SENTENZA N. 372
ANNO 2004
Commenti alla decisione di
I. Antonio Ruggeri, Gli
statuti regionali alla Consulta e la vittoria di Pirro (per gentile
concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
II. Maurizio Pedetta, La
Corte Costituzionale salva gli enunciati degli Statuti regionali sulla tutela
delle "forme di convivenza” mettendoli nel limbo (per gentile
concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
III. Paolo Caretti, La
disciplina dei diritti fondamentali è materia riservata alla Costituzione
(per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
IV. Giorgio Pastori, Luci
e ombre dalla giurisprudenza costituzionale in tema di norme
programmatiche degli statuti regionali (per gentile
concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
V. Adele Anzon, L’"inefficacia giuridica” di norme "programmatiche” (per
gentile concessione della Rivista telematica Costituzionalismo.it)
VI. Andrea Cardone, Brevi
considerazioni su alcuni profili processuali della recente giurisprudenza
"statutaria” della Corte costituzionale (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
VII. Renzo
Dickmann, Le sentenze della Corte sull'inefficacia
giuridica delle disposizioni ''programmatiche'' degli Statuti ordinari (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
VIII. Sergio Bartole, Norme
programmatiche e Statuti regionali (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
IX. Marco
Cammelli, Norme
programmatiche e statuti regionali: questione chiusa e problema aperto (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
X. Roberto Bin, Perché
le Regioni dovrebbero essere contente di questa decisione (per gentile
concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
XI. Franco Pizzetti, Il
gioco non valeva la candela: il prezzo pagato è troppo alto (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
XII. Giandomenico
Falcon, Alcune questioni a valle delle decisioni della
Corte (per gentile
concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
XIII. Giovanni Tarli
Barbieri, Le
fonti del diritto regionale nella giurisprudenza costituzionale sugli statuti
regionali (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
XIV. Giulio Enea Vigevani, Autonomia
statutaria, voto consiliare sul programma e forma di governo "standard” (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
XV. Alberto Maria Benedetti, Ordinamento
civile e sindacato
di legittimità costituzionale: è possibile una sentenza interpretativa di
rigetto? (per gentile concessione della Rivista
telematica federalismi.it)
XVI. Gianguido D’Alberto, La Corte dà il via libera allo Statuto della
Regione Toscana, (per gentile
concessione del sito dell’AIC – Associazione
Italiana dei Costituzionalisti)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero
Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni
Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1,
lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e 3; 63, comma 2; 64,
comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana,
approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione,
il 19 luglio 2004, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del
26 luglio 2004, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,
notificato il 9 agosto 2004, depositato in Cancelleria il 12 successivo ed
iscritto al n. 83 del registro ricorsi 2004.
Visto
l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2004 il Giudice relatore Piero
Alberto Capotosti;
uditi l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei
ministri e l’avv. Stefano Grassi per la Regione Toscana.
Ritenuto in fatto
1. — Il
Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 9 agosto 2004,
depositato il successivo 12 agosto 2004, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1, lettere h), l), m), n),
o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1;
75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima
deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004,
pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 26 luglio 2004, in
riferimento agli articoli 2, 3, 5, 24, 29, 48, 97, 113, 114, 117, secondo
comma, lettere e), f), i), l), p), s), terzo, quinto e sesto comma, 118, 121,
122, 123, 138 della Costituzione.
1.1. —
L’art. 3, comma 6, dello statuto impugnato stabilisce che «la Regione promuove,
nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli
immigrati».
Questa
norma, secondo il ricorrente, si porrebbe in contrasto con il principio
costituzionale che riserva ai cittadini l’elettorato attivo (art. 48 della
Costituzione) e non sarebbe finalisticamente rispettosa delle attribuzioni
costituzionali dello Stato, in quanto il potere di revisione costituzionale è
riservato al Parlamento nazionale (art. 138 della Costituzione). Inoltre,
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere f) e p), della Costituzione, in
virtù del quale spetta allo Stato la competenza legislativa esclusiva nella
materia elettorale concernente gli organi statali e degli enti locali, nonché
l’art. 121, secondo comma, della Costituzione, poiché limiterebbe il potere di
iniziativa legislativa del Consiglio regionale.
1.2. —
L’art. 4, comma 1, lettera h), dello statuto in esame dispone che la Regione
persegue, tra le finalità prioritarie, «il riconoscimento delle altre forme di
convivenza» con previsione che, ad avviso della difesa erariale, potrebbe
costituire la base statutaria di future norme regionali recanti una disciplina
dei rapporti tra conviventi lesiva della competenza legislativa esclusiva dello
Stato in materia di "cittadinanza, stato civile e anagrafi” e di "ordinamento
civile” (art. 117, secondo comma, lettere i) e l), Cost.)
La norma
violerebbe, inoltre, l’art. 123 della Costituzione, ed il limite della «armonia
con la Costituzione», qualora con essa si «intenda affermare qualcosa di
diverso dal semplice rilievo sociale e dalla conseguente giuridica dignità»
della convivenza tra uomo e donna fuori del vincolo matrimoniale, ovvero si
«intenda affermare siffatti valori con riguardo ad unioni libere e relazioni
tra soggetti del medesimo sesso», in contrasto con i principi costituzionali,
in relazione a situazioni divergenti dal modello del rapporto coniugale,
estranee al contenuto delle garanzie fissate dall’art. 29 della Costituzione,
non riconducibili alla sfera di protezione dell’art. 2 della Costituzione.
La norma si
porrebbe in contrasto anche con l’art. 123 della Costituzione, in quanto
avrebbe un contenuto estraneo ed eccedente rispetto a quello configurabile
quale "contenuto necessario” dello statuto, non esprimerebbe un interesse
proprio della comunità regionale e neppure avrebbe contenuto meramente
programmatorio, violando altresì il principio fondamentale di unità (art. 5 della
Costituzione) e realizzando una ingiustificata disparità di trattamento, in
contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
1.3. —
L’art. 4, comma 1, lettere l) e m), dello statuto in esame stabilisce che la
Regione persegue, tra le finalità prioritarie, «il rispetto dell’equilibrio
ecologico, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione
della biodiversità, la promozione della cultura del rispetto degli animali»
(lettera l), nonché «la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico,
artistico e paesaggistico» (lettera m).
Secondo il
ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in
materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, in
quanto prevede la tutela dell’ambiente e la tutela dei beni culturali.
La lettera
m) recherebbe vulnus anche all’art. 118, comma terzo, della Costituzione, che
riserva alla legge statale la disciplina di forme di intesa e di coordinamento
nella materia della tutela dei beni culturali.
1.4. —
L’art. 4, comma 1, lettere n), o) e p), dello statuto della Regione Toscana
stabilisce quali finalità prioritarie: «la promozione dello sviluppo economico
e di un contesto favorevole alla competitività delle imprese, basato
sull’innovazione, la ricerca e la formazione, nel rispetto dei principi di
coesione sociale e di sostenibilità dell’ambiente» (lettera n); «la
valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica e privata, del
ruolo e della responsabilità sociale delle imprese» (lettera o); «la promozione
della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo
sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei» (lettera p).
Ad avviso
dell’Avvocatura generale dello Stato, queste norme avrebbero lo scopo di
offrire una base statutaria a future leggi regionali in contrasto con la
competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della «tutela della
concorrenza» (art.117, secondo comma, lettera e), della Costituzione) e lesive,
in riferimento al settore della cooperazione, «inteso come disciplina delle
diverse forme e tipologie» di quest’ultima, della competenza legislativa
esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile» (art.117, secondo
comma, lettera l), della Costituzione).
1.5. —
L’art. 32, comma 2, dello statuto in esame, disponendo che «il programma di
governo è approvato entro dieci giorni dalla sua illustrazione», secondo la
difesa erariale, non sarebbe coerente con l’elezione diretta del Presidente
della Giunta regionale, poiché l’approvazione consiliare del programma di
governo -predisposto ed attuato dal Presidente ai sensi dell’art. 34 dello
statuto- instaurerebbe, irragionevolmente e contraddittoriamente, tra
Presidente e Consiglio regionale, un rapporto diverso rispetto a quello
conseguente all’elezione a suffragio universale e diretto del vertice
dell’esecutivo prevista dal comma quinto dell’art. 122 della Costituzione.
1.6. — Il
ricorrente censura l’art. 54, commi 1 e 3, dello statuto della Regione Toscana
nelle parti in cui dispone che «tutti hanno diritto di accedere senza obbligo
di motivazione ai documenti amministrativi» (comma 1) ed esclude l’obbligo
della motivazione per gli atti amministrativi «meramente esecutivi», in quanto
queste norme si porrebbero in contrasto: con i principi costituzionali di
efficienza e trasparenza (art. 97 della Costituzione), permettendo un controllo
non filtrato dell’attività dell’amministrazione, non giustificato dall’esigenza
di protezione di interessi giuridicamente rilevanti; con il principio di
effettività della tutela contro gli atti dell’amministrazione, poiché
ostacolerebbero la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi da parte dei controinteressati, in violazione degli artt. 24 e 113
della Costituzione; con l’art. 3 della Costituzione, poiché dalla differenza di
disciplina nelle diverse regioni deriverebbe una tutela non omogenea delle
situazioni giuridiche soggettive.
1.7. —
L’art. 63, comma 2, dello statuto in oggetto stabilisce che «la legge, nei casi
in cui risultino specifiche esigenze unitarie, può disciplinare
l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni conferite per assicurare
requisiti essenziali porrebbero in contrasto: con i principi costituzionali di
efficienza e trasparenza (art. 97 della Costituzione), permettendo un controllo
non filtrato dell’attività dell’amministrazione, non giustificato dall’esigenza
di protezione di interessi giuridicamente rilevanti; con il principio di
effettività della tutela contro gli atti dell’amministrazione, poiché
ostacolerebbero la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi da parte dei controinteressati, in violazione degli artt. 24 e 113
della Costituzione; con l’art. 3 della Costituzione, poiché dalla differenza di
disciplina nelle diverse regioni deriverebbe una tutela non omogenea delle
situazioni giuridiche soggettive.
1.7. —
L’art. 63, comma 2, dello statuto in oggetto stabilisce che «la legge, nei casi
in cui risultino specifiche esigenze unitarie, può disciplinare
l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni conferite per assicurare
requisiti essenziali di uniformità».
Secondo la
difesa erariale, la norma vulnera sia l’art. 117, sesto comma, della Costituzione,
che riserva alla potestà regolamentare degli enti locali la disciplina
dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni amministrative ad essi
attribuite, sia l’art. 118 della Costituzione, in quanto eventuali esigenze di
esercizio unitario delle funzioni, in virtù del principio di sussidiarietà,
giustificherebbero esclusivamente il mantenimento di determinate funzioni
legislative al livello di governo regionale, non già l’attribuzione delle
predette all’ente locale e la contestuale espropriazione di quest’ultimo dei
poteri allo stesso spettanti per regolamentarne l’organizzazione ed il
funzionamento. Inoltre, la disposizione violerebbe l’art. 114 della
Costituzione ed il principio di leale collaborazione nell’esercizio di compiti
amministrativi che interessano più enti fra quelli considerati, in modo equiordinato, nella norma costituzionale.
1.8. —
L’art. 64, comma 2, dello statuto della Regione Toscana, disponendo che «la
legge disciplina, limitatamente ai profili coperti da riserva di legge, i
tributi propri degli enti locali, salva la potestà degli enti di istituirli»,
ad avviso del ricorrente, sottenderebbe margini di autonomia regionale più ampi
di quelli stabiliti dall’art. 119 della Costituzione, i cui limiti non sono
stati richiamati, prefigurando, «direttamente ed immediatamente», relativamente
alla disciplina dei tributi degli enti locali, «un determinato rapporto tra
fonti normative (legge regionale, per la parte coperta da riserva di legge, e
normativa locale, per quanto concerne l’istituzione e gli altri aspetti non
coperti da riserva di legge) che è invece solo uno di quelli possibili,
costituzionalmente rimessi alle valutazioni ed alle scelte del legislatore
nazionale nel momento in cui darà attuazione all’art. 119 Cost.».
1.9. — L’art.
70, comma 1, dello statuto in esame stabilisce che «gli organi di governo e il
consiglio partecipano, nei modi previsti dalla legge, alle decisioni dirette
alla formazione e attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza
regionale».
La difesa
erariale sostiene che la norma violerebbe l’art. 117, quinto comma, della
Costituzione, in virtù del quale la partecipazione delle Regioni alla
formazione ed attuazione degli atti comunitari deve avvenire secondo le norme
stabilite dalla legge statale.
1.10. —
L’art. 75, comma 1, dello statuto della Regione Toscana disciplina il
referendum abrogativo, disponendo, al comma 4, che «la proposta di abrogazione
soggetta a referendum è approvata se partecipa alla votazione la maggioranza
dei votanti alle ultime elezioni regionali e se ottiene la maggioranza dei voti
validamente espressi».
La norma,
in questa parte, secondo il ricorrente, violerebbe il principio di
ragionevolezza, in quanto la disciplina del principale strumento di democrazia
diretta e la valutazione del suo esito non risulterebbero connessi alla
consistenza effettiva del corpo elettorale, in base ad un corretto principio di
democrazia partecipativa correlato a quello del suffragio universale, bensì ad
un dato casuale e contingente, privo di significatività. Inoltre, non
ragionevolmente la disposizione non terrebbe conto della differente natura
della consultazione referendaria rispetto alle elezioni regionali e del diverso
interesse che le due consultazioni popolari rivestono per il cittadino sia in
relazione al loro diverso oggetto (scelta dei rappresentanti negli organi
legislativi ovvero diretta decisione politica su problemi e discipline
specifiche), sia in relazione alle diverse modalità di espressione e di computo
del voto nell’una e nell’altra consultazione.
Queste
considerazioni, ad avviso della difesa erariale, sarebbero confortate dalla constatazione che la
linea di tendenza più recente dimostra che vi è un progressivo aumento
dell’astensionismo elettorale, il quale «potrebbe portare, sulla base della
censurata regola, all’inaccettabile ed antidemocratica conseguenza
dell’abrogazione di un atto normativo in base al voto di un’esigua minoranza
del corpo elettorale».
Infine, la
norma si porrebbe in contrasto con un principio costituzionale fondamentale,
qualificante la forma stessa dello Stato democratico, che imporrebbe di
correlare la validità della consultazione referendaria alla partecipazione ad
essa della maggioranza degli aventi diritto di cui all’art. 75 della
Costituzione.
2 — La
Regione Toscana, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale,
si è costituita nel giudizio, chiedendo che la Corte dichiari il ricorso
inammissibile e comunque infondato.
2.1. — La
resistente, in linea generale, premette che la piena armonia delle disposizioni
censurate con le norme costituzionali sarebbe comprovata sia dal richiamo,
implicito o esplicito, che esse contengono ai principi costituzionali, indicati
quali criteri per individuare la loro portata, sia dalle norme di principio pure
contenute nello statuto, non considerate dal Governo e che invece
costituirebbero il parametro ermeneutico da utilizzare per la loro corretta
interpretazione. Siffatte norme dimostrerebbero, quindi, che lo statuto è
conforme alla Costituzione ed ai principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale, «nel quale si riconoscono le vocazioni e le tradizioni della
comunità regionale, con il proprio tessuto civico e sociale, con la capacità di
accoglienza e la vitalità solidale che accompagna lo sviluppo delle attività
intellettuali e scientifiche». Particolare importanza per la corretta
interpretazione delle norme censurate avrebbe, inoltre, la risoluzione
approvata dal Consiglio regionale nella stessa seduta in cui, per la seconda
volta, è stato approvato lo statuto, in quanto essa ha chiarito la piena
coerenza di dette norme con i principi ed i valori della Costituzione ed ha
offerto una risposta ufficiale alle obiezioni informalmente sollevate dal
Governo (risoluzione n. 51 del 19 luglio 2004).
2.2. — Relativamente
alle prime quattro questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei
ministri, aventi ad oggetto norme che stabiliscono principi programmatici e
finalità prioritarie, la Regione sostiene che le stesse non implicherebbero una
rivendicazione di competenze.
Peraltro
già gli statuti delle regioni di diritto comune adottati all’inizio degli anni
settanta contenevano norme recanti la fissazione di obiettivi e principi in
base ai quali le istituzioni e gli organi regionali concorrevano alla realizzazione
dei diritti costituzionali, positivamente scrutinate dalla Corte, in quanto
giudicate espressive della «presenza politica» della Regione in rapporto allo
Stato ed anche alle altre Regioni, riguardo a tutte le questioni di interesse
della comunità regionale, anche in settori estranei alle materie di propria
competenza ed al di là del proprio territorio (sentenze n. 829 e n. 921 del 1988;
sentenza n. 171
del 1999).
Inoltre,
sostiene la resistente, la Corte ha anche già riconosciuta la legittimità costituzionale
di norme analoghe a quelle in esame, recate da uno statuto regionale approvato
ai sensi del nuovo art. 123 della Costituzione (sentenza n. 2 del
2004). A suo avviso, le norme oggetto delle prime quattro questioni di
legittimità costituzionale sono appunto qualificabili come meramente
«programmatiche», sicché le censure in esame sarebbero infondate e comunque
inammissibili nella parte in cui prospettano la lesione di competenze
legislative dello Stato che le norme impugnate, per la loro natura e per i loro
contenuti, non potrebbero vulnerare.
2.3. — La
Regione contesta la fondatezza delle censure concernenti l’art. 3, comma 6,
dello statuto, sostenendo che la norma non violerebbe la riserva ai cittadini
dell’elettorato attivo, poiché prevede soltanto la promozione dell’estensione
del diritto di voto agli immigrati «nel rispetto dei principi costituzionali»,
quindi in relazione a deliberazioni o ad elezioni non necessariamente riferibili
alle elezioni degli organismi rappresentativi. D’altronde, lo stesso
legislatore statale ha riconosciuto il diritto dello straniero, regolarmente
soggiornante in Italia da almeno sei anni e titolare di permesso di soggiorno
rinnovabile, di «partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche
l’elettorato quando previsto dall’ordinamento ed in armonia con le previsioni
del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita
pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992» (art.9, comma
4, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante "Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero”). La Carta di Strasburgo, ratificata e
recepita con la legge statale 8 marzo 1994, n. 203 (Ratifica ed esecuzione
della convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a
livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, limitatamente ai
capitoli A) e B), prevede infatti l’impegno degli Stati aderenti a «concedere
il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali ad ogni residente
straniero, a condizione che questi soddisfi alle stesse condizioni di quelle
prescritte per i cittadini ed inoltre che abbia risieduto legalmente ed
abitualmente nello Stato in questione nei cinque anni precedenti le elezioni»
(art. 6, capitolo C, Carta di Strasburgo).
Secondo la
resistente, la norma in questione non implicherebbe peraltro alcuna
rivendicazione di competenza in detta materia, e neppure vincolerebbe in alcun
modo l’autonomia del Consiglio regionale nel proporre disegni di legge al
Parlamento.
2.4. — Le
censure concernenti l’art. 4, comma 1, lettera h), dello statuto, ad avviso del
Presidente della Giunta regionale, sarebbero inammissibili, in quanto frutto di
una interpretazione in contrasto con la sua lettera e con la sua ratio e
peraltro smentita dalla risoluzione consiliare del 19 luglio 2004. La
contestata genericità della formulazione della disposizione sarebbe, infatti,
giustificata dall’esigenza di rispettare i principi costituzionali, evitando
qualsiasi equiparazione alla famiglia fondata sul matrimonio di convivenze
prive della copertura costituzionale attribuita alla famiglia legittima, sicché
la norma permetterebbe esclusivamente la tutela di quelle forme stabili di
convivenza per le quali le leggi statali (ad esempio gli artt. 4 e 5 del d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, recante Approvazione del
nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, ovvero l’art. 2 del
decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130, recante "Disposizioni correttive ed
integrative del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 109 in
materia di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei
soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate”) e regionali prevedono
il riconoscimento della fruizione dei diritti sociali, sempre che le norme
sull’ordinamento costituzionale e quelle sull’ordinamento civile lo consentano.
Inoltre,
secondo la Regione Toscana, il riconoscimento di altre forme di convivenza si
collegherebbe con il riconoscimento della persona umana e della sua capacità di
effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese (artt. 2 e 3 della Costituzione).
2.5. — Ad
avviso della resistente, l’art. 4, comma 1, lettere l) e m), dello statuto,
individuando quali finalità prioritarie da perseguire quelle della «tutela
dell’ambiente e del patrimonio naturale», nonché della «tutela e valorizzazione
del patrimonio storico, artistico e paesaggistico», non farebbe altro che
indicare un compito prioritario della Regione, nell’ambito delle competenze
legislative ed amministrative attribuite alla Regione, senza rivendicare
competenze legislative e regolamentari dello Stato. Le finalità fissate dalla
lettera l) riguarderebbero materie trasversali rispetto a numerose competenze
regionali e comunque –relativamente alla tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, di competenza del legislatore statale– presupporrebbero la
collaborazione e la cooperazione di tutti i livelli di governo per il
raggiungimento di risultati che definiscono lo spirito ed i valori fondamentali
del nostro ordinamento.
Per
analoghe considerazioni, secondo la Regione Toscana, sarebbero infondate le
censure concernenti la lettera m), poiché la tutela del patrimonio storico ed artistico,
spettante alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, deve essere «
attuata anche e soprattutto con la piena collaborazione delle Regioni».
2.6. — Le finalità
indicate nell’art. 4, comma 1, lettere n), o) e p), dello statuto non
porrebbero in discussione la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella
materia della tutela della concorrenza, ma, ad avviso del Presidente della
Giunta regionale, riguarderebbero settori di competenza regionale quali la
promozione delle attività economiche locali legate alle materie di competenza
regionale concorrente e residuale di cui all’art. 117, commi terzo e quarto,
della Costituzione.
L’obiettivo
della promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di
sviluppo sociale sarebbe, inoltre, coerente con i principi relativi ai rapporti
economici fissati dall’art. 45 della Costituzione, e non violerebbe la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile,
in quanto le leggi regionali possono perseguire le finalità indicate dalla
norma statutaria nell’osservanza della disciplina civilistica e di quella
comunque regolante le società cooperative contenuta nelle leggi dello Stato.
2.7. —
L’impugnazione dell’art. 32, comma 2, dello statuto, secondo la Regione
Toscana, sarebbe infondata, poiché l’assenza di conseguenze giuridiche nel caso
di mancata approvazione del programma di governo da parte del Consiglio
regionale sarebbe coerente con la forma di governo scelta dallo statuto,
caratterizzata dall’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale.
L’approvazione
del programma di governo da parte del Consiglio regionale non inciderebbe,
infatti, sulla posizione e sul ruolo del Presidente, il quale potrebbe comunque
nominare i membri della Giunta anche in mancanza dell’approvazione nel termine
di dieci giorni del programma, mentre la Giunta regionale potrebbe essere
obbligata alle dimissioni solo nel caso di approvazione della mozione di
sfiducia prevista dall’art. 33, comma 3.
2.8. — Ad
avviso della resistente, l’impugnazione dell’art. 54, commi 1 e 3, dello
statuto sarebbe inammissibile in quanto con essa sono state censurate due
distinte disposizioni, senza individuare con chiarezza le questioni a ciascuna
riferibili. Nel merito, le censure sarebbero comunque infondate, in quanto il
diritto di accesso ai documenti amministrativi senza motivazione costituirebbe
un principio rispettoso delle norme costituzionali che impongono l’imparzialità
e la trasparenza della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 della
Costituzione), per alcuni casi già anche stabilito dal legislatore statale
(art. 3 del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 39, recante "Attuazione
della direttiva 20/313/CEE, concernente la libertà di accesso alle informazioni
in materia di ambiente”), e sarebbe altresì coerente con i principi del diritto
comunitario, nel cui ambito il diritto di accesso ai documenti è riconosciuto a
tutti senza l’obbligo di dimostrare un interesse giuridicamente rilevante da
tutelare.
Peraltro,
la norma censurata prevedendo il diritto di accesso senza obbligo di
motivazione, «nel rispetto degli interessi costituzionalmente tutelati e nei
modi previsti dalla legge», permetterebbe alla legge regionale di disciplinare
il diritto di accesso in maniera da assicurare l’osservanza dei principi che si
assumono violati ed il rispetto dei diritti e degli interessi legittimi di
eventuali controinteressati, senza ledere la tutela giurisdizionale di questi
ultimi. Infine, la norma riguarderebbe i principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento della Regione e, perciò, avrebbe ad oggetto una
materia riservata allo statuto ai sensi dell’art. 123, primo comma, della
Costituzione.
2.9. — Secondo la Regione Toscana, le censure
concernenti l’art. 63, comma 2, dello statuto sarebbero infondate, in quanto l’art. 117, sesto comma,
della Costituzione, non recherebbe una riserva assoluta di potestà regolamentare
in favore degli enti locali, dal momento che siffatta potestà deve essere
esercitata nell’ambito delle leggi statali e regionali che ne assicurano i
requisiti minimi di uniformità, conformemente a quanto previsto dalle norme
costituzionali, come stabilito dall’art. 4, comma 4, della legge 5 giugno 2003,
n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla
legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), nel rispetto
dell’esigenza di una razionale applicazione del criterio flessibile della
sussidiarietà enunciato dall’art. 118, primo comma, della Costituzione (sentenza n. 43 del
2004; sentenze n. 69 e n. 73 del 2004).
2.10. —
L’art. 64, comma 2, dello statuto, ad avviso del Presidente della Giunta
regionale, non prefigurerebbe una disciplina dei tributi degli enti locali su
due livelli che, di per sé, sia tale da escludere l’adozione di altre possibili
impostazioni da parte della legislazione di coordinamento che il Parlamento
dovrà approvare, ai sensi dell’art. 119, secondo comma, della Costituzione. La
norma, con riferimento all’ipotesi di disciplina "a due livelli”, ammessa espressamente
dalla Corte (sentenza
n. 37 del 2004), prevederebbe esclusivamente il
rispetto del principio di salvaguardia dell’autonomia degli enti locali,
stabilendo che la legge regionale dovrà fare salva la potestà degli stessi enti
locali di istituire i tributi ed intervenire soltanto nell’ambito delle materie
oggetto di riserva di legge, con conseguente infondatezza dell’impugnazione
della succitata norma.
2.11. —
Secondo la Regione Toscana, l’art. 70, comma 1, dello statuto si limiterebbe a
stabilire un principio di riserva di legge regionale in relazione alle
procedure interne concernenti la disciplina della modalità di formazione della
volontà degli organi regionali in ordine alla partecipazione alla formazione
degli atti comunitari, nel rispetto delle norme di procedura dettate dallo
Stato in conformità con l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, ed in
coerenza con l’art. 5 della legge n. 131 del 2003. Pertanto, la norma impugnata
non violerebbe né la lettera né lo spirito dei parametri costituzionali
indicati dal ricorrente.
2.12. — Ad
avviso della resistente, sarebbero infondate anche le censure concernenti
l’art. 75 dello statuto, poiché l’individuazione di un quorum di partecipazione
al referendum abrogativo riferito alle votazioni delle ultime elezioni
regionali non sarebbe né irragionevole, né incoerente. Il referendum abrogativo
costituisce, infatti, una forma di controllo del corpo elettorale sull’attività
dei consiglieri regionali e, quindi, non sarebbe illogico stabilire il quorum
di partecipazione facendo riferimento al corpo elettorale che ha eletto il
Consiglio regionale, i cui atti sono oggetto dei quesiti referendari. Peraltro,
per la partecipazione al referendum regionale neppure potrebbe ritenersi
necessario un quorum più elevato, tenuto conto che le norme costituzionali, in
riferimento a consultazioni su leggi di particolare importanza, quali le leggi
di revisione costituzionale e gli stessi statuti regionali, escludono la
necessità di un quorum minimo di partecipanti alla votazione (artt. 138,
secondo comma, e 123, comma terzo, della Costituzione).
La Regione
Toscana conclude, infine, sostenendo che dall’art. 75 della Costituzione, non è
ricavabile un principio costituzionale fondamentale, vincolante per lo statuto
regionale, in ordine al quorum di partecipazione al referendum abrogativo ivi
indicato, e ciò sia in quanto le ipotesi di referendum sarebbero diverse e non
equiparabili, sia in quanto l’art. 123, primo comma, della Costituzione,
porrebbe una espressa riserva di disciplina del referendum in favore della
fonte statutaria, mentre l’art. 117, comma quarto, della Costituzione,
attribuirebbe alla Regione la competenza residuale in materia di referendum
regionali.
3. —
L’Avvocatura generale dello Stato, in prossimità dell’udienza pubblica, ha
depositato memoria nella quale deduce l’ammissibilità dell’impugnazione, ex
art. 123 della Costituzione, avente ad oggetto norme programmatiche, qualora
queste prefigurino scopi incompatibili con lo spirito e con i principi
ricavabili dalla Costituzione, ovvero che richiedano l’esercizio di poteri che
costituzionalmente non possono spettare alla Regione. Inoltre, il ricorrente
ribadisce le censure concernenti le norme impugnate, insistendo nelle
argomentazioni svolte per sostenerne l’illegittimità in riferimento ai
parametri indicati nel ricorso.
4. — La
Regione Toscana, nella memoria difensiva depositata in prossimità dell’udienza
pubblica, ribadisce l’ammissibilità di norme statutarie di contenuto
programmatico, recanti indicazioni di obiettivi dell’azione regionale, esamina
nuovamente le censure concernenti le disposizioni impugnate, deducendone
l’infondatezza sulla scorta delle argomentazioni sviluppate nell’atto di costituzione.
5. —
All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle
conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. — Il
Governo ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 3,
comma 6; 4, comma 1, lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, commi 1 e
3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma
1; 75, comma 4, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima
deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004,
in riferimento agli articoli 2, 3, 5, 24, 29, 48, 97, 113, 114, 117, secondo
comma, lettere e), f), i), l), p), s), terzo, quinto e sesto comma, 118, 121,
122, 123, 138 della Costituzione.
L’art. 3,
comma 6, stabilisce che «la Regione promuove, nel rispetto dei principi
costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati» e, ad avviso
del ricorrente, violerebbe: l’art. 48 della Costituzione, che riserva ai
cittadini l’elettorato attivo; l’art. 138 della Costituzione, in quanto il
potere di revisione costituzionale è riservato al Parlamento nazionale; l’art.
117, secondo comma, lettere f) e p), della Costituzione, spettando allo Stato
la competenza legislativa esclusiva nella materia elettorale concernente gli
organi statali e gli enti locali, nonché l’art. 121, secondo comma, della
Costituzione, poiché limiterebbe il potere di iniziativa legislativa del
Consiglio regionale.
Secondo la
difesa erariale, l’art. 4, comma 1, lettera h), disponendo che la Regione
persegue, tra le finalità prioritarie, «il riconoscimento delle altre forme di
convivenza», potrebbe costituire la base statutaria di future norme regionali
recanti una disciplina dei rapporti fra conviventi lesiva della competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «cittadinanza, stato civile e
anagrafi» e di «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettere i) e l),
della Costituzione). La norma si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art.
123, primo comma, della Costituzione, sia perché avrebbe un contenuto estraneo
ed eccedente rispetto a quello configurabile come contenuto necessario dello
statuto, sia perché potrebbe esprimere «qualcosa di diverso dal semplice
rilievo sociale e dalla conseguente giuridica dignità», nei limiti previsti da
leggi dello Stato, della convivenza tra uomo e donna fuori del vincolo
matrimoniale, in riferimento a situazioni divergenti dal modello del rapporto
coniugale, estranee al contenuto delle garanzie fissate dall’art. 29
Costituzione, e non riconducibili alla sfera di protezione dell’art. 2 della
Costituzione. La disposizione violerebbe, infine, il principio fondamentale di
unità ed il principio di eguaglianza (artt. 3 e 5 della Costituzione), dato che
permetterebbe alla comunità regionale di riconoscersi in valori diversi e
contrastanti rispetto a quelli di altre comunità regionali.
L’art. 4,
comma 1, lettere l) e m), nello stabilire che la Regione persegue, tra le
finalità prioritarie, «il rispetto dell’equilibrio ecologico, la tutela
dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione della biodiversità,
la promozione della cultura del rispetto degli animali» (lettera l), nonché «la
tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico»
(lettera m), violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione,
che riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva nelle succitate
materie. La lettera m) recherebbe, inoltre, vulnus anche all’art. 118, comma
terzo, della Costituzione, essendo riservata alla legge statale la disciplina
di forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni
culturali.
L’art. 4,
comma 1, lettere n), o) e p), prevede quali finalità prioritarie della Regione
Toscana: «la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole
alla competitività delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e la
formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilità
dell’ambiente» (lettera n); «la valorizzazione della libertà di iniziativa
economica pubblica e privata, del ruolo e della responsabilità sociale delle
imprese» (lettera o); «la promozione della cooperazione come strumento di
democrazia economica e di sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i
mezzi più idonei» (lettera p). Queste norme, secondo il ricorrente, potrebbero
costituire la base statutaria di future leggi regionali in contrasto con la
competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia della «tutela della
concorrenza» (art.117, secondo comma, lettera e), della Costituzione) e lesive,
in riferimento al settore della cooperazione, della competenza legislativa
esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile» (art.117, secondo
comma, lettera l), della Costituzione).
L’art. 32,
comma 2, dispone che «il programma di governo è approvato entro dieci giorni dalla
sua illustrazione» e, perciò, ad avviso del Governo, in contrasto con gli artt.
122, quinto comma, e 3 della Costituzione, instaurerebbe «irragionevolmente e
contraddittoriamente» tra Presidente e Consiglio regionale un rapporto diverso
rispetto a quello conseguente all’elezione a suffragio universale e diretto.
L’art. 54,
commi 1 e 3, è impugnato nelle parti in cui disciplina il diritto di accesso
senza obbligo di motivazione ai documenti amministrativi (comma 1) ed esclude
l’obbligo della motivazione per gli atti amministrativi «meramente esecutivi»,
in riferimento ai principi costituzionali di efficienza e trasparenza (art. 97
della Costituzione), nonché al principio di effettività della tutela contro gli
atti dell’amministrazione (artt. 24 e 113 della Costituzione) ed al principio
di eguaglianza tra cittadini residenti in diverse regioni (art. 3 della
Costituzione).
Il
ricorrente censura l’art. 63, comma 2, nelle parti in cui, prevedendo che,
qualora ricorrano specifiche esigenze unitarie, l’organizzazione delle funzioni
amministrative conferite agli enti locali possa essere disciplinata con legge
regionale, per assicurare requisiti essenziali di uniformità, violerebbe la
riserva di potestà regolamentare attribuita agli enti locali (art. 117, sesto comma,
della Costituzione), espropriandoli del potere di regolamentare
l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni ad essi attribuite, in
violazione degli artt. 118 e 114 della Costituzione.
L’art. 64,
comma 2, disponendo che «la legge disciplina, limitatamente ai profili coperti
da riserva di legge, i tributi propri degli enti locali, salva la potestà degli
enti di istituirli» si porrebbe in contrasto con l’art. 119 della Costituzione,
stabilendo un rapporto tra fonti normative «che è invece solo uno di quelli
possibili, costituzionalmente rimessi alle valutazioni ed alle scelte del
legislatore nazionale nel momento in cui darà attuazione all’art.119 Cost.».
L’art. 70,
comma 1, dispone che «gli organi di governo e il consiglio partecipano, nei
modi previsti dalla legge, alle decisioni dirette alla formazione e attuazione
degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale» e perciò, secondo
la difesa erariale, violerebbe l’art. 117, quinto comma, della Costituzione,
che riserva alla legge statale la disciplina della partecipazione delle Regioni
alla formazione ed attuazione degli atti comunitari.
L’art. 75,
nel disciplinare il referendum abrogativo, siccome stabilisce, al comma 4, che
«la proposta di abrogazione soggetta a referendum è approvata se partecipa alla
votazione la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni regionali e se
ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi», ad avviso del
ricorrente, lederebbe il principio di ragionevolezza, in quanto prevederebbe un quorum calcolato sulla scorta di un
criterio casuale e contingente, irrazionale ed in contrasto anche con l’art. 75
della Costituzione.
2. — Le
censure formulate dal ricorrente nei confronti dello statuto della Regione Toscana
si possono suddividere in due gruppi: quelle aventi ad oggetto proposizioni che
rientrano tra i "Principi generali” e le "Finalità principali” e quelle che
invece riguardano norme specifiche dello statuto.
Ai fini
delle questioni di legittimità costituzionale inerenti al primo gruppo di
censure, appare necessario innanzi tutto precisare la natura e la portata di
queste proposizioni. Al riguardo va ricordato che negli statuti regionali
entrati in vigore nel 1971 -ivi compreso quello della Toscana- si rinvengono
assai spesso indicazioni di obiettivi prioritari dell’attività regionale ed
anche in quel tempo si posero problemi di costituzionalità di tali indicazioni,
sotto il profilo della competenza della fonte statutaria ad incidere su materie
anche eccedenti la sfera di attribuzione regionale. Al riguardo, dopo avere
riconosciuto la possibilità di distinguere tra un contenuto "necessario” ed un
contenuto "eventuale” dello statuto (cfr. sentenza n. 40 del
1972), si è ritenuto che la formulazione di proposizioni statutarie del
tipo predetto avesse principalmente la funzione di legittimare la Regione come
ente esponenziale della collettività regionale e del complesso dei relativi
interessi ed aspettative. Tali interessi possono essere adeguatamente
perseguiti non soltanto attraverso l’esercizio della competenza legislativa ed
amministrativa, ma anche avvalendosi dei vari poteri, conferiti alla Regione
stessa dalla Costituzione e da leggi statali, di iniziativa, di partecipazione,
di consultazione, di proposta, e così via, esercitabili, in via formale ed
informale, al fine di ottenere il migliore soddisfacimento delle esigenze della
collettività stessa. In questo senso si è espressa questa Corte, affermando che
l’adempimento di una serie di compiti fondamentali «legittima, dunque, una
presenza politica della regione, in rapporto allo Stato o anche ad altre
regioni, riguardo a tutte le questioni di interesse della comunità regionale,
anche se queste sorgono in settori estranei alle singole materie indicate
nell’art. 117 Cost. e si proiettano al di là dei
confini territoriali della regione medesima» (sentenza n. 829 del
1988).
Il ruolo
delle Regioni di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive
collettività, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e dalla
prevalente dottrina -e, per quanto riguarda la Regione Toscana, dall’art. 1
dello statuto in esame- è dunque rilevante, anche nel momento presente, ai fini
«dell’esistenza, accanto ai contenuti necessari degli statuti regionali, di
altri possibili contenuti, sia che risultino ricognitivi delle funzioni e dei
compiti della Regione, sia che indichino aree di prioritario intervento
politico o legislativo» (sentenza n. 2 del
2004); contenuti che talora si esprimono attraverso proclamazioni di
finalità da perseguire. Ma la citata sentenza ha rilevato come sia opinabile la
"misura dell’efficacia giuridica” di tali proclamazioni; tale dubbio va sciolto
considerando che alle enunciazioni in esame, anche se materialmente inserite in
un atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica,
collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle
diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento
dell’approvazione dello statuto, come, del resto, sostanzialmente riconosce la
risoluzione n. 51 del Consiglio regionale della Toscana, deliberata
contestualmente all’approvazione definitiva dello statuto.
D’altra
parte, tali proclamazioni di obiettivi e di impegni non possono certo essere
assimilate alle c.d. norme programmatiche della Costituzione, alle quali, per
il loro valore di principio, sono stati generalmente riconosciuti non solo un
valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa, ma
soprattutto una funzione di integrazione e di interpretazione delle norme
vigenti. Qui però non siamo in presenza di Carte costituzionali, ma solo di
fonti regionali "a competenza riservata e specializzata”, cioè di statuti di
autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque
"essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla
Costituzione” (sentenza
n. 196 del 2003).
Se dunque
si accolgono le premesse già formulate sul carattere non prescrittivo e non
vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, ne deriva che esse
esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o anche politica, ma
certo non normativa. Nel caso in esame, enunciazioni siffatte si rinvengono nei
diversi commi –tra cui in particolare quelli censurati- degli artt. 3 e 4 che
non comportano né alcuna violazione, né alcuna rivendicazione di competenze
costituzionalmente attribuite allo Stato e neppure fondano esercizio di poteri
regionali. E’ quindi inammissibile il ricorso governativo avverso le impugnate
proposizioni dei predetti articoli, per la loro carenza di idoneità lesiva.
Pertanto
vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle
seguenti disposizioni dello statuto della Regione Toscana: art. 3, comma 6,
secondo il quale «la Regione promuove, nel rispetto dei principi
costituzionali, l’estensione del diritto di voto agli immigrati»; art. 4 comma
1, lettera h), il quale dispone che la Regione persegue, tra le finalità
prioritarie, «il riconoscimento delle altre forme di convivenza»; art. 4 comma
1, lettere l) e m), che, rispettivamente, stabiliscono quali finalità
prioritarie della Regione «il rispetto dell’equilibrio ecologico, la tutela
dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione della biodiversità,
la promozione della cultura del rispetto degli animali», nonché «la tutela e la
valorizzazione del patrimonio storico artistico e paesaggistico»; art. 4 comma
1, lettere n), o) e p), che stabiliscono, quali finalità prioritarie della
Regione, «la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole
alla competitività delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e la
formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilità
dell’ambiente», «la valorizzazione della libertà di iniziativa economica
pubblica e privata, del ruolo e della responsabilità sociale delle imprese»,
«la promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di
sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei».
3. — Tutto
ciò premesso, in punto di merito occorre esaminare per prima la censura
relativa all’art. 32, comma 2 dello statuto, nella parte in cui stabilisce che
"il programma di governo è approvato entro 10 giorni dalla sua illustrazione”,
in quanto, secondo il ricorrente, la predetta approvazione instaurerebbe
irragionevolmente, in violazione degli artt. 3 e 122, quinto comma, della
Costituzione, tra Presidente e Consiglio regionale un rapporto diverso rispetto
a quello che dovrebbe conseguire all’elezione a suffragio universale e diretto.
La
questione non è fondata.
La
formazione della Giunta regionale toscana si svolge secondo il seguente schema
procedimentale: 1) il presidente della giunta entra direttamente in carica
all’atto della proclamazione; 2) l’illustrazione del programma e la
designazione dei componenti della giunta avvengono nella prima seduta del
consiglio; 3) l’approvazione del programma avviene entro 10 giorni dalla sua
illustrazione, ma il
presidente nomina "comunque”, decorso lo stesso termine, i componenti la
giunta.
In questo
quadro, la previsione dell’approvazione consiliare del programma di governo non
appare affatto incoerente rispetto allo schema elettorale "normale” accolto
dall’art. 122, quinto comma, della Costituzione, giacché la eventuale mancata
approvazione consiliare può avere solo rilievo politico, ma non determina alcun
effetto giuridicamente rilevante sulla permanenza in carica del Presidente,
della giunta, ovvero sulla composizione di questa ultima. Non si può peraltro escludere
che a questa situazione possano seguire, ai sensi dell’art. 33 dello statuto,
la approvazione di una mozione di sfiducia o anche le dimissioni spontanee del
presidente, ma in entrambe le ipotesi si verifica lo scioglimento anticipato
del consiglio, nel pieno rispetto del vincolo costituzionale del simul stabunt simul cadent (cfr. sentenze n. 304 del 2002
e n. 2 del 2004),
il quale, oltre ad essere un profilo caratterizzante questo assetto di governo,
è indice della maggiore forza politica del Presidente, conseguente alla sua
elezione a suffragio universale e diretto. Sotto questo profilo quindi la norma
denunciata non introduce alcuna significativa variazione rispetto alla forma di
governo "normale” prefigurata in Costituzione.
4. — Una
seconda censura ha ad oggetto l’art. 54, commi 1 e 3, dello statuto nelle parti
in cui rispettivamente prevedono il diritto di accesso ai documenti
amministrativi regionali senza obbligo di motivazione ed escludono l’obbligo di
motivazione degli atti amministrativi "meramente esecutivi”. Secondo il
ricorrente, infatti, tali norme violerebbero i principi di buon andamento
dell’Amministrazione, di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi, oltre che di eguaglianza.
Le
questioni non sono fondate.
La
disposizione che stabilisce il diritto di accesso, senza obbligo di
motivazione, ai documenti amministrativi si conforma al principio
costituzionale di imparzialità e di trasparenza dell’azione amministrativa ed è
altresì del tutto coerente con l’evoluzione del diritto comunitario. Inoltre va
considerato che la norma in esame, in quanto attinente ai principi fondamentali
di organizzazione e di funzionamento della Regione, rientra strettamente tra
gli oggetti di disciplina statutaria e che anche nella legislazione statale, ad
esempio in materia di tutela ambientale, sono previste ipotesi di accesso ai
documenti amministrativi senza obbligo di motivazione.
In ogni
caso va sottolineato che il comma 1 della disposizione in esame, contenendo un
esplicito riferimento al rispetto degli interessi costituzionalmente tutelati
ed a modi di disciplina previsti dalla legge, deve essere interpretato nel
senso che la emananda legge di attuazione dovrà farsi
carico di prefigurare un procedimento che, nell’assicurare la trasparenza e
l’imparzialità dell’azione amministrativa, preveda, oltre ad ipotesi di
esclusione dell’ostensibilità di documenti
amministrativi per ragioni di tutela di situazioni costituzionalmente
garantite, anche criteri e modi in base ai quali l’interesse personale e
concreto del richiedente si contempera con l’interesse pubblico al buon
andamento dell’Amministrazione, nonché con l’esigenza di non vanificare in
concreto la tutela giurisdizionale delle posizioni di eventuali soggetti terzi
interessati.
Parimenti
infondata è la questione di costituzionalità del terzo comma dello stesso
articolo, giacché negli atti amministrativi che non abbiano natura provvedimentale in quanto "meramente esecutivi”, ai fini
della motivazione è ritenuto sufficiente dalla prevalente giurisprudenza il
semplice richiamo, nelle premesse dell’atto, ai presupposti di fatto ed alle
disposizioni di legge da applicare, la cui enunciazione rende pienamente
comprensibili le ragioni dell’atto stesso.
5. —
Un’altra censura riguarda l’art. 63, comma 2, dello statuto, nella parte in cui
prevede che l’organizzazione delle funzioni amministrative conferite agli enti
locali, nei casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie, possa essere
disciplinata con legge regionale per assicurare requisiti essenziali di
uniformità. La predetta norma, secondo il ricorrente, lederebbe la riserva di
potestà regolamentare attribuita dall’art. 117, sesto comma, della Costituzione
agli enti locali, "espropriandoli”, in violazione anche degli artt. 118 e 114
della Costituzione e del principio di leale collaborazione, del potere di
regolamentare organizzazione e svolgimento delle funzioni loro conferite dalla
legge regionale.
La
questione non è fondata.
L’art. 63,
comma 2, in esame, che conferisce alla legge regionale la facoltà di
disciplinare organizzazione e svolgimento delle funzioni degli enti locali nei
"casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie”, fa evidente riferimento
alle varie ipotesi di applicazione del principio di sussidiarietà previste
dalla Costituzione. Si tratta cioè di una deroga rispetto al criterio generale
accolto dal comma 1 dello stesso articolo, il quale riserva alla potestà
regolamentare degli enti locali la disciplina dell’organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni conferite. Ma tale deroga si inserisce nell’ambito
della previsione del sesto comma dell’art. 117, come attuato dall’art. 4, comma
4, della legge n. 131 del 2003, secondo cui la potestà regolamentare dell’ente
locale in materia di organizzazione e svolgimento delle funzioni si esplica
nell’ambito delle leggi statali e regionali, che ne assicurano i requisiti
minimi di uniformità.
La
previsione statutaria di un regime di riserva assoluta di legge regionale
anziché relativa è infatti ammissibile purché sia limitata, per non comprimere
eccessivamente l’autonomia degli enti locali, ai soli casi di sussistenza di
"specifiche esigenze unitarie”, che possano giustificare, nel rispetto dei
principi indicati dall’art. 118, primo comma, della Costituzione, la disciplina
legislativa regionale dell’organizzazione e svolgimento delle funzioni
"conferite”. Negando tale facoltà si perverrebbe, infatti, all’assurda
conclusione che, al fine di evitare la compromissione di precisi interessi
unitari che postulano il compimento di determinate attività in modo
sostanzialmente uniforme, il legislatore regionale non avrebbe altra scelta che
allocare le funzioni in questione ad un livello di governo più comprensivo,
assicurandone così l’esercizio unitario. Il che sarebbe chiaramente
sproporzionato rispetto al fine da raggiungere e contrastante con lo stesso
principio di sussidiarietà (cfr. sentenze nn. 43, 69, 112 e 172 del 2004).
Dovendosi
in tal modo interpretare la norma denunciata, la questione è infondata.
6. —
Un’ulteriore censura concerne l’art. 64, comma 2, dello statuto, nella parte in
cui prevede che "la legge disciplina, limitatamente ai profili coperti da
riserva di legge, i tributi propri degli enti locali, salva la potestà degli
enti di istituirli”. Secondo il ricorrente la norma violerebbe l’art. 119 della
Costituzione, in quanto prevederebbe in materia un
rapporto tra fonti normative "che è invece solo uno di quelli possibili,
costituzionalmente rimessi alle valutazioni ed alle scelte del legislatore
nazionale nel momento in cui darà attuazione all’art. 119 della Costituzione”.
La
questione non è fondata.
La norma
statutaria in esame riguarda il complesso tema dell’autonomia tributaria degli
enti locali nel quadro della nuova disciplina prevista dall’art. 119 della
Costituzione, in relazione alla quale pare opportuno riferirsi alla sentenza di
questa Corte n.
37 del 2004. Secondo questa decisione, in considerazione della riserva di
legge prevista dall’art. 23 della Costituzione, che comporta la necessità di
disciplinare a livello legislativo almeno gli aspetti fondamentali
dell’imposizione, ed in considerazione anche del fatto che gli enti locali
sub-regionali non sono titolari di potestà legislativa, deve essere definito,
da un lato, l’ambito di esplicazione della potestà regolamentare di questi enti
e, dall’altro lato, il rapporto tra legislazione statale e legislazione
regionale per quanto attiene alla disciplina di grado primario dei tributi
locali. Al riguardo, sempre secondo la citata sentenza, si possono «in astratto
concepire situazioni di disciplina normativa sia a tre livelli (legislativa
statale, legislativa regionale e regolamentare locale), sia a due soli livelli
(statale e locale, ovvero regionale e locale)».
Il modello
seguito dalla disposizione citata è evidentemente quello a "due livelli”, cioè
una disciplina normativa dei tributi propri degli enti locali risultante dal
concorso di fonti primarie regionali e secondarie locali. Un ragionevole
criterio di riparto tra questi due tipi di fonti deve attribuire alla fonte
regionale la definizione dell’ambito di autonomia entro cui la fonte secondaria
dell’ente sub-regionale può esercitare liberamente il proprio potere di
autodeterminazione del tributo. In ogni caso, la norma censurata deve essere
interpretata nel senso che, in base all’art. 119, secondo comma, della
Costituzione, la legge regionale ivi prevista deve comunque attenersi ai
principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario appositamente
dettati dalla legislazione statale "quadro” o, in caso di inerzia del
legislatore statale, a quelli comunque desumibili dall’ordinamento. Proprio in
questo senso, del resto, si é espressa questa Corte
nella citata sentenza
n. 37 del 2004, sostenendo che il legislatore statale «dovrà non solo
fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche (…)
definire gli spazi ed i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà
impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali».
Così
interpretata la disposizione denunciata non risulta sussistente il prospettato
vizio di legittimità costituzionale.
7. —
Un’altra censura ha ad oggetto l’art. 70, comma 1, dello statuto, nella parte
in cui prevede che gli organi di governo ed il Consiglio regionale partecipano,
nei modi previsti dalla legge, alla formazione ed attuazione degli atti
comunitari nelle materie di competenza regionale. Secondo il ricorrente la
disposizione violerebbe l’art. 117, quinto comma, della Costituzione, che
attribuisce alla legge statale le forme di partecipazione regionale alla
formazione ed attuazione degli atti comunitari.
La
questione non è fondata.
Nel quadro
delle norme di procedura che la legge statale, di cui all’art. 117, quinto
comma, della Costituzione, determina in via generale ai fini della
partecipazione delle Regioni alla formazione ed attuazione degli atti
comunitari, la disposizione statutaria impugnata prevede la possibilità che la
legge regionale stabilisca, a sua volta, uno specifico procedimento interno
diretto a fissare le modalità attraverso le quali si forma la relativa
decisione regionale, nell’ambito dei criteri organizzativi stabiliti, in sede
attuativa, dall’art. 5 della citata legge n. 131 del 2003. In proposito può
essere in qualche modo indicativa la regolamentazione in materia già prevista
dalla Regione Toscana con la legge 16 maggio 1994, n. 37 (Disposizioni sulla
partecipazione della Regione Toscana al processo normativo comunitario e sulle
procedure relative all’attuazione degli obblighi comunitari), la quale
stabilisce al riguardo le diverse competenze del Consiglio e della Giunta
regionale.
Sotto i
profili prospettati, pertanto, la disposizione statutaria in esame non appare
in contrasto con l’art. 117, quinto comma, della Costituzione.
8. — L’ultima
questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo riguarda l’art.
75, comma 4, dello statuto, nella parte in cui, ai fini dell’abrogazione
referendaria di una legge o di un regolamento regionale, è richiesto che
partecipi alla votazione la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni
regionali. Tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto
contrasterebbe con il principio di ragionevolezza, facendo riferimento ad un
criterio casuale e contingente, oltre che irrazionale, nonché con l’art. 75
della Costituzione.
La
questione non è fondata.
In primo
luogo va rilevato che non si può considerare principio vincolante per lo
statuto la determinazione del quorum strutturale prevista dall’art. 75 della
Costituzione. La materia referendaria rientra espressamente, ai sensi dell’art.
123 della Costituzione, tra i contenuti obbligatori dello statuto, cosicché si
deve ritenere che alle Regioni è consentito di articolare variamente la propria
disciplina relativa alla tipologia dei referendum previsti in Costituzione,
anche innovando ad essi sotto diversi profili, proprio perché ogni Regione può
liberamente prescegliere forme, modi e criteri della partecipazione popolare ai
processi di controllo democratico sugli atti regionali.
Va infine
osservato che non appare irragionevole, in un quadro di rilevante astensionismo
elettorale, stabilire un quorum strutturale non rigido, ma flessibile, che si
adegui ai vari flussi elettorali, avendo come parametro la partecipazione del
corpo elettorale alle ultime votazioni del Consiglio regionale, i cui atti
appunto costituiscono oggetto della consultazione referendaria.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma
6, dello statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6
maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, in riferimento agli
articoli 48, 117, secondo comma, lettere f) e p), 121, secondo comma, e 138
della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettera h), del predetto statuto,
in riferimento agli articoli 2, 3, 5, 29, 117, secondo comma, lettere i) e l),
123, primo comma, della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettera l), del
predetto statuto, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s),
della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettera m), del predetto statuto,
in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera s), e 118, terzo
comma, della Costituzione; dell’articolo 4, comma 1, lettere n), o) e p), del
predetto statuto, in riferimento all’art 117, secondo comma, lettere e) e l),
della Costituzione, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 32, comma
2, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 3 e 122, quinto comma,
della Costituzione; dell’articolo 54, commi 1 e 3, del predetto statuto, in
riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 113 della Costituzione; dell’articolo 63,
comma 2, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 114, 117, sesto
comma, e 118 della Costituzione; dell’articolo 64, comma 2, del predetto
statuto, in riferimento all’articolo 119 della Costituzione; dell’articolo 70,
comma 1, del predetto statuto, in riferimento all’articolo 117, quinto comma,
della Costituzione; dell’articolo 75, comma 4, del predetto statuto, in
riferimento agli articoli 3 e 75 della Costituzione, sollevate dal Presidente
del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29
novembre 2004.
Valerio
ONIDA, Presidente
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 2 dicembre 2004.