Sentenza n. 43 del 2016

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SENTENZA N. 43

ANNO 2016

 

Commento alla decisione di

Matteo Barbero

La Corte e i tetti alle consulenze: quando la spending review produce effetti espansivi della spesa. Brevi considerazioni a margine di Corte cost. n. 43/2016

 per g.c. di Federalismi.it

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Alessandro                  CRISCUOLO                                     Presidente

-      Paolo                           GROSSI                                               Giudice

-      Giorgio                        LATTANZI                                                ”

-      Aldo                            CAROSI                                                     ”

-      Marta                           CARTABIA                                               ”

-      Mario Rosario             MORELLI                                                  ”

-      Giancarlo                     CORAGGIO                                              ”

-      Giuliano                       AMATO                                                     ”

-      Silvana                         SCIARRA                                                  ”

-      Daria                            de PRETIS                                                 ”

-      Nicolò                          ZANON                                                     ”

-      Franco                         MODUGNO                                              ”

-      Augusto Antonio         BARBERA                                               ”

-      Giulio                          PROSPERETTI                                          ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promossi dalla Regione Veneto e dalla Provincia autonoma di Trento, con ricorsi notificati il 18 e il 20 agosto 2014, depositati in cancelleria il 22 e il 26 agosto 2014 e rispettivamente iscritti ai 63 e 65 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; 

udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2016 e nella camera di consiglio del 10 febbraio 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 18 agosto 2014 e depositato il successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale, degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del   decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento 3, 97, 117, terzo comma, 119 e 120 della Costituzione.

L’art. 14, comma 1, vieta, a decorrere dall’anno 2014, alle amministrazioni pubbliche, tra cui la Regione, di conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell’anno per tali incarichi è superiore ad una determinata percentuale della spesa per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico.

L’art. 14, comma 2, contiene, sempre a decorrere dal 2014, un’analoga previsione relativa ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la cui spesa è posta a raffronto con quella per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico.

Nonostante l’art. 14, comma 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014 aggiunga che le Regioni hanno facoltà di rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente per conseguire risparmi pari a quelli derivanti dall’applicazione della norma impugnata, la Regione Veneto ritiene lesa la propria autonomia finanziaria tutelata dagli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.

Lo Stato avrebbe infatti dettato misure puntuali e dettagliate, che eccedono i confini dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

Gli stessi parametri costituzionali sarebbero violati anche a causa del carattere permanente di tali misure, disposte a partire dal 2014.

L’art. 119, terzo e quarto comma, Cost. sarebbe leso in ragione dell’effetto «perequativo implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono».

L’art. 120 Cost. sarebbe violato per il profilo attinente al canone di leale collaborazione, perchè l’adozione delle misure non ha richiesto il coinvolgimento della Regione.

Infine, le norme impugnate determinerebbero, con ridondanza sulle competenze regionali, un effetto manifestamente irragionevole e contrario al buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto favoriscono le Regioni che hanno, a parità di abitanti, una maggiore spesa per il personale, invece di premiare quelle che mantengono tale spesa sotto controllo. Per tale ragione la ricorrente reputa lesi anche gli artt. 3 e 97 Cost.

Censure analoghe raggiungono l’art. 15, comma 1, della stessa legge, che vieta alla Regione, a decorrere dal 1° maggio 2014, di effettuare per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio delle autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi, una spesa superiore al 30 per cento di quella sostenuta per tali voci nel 2011.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.

La difesa dello Stato ha svolto considerazioni di carattere generale relative alla finanza regionale e in particolare alla soggezione delle autonomie speciali ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

Con una seconda memoria, l’Avvocatura generale ha replicato ai motivi di ricorso.

I vincoli previsti dall’art. 14, commi 1 e 2, impugnato, si giustificherebbero alla luce del successivo comma 4-ter, che permette alla Regione di discostarsene, ad invarianza di risparmio di spesa.

L’art. 15, comma 1, anch’esso impugnato, sarebbe «diretto a conformare l’attività amministrativa ai principi di buona amministrazione» in modo «ragionevole», perchè non prevede un divieto dell’acquisto o dell’utilizzazione delle autovetture, ma solo un limite per la relativa spesa.

3.– Con ricorso notificato il 20 agosto 2014 e depositato il successivo 26 agosto (reg. ric. n. 65 del 2014), la Provincia autonoma di Trento ha impugnato a sua volta, tra le altre disposizioni, l’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto legislativo 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e all’art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).

La ricorrente ritiene lesa la propria autonomia finanziaria, a causa del limite alla spesa, di carattere permanente, imposto alla Provincia autonoma e agli enti locali trentini.

4.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.

L’Avvocatura generale sostiene la soggezione delle autonomie speciali ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

5.– Nelle more del giudizio, la Provincia autonoma di Trento ha rinunciato al ricorso, per la parte che qui interessa. Il Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri, ha accettato la rinuncia.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso notificato il 18 agosto 2014 e depositato il successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del    decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo comma, 119 e 120 della Costituzione.

Con ricorso notificato il 20 agosto 2014 e depositato il successivo 26 agosto (reg. ric. n. 65 del 2014), la Provincia autonoma di Trento ha impugnato a sua volta, tra le altre disposizioni, l’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto legislativo 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e all’art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).

Le disposizioni impugnate recano misure di contenimento della spesa pubblica, con riguardo agli incarichi di consulenza, studio e ricerca (art. 14, comma 1), ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 14, comma 2), e all’acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture, oltre che all’acquisto di buoni taxi (art. 15, comma 1).

2.– I ricorsi vertono, in parte, sulle medesime disposizioni e pongono questioni analoghe, perciò ne è opportuna la riunione per una decisione congiunta.

3.– Nelle more del giudizio, la Provincia autonoma di Trento ha raggiunto un accordo di finanza pubblica con lo Stato e ha conseguentemente rinunciato al ricorso, per quanto qui di interesse. A seguito dell’accettazione della rinuncia da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, va dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

4.– La Regione Veneto impugna gli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, in riferimento, tra gli altri, all’art. 119, terzo e quarto comma, Cost., a causa dell’«effetto perequativo implicito e distorto» che attribuisce a tali disposizioni. 

Questa censura è inammissibile, in quanto oscura e priva di adeguata motivazione.

La ricorrente non spiega in alcun modo quale rapporto possa intercorrere tra le misure di riduzione della spesa pubblica, imposte dalle norme impugnate, e gli interventi con finalità perequativa previsti dall’art. 119 Cost.

5.– L’art. 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014 sostituisce l’art. 5, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario.), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della  legge 7 agosto 2012, n. 135.

La disposizione impugnata vincola, a decorrere dal 1° maggio 2014, le amministrazioni pubbliche, tra cui la Regione Veneto ricorrente, a contenere la spesa per le autovetture e i buoni taxi entro il 30 per cento della spesa sostenuta per tali voci nell’anno 2011. Essa fa seguito ad analoghe previsioni, inserite nella legislazione statale di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 182 del 2011) fin dall’art. 6, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Con quest’ultima norma, è stato introdotto, a decorrere dal 2011, un tetto a tale voce di spesa, pari all’80 per cento dell’esborso sostenuto nel 2009, mentre l’art. 5, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, a decorrere dal 2013, ha incrementato il limite portandolo al 50 per cento della spesa affrontata nel 2011.

Con una prima censura la Regione Veneto denuncia la violazione dell’autonomia finanziaria, garantita dall’art. 119 Cost., avvenuta con una previsione di dettaglio in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., che attribuisce natura concorrente alla competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica.

La questione è fondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale, con una «disciplina di principio», può legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 36 del 2004; si veda anche la sentenza n. 417 del 2005). Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo “in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale” – la crescita della spesa corrente». In altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005).

In applicazione di tali principi questa Corte ha giudicato rispettoso dell’autonomia finanziaria regionale l’art. 6, comma 14, del d.l. n. 78 del 2010, perchè la disposizione, nel porre un limite alla spesa per autovetture valevole rigidamente nei confronti delle amministrazioni statali, ne aveva previsto l’applicabilità alle Regioni esclusivamente a titolo di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, come era stato espressamente stabilito dall’art. 6, comma 20, del d.l. n. 78 del 2010.

Per effetto di ciò continuava a spettare alle Regioni, nel vasto ambito delle voci di spesa incise dal d.l. n. 78 del 2010, scegliere se e in quale misura colpire proprio quelle  analiticamente indicate dall’art. 6, comma 14, sempre che, all’esito di questa operazione, ne risultasse un risparmio complessivo non inferiore a quello conseguente all’azione congiunta delle varie prescrizioni statali (sentenza n. 182 del 2011; in seguito, sentenze n. 36 del 2013, n. 211, n. 173 e n. 139 del 2012).

La disposizione impugnata, invece, si discosta dal modello di intervento sulla spesa regionale previsto dall’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, perché non lascia alla Regione alcun margine di sviluppo dell’analitico precetto che è stato formulato. In particolare, a differenza di quanto è stato stabilito dall’art. 14, comma 4-ter, del medesimo d.l. n. 66 del 2014, non è riconosciuta la facoltà per la Regione di adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, sicché l’art. 15, comma 1, oggetto del ricorso, quale che ne sia l’autoqualificazione adottata dal legislatore statale, non può essere ritenuto espressivo di un principio di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 139 del 2012).

La violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. comporta perciò l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, con assorbimento delle ulteriori censure.

6.– L’art. 14, comma 1, limita, a decorrere dal 2014, la spesa, anche regionale, per incarichi di consulenza, studio e ricerca, al 4,2 per cento di quella sostenuta nel 2012 per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico, se essa è pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all’1,4 per cento, se è invece superiore a tale importo.

L’art. 14, comma 2, replica questa tecnica di intervento rispetto alla spesa per contratti di collaborazione coordinata e continuativa, individuando stavolta le percentuali rispettivamente nel 4,5 per cento e nell’1,1 per cento.

La Regione Veneto ritiene anche in tal caso violati gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.

La questione non è fondata.

Come si è anticipato, l’art. 14, comma 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, anch’esso oggetto di ricorso, permette alle Regioni di «rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione dei commi 1 e 2» del medesimo articolo.

Sono perciò integralmente soddisfatte, sotto questo aspetto, le condizioni enunciate nel precedente punto 5., alle quali la giurisprudenza costituzionale subordina la legittimità di analoghi interventi statali sulla spesa regionale (sentenza n. 182 del 2011).

7.– La ricorrente ritiene lesi anche gli artt. 3 e 97 Cost., perchè l’art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014 ha commisurato la capacità di spesa regionale relativa alle singole voci raggiunte dall’intervento normativo statale all’importo complessivo delle spese sostenute per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico. In tal modo, argomenta il ricorso, sarebbero penalizzate proprio le Regioni più virtuose, che nel tempo hanno ridotto la spesa per i dipendenti pubblici. Queste Regioni, a causa di ciò, sono obbligate (salvo a reperire altrove pari risparmi) a limitare gli incarichi di consulenza e i contratti di collaborazione, più di quanto lo siano le Regioni che impiegano più personale.

La questione è ammissibile perchè la ricorrente motiva adeguatamente la ridondanza sulla propria autonomia organizzativa e finanziaria della violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione invocati.

Essa, tuttavia, non è fondata.

In linea di principio il controllo di non manifesta irragionevolezza demandato a questa Corte non può basarsi sulla presunzione, ipotizzata dalla ricorrente, che un maggior numero di dipendenti pubblici sia inequivocabilmente il segno di una cattiva amministrazione, anziché, come è invece astrattamente possibile, di scelte politiche favorevoli all’espansione del settore pubblico, se non anche della necessità di far fronte ad un più ampio novero di funzioni e servizi da parte di alcune Regioni. Ove la spesa per i dipendenti fosse l’effetto di tali fenomeni, e dunque la spia di accresciute esigenze dell’amministrazione, non sarebbe manifestamente incongruo istituire un legame di proporzionalità diretta tra questa spesa e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca.

Questo vale a maggior ragione per i contratti di collaborazione, posto che resta loro applicabile l’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che vieta di ricorrervi, se non quando sia stata accertata l’impossibilità oggettiva di utilizzare per il medesimo scopo il personale già a disposizione dell’amministrazione. È questa una previsione che dovrebbe scongiurare alla radice il rischio che si abusi delle collaborazioni esterne pur in presenza di un elevato numero di dipendenti pubblici.

Ciò premesso, si può ulteriormente osservare che la disposizione impugnata si innesta sul solco di analoghe misure assunte dal legislatore statale anzitutto con il d.l. n. 78 del 2010, e tutt’ora applicabili, come è stato ribadito proprio dall’art. 14 del d.l. n. 66 del 2014.

Con riguardo alla spesa per consulenze, studi e ricerche, in particolare, è fatta salva l’applicazione dell’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, e dell’art. 1, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni.), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125.

Nello stesso modo continua ad operare l’art. 9, comma 28, del d.l.  n. 78 del 2010, con riferimento alla spesa per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

Queste norme hanno già provveduto a limitare le risorse finanziarie disponibili entro determinate percentuali della spesa storica sostenuta dalle singole Regioni per analoghe partite negli anni precedenti. Vi è perciò un pregresso meccanismo di contenimento della spesa, che ha obbligato fin dal 2011 le amministrazioni regionali, e l’obbliga tutt’ora (ove non abbiano rinvenuto altrove le risorse), a ridurre gli impegni per consulenze e collaborazioni. L’effetto è che tali impegni sono ridimensionati, in valori assoluti, in misura maggiore proprio laddove erano più elevati, secondo la linea auspicata dalla Regione Veneto.

La disposizione impugnata non si sostituisce a questo meccanismo, ma si aggiunge con una nuova e diversa restrizione, che è peraltro ancora una volta rapportata al livello della spesa complessiva per il personale. Essa, infatti, consente l’impiego di consulenti e collaboratori in una percentuale che decresce fortemente se la spesa per il personale dipendente è molto elevata (superiore a 5 milioni di euro), penalizzando così le Regioni che si trovano in questa condizione, e non può considerarsi manifestamente irragionevole, in una organizzazione amministrativa, l’istituzione di un rapporto tra la spesa complessiva per il personale e quella per incarichi e collaborazioni di vario tipo.

8.– La Regione Veneto censura l’art. 14, commi 1, 2, e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014 anche in relazione all’art. 120 Cost., rilevando che le disposizioni sono state adottate senza il coinvolgimento regionale.

La questione non è fondata, perchè il principio di leale collaborazione, ove non sia specificamente previsto, non si impone nel procedimento legislativo (ex plurimis, sentenza n. 112 del 2010).

9.– L’art. 14, commi 1 e 2, è censurato, con riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., anche nella parte in cui stabilisce che le misure previste si applicano «a decorrere dall’anno 2014», e assumono perciò carattere permanente.

La questione è fondata.

Come si è già posto in luce al precedente punto 5., gli interventi statali sull’autonomia di spesa delle Regioni sono consentiti, come principi di coordinamento della finanza pubblica, purché transitori, giacché in caso contrario essi non corrisponderebbero all’esigenza di garantire l’equilibrio dei conti pubblici in un dato arco temporale, segnato da peculiari emergenze, ma trasmoderebbero in direttive strutturali sull’allocazione delle risorse finanziarie di cui la Regione è titolare, nell’ambito di scelte politiche discrezionali concernenti l’organizzazione degli uffici, delle funzioni e dei servizi (sentenza n. 36 del 2004).

Questa Corte ha perciò già dichiarato l’illegittimità costituzionale di analoghe previsioni (sentenza n. 79 del 2014), per un aspetto che peraltro non inficia la misura di finanza pubblica in sé, ma coinvolge esclusivamente la sua dimensione temporale, allo scopo di «assicurare la natura transitoria delle misure previste, e, allo stesso tempo, di non stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione all’anno in corso» (sentenza n. 193 del 2012).

Sotto quest’ultimo profilo questa Corte ha già posto in evidenza la natura necessariamente pluriennale delle politiche di bilancio, che vengono scandite per mezzo della legge di stabilità lungo un arco di tempo di regola triennale (sentenze n. 178 del 2015 e n. 310 del 2013).

Nel caso di specie, il d.l. n. 66 del 2014 è intervenuto per correggere i conti pubblici con riferimento al periodo triennale inaugurato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), ovvero, in linea di principio e salva espressa disposizione contraria, dal 2014 al 2016. Perciò questa Corte deve ripristinare la legalità costituzionale riconducendo la disposizione impugnata ad un corrispondente periodo transitorio di efficacia, visto che esso è connaturato alle caratteristiche dell’intervento legislativo in cui la norma è collocata, e si desume perciò direttamente ed inequivocabilmente da quest’ultimo.

Di conseguenza l’art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui si applica «a decorrere dall’anno 2014», anziché «negli anni 2014, 2015 e 2016».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, nella parte in cui si applica alle Regioni;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014, nella parte in cui si applica «a decorrere dall’anno 2014», anziché «negli anni 2014, 2015 e 2016»;

3) dichiara estinto il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento all’art. 119, terzo e quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97 e 120 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2016.