tale previsione, l’art. 2 dell’intesa stabilisce che l’organo di indirizzo degli IRCCS non trasformati deve essere composto da soggetti designati per metà dal Ministro della salute e per metà dal Presidente della Regione. La stessa intesa, poi, all’art. 4, prevede la nomina di un collegio sindacale, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 4 del d.lgs. n. 288 del 2003.

Peraltro, con la successiva sentenza n. 270 del 2005, la Corte costituzionale ha riconosciuto una ampia competenza legislativa regionale relativamente all’ordinamento di questi enti pubblici regionali, ed ha affermato che pertanto in questo ambito la Costituzione vigente «non legittima ulteriormente una presenza obbligatoria per legge di rappresentanti ministeriali in ordinari organi di gestione di enti pubblici che non appartengono più all’area degli enti statali, né consente di giustificare in alcun modo, in particolare sotto il profilo della competenza a dettare i princìpi fondamentali, che il legislatore statale determini quali siano le istituzioni pubbliche che possano designare la maggioranza del consiglio di amministrazione delle fondazioni».

Per effetto di tali considerazioni, la Corte ha – tra l’altro – dichiarato la parziale incostituzionalità di numerose disposizioni, fra cui l’art. 42, comma 1, lettere b), e p), della legge n. 3 del 2003; l’art. 1, comma 2, l’art. 3, commi 2 e 3, e l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003.

            5.3. – Sulla base di questa ricostruzione del quadro normativo di riferimento, la Regione ritiene, in via preliminare, che l’impugnazione riguardi esclusivamente la disciplina regionale in quanto applicabile agli IRCCS non trasformati in fondazioni.

Quanto alla asserita violazione dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 288 del 2003, da parte dell’art. 7, commi 1 e 2, le funzioni di vigilanza e di controllo delle attività degli IRCCS, demandate alla Regione, non escluderebbero analoghi poteri in capo al Ministero, trattandosi «di verifiche attinenti a finalità differenti, funzionali alle specifiche competenze programmatiche che ciascun soggetto pubblico mantiene in tale ambito (es. piano sanitario nazionale, programmazione sanitaria regionale)». Per quanto concerne, in particolare, la funzione di controllo, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato, la sentenza n. 270 del 2005 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 288 del 2003 in relazione alle parole «e di controllo» riferite alla funzione attribuita al Ministro della salute.

Quanto alle censure relative al comma 3 dello stesso art. 7, che non contempla designazioni ministeriali circa la composizione del Consiglio di indirizzo e verifica degli IRCCS campani, la Regione osserva che l’art. 2, comma 1, dell’intesa (che si assume violato) sarebbe in realtà meramente riproduttivo di una disposizione legislativa che la Corte ha dichiarato incostituzionale e cioè dell’art. 42, comma 1, lettera p).

Con riguardo al comma 4 dell’art. 7, relativo alla composizione del collegio sindacale degli istituti in parola, la norma dell’accordo che si ritiene disattesa (art. 4) reca un rinvio mobile all’art. 4 del d.lgs. n. 288 del 2003, anch’esso dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale proprio nella parte in cui imponeva una precisa composizione del collegio stesso con rappresentanti statali.

            5.4. – Quanto, infine, ai rilievi d’incostituzionalità mossi nei confronti dell’art. 23 della l.r. n. 24 del 2005, la resistente osserva che le sentenze della Corte costituzionale, richiamate dalla difesa erariale, avrebbero caducato leggi regionali che intervenivano sui meccanismi e sulle modalità di applicazione dell’imposta incidendo sulla disciplina sostanziale, mentre la disposizione impugnata atterrebbe esclusivamente alla “misura” della tassa che già la normativa statale, anche se limitatamente, attribuiva al potere di variazione della Regione. Nell’ambito delle nuove competenze regionali, per la resistente appare ancor più giustificabile un tale, limitato intervento della Regione.

            6. – Con atto di rinuncia parziale, notificato alla Regione Campania in data 18 luglio 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare alla impugnazione dell’art. 23 della legge regionale della Campania n. 24 del 2005, considerato che, con la legge regionale 20 marzo 2006, n. 4 (Integrazione alla legge regionale 29 dicembre 2005, n. 24 ed interpretazione autentica dell’articolo 23), la suddetta Regione si è adeguata ai rilievi esposti nel ricorso governativo.

            7. – In prossimità dell’udienza, la Regione Campania ha depositato una memoria con la quale ribadisce l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dallo Stato.

7.1 – In relazione alla censura avente per oggetto l’art. 4, comma 3, la resistente sostiene, ad integrazione delle considerazioni già sviluppate nell’atto di costituzione in giudizio, che la previsione sospettata d’incostituzionalità si rivela «meramente riproduttiva della formula legislativa statale» e che, d’altra parte, la contestata scelta legislativa appare «pienamente coerente con la nuova forma di governo regionale che la norma transitoria della legge costituzionale n. 1 del 1999 ha posto in essere e con la nuova formulazione dell’art. 121 Cost.». In forza di tale riforma, la Regione ritiene che «l’obiettivo di fondo del legislatore costituzionale sia stato quello di attribuire all’organo consiliare una funzione più propriamente programmatoria e di controllo, di individuazione degli indirizzi generali e degli obiettivi di fondo della politica regionale, riservando all’organo esecutivo la concreta attuazione di quegli indirizzi e di quegli obiettivi attraverso il governo della Regione».

7.2. – Per quanto riguarda l’art. 7, comma 1, la difesa regionale sottolinea la «piena coincidenza tra l’oggetto della impugnativa e la modifica apportata dalla Regione» con la legge regionale n. 4 del 2006. Quest’ultima, infatti, ha eliminato proprio l’attribuzione alla Regione della funzione di vigilanza oggetto di doglianza nel ricorso. Pertanto, l’innovazione legislativa intervenuta dovrebbe determinare la cessazione della materia del contendere.

7.3. – Il dubbio d’incostituzionalità relativo all’art. 7, comma 2, che sottopone l’attività di ricerca dei suddetti Istituti alla funzione di controllo della Regione appare, a detta della resistente, infondato alla luce della giurisprudenza costituzionale e alla stregua del tenore della stessa normativa legislativa statale a tal fine invocata.

Ciò anzitutto per la distinzione tra “vigilanza” e “controllo” e poi per il fatto che, con la sentenza n. 270 del 2005, la Corte avrebbe affermato che, con la riforma del Titolo V della Costituzione, gli Istituti in esame rientrano tra le istituzioni sanitarie soggette alla competenza legislativa regionale. Questa lettura del testo costituzionale giustificherebbe, secondo la resistente, la previsione di un controllo regionale sull’attività di ricerca, soprattutto sul piano contabile della gestione finanziaria.

            Quanto al secondo profilo, lo stesso art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003, invocato dalla difesa erariale quale norma interposta, dispone che la predetta attività di ricerca debba risultare conforme agli «atti di programmazione regionale in materia».

7.4. – Quanto alle censure relative ai commi 3 e 4 dell’art. 7, la Regione ribadisce le implicazioni conseguenti alla riconosciuta incostituzionalità delle disposizioni legislative statali, oggetto nell’Intesa di «mera ricognizione e riproduzione» ovvero di rinvio mobile.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in riferimento all’articolo 4, comma 3, all’art. 7, commi 1, 2, 3, 4, e all’art. 23 della legge della Regione Campania 29 dicembre 2005 n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2006).

Le censure concernenti l’art. 4, comma 3, muovono dal rilievo che tale disposizione, attribuendo una funzione di indirizzo politico amministrativo alla Giunta regionale, altererebbe il sistema delle relazioni tra gli organi regionali delineato dagli artt. 20 e 31 dello statuto regionale in tema di forma di governo, con conseguente violazione dell’art. 123 della Costituzione che riserva alla fonte statutaria tale disciplina.

Le censure relative all’art. 7, comma 1, muovono dalla asserita lesione dei principi fondamentali contenuti nel decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’art. 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3), ed in particolare dell’art. 1, comma 2 del citato decreto, il quale manterrebbe in capo al Ministro della salute le funzioni di vigilanza e controllo su tali enti. Si lamenta, altresì, la violazione del principio di leale collaborazione desumibile dal combinato disposto degli artt. 117, 118, primo comma, e 120 Cost.

Con riguardo all’art. 7, comma 2, della legge della Regione Campania, il ricorrente censura la previsione che assoggetta l’attività di ricerca degli IRCCS al controllo della Regione, assumendo la violazione dei principi fondamentali posti dal d.lgs. n. 288 del 2003 ed in particolare della previsione, contenuta nell’art. 8, comma 3, che sottopone tale attività alla vigilanza del Ministro della salute. Anche in tal caso vi sarebbe una violazione del terzo comma dell’art. 117 Cost. e del principio di leale collaborazione.

Le censure relative all’art. 7, commi 3 e 4, muovono invece dalla asserita violazione dei principi fondamentali posti da due disposizioni dell’Atto di intesa del 1° luglio 2004 (Organizzazione, gestione e funzionamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non trasformati in fondazioni, di cui all’art. 5 del d. lgs. 16 ottobre 2003 n. 288 e dell’art. 8, sesto comma, della legge 5 giugno 2005 2003, n. 131), intesa che costituirebbe “parte integrante” del d.lgs. n. 288 del 2003. Precisamente, il comma 3 è impugnato nella parte nella parte in cui non prevede la designazione ad opera del Ministro della salute di alcuno dei componenti del Consiglio di indirizzo e verifica degli IRCCS campani, riservandone la nomina al Presidente della Regione, su proposta dell’assessore regionale alla sanità. Tale previsione contrasterebbe con l’art. 2, comma 1, della citata intesa il quale, invece, dispone che il consiglio è «composto da cinque membri, due dei quali nominati dal Ministro della salute e due dal presidente della regione ed il quinto, con funzioni di presidente, nominato dal Ministro della salute, sentito il presidente della regione». Ciò ridonderebbe in violazione dei principi fondamentali espressi dall’atto di intesa e dello stesso d.lgs. n. 288 del 2003, nonché del principio di leale collaborazione.

Le medesime censure sono svolte con riguardo all’art. 7, comma 4, in relazione al quale l’Avvocatura lamenta la violazione dell’art. 4 dell’atto di intesa che, con riguardo alla nomina del collegio sindacale, rinvia a quanto previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 288 del 2003, il quale dispone che il collegio sindacale «è composto da cinque membri, di cui due designati dalla Regione, uno designato dal Ministro dell’economia e delle finanze, uno dal Ministro della salute e uno dall'organismo di rappresentanza delle autonomie locali».

Infine, è impugnato l’art. 23 della legge regionale n. 24 del 2005 in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

2. – In via preliminare questa Corte prende atto dell’intervenuta rinuncia da parte del Governo alla censura relativa a tale ultima disposizione, dal momento che l’art. 1 della successiva legge regionale della Campania 20 marzo 2006, n. 4 (Integrazione alla legge regionale 29 dicembre 2005, n. 24 ed interpretazione autentica dell’articolo 23), avrebbe modificato l’art. 23 della legge regionale n. 24 del 2005 adeguandosi pienamente ai rilievi esposti nel ricorso statale. Avendo la difesa regionale accettato questa rinuncia, ai sensi dell’art. 25 delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale, deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio in parte qua.

3. – Sempre in via preliminare deve essere dichiarata, in conformità alla richiesta in tal senso della resistente, la cessazione della materia del contendere in relazione alla censura avente ad oggetto l’art. 7, comma 1, della legge regionale n. 24 del 2005, la quale riguardava esclusivamente la parte in cui questa disposizione prevede la sottoposizione degli IRCCS alla vigilanza della Regione. L’art. 2 della legge regionale della Campania n. 4 del 2006 ha abrogato, nel primo comma dell’art. 7 della legge n. 24 del 2005, proprio le parole «e alla vigilanza». L'intervenuta modificazione della disposizione oggetto di censura deve ritenersi satisfattiva delle pretese del ricorrente, mentre non risulta che essa, nella sua originaria formulazione, abbia avuto applicazione medio tempore.

4. – La censura relativa all’art. 4, comma 3, della legge regionale n. 24 del 2005 è fondata.

Questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare che l’art. 123 della Costituzione, quale modificato ad opera della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), e della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), prevede l’esistenza nell’ordinamento regionale ordinario di alcune vere e proprie riserve normative a favore della fonte statutaria rispetto alle competenze del legislatore regionale (si vedano le sentenze n. 196 del 2003, n. 2 e n. 372 del 2004), il quale quindi è vincolato dalle scelte operate mediante questa speciale fonte normativa.

Fra i contenuti necessari dello statuto regionale, l’attuale art. 123 Cost. indica anzitutto «la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento», mentre il previgente art. 123 Cost. si riferiva più genericamente «all’organizzazione interna della Regione».

Nella Regione Campania risulta tuttora vigente lo statuto approvato con legge 22 maggio 1971, n. 348 (Approvazione, ai sensi dell’art. 123, comma secondo della Costituzione, dello Statuto della Regione Campania), a causa del mancato esercizio del potere di revisione, complessiva o anche parziale, successivamente alla legge costituzionale n. 1 del 1999. Tale statuto risulta caratterizzato dall’attribuzione esclusiva al Consiglio regionale del potere di determinazione dell’«indirizzo politico programmatico» e dal controllo sulla sua attuazione, mentre alla Giunta si attribuiscono i compiti di «attuare le direttive politiche e programmatiche decise dal Consiglio» e di «compiere tutti gli atti e adottare tutti i provvedimenti amministrativi, nelle materie attribuite o delegate alla regione, che non siano di competenza del Consiglio, nel quadro delle direttive politiche e programmatiche decise dal Consiglio» (artt. 20 e 31). A fronte di tale assetto, la norma impugnata – al di là di ogni possibile valutazione di merito, che potrebbe anche essere favorevole, ma che non spetta a questa Corte esprimere – benché affermi il necessario rispetto del potere consiliare di determinazione «dell’indirizzo politico-programmatico», attribuisce in realtà a tutta una serie di organi regionali (al Presidente della Regione, alla Giunta, ai singoli Assessori, all’Ufficio di Presidenza del Consiglio) alcune funzioni del tutto estranee alla configurazione statutaria, come le funzioni di indirizzo politico amministrativo e di definizione degli obiettivi, nonché di controllo (tutto ciò va, evidentemente, letto in relazione alla contestuale attribuzione alla dirigenza amministrativa – operata dallo stesso art. 4 impugnato – di «autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo»).

Non può essere condivisa la tesi, sostenuta dalla difesa della resistente, che la modifica dell’organizzazione interna della Regione (ed ora almeno in larga parte riconducibile alla “forma di governo” della Regione), sia stata operata automaticamente dalle profonde innovazioni costituzionali introdotte dalla legge costituzionale n. 1 del 1999: al contrario, proprio quest’ultima legge costituzionale – come ben noto – ha contestualmente riformato in modo incisivo l’art. 123 Cost., affidando alla fonte statutaria il compito di modificare ed integrare i precedenti statuti regionali anche adeguando l’organizzazione fondamentale della Regione alle modificazioni apportate all’assetto elettorale degli organi regionali di vertice ed al processo di accrescimento delle funzioni regionali, in parte già intervenuto ed in parte progettato, nonché anche alle trasformazioni nel frattempo intervenute nell’assetto della pubblica amministrazione, fra le quali certamente anche le notevoli innovazioni in tema di rapporto fra politica ed amministrazione. A fronte di tale situazione, le Regioni avrebbero dovuto sviluppare, attraverso apposite e complete disposizioni statutarie, le rilevanti innovazioni costituzionali ed istituzionali originate dalle nuove scelte operate a livello nazionale, in tal modo anche riducendo il rischio dell’assenza di normative adeguate alle novità comunque prodottesi, a tutela della necessaria trasparenza e legalità dell’azione regionale. D’altra parte, se originariamente la adozione degli statuti è stata necessitata entro brevi termini determinati dal legislatore statale (si veda l’art. 6 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 recante norme in tema di costituzione e funzionamento degli organi regionali, modificata dalla legge 23 dicembre 1970, n. 1084), l’adeguamento alle modifiche costituzionali e legislative intervenute non può essere rinviato sine die (come sembrerebbe implicito per quelle Regioni che in un periodo di oltre sette anni non hanno proceduto a modifiche statutarie né complessive, né parziali), a meno del manifestarsi di rischi particolarmente gravi sul piano della funzionalità e legalità sostanziale di molteplici attività delle Regioni ad autonomia ordinaria.

La stessa adozione da parte della Regione Campania della disposizione impugnata dimostra la necessità di sostanziali modificazioni per adeguarsi ai mutamenti intervenuti sul piano della rappresentatività politica degli organi regionali ed alle nuove configurazioni dei rapporti fra le classi politiche e l’alta dirigenza.

Tuttavia, le scelte fondamentali in ordine al riparto delle funzioni tra gli organi regionali, ed in particolare tra il Consiglio e la Giunta, alla loro organizzazione e al loro funzionamento sono riservate dall’art. 123 Cost. alla fonte statutaria. Tale riserva impedisce al legislatore regionale ordinario, in assenza di disposizioni statutarie, di disciplinare la materia.

La necessità di garantire lo spazio riservato in via esclusiva alla fonte statutaria può essere, del resto, apprezzata considerando lo stesso principio che il legislatore regionale avrebbe voluto affermare: la censurata disposizione non fa che riprodurre il principio della distinzione fra politica e amministrazione, ribadito da ultimo, dopo precedenti enunciazioni a livello legislativo, dall’art. 4 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ma la sua inclusione nel “contenuto necessario” dello statuto equivale ad una sua duratura affermazione nell’ordinamento regionale.

Del resto, quasi tutti gli statuti adottati dopo la riforma dell’art. 123 Cost. hanno consacrato, tra i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento, proprio il principio della distinzione fra politica e amministrazione e questa Corte ha già avuto modo di riconoscere come la materia dell’organizzazione amministrativa della Regione sia attribuita alla competenza residuale delle Regioni, da esercitare, peraltro nel rispetto dei «princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento» fissati negli statuti (sentenza n. 233 del 2006).

L’art. 4, comma 3, della legge della Regione Campania, intervenendo a disciplinare il riparto di funzioni tra Giunta, Presidente e singoli assessori da un lato, e Consiglio dall’altro, in assenza del previo adeguamento dello statuto alle modifiche introdotte dalla legge cost. n. 1 del 1999, ha pertanto violato la riserva statutaria posta dall’art. 123 Cost. Deve, pertanto, esserne dichiarata l’illegittimità costituzionale.

4. – La censura relativa all’art. 7, comma 2, della legge regionale n. 24 del 2005 è fondata.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare nella sentenza n. 422 del 2006, in riferimento ad una disposizione legislativa di un’altra Regione, ma del tutto analoga, che la previsione di un sistema regionale di controllo sull’attività di ricerca degli IRCCS  disciplinata dall’art. 8 del d.lgs. n. 288 del 2003, produce «un’indubbia interferenza sull’attività di vigilanza che la normativa statale affida al Ministero della salute, senza alcuna ragione giustificativa», dal momento che incide sulla verifica della rispondenza delle attività di ricerca degli IRCCS al programma nazionale di ricerca sanitaria predisposto dal Ministero, mentre non vi è dubbio che spetti allo Stato la determinazione dei programmi della ricerca scientifica a livello nazionale ed internazionale (art. 12-bis del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421»; si veda anche la sentenza n. 270 del 2005, al punto 10 del “considerato in diritto”).

Se quindi non vi è dubbio che una disciplina come quella censurata è illegittima, poiché impedisce allo Stato di vigilare sul conseguimento degli obiettivi del programma nazionale, ciò, tuttavia, non esclude che la Regione possa comunque svolgere autonomamente una propria attività di monitoraggio sui «singoli progetti dei quali ogni regione abbia assunto, specificamente, la responsabilità della realizzazione» (sentenza n. 422 del 2006).

5. – Le censure relative all’art. 7, commi 3 e 4, della legge regionale n. 24 del 2005 non sono fondate.

L’Avvocatura individua il profilo di illegittimità del comma 3 dell’art. 7 nel fatto che esso, nel disciplinare la nomina dei componenti del consiglio di indirizzo e verifica degli IRCCS, non prevede «alcuna designazione ministeriale». Del pari, l’illegittimità del comma 4 è ravvisata nel fatto che la norma non contempla «alcuna componente ministeriale» tra i membri del collegio sindacale.

Questa Corte, con la sentenza n. 270 del 2005 pur non negando la legittimità di alcuni profili organizzativi uniformi nell’ordinamento degli IRCCS e, soprattutto, di alcuni significativi poteri statali, specie là dove viene in rilievo l’attività di ricerca scientifica, ha concluso, sul piano della composizione dei loro organi, che il nuovo Titolo V della Costituzione «non legittima ulteriormente una presenza obbligatoria per legge di rappresentanti ministeriali in ordinari organi di gestione di enti pubblici che non appartengono più all’area degli enti statali, né consente di giustificare in alcun modo, in particolare sotto il profilo del rispetto della competenza a dettare i principi fondamentali, che il legislatore statale determini quali siano le istituzioni pubbliche che possano designare le maggioranze del consiglio di amministrazione delle fondazioni» (si veda il punto 11 del “considerato in diritto”).

Su questa base è stata, tra l’altro, dichiarata la illegittimità costituzionale della lettera p) del comma 1 dell’art. 42 della legge n. 3 del 2003, nella parte in cui riservava al Ministro della salute la designazione di taluni membri dell’organo di indirizzo degli IRCCS non trasformati, nonché dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003, nella parte in cui prevedeva la designazione ministeriale di taluni componenti del collegio sindacale degli IRCCS trasformati in fondazioni.

Il ricorrente, al fine di giustificare la asserita lesione del terzo comma dell’art. 117 Cost. e del principio di leale collaborazione, denuncia la violazione, da parte dei commi 3 e 4 dell’art. 7, di quanto è previsto in due disposizioni dell’Atto di intesa del 1° luglio 2004. In particolare deduce il contrasto con l’art. 2, il quale ha riprodotto  l’art. 42, comma 1, lettera p), della legge n. 3 del 2003 relativamente alla composizione dell’organo di indirizzo degli IRCCS non trasformati, nonché con l’art. 4 dell’Intesa il quale rinvia all’art. 4 del d.lgs. n. 288 del 2003 per la composizione del collegio sindacale.

Peraltro questa Intesa, stipulata prima della sentenza n. 270 del 2005, anzitutto assume espressamente a proprio fondamento due disposizioni di legge che sono state profondamente modificate da quest’ultima sentenza: l’art. 42, comma 1, lettera p), della legge n. 3 del 2003 è stata dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo; l’art. 5 del d.lgs. n. 288 del 2003 sembrerebbe prevedere l’intesa come un nuovo tipo di fonte normativa, allorché invece la sentenza n. 270 del 2005, al punto 19 del “considerato in diritto”, la ha qualificata non come «una vera e propria fonte normativa», ma solo come una modalità consensuale di determinazione delle caratteristiche comuni di questi istituti in ambiti non predeterminati da disposizioni legislative.

Inoltre l’art. 42, primo comma, lettera p), della legge delega n. 3 del 2003 è stato dichiarato incostituzionale proprio nella parte in cui contempla membri di designazione ministeriale (sentenza n. 270 del 2005) e anche l’art. 4 del d.lgs. n. 288 del 2003 è stato dichiarato incostituzionale per le stesse ragioni.

Essendo pertanto venute meno alcune delle fondamentali premesse dell’Intesa a seguito di dichiarazioni di illegittimità costituzionale ed essendo state dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni legislative riprodotte nell’art. 2, comma 1, e nell’art. 4 dell’Atto di intesa ed assunte a parametro nel ricorso, appare evidente la mancanza di fondamento delle censure.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge della Regione Campania 29 dicembre 2005, n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria 2006);

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della legge della Regione Campania n. 24 del 2005;

            dichiara estinto, per intervenuta rinuncia accettata dalla controparte, il giudizio concernente l’art. 23 della legge della Regione Campania n. 24 del 2005, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, della legge della Regione Campania n. 24 del 2005 promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e al principio di leale collaborazione desumibile dal combinato disposto degli artt. 117, 118, primo comma, e 120 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 3 e 4, della legge della Regione Campania n. 24 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. e al principio di leale collaborazione desumibile dal combinato disposto degli artt. 117, 118, primo comma, e 120 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2007.