SENTENZA N.
173
ANNO 2012
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO
”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli articoli 9, commi 3, 28, 29, 31 e 36, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge
30 luglio 2010, n. 122, promossi dalle Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Liguria, Umbria, Emilia Romagna e Puglia con ricorsi
notificati il 24-27 e il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria il 28
settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e rispettivamente iscritti ai nn. 96, 102, 103, 106 e 107 del registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati
Ulisse Corea per la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria, Umbria ed
Emilia Romagna, Stefano Grassi per la Regione Puglia e gli avvocati dello Stato
Massimo Salvatorelli e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in
fatto
1.– Con ricorso notificato il 27
settembre 2010, depositato in cancelleria il 28 settembre 2010 e iscritto al n.
96 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso,
tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 9, comma
28, e 14, comma 24-bis, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge,
con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, in
riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, secondo comma,
della Costituzione, dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), e
degli articoli 2, lettera a), 3,
lettere f) e l), 4, primo comma, e 12 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 4 (Statuto speciale per
1.1.– La ricorrente afferma che l’art.
9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce, tra l’altro, che «A
decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni dello Stato [...] possono
avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per
cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009. Per le
medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di
formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di
lavoro, nonché al lavoro accessorio [...], non può essere superiore al 50 per
cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009». La stessa
disposizione aggiunge che le riportate previsioni «costituiscono principi
generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano
le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale».
Ad avviso della ricorrente, tale disposizione, per quanto riguarda la specifica
posizione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, deve essere coordinata con l’art. 14, comma 24-bis, del medesimo decreto-legge n. 78
del 2010, ai sensi del quale il limite di spesa previsto dall’art. 9, comma 28,
può essere superato esclusivamente nel caso di proroga dei rapporti di lavoro a
tempo determinato stipulati dalle Regioni a statuto speciale, nonché dagli enti
territoriali facenti parte delle predette Regioni, «a valere sulle risorse
finanziarie aggiuntive appositamente reperite da queste ultime attraverso
apposite misure di riduzione e razionalizzazione della spesa», fatto salvo,
comunque, il rispetto dei vincoli ed obiettivi di contenimento della spesa
pubblica previsti dal patto di stabilità interno. Inoltre, sempre secondo il
comma 24-bis dell’art. 14, per
l’attuazione dei «processi assunzionali la Regione è
tenuta ad attingere prioritariamente ai lavoratori a tempo determinato».
1.1.1.– Ciò premesso, la ricorrente
sostiene, in via principale, che il combinato disposto degli artt. 9, comma 28,
e 14, comma 24-bis, del decreto-legge
n. 78 del 2010, contrasta con gli artt. 2, lettera a), e 4, primo comma, dello statuto della Regione, nonché con
l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Al riguardo la difesa regionale afferma
che, ai sensi dell’art. 2, lettera a),
dello statuto regionale speciale, la Regione Valle d’Aosta /Vallée d’Aoste gode di una
competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti
dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale».
Conseguentemente, nella relativa disciplina, la Regione valdostana non può
essere limitata dall’intervento del legislatore statale, essendo venuto meno
anche il limite del rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, dell’interesse nazionale e delle norme fondamentali di riforma
economico-sociale, in virtù della previsione di cui all’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001. Nella medesima materia, poi, in forza del parallelismo
posto dall’art. 4 dello statuto, la Regione esercita le rispettive funzioni
amministrative.
Ad avviso della ricorrente, le predette
attribuzioni statutarie sarebbero lese dal comma 28 dell’art. 9 del
decreto-legge n. 78 del 2010, perché, per effetto di tale disposizione, la
Regione e gli enti pubblici regionali non possono autonomamente determinarsi
circa il trattamento accessorio da destinare al personale, né possono – per la
parte eccedente il limite fissato con legge statale – assumere nuovo personale
o mantenere i rapporti contrattuali in essere, dovendo, altrimenti,
rideterminarne, in senso peggiorativo, il relativo trattamento economico.
Le impugnate disposizioni del
decreto-legge n. 78 del 2010 inciderebbero pertanto in maniera diretta su
aspetti concernenti lo «stato economico» del personale.
Inoltre, l’art. 14, comma 24-bis, del medesimo decreto-legge, nel
consentire alla Regione di superare il tetto massimo di spesa imposto dal comma
28 del precedente art. 9 solo nell’ipotesi della proroga di contratti a tempo
determinato, impone all’ente la scelta di uno specifico modello contrattuale e
lederebbe pertanto le attribuzioni regionali in materia di stato giuridico del
personale. Identica considerazione varrebbe per l’ultimo periodo dello stesso
art. 14, comma 24-bis, che, in
ipotesi di nuove assunzioni, obbliga le Regioni ad attingere prioritariamente
al personale a tempo determinato ovvero a motivare una diversa scelta del
personale da assumere. A quest’ultimo riguardo, la difesa regionale menziona
anche la sentenza
n. 95 del 2008 di questa Corte, secondo cui la regolamentazione delle
modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla materia
dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici
regionali che rientra nella competenza residuale delle Regioni.
1.1.2.– In subordine, la ricorrente
sostiene che il combinato disposto degli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010
sarebbe illegittimo anche ove si volesse invocare il titolo competenziale
rappresentato dalla materia del coordinamento della finanza pubblica. In
particolare, risulterebbero violati l’art. 3, lettera f), dello statuto di autonomia speciale e gli artt. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost., applicabili alla Regione ai sensi dell’art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Infatti le predette norme impugnate,
lungi dall’introdurre principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica, si risolvono nell’imposizione di misure analitiche e di dettaglio che
non lasciano alcun margine di intervento al legislatore regionale in ordine
alla scelta degli strumenti idonei a perseguire l’obiettivo del contenimento
della spesa pubblica.
Né l’indebita ingerenza nelle
attribuzioni regionali potrebbe ritenersi esclusa dalla previsione della deroga
introdotta dall’art. 14, comma 24-bis,
del decreto-legge n. 78 del 2010, che consente di superare il limite di spesa
del 50 per cento solamente in caso di proroga di contratti a tempo determinato
già in essere. Neppure tale deroga, infatti, permette alla Regione di rinnovare
contratti di tipo diverso da quelli a tempo determinato ovvero di procedere
all’assunzione di nuovo personale per un importo eccedente il 50 per cento
della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le medesime finalità.
Lo Stato, quindi, avrebbe esorbitato
dalla competenza concorrente prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost.,
limitando indebitamente l’autonomia finanziaria di spesa della Regione, nonché
quella dei Comuni situati nella Regione Valle d’Aosta, in relazione alla quale
la competenza spetta alla ricorrente ai sensi dell’art. 3, lettera f), dello statuto di autonomia speciale.
1.1.3.– La difesa regionale aggiunge che
il combinato disposto degli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010
lede anche l’autonomia finanziaria di entrata della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
costituzionalmente tutelata dagli artt. 3, lettera f), e 12 dello statuto regionale speciale, nonché dall’art. 119
Cost. e dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Infatti, il predetto art. 14, comma 24-bis, dispone che i contratti a tempo
determinato prorogati dalla Regione in virtù della deroga da esso prevista
gravino solo «sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite»
dalla Regione medesima «attraverso apposite misure di riduzione e
razionalizzazione della spesa certificate dagli organi di controllo interno».
In questa maniera, ad avviso della ricorrente, il legislatore statale,
esorbitando dalla sua competenza concorrente in materia di coordinamento della
finanza pubblica, avrebbe seccamente imposto alla Regione valdostana
l’istituzione di risorse aggiuntive, fissato le modalità di reperimento e
individuato la relativa destinazione, così violando ogni garanzia afferente
all’autonomia finanziaria di entrata della ricorrente.
1.1.4.– Ulteriori profili di
illegittimità costituzionale sono denunciati dalla ricorrente con riferimento
al fatto che l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede
espressamente che le disposizioni da esso dettate si applichino anche agli enti
del Servizio sanitario nazionale.
In particolare, sarebbe violato l’art.
3, lettera l), dello statuto di
autonomia speciale che attribuisce alla Regione la competenza legislativa in
materia di «igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica».
La difesa regionale ricorda, poi, che, a
seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, la
sanità risulta ripartita fra la materia di competenza regionale concorrente
della «tutela della salute» e quella dell’organizzazione sanitaria, in cui le
Regioni possono adottare una propria disciplina anche sostitutiva di quella statale.
Tale particolare forma di autonomia riconosciuta alle Regioni ad autonomia
ordinaria in materia di tutela della salute ed organizzazione sanitaria deve
applicarsi anche alla ricorrente in quanto più ampia rispetto a quella prevista
dallo statuto speciale. Conseguentemente, l’art. 9, comma 28, del decreto-legge
n. 78 del 2010 sarebbe costituzionalmente illegittimo anche in riferimento
all’art. 117, quarto comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001.
Inoltre, pur volendo ritenere che
l’organizzazione dei servizi sanitari non costituisca una materia di competenza
residuale regionale ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., bensì un
aspetto rientrante nella materia «tutela della salute» di competenza concorrente
ai sensi del terzo comma del medesimo art. 117, l’art. 9, comma 28, sarebbe
comunque illegittimo perché la disciplina in esso contenuta non costituisce un
principio fondamentale in tema di organizzazione, estendendosi anche ai profili
di dettaglio di quest’ultima.
2.– Con ricorso notificato il 28
settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 e iscritto al n.
102 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Liguria ha promosso, tra
l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 3, 28, 29 e
36, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 36, 39, 97,
117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione.
2.1.– Ad avviso della ricorrente, il
comma 3 del predetto art. 9 [a norma del quale «A decorrere dalla data di
entrata in vigore del presente provvedimento, nei confronti dei titolari di
incarichi di livello dirigenziale generale delle amministrazioni pubbliche,
come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del
comma 3, dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non si applicano le
disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro
favore, di una quota dell’importo derivante dall’espletamento di incarichi
aggiuntivi»], ponendo limiti rigidi ed autoapplicativi
a voci specifiche e minute di spesa, lederebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. e
l’autonomia finanziaria delle Regioni.
Inoltre, contrasterebbe con l’art. 39
Cost., perché incide sull’entità dei trattamenti economici determinata dai
contratti collettivi, violando la riserva di contrattazione collettiva in
materia di retribuzioni. Tale violazione si tradurrebbe, ad avviso della difesa
regionale, in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria regionale
tutelata dagli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., perché lo Stato, in questa
maniera, altera unilateralmente le scelte fatte dall’Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per conto delle
Regioni e pone limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale.
Inoltre, la norma in questione
violerebbe il principio di ragionevolezza e l’art. 36 Cost., perché riduce i
trattamenti fissati nei contratti collettivi, che si presumono essere quelli
proporzionati alla qualità e quantità del lavoro prestato, producendo
un’ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma contrattuale,
danneggiando i singoli lavoratori a fronte di una limitata incidenza sul totale
della manovra. Tali violazioni, poi, si rifletterebbero in lesione
dell’autonomia finanziaria ed organizzativa regionale, riguardando la gestione
del personale regionale e del bilancio.
2.2.– La ricorrente impugna, poi, l’art.
9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 assumendo che esso violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché, ponendo limiti rigidi a una specifica
voce di spesa, eccede dalla competenza statale concorrente in materia di
coordinamento della finanza pubblica. Inoltre la norma contrasterebbe con
l’art. 119 Cost., perché, concernendo una specifica voce di spesa e fissando
misure di dettaglio, lede l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni
e degli enti locali.
2.3.– L’art. 9, comma 29, del
decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce che «le società non quotate, inserite
nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall’ISTAT ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31
dicembre 2009, n. 196, controllate direttamente o indirettamente dalle
amministrazioni pubbliche, adeguano le loro politiche assunzionali
alle disposizioni previste nel presente articolo». La ricorrente sostiene che
tale norma, concernendo anche società pubbliche dell’ordinamento regionale,
lederebbe l’autonomia organizzativa e finanziaria della Regione e degli enti
locali, eccedendo dai limiti della potestà legislativa statale in materia di
coordinamento della finanza pubblica, poiché impone un limite rigido ad una
voce specifica di spesa.
2.4.– La Regione Liguria censura anche
l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che
«per gli enti di nuova istituzione non derivanti da processi di accorpamento o
fusione di precedenti organismi, limitatamente al quinquennio decorrente
dall’istituzione, le nuove assunzioni, previo esperimento delle procedure di
mobilità, fatte salve le maggiori facoltà assunzionali
eventualmente previste dalla legge istitutiva, possono essere effettuate nel
limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e
continuativo e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione
organica» e che, a tal fine, «gli enti predispongono piani annuali di
assunzioni da sottoporre all’approvazione da parte dell’amministrazione
vigilante d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero
dell’economia e delle finanze».
La ricorrente sostiene che la norma, ove
fosse da intendere come rivolta anche al sistema regionale, sarebbe illegittima
per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 della
Costituzione.
Essa, infatti, ponendo un limite alle
assunzioni degli enti pararegionali e paracomunali, non detta un principio di
coordinamento della finanza pubblica, ma un precetto dettagliato lesivo
dell’autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali.
Inoltre, il limite sarebbe irragionevole
e pregiudicherebbe il buon andamento della pubblica amministrazione, perché
costringe gli enti a restare per diversi anni «sotto-organico» e pone un limite
percentuale alle spese per il personale fissato in modo rigido ed
indiscriminato, a prescindere da quali possano essere le altre necessità di
spesa degli enti pubblici. Tale violazione degli artt. 3 e 97 Cost. si
rifletterebbe, poi, in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria della
Regione e degli enti locali, nella cui sfera rientrano le politiche assunzionali.
3.– Con ricorso notificato il 28
settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010, e iscritto al n. 103 del registro ricorsi
dell’anno 2010, la Regione Umbria ha promosso, tra l’altro, questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del
2010, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.
La ricorrente svolge, al riguardo, i
medesimi argomenti dedotti nel ricorso della Regione Liguria e riportati sub n. 2.2.
4.– Con ricorso notificato il 28 settembre
2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 e iscritto al n. 106 del
registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Emilia-Romagna ha promosso, tra
l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 28, del
decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119
della Costituzione.
La ricorrente formula le medesime
censure contenute nel ricorso proposto dalla Regione Liguria e riportate sub n. 2.2.
5.– Con ricorso notificato il 28
settembre 2010, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2010 e iscritto al n.
107 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Puglia ha promosso, tra
l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 28, 29, 31
e 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 117, secondo,
terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione.
5.1.– La ricorrente sostiene, in
particolare, che l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010
violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., perché prevede limiti
puntuali a specifiche voci di spesa.
5.2.– Quanto all’art. 9, comma 29, del
d.lgs. n. 78 del 2010, ad avviso della difesa regionale esso, nella parte in
cui si applica a società controllate da enti territoriali diversi dallo Stato,
eccederebbe dalla competenza statale prevista dall’art. 117, secondo comma,
lettera g), Cost., e invaderebbe
quella regionale residuale stabilita dal quarto comma dello stesso art. 117.
La medesima norma sarebbe illegittima,
poi, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., perché imponendo
vincoli puntuali di spesa ad enti differenti rispetto a quelli nei confronti
dei quali lo Stato dispone della competenza legislativa, esorbiterebbe dai
limiti posti dall’art. 117, terzo comma, Cost., a tutela dell’autonomia
finanziaria regionale garantita dall’art. 119 della Costituzione.
5.3.– Con riferimento all’art. 9, comma
31, del decreto-legge n. 78 del 2010, la Regione Puglia premette che tale norma
prevede che i trattenimenti in servizio del personale delle pubbliche
amministrazioni possono avvenire esclusivamente entro i limiti delle facoltà assunzionali consentiti in base alle cessazioni del
personale, con conseguente proporzionale riduzione delle risorse destinabili
alle nuove assunzioni per un importo pari al trattamento retributivo derivante
dai trattenimenti in servizio.
Ad avviso della difesa regionale, tale
disposizione, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, è illegittima
per violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., poiché, regolando la
possibilità di effettuare il trattenimento in servizio anche del personale
delle amministrazioni regionali e locali, invade la competenza legislativa
residuale regionale nella materia della «organizzazione amministrativa delle
Regioni e degli enti locali». Che si tratti di una normativa destinata ad
intervenire in tale materia, peraltro, sarebbe confermato – secondo la
ricorrente – dal fatto che essa risulta espressamente dettata «al fine di
agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche
amministrazioni».
La Regione Puglia aggiunge che, ove non
si ritenesse che l’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010
appartenga alla materia della «organizzazione amministrativa», la sua
legittimità dovrebbe essere necessariamente valutata sulla base delle
disposizioni costituzionali che prevedono la competenza dello Stato a dettare i
«principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica» e che regolano
l’autonomia finanziaria regionale. Ed allora, posto che la norma in esame
prevede un limite puntuale concernente una specifica voce di spesa, ossia
quella dei trattenimenti in servizio, essa non potrebbe essere qualificata come
principio fondamentale della materia del «coordinamento della finanza pubblica»,
con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della
Costituzione.
5.4.– La ricorrente sostiene, poi, che
l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui si
applica anche alle Regioni, violerebbe gli artt. 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, 118, primo e
secondo comma, e 119, della Costituzione.
5.4.1.– Sussisterebbe, innanzi tutto,
contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), e quarto comma, della Costituzione. Infatti, la prima delle due
disposizioni costituzionali citate attribuisce allo Stato la competenza
esclusiva in relazione alla materia dell’ordinamento e dell’organizzazione
amministrativa degli enti pubblici nazionali; pertanto se lo Stato
disciplinasse anche l’organizzazione amministrativa di enti pubblici diversi da
quelli statali, verrebbe ad invadere la competenza legislativa residuale che,
in virtù dell’art. 117, quarto comma, Cost., spetta alle Regioni nella materia
dell’organizzazione amministrativa degli enti pubblici regionali e locali.
5.4.2.– L’art. 9, comma 36, del
decreto-legge n. 78 del 2010, limitando le nuove assunzioni al 50 per cento
delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e,
comunque al 60 per cento della dotazione organica, lederebbe anche gli artt.
117, terzo comma, e 119 Cost., poiché la norma impone un vincolo di spesa
puntuale, il quale non può essere legittimato dalla competenza statale a porre
i «principi fondamentali» nella materia del «coordinamento della finanza
pubblica».
5.4.3.– La Regione Puglia aggiunge che
la norma censurata, nella parte in cui prevede che gli enti predispongano
«piani annuali di assunzioni da sottoporre all’approvazione da parte
dell’amministrazione vigilante d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica
ed il Ministero dell’economia e delle finanze», contrasterebbe anche con l’art.
118, primo e secondo comma, Cost., perché alloca una funzione amministrativa
(l’approvazione dei piani di assunzione) in capo al Dipartimento della funzione
pubblica ed al Ministro dell’economia e delle finanze, nell’ambito di una
materia diversa da quelle contemplate dall’art. 117, secondo comma, Cost.;
infatti, nella parte in cui l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del
2010 è rivolto anche agli enti pubblici non statali, esso è ascrivibile al
quarto comma dell’art. 117 Cost. e l’art. 118, secondo comma, Cost., prevede
che ad allocare le funzioni amministrative sia il legislatore competente in
base al precedente art. 117.
Il primo comma dell’art. 118 Cost., invece,
sarebbe leso perché – a prescindere dalla questione concernente la titolarità
della competenza legislativa ad allocare la funzione – la norma impugnata ha
attribuito quest’ultima ad organi statali senza che ciò sia giustificato dal
principio di sussidiarietà, e in particolare dalla inadeguatezza del livello
regionale di governo. Infatti, posto che il fine della normativa in questione è
quello di concorrere al contenimento della spesa pubblica, il controllo del
rispetto dei criteri di coordinamento della finanza pubblica da parte degli
enti pubblici non statali può efficacemente essere svolto dagli organi inseriti
nel circuito regionale dell’indirizzo politico.
6.– In tutti i giudizi si è costituito
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi.
6.1.– Preliminarmente la difesa dello
Stato eccepisce la tardività dei ricorsi proposti contro norme già contenute
nel decreto-legge n. 78 del 2010, non modificate in sede di conversione e,
quindi, in ipotesi immediatamente lesive.
6.2.– Nel merito, il Presidente del
Consiglio dei ministri afferma che il predetto decreto-legge è stato adottato
nel pieno di una grave crisi economica internazionale, al fine di assicurare la
stabilità finanziaria del Paese nella sua interezza. Le disposizioni in esso
contenute, pertanto, devono essere esaminate nel loro complesso, poiché ognuna
sorregge le altre al fine di raggiungere le finalità di stabilizzazione e di
rilancio economico. Si tratterebbe, in particolare, di interventi normativi
tutti rientranti nella competenza statale del coordinamento della finanza
pubblica e che trovano fondamento nei principi fondamentali della solidarietà
politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), dell’uguaglianza economica e
sociale (art. 3, secondo comma, Cost.), dell’unitarietà della Repubblica (art.
5 Cost.) e della responsabilità internazionale dello Stato (art. 10 Cost.),
nonché in quelli correlati del concorso di tutti alle spese pubbliche (art. 53
Cost.), della pari dignità (art. 114 Cost.), del fondo perequativo (art. 119
Cost.), della tutela dell’unità giuridica ed economica (art. 120 Cost.) e degli
altri doveri espressi dagli artt. da 41 a 47, 52 e 54 della Costituzione.
6.2.1.– Nel giudizio promosso dalla
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste l’Avvocatura generale dello Stato deduce che, poiché
le norme impugnate sono dirette a consolidare il patto di stabilità esterno ed
interno, esse si applicano anche agli enti ad autonomia speciale, perché pure
su questi grava il dovere di conseguire gli obiettivi di finanza pubblica,
condizionati anche dagli obblighi comunitari.
6.3.– Con specifico riferimento alle
censure rivolte alle disposizioni contenute nell’art. 9 del decreto-legge n. 78
del 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che esse concernono
la spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, vale a dire uno
degli aggregati di spesa più consistenti e di rilevanza strategica i fini
dell’attuazione del piano di stabilità interno, con conseguente sottrazione di
tali disposizioni da ogni censura di interesse regionale, anche perché si
tratta di norme non permanenti, ma transitorie.
L’art. 9, comma 28, del decreto-legge n.
78 del 2010 conterrebbe, poi, una disposizione di principio, cui le Regioni
debbono adeguarsi.
Inoltre l’Avvocatura generale dello
Stato ricorda che, con la sentenza n. 151 del
2010, questa Corte ha stabilito che la disciplina del rapporto di pubblico
impiego è riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, riservata alla
competenza esclusiva statale.
6.4.– Con riferimento alla censura
rivolta all’art. 14, comma 24-bis,
del decreto-legge n. 78 del 2010 dalla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, il
Presidente del Consiglio dei ministri, oltre a richiamare quanto dedotto
rispetto all’art. 9, sostiene che tale norma detta disposizioni specifiche per
le Regioni ad autonomia speciale che non violano lo statuto regionale neppure
nell’ultimo periodo, ponendo un principio di riforma economico-sociale a favore
dei lavoratori precari.
7.– Le parti hanno depositato memorie.
7.1.– La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha chiesto in
via preliminare che la Corte dichiari l’inapplicabilità ad essa delle norme
oggetto della sua impugnazione, in virtù del disposto dell’art. 1, comma 132,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), a norma
del quale «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale,
escluse la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di
Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il
Ministro dell’economia e delle finanze il livello complessivo delle spese
correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, in considerazione
del rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131». La
Regione sostiene che, poiché in data 11 novembre 2010 essa ha già raggiunto
l’accordo con il Ministero per la semplificazione normativa relativamente
all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento
dell’Unione europea e dalle altre misure di coordinamento della finanza
pubblica stabilite dalla normativa statale, previsto dall’art. 1, comma 160,
della legge n. 220 del 2010, la disciplina contenuta nel decreto-legge n. 78
del 2010 è ad essa inapplicabile.
In via subordinata, la Regione eccepisce
che le norme da essa impugnate sarebbero incostituzionali anche per violazione
del principio di leale collaborazione.
7.2.– Le Regioni Liguria, Umbria ed
Emilia-Romagna deducono l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità
sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la possibilità di
impugnare disposizioni contenute in un decreto-legge anche dopo la sua
conversione in legge.
Le ricorrenti contestano che si possano
ritenere legittime le disposizioni impugnate invocando la situazione di
emergenza economica, la quale non consentirebbe comunque l’emanazione di norme
che nel contenuto si discostino dalle regole costituzionali.
Con riferimento specifico alle
disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di
impugnazione, le Regioni affermano che esse non attengono alla spesa
complessiva per il personale pubblico, ma a singole voci componenti di quella
spesa. Inoltre si tratta di norme autoapplicative che
non lasciano alcun margine di scelta
alle Regioni. Alcune di esse, poi, non hanno neppure natura transitoria.
7.2.1.– In memorie successivamente
depositate, le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna sostengono che l’art.
9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 è stato modificato dall’art. 4,
comma 102, lettera a), della legge 12
novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2012), il quale ha aggiunto le
camere di commercio agli enti soggetti al limite relativi alle assunzioni e gli
enti locali ai soggetti per i quali le disposizioni del predetto comma 28
costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza
pubblica. Tuttavia simili modificazioni, ad avviso delle ricorrenti, non fanno
venir meno la materia del contendere in relazione alla censura fondata
sull’applicazione dell’art. 9 agli enti locali, considerato che la norma
modificata ha avuto già applicazione.
Le ricorrenti menzionano, poi, le
sentenze di questa Corte n. 182 e n. 232 del 2011,
sottolineando che la prima ha ribadito i limiti del potere statale in materia
di coordinamento della finanza pubblica, mentre la seconda ha escluso che una
disposizione contenuta nel d.l. n. 78 del 2010 (e, precisamente, l’art. 43)
potesse qualificarsi come principio fondamentale di coordinamento della finanza
pubblica.
7.3.– La Regione Puglia deduce
preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione di tardività sollevata
dall’Avvocatura generale dello Stato.
Nega, poi, che situazioni di emergenza
economica abilitino lo Stato a legiferare eccedendo dai limiti previsti dalla
Costituzione alla sua competenza legislativa.
La difesa regionale richiama la
giurisprudenza costituzionale in tema di coordinamento della finanza pubblica
e, con specifico riferimento alle disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n.
78 del 2010 oggetto di impugnativa, contesta che esse possano essere qualificate
come principi fondamentali in quella materia, anche per il loro carattere autoapplicativo.
Riguardo all’art. 9, comma 31, del d.l.
n. 78 del 2010, la Regione Puglia contesta la fondatezza dell’argomentazione di
controparte, secondo cui la norma non avrebbe natura innovativa e, con
riferimento al comma 36 dello stesso art. 9, prende atto che l’Avvocatura
generale dello Stato sostiene che la norma non si applica alle Regioni; la
ricorrente, pertanto, conferma che la sua autonomia costituzionale sarebbe adeguatamente
salvaguardata anche da una pronuncia di rigetto fondata su una simile
interpretazione della disposizione censurata.
La difesa regionale contesta, infine,
che le disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di
impugnazione possano essere ricondotte alla materia dell’ordinamento civile,
poiché esse non attengono alla disciplina degli istituti contrattuali del
rapporto di impiego pubblico.
7.4.– Anche il Presidente del Consiglio
dei ministri ha depositato memorie nelle quali ha ribadito argomentazioni già
svolte in sede di costituzione in giudizio.
In particolare, l’Avvocatura generale
dello Stato ha riaffermato che le previsioni contenute nell’art. 9 del
decreto-legge n. 78 del 2010 soddisfano i requisiti richiesti dalla giurisprudenza
di questa Corte affinché le norme statali che impongono limiti alla spesa di
Regioni ed enti locali possano qualificarsi come principi fondamentali in
materia di coordinamento della finanza pubblica. Infatti, esse pongono
solamente obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (intesi anche nel
senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della
spesa corrente), senza prevedere strumenti o modalità per il loro
perseguimento. Quanto all’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010,
la difesa dello Stato sostiene che esso, riferendosi agli enti di nuova
istituzione, non si applica alle Regioni.
Il Presidente del Consiglio dei
ministri, con riferimento all’art. 9, commi 3, 28, 29, 31 e 36 del
decreto-legge n. 78 del 2010 sostiene che trattasi di disposizioni di principio
e, pertanto, legittimamente emanate dallo Stato nell’esercizio della propria
competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica. Il
comma 28, inoltre, è riconducibile anche alla materia dell’ordinamento civile.
Quanto all’art. 14, comma 24-bis, la difesa dello Stato sostiene che,
trattandosi di disposizione che contiene una deroga, a favore delle Regioni ad autonomia
speciale, del limite imposto dall’art. 9, comma 28, essa è una norma di favore
per i predetti enti. Per quel che concerne, poi, l’ultimo periodo (che
prescrive che le Regioni, per l’attuazione dei processi assunzionali
previsti dalla normativa vigente, debbano prioritariamente attingere ai lavoratori a tempo determinato),
il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che si tratta di una norma di
principio ispirata a criteri solidaristici, diretta ad assicurare la stabilità
occupazionale e ad evitare un aumento insostenibile dell’impiego pubblico a
tutela del patto di stabilità.
Considerato
in diritto
1.– Con distinti ricorsi, la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e le
Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna
e Puglia hanno promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale
degli articoli 9, commi 3, 28, 29, 31 e 36, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 30 luglio
2010, n. 122, in riferimento – nel complesso – agli articoli 3, 36, 39, 97,
117, secondo comma, lettera g), terzo
e quarto comma, 118, primo comma, e 119 della Costituzione, dell’art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte
seconda della Costituzione), degli articoli 2, lettera a), 3, lettere f) e l), 4, primo comma, e 12 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per
2.– In particolare, la Regione Liguria
ha censurato l’art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale
stabilisce che nei confronti dei titolari di incarichi di livello dirigenziale
generale delle amministrazioni pubbliche non si applicano le disposizioni
normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro favore, di
una quota dell’importo derivante dall’espletamento di incarichi aggiuntivi.
Ad avviso della ricorrente, tale norma
vìola sia l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, perché, ponendo limiti
rigidi a una specifica voce di spesa, eccede dalla competenza statale
concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, sia l’art. 119
della Costituzione, poiché, concernendo una specifica voce di spesa e fissando
con precisione la misura del taglio, lede l’autonomia organizzativa e
finanziaria delle Regioni e degli enti locali.
La Regione Liguria afferma che sono
violati anche il principio di ragionevolezza e gli artt. 36 e 39 Cost., perché,
riducendo i trattamenti fissati nei contratti collettivi, la norma impugnata
produce un’ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma
contrattuale e vìola la riserva di contrattazione collettiva in materia di
retribuzioni, alterando le scelte compiute dall’Agenzia per la rappresentanza
nazionale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per conto delle Regioni e
ponendo limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale.
3.– Tutte le ricorrenti propongono
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 28, del
decreto-legge n. 78 del 2010, il quale, con disposizioni espressamente
qualificate come principi generali di coordinamento della finanza pubblica,
impone, a partire dal 2011, vincoli alla possibilità per le pubbliche
amministrazioni statali di ricorrere alle assunzioni a tempo determinato e alla
stipula di convenzioni e contratti di collaborazione coordinata e continuativa,
nonché restrizioni alla spesa per i contratti di formazione-lavoro, gli altri
rapporti formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro accessorio.
Le ricorrenti impugnano tali
disposizioni per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.,
sostenendo che esse eccedono dalla competenza legislativa statale concorrente,
perché pongono limiti ad una specifica voce di spesa e fissano misure di
dettaglio.
La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste lamenta anche
la violazione dell’art. 3, lettera l),
dello statuto di autonomia speciale, perché, nella parte in cui si riferisce
anche agli enti del servizio sanitario nazionale, l’art. 9, comma 28, del
decreto-legge n. 78 del 2010 lede la competenza regionale in materia di «igiene
e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica», nonché dell’art. 117, quarto
comma, Cost., che attribuisce alle Regioni una competenza esclusiva in materia
di organizzazione sanitaria.
La stessa Regione impugna la predetta
norma statale anche in combinato disposto con il successivo art. 14, comma 24-bis, il quale stabilisce che il limite
di spesa previsto dall’art. 9, comma 28, può essere superato esclusivamente nel
caso di proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle
Regioni a statuto speciale, nonché dagli enti territoriali facenti parte delle
predette Regioni, «a valere sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente
reperite da queste ultime attraverso apposite misure di riduzione e
razionalizzazione della spesa», fatto salvo, comunque, il rispetto dei vincoli
e degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica previsti dal patto di
stabilità interno, e che per l’attuazione dei «processi assunzionali
la regione è tenuta ad attingere prioritariamente ai lavoratori a tempo
determinato».
Ad avviso della difesa regionale, in
questa maniera sarebbero lesi gli artt. 2, lettera a), e 4, primo comma, dello statuto speciale e l’art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001, che attribuiscono alla Regione la
competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti
dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale».
Sussisterebbe, poi, contrasto con l’art. 3, lettera f), dello statuto e con gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo
comma, Cost., poiché le norme impugnate si risolvono nell’imposizione di misure
analitiche e di dettaglio che non lasciano alcun margine di intervento al
legislatore regionale. Infine sarebbero violati gli artt. 3, lettera f), e 12 dello statuto, l’art. 119
Cost., e l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, poiché il legislatore
statale, esorbitando dalla sua competenza concorrente in materia di
coordinamento della finanza pubblica, ha imposto alla Regione valdostana
l’istituzione di risorse aggiuntive, fissato le modalità del loro reperimento e
individuato la relativa destinazione, così violando l’autonomia finanziaria di
entrata della Regione medesima.
4.– É impugnato anche l’art. 9, comma
29, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che le società
inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione,
controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche,
«adeguano le loro politiche assunzionali alle
disposizioni previste nel presente articolo».
Le Regioni Liguria e Puglia lamentano il
contrasto di tale norma con gli artt. 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, e 119 Cost.,
denunciando la lesione della competenza regionale residuale in tema di società
partecipate dalle Regioni e dagli enti locali e la compressione dell’autonomia
finanziaria delle Regioni, stante il carattere dettagliato della disposizione.
5.– La Regione Puglia impugna anche
l’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che i
trattenimenti in servizio del personale delle pubbliche amministrazioni possono
avvenire esclusivamente entro i limiti delle facoltà di assunzione consentiti
in base alle cessazioni del personale. La ricorrente lamenta la violazione
degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., denunciando la lesione
della propria competenza residuale in materia di ordinamento degli uffici
regionali e degli enti locali ed eccepisce che, se si volesse ricondurre la
norma nell’àmbito del coordinamento della finanza pubblica, essa sarebbe
comunque illegittima in considerazione della sua natura di vincolo puntuale
alla spesa.
6.– Le Regioni Liguria e Puglia
impugnano, infine, l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, il
quale impone un vincolo alle facoltà di assunzione degli enti pubblici di nuova
istituzione, stabilendo che questi possono procedere ad assunzioni «nel limite
del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo
e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione organica». La norma,
inoltre, prevede che gli enti predispongano piani annuali di assunzioni che
debbono essere approvati dall’amministrazione vigilante d’intesa con il
Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell’economia e delle
finanze.
Le ricorrenti, denunciando il contrasto
di tale norma con gli artt. 3, 97, 117 e 119 Cost., lamentano che lo Stato ha
ecceduto dalla propria competenza legislativa, sia perché si tratta di norma
attinente all’organizzazione di enti non statali (riservata alla competenza
residuale regionale), sia perché il carattere dettagliato della disposizione ne
impedisce la qualificazione come principio fondamentale in materia di
coordinamento della finanza pubblica. Esse denunciano altresì la violazione
dell’art. 118 Cost., poiché la norma censurata attribuisce ad organi statali la
funzione dell’approvazione dei piani assunzionali,
senza che ciò sia giustificato dall’inadeguatezza del livello regionale di
governo e in una materia diversa da quelle previste dall’art. 117, secondo
comma, della Costituzione.
7.– Riservata a diverse pronunce la
decisione sulle altre questioni promosse dalle ricorrenti, i ricorsi debbono
essere riuniti per essere decisi con la stessa sentenza.
8.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri preliminarmente eccepisce la tardività dei ricorsi perché proposti
contro norme già contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, non modificate in
sede di conversione e, quindi, in ipotesi immediatamente lesive, onde esse
avrebbero dovuto essere impugnate con ricorsi proposti entro 60 giorni
dall’emanazione del decreto-legge e non, come avvenuto nella fattispecie, dopo
la conversione in legge.
L’eccezione non è fondata.
Questa Corte, infatti, ha ripetutamente
affermato l’ammissibilità di questioni concernenti disposizioni contenute in un
decreto-legge proposte solamente successivamente alla conversione in legge (tra
le tante, sentenza
n. 383 del 2005).
9.– In ordine alle questioni promosse
dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste contro gli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010
deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
In effetti, la ricorrente, nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza pubblica dell’8 maggio 2011, ha affermato
che, a séguito della sopravvenuta entrata in vigore della legge 13 dicembre
2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge di stabilità 2011), il suo concorso agli obiettivi di
finanza pubblica ha luogo, ormai, con misure da definire mediante accordi con
lo Stato. Si tratta, precisamente, dell’accordo con il Ministro dell’economia e
delle finanze previsto dall’art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010 e di
quello con il Ministro per la semplificazione normativa, ai sensi dell’art. 1,
commi 160 e seguenti della stessa legge n. 220 del 2010. Alla luce di tale normativa,
la Regione ricorrente sostiene che le disposizioni impugnate non sono ad essa
applicabili, perché introducono misure volte ad assicurare il proprio concorso
agli obiettivi di finanza pubblica senza che esse siano state pattuite mediante
i menzionati accordi.
La ricorrente ha prodotto in giudizio
una copia dell’accordo concluso in data 11 novembre 2010 con il Ministro per la
semplificazione, con la denominazione «Accordo tra lo Stato e la Regione
autonoma Valle d’Aosta per il coordinamento della finanza pubblica nell’ambito
del processo di attuazione del federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119
della Costituzione». Tale accordo non è stato concluso nel rispetto di quanto
previsto dai commi 160 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010
(entrata in vigore il 1° gennaio 2011), ma in dichiarata applicazione della
legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), al fine di
«modificare l’ordinamento finanziario della Regione e di definire specifiche
norme di coordinamento finanziario». In attuazione di tale accordo – il quale
prevede che gli obiettivi finanziari in esso pattuiti «sono approvati con legge
ordinaria dello Stato […]» – è poi effettivamente intervenuta la citata legge
n. 220 del 2010, la quale, al comma 160 del suo art. 1, stabilisce che: «Ai
sensi del combinato disposto dell’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42,
e dell’articolo 50 dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, di cui alla
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, e successive modificazioni, la
regione Valle d’Aosta concorre […] all’assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di
coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale,
attraverso le misure previste nell’accordo sottoscritto tra il Ministro per la
semplificazione normativa e il presidente della regione Valle d’Aosta: a) con
la progressiva riduzione della somma sostitutiva dell’imposta sul valore
aggiunto all’importazione a decorrere dall’anno 2011 fino alla soppressione
della medesima dall’anno 2017; b) con il concorso finanziario ulteriore al
riequilibrio della finanza pubblica, mediante l’assunzione di oneri relativi all’esercizio
di funzioni statali, relative ai servizi ferroviari di interesse locale; c) con
la rimodulazione delle entrate spettanti alla regione Valle d’Aosta».
Dalla conclusione di quest’ultimo accordo
e dalla successiva approvazione dei suoi obiettivi finanziari ad opera della
citata legge n. 220 del 2010 – atti entrambi sopravvenuti al decreto-legge n.
78 del 2010 recante la disposizione impugnata – consegue che il concorso della
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste all’assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di
coordinamento della finanza pubblica fissate dalla normativa statale è rimesso,
per le annualità successive al 2010, alle misure previste nell’accordo stesso e
nella legge che lo recepisce. Pertanto, gli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010
(che dispongono esclusivamente per gli anni successivi al 2010) sono
applicabili a detta Regione solo, eventualmente, attraverso le misure fissate
nell’accordo e approvate con legge ordinaria dello Stato. Essi, dunque, non
trovando diretta applicazione nei confronti di tale Regione autonoma, non
possono violarne l’autonomia legislativa e finanziaria, con conseguente
cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni promosse dalla
ricorrente.
10.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse
dalla Regione Liguria sono in parte inammissibili e in parte non fondate.
10.1.– La norma impugnata stabilisce che
nei confronti dei titolari di incarichi di livello dirigenziale generale delle
amministrazioni pubbliche non si applicano le disposizioni normative e
contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro favore, di una quota
dell’importo derivante dall’espletamento di incarichi aggiuntivi.
10.2.– Le questioni promosse in
riferimento al principio di ragionevolezza e all’art. 36 Cost. sono
inammissibili.
Ad avviso della ricorrente, la norma
impugnata, riducendo i trattamenti fissati nei contratti collettivi, che si
presumono essere quelli proporzionati alla qualità e quantità del lavoro
prestato, determinerebbe una ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma
contrattuale e tale violazione si rifletterebbe in lesione dell’autonomia
finanziaria ed organizzativa regionale, riguardando la gestione del personale
regionale e del bilancio.
La censura è inammissibile, risolvendosi
nella evocazione di parametri non attinenti al riparto di competenza
legislativa tra Stato e Regioni. Né sussiste il preteso collegamento con
l’autonomia finanziaria ed organizzativa delle Regioni, non potendosi affermare
che una norma statale che abbia incidenza sulla disciplina del rapporto di
lavoro dei dipendenti pubblici costituisca di per sé una compromissione delle
prerogative regionali.
10.3.– Le questioni promosse in
riferimento all’art. 117, terzo comma, e 119, Cost., non sono fondate.
La Regione Liguria denuncia la natura autoapplicativa ed il carattere di dettaglio della norma
censurata, insuscettibile di essere considerata come principio fondamentale,
con conseguente lesione dell’autonomia finanziaria ed organizzativa delle
Regioni.
In realtà, nella parte in cui la disposizione
si applica al personale dirigenziale regionale e provinciale (i cui rapporti di
impiego sono tutti contrattualizzati), essa è riconducibile nella materia
dell’ordinamento civile.
Infatti l’art. 9, comma 3, del
decreto-legge n. 78 del 2010 non fa altro che rafforzare il principio già
affermato dall’art. 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), a norma del quale il trattamento economico corrisposto ai dirigenti
pubblici «remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in
base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi
conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione
presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti
dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e
confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della
dirigenza».
Si tratta di disciplina diretta a
conformare due degli istituti del rapporto di lavoro che lega i dirigenti alle
pubbliche amministrazioni di appartenenza quali sono il trattamento economico e
soprattutto il regime di esclusività. L’art. 9, comma 3, del decreto-legge n.
78 del 2010, dunque, attiene direttamente ai diritti e agli obblighi gravanti
sulle parti del contratto di lavoro pubblico, stabilendo, in sostanza, che il
trattamento economico erogato al dirigente dall’amministrazione di appartenenza
remunera tutta l’attività da lui svolta, anche quella connessa con lo
svolgimento di incarichi aggiuntivi che, seppure non vietata in assoluto, non
può dar luogo alla corresponsione, a favore del dirigente medesimo, di
emolumenti che si aggiungano a quel trattamento economico.
10.4.– Ad avviso della ricorrente
sarebbe leso anche l’art. 39 Cost., perché la norma statale impugnata,
incidendo sull’entità dei trattamenti economici determinata dai contratti
collettivi, violerebbe la riserva di contrattazione in materia di retribuzioni e
tale violazione si tradurrebbe in lesione dell’autonomia organizzativa e
finanziaria regionale, perché lo Stato avrebbe alterato unilateralmente le
scelte fatte dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN) per conto delle Regioni e posto limiti puntuali a
specifiche voci di spesa regionale.
La questione non è fondata.
La norma censurata integra la disciplina
dell’istituto delle incompatibilità e degli incarichi aggiuntivi dei dirigenti
pubblici e, dunque, non attiene a materia oggetto di contrattazione collettiva.
Il compenso spettante al dirigente per gli incarichi aggiuntivi esula
dall’attività svolta in esecuzione del contratto di impiego che lo lega
all’ente pubblico. Si tratta, cioè, di un àmbito diverso da quello in cui
vengono in rilevanza le scelte compiute dall’ARAN per conto delle Regioni.
11.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010,
promosse dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia in riferimento
agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., non sono fondate.
La norma statale impugnata, con
disposizione espressamente qualificata come principio generale di coordinamento
della finanza pubblica, al quale devono adeguarsi le Regioni, le Province autonome,
e gli enti del Servizio sanitario nazionale, impone, a partire dal 2011, limiti
alla possibilità per le pubbliche amministrazioni statali di ricorrere alle
assunzioni a tempo determinato e alla stipula di convenzioni e contratti di
collaborazione coordinata e continuativa (il limite è quello del 50 per cento
della spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009); nonché limiti alla
spesa sostenibile dalle stesse amministrazioni per i contratti di
formazione-lavoro, gli altri rapporti formativi, la somministrazione di lavoro
e il lavoro accessorio (anche qui il limite è pari al 50 per cento della
corrispondente spesa sostenuta nel 2009).
Successivamente alla proposizione dei
ricorsi, l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 è stato modificato
dall’art. 4, comma 102, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di
stabilità 2012). In particolare, il legislatore ha integrato l’elenco delle
amministrazioni soggette al limite previsto dalla norma impugnata, inserendovi
espressamente le Camere di commercio e gli enti locali. Tale modifica non
altera i termini della questione così come risultanti dai ricorsi in esame,
poiché l’intervento del 2011 non tocca gli aspetti della norma oggetto di
doglianza da parte delle ricorrenti. Si aggiunga che, in base all’art. 36 della
legge n. 183 del 2011, le descritte modifiche della norma impugnata hanno
effetto dal 1° gennaio 2012, onde il testo originario dell’art. 9, comma 28, del
decreto-legge n. 78 del 2010 ha comunque avuto vigore per tutto il 2011.
Orbene, le doglianze formulate dalle
ricorrenti non sono fondate, perché la norma oggetto della presente questione è
stata legittimamente emanata dallo Stato nell’esercizio della sua competenza
concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. Essa, infatti,
pone un obiettivo generale di contenimento della spesa relativa ad un vasto
settore del personale e, precisamente, a quello costituito da quanti
collaborano con le pubbliche amministrazioni in virtù di contratti diversi dal
rapporto di impiego a tempo indeterminato. L’art. 9, comma 28, censurato,
d’altronde, lascia alle singole amministrazioni la scelta circa le misure da
adottare con riferimento ad ognuna delle categorie di rapporti di lavoro da
esso previste. Ciascun ente pubblico può determinare se e quanto ridurre la
spesa relativa a ogni singola tipologia contrattuale, ferma restando la
necessità di osservare il limite della riduzione del 50 per cento della spesa
complessiva rispetto a quella sostenuta nel 2009.
12.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 29, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse
dalle Regioni Liguria e Puglia in riferimento agli artt. 117, secondo comma,
lettera g), terzo e quarto comma, e
119 Cost., non sono fondate.
La norma censurata estende anche a
soggetti di diritto privato (quali sono le società partecipate dalle pubbliche
amministrazioni), le disposizioni in tema di assunzioni.
Questa Corte ha già affermato che le
disposizioni in tema di «regime giuridico» delle società partecipate dalle
pubbliche amministrazioni debbono essere ricondotte alla materia
dell’ordinamento civile tutte le volte in cui esse non attengano alle forme di
svolgimento di attività amministrativa (sentenza n. 326 del
2008). Anche la norma, oggetto della presente questione, riguarda la
disciplina delle assunzioni valevole per i soggetti di diritto privato di cui
si tratta ed è estranea ai profili strettamente connessi con lo svolgimento di
attività amministrativa. Essa, pertanto, dev’essere ricondotta alla normativa
in tema di ordinamento di queste società di capitali, oggetto, in generale, di
norme di diritto privato.
Da ciò consegue l’infondatezza delle
censure sollevate dalle ricorrenti, per avere lo Stato emanato la norma
nell’esercizio della competenza legislativa attribuitagli dall’art. 117,
secondo comma, lettera l), della
Costituzione.
13.– Neppure le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse
dalla Regione Puglia in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119
Cost., sono fondate.
La norma impugnata introduce un limite
all’esercizio della facoltà delle pubbliche amministrazioni di accogliere le
istanze di trattenimento in servizio per un biennio oltre il raggiungimento
dell’età pensionabile proposte dai dipendenti ai sensi dell’art. 72 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133. Essa, in
particolare, stabilisce che i trattenimenti in servizio possono avvenire
esclusivamente entro i limiti delle facoltà di assunzione consentiti in base
alle cessazioni del personale, con conseguente proporzionale riduzione delle
risorse destinabili alle nuove assunzioni per un importo pari al trattamento
retributivo derivante dai trattenimenti in servizio.
La disposizione, dunque, equipara, ai
fini dell’applicazione dei limiti alle assunzioni imposti alle pubbliche
amministrazioni da altre norme, i trattenimenti in servizio alle assunzioni di
nuovo personale. Ciò, evidentemente, sulla base della constatazione del fatto
che, sul piano dei conseguenti oneri finanziari a carico dell’ente pubblico, il
trattenimento in servizio produce effetti analoghi a quelli dell’assunzione. La
norma censurata, dunque, non fa altro che integrare la generale disciplina in
tema di limiti alle assunzioni dettata da altre disposizioni in materia di
coordinamento della finanza pubblica. E ciò fa enunciando un principio di
natura generale secondo il quale anche i provvedimenti di trattenimento in
servizio dei dipendenti oltre il compimento dell’età pensionabile, vanno
considerati, ai fini della verifica del rispetto di quei limiti, alla stregua
di assunzioni. Anche l’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010 è
stato, quindi, legittimamente emanato dallo Stato nell’esercizio della sua
competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.
14.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse
dalle Regioni Liguria e Puglia, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, secondo
comma, lettera g), terzo e quarto
comma, 118, primo comma, e 119 Cost., non sono fondate.
Anche la norma statale oggetto di tale
questione impone un vincolo alle facoltà di assunzione delle pubbliche
amministrazioni, statuendo che gli enti pubblici di nuova istituzione possono
procedere ad assunzioni «nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie
aventi carattere certo e continuativo e, comunque nel limite complessivo del
60% della dotazione organica». Stabilisce, inoltre, che gli enti predispongano
piani annuali di assunzioni che debbono essere approvati dall’amministrazione
vigilante d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero
dell’economia e delle finanze.
La norma impugnata non prevede alcun
limite al proprio àmbito soggettivo di applicabilità, riferendosi genericamente
agli «enti di nuova istituzione», e non consente un’interpretazione che
restringa l’operatività della disposizione ai soli enti statali.
Non sono condivisibili, pertanto, le argomentazioni
secondo cui lo Stato avrebbe ecceduto dalla propria competenza legislativa,
perché si tratterebbe di norma attinente all’organizzazione di enti non statali
(riservata alla competenza residuale regionale), ovvero perché il carattere
dettagliato della disposizione ne impedirebbe la qualificazione come principio
fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Neppure sono
condivisibili quelle secondo cui vi sarebbe violazione dell’art. 118 Cost.,
poiché la norma censurata attribuirebbe ad organi statali la funzione
dell’approvazione dei piani di assunzione in una materia diversa da quelle di
cui all’art. 117, secondo comma, Cost., senza peraltro che ciò sia giustificato
dall’inadeguatezza del livello regionale di governo.
Invero, anche le disposizioni dettate
dall’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 sono complementari alle
limitazioni alle assunzioni da parte di pubbliche amministrazioni contenute
nelle generali disposizioni della legislazione statale di principio in materia.
In effetti, esse mirano ad evitare che quelle limitazioni (che riguardano le
amministrazioni già esistenti) siano eluse mediante l’istituzione di nuovi enti
che possano procedere a indiscriminate nuove assunzioni. Pertanto, l’art. 9,
comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 partecipa della natura di principio
fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica.
Anche l’attribuzione al Dipartimento
della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze di
competenze in ordine all’approvazione dei piani di assunzione è riconducibile
alla competenza legislativa statale in questione, trattandosi di una misura
accessoria al limite generale introdotto dallo stesso art. 9, comma 36, e
finalizzata ad assicurarne il rispetto.
per questi
motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata a diverse pronunce la
decisione sulle altre questioni promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle
Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in
epigrafe,
1) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse, in
riferimento all’articolo 36 della Costituzione e al principio di
ragionevolezza, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;
2)
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni
legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 28, e del combinato disposto
degli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis,
del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117,
terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, all’articolo 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda
della Costituzione), e agli articoli 2, lettera a), 3, lettere f) e l), 4, primo comma, e 12 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per
3) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma
3, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 39,
117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Liguria con il
ricorso indicato in epigrafe;
4)
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in
riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalle
Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in
epigrafe;
5) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma
29, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli
117, secondo comma, lettera g), terzo
e quarto comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Liguria e Puglia con i
ricorsi indicati in epigrafe;
6) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma
31, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli
117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Puglia con
il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma
36, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 3,
97, 117, secondo comma, lettera g),
terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni
Liguria e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio
2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2012.