SENTENZA N. 139
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI
"
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19 e 20 del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia
di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, promossi dalle Regioni Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia,
notificati il 24-27 e il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria il 28
settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e rispettivamente iscritti ai nn. 96, 102, 103, 106 e 107 del registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice
relatore Sabino Cassese;
uditi gli avvocati Ulisse Corea per la Regione Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste,
Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria, Umbria e
Emilia-Romagna, Stefano Grassi per la Regione Puglia e gli avvocati dello Stato
Massimo Salvatorelli e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in
fatto
1.— Le Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (ricorso n.
96 del 2010), Liguria (ricorso n. 102 del 2010), Umbria (ricorso n. 103 del
2010), Emilia-Romagna (ricorso n. 106 del 2010) e Puglia (ricorso n. 107 del
2010) hanno impugnato i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19 e 20
dell’articolo 6 (Riduzione dei costi
degli apparati amministrativi) del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
2.— L’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010
(d’ora in avanti, «art. 6»), nelle parti censurate dalle Regioni ricorrenti,
detta la seguente disciplina.
2.1.— Il comma 2 rende onorifica la
partecipazione agli organi collegiali degli enti che ricevono contributi a
carico delle finanze pubbliche, fatto salvo il rimborso delle spese sostenute,
e stabilisce che i gettoni di presenza, non possono superare l’importo di 30
euro a seduta giornaliera. La violazione della disposizione determina
responsabilità erariale e la nullità degli atti adottati dagli organi
interessati. La norma non si applica «agli enti previsti nominativamente dal
decreto legislativo n. 300 del 1999 e dal decreto legislativo n. 165 del 2001,
e comunque alle università, enti e fondazioni di ricerca e organismi
equiparati, alle camere di commercio, agli enti del Servizio sanitario
nazionale, agli enti indicati nella tabella C della legge finanziaria ed agli
enti previdenziali ed assistenziali nazionali, alle ONLUS, alle associazioni di
promozione sociale, agli enti pubblici economici individuati con decreto del
Ministero dell’economia e delle finanze su proposta del Ministero vigilante,
nonché alle società».
2.2.— Il comma 3 prevede, a partire dal
1° gennaio 2011, una riduzione automatica pari al 10 per cento delle indennità
e dei compensi corrisposti ai componenti di organi collegiali comunque
denominati e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo. Inoltre, «[s]ino al 31
dicembre 2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli
importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del
presente comma». La norma riguarda tutte le pubbliche amministrazioni, incluse
le autorità indipendenti; non si applica, sotto il profilo oggettivo, al
trattamento retributivo di servizio, e, sotto il profilo soggettivo, ai
commissari straordinari del Governo e agli altri commissari straordinari,
comunque denominati.
2.3.— Il comma 5 impone a tutti gli enti
e organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato,
l’adozione di modifiche statutarie che prevedano un limite, rispettivamente, di
cinque e tre componenti per gli organi interni. Le amministrazioni vigilanti sono
chiamate ad applicare il medesimo vincolo con riferimento a tutti gli enti ed
organismi pubblici vigilati, attraverso l’adeguamento della relativa disciplina
di organizzazione. La mancata attuazione determina responsabilità erariale e la
nullità degli atti adottati dagli organi interessati.
2.4.— Il comma 6 riduce del 10 per cento
il compenso dei componenti degli organi di amministrazione e di quelli di
controllo nelle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, nonché nelle società a totale partecipazione pubblica, ad
esclusione delle società quotate e delle loro controllate.
2.5.— Il comma 7 stabilisce che, a
decorrere dall’anno 2011, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza
sostenuta da tutte le pubbliche amministrazioni – escluse le università, gli
enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati – non può essere
superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento
di incarichi in assenza dei presupposti menzionati costituisce illecito
disciplinare e determina responsabilità erariale. La previsione non si applica
alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego
del personale delle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del
fuoco.
2.6.— Il comma 8 prevede che, a
decorrere dall’anno 2011 le amministrazioni pubbliche non possono effettuare
spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di
rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa
sostenuta nell’anno 2009. Inoltre, la norma dispone che, a decorrere dal 1°
luglio 2010, l’organizzazione di convegni, cerimonie ed altri eventi similari
da parte delle amministrazioni dello Stato e delle agenzie, nonché da parte
degli enti e delle strutture da esse vigilati, è subordinata alla preventiva
autorizzazione del ministro competente. Gli eventi autorizzati si devono
svolgere al di fuori dall’orario di ufficio e il personale che vi partecipa non
ha diritto a percepire compensi o indennità.
2.7.— Il comma 9 stabilisce che, a
decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione, incluse le autorità
indipendenti, non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.
2.8.— In base al comma 11, le società
inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione si
conformano al principio di riduzione di spesa desumibile dai commi 7, 8 e 9
dell’art. 6.
2.9.— Il comma 12 prevede che, dal 2011,
le amministrazioni pubbliche non possano effettuare spese per missioni, anche
all’estero, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta
nell’anno 2009 e che «[g]li atti e i contratti posti in essere in violazione
della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono
illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale». Inoltre, a
decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, non sono più dovute le
diarie per le missioni all’estero, ad esclusione delle missioni internazionali
di pace e di quelle comunque effettuate dalle Forze armate e di polizia e dal
Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Le misure e i limiti concernenti il
rimborso delle spese di vitto e alloggio per il personale inviato all’estero
sono determinate con decreto del Ministero degli affari esteri di concerto con
il Ministero dell’economia e delle finanze. Infine, l’ultimo periodo prevede
che «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto gli articoli 15 della legge 18 dicembre 1973, n.
836 e 8 della legge 26 luglio
1978, n. 417 e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al
personale contrattualizzato di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventuali analoghe
disposizioni contenute nei contratti collettivi».
2.10.— Il comma 13 introduce, a
decorrere dall’anno 2011, un limite di spesa non superiore al 50 per cento
della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le attività esclusivamente di
formazione svolte dalle amministrazioni pubbliche. Gli atti e i contratti posti
in essere in violazione di tale disposizione costituiscono illecito
disciplinare e determinano responsabilità erariale. La disposizione non si
applica all’attività di formazione effettuata dalle Forze armate e di polizia e
dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco tramite i propri organismi di
formazione.
2.11.— Il comma 14 prevede che dal 2011
le amministrazioni pubbliche non possano effettuare spese di ammontare
superiore all’80 per cento della spesa sostenuta nel 2009 per l’acquisto, la
manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto
di buoni taxi. Tale limite può essere derogato, per il solo anno 2011,
esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. La
disposizione non si applica alle autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei
vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della
sicurezza pubblica.
2.12.— Il comma 19 pone a carico delle
amministrazioni pubbliche il divieto di effettuare aumenti di capitale,
trasferimenti straordinari o aperture di credito, e il divieto di rilasciare
garanzie a favore delle società partecipate non quotate qualora esse abbiano
registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero abbiano
utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono ammissibili deroghe giustificate
dall’esigenza di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di
pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica,
l’ordine pubblico e la sanità. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti
alle medesime società sopra indicate quando siano previsti da convenzioni,
contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di
pubblico interesse o alla realizzazione di investimenti.
2.13.— Il comma 20, nel testo originario
impugnato, stabilisce che «[l]e disposizioni del presente articolo non si
applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del
Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica. A decorrere dal
2011, una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59,
a favore delle regioni a statuto ordinario è accantonata per essere
successivamente svincolata e destinata alle regioni a statuto ordinario che
hanno attuato quanto stabilito dall’art.
3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con legge 26 marzo 2010, n. 42 e che
aderiscono volontariamente alle regole previste dal presente articolo. (…) Con
decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze,
sentita la Conferenza Stato-Regioni, sono stabiliti modalità, tempi e criteri
per l’attuazione del presente comma. Ai lavori della Conferenza Stato-Regioni
partecipano due rappresentanti delle Assemblee legislative regionali designati
d’intesa tra loro nell’ambito della Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea,
dei Consigli regionali e delle province autonome di cui agli articoli 5, 8 e 15 della legge 4
febbraio 2005, n. 11».
3.— Con ricorso notificato il 24
settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 28 settembre
2010 (reg. ric. n. 96 del 2010), la Regione autonoma Valle d’Aosta ha impugnato
i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell’art. 6,
lamentando la violazione degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1,
lettere f) e l), e 4 dello statuto regionale, degli artt. 117, terzo e quarto
comma, e 119 Cost., nonché
del principio di ragionevolezza.
3.1.— In primo luogo, ad avviso della
ricorrente, i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20,
primo periodo, dell’art. 6 invaderebbero la competenza legislativa regionale in
materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost. e
art. 3, comma 1, lettera f, dello
statuto regionale) e lederebbero l’autonomia finanziaria regionale di cui
all’art. 119 Cost., in quanto, a dispetto della qualificazione come «disposizioni
di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica» operata dal
comma 20 dell’art. 6, da quelle previsioni non potrebbe estrapolarsi alcun
limite complessivo di spesa, in ragione del loro carattere dettagliato e
vincolante. Le medesime disposizioni dell’art. 6 lederebbero, poi, sia la
potestà legislativa esclusiva della Regione in materia di ordinamento degli
uffici e degli enti regionali e locali, nonché in materia di statuto giuridico
ed economico del personale (art. 2, comma 1, lettere a e b, dello statuto
regionale e art. 117, quarto comma, Cost.), in quanto dettano disposizioni che
attengono all’organizzazione e al personale degli enti regionali e locali, sia
la potestà legislativa concorrente in materia di «igiene, assistenza ospedaliera
e profilattica» (art. 3, comma 1, lettera l,
dello statuto regionale) e in materia di «tutela della salute» (art. 117, terzo
comma, Cost.), ove quelle disposizioni fossero applicabili anche all’Azienda
sanitaria valdostana. Ne deriverebbe, poi, la violazione dell’art. 4 dello
statuto regionale, in quanto i vincoli di spesa posti dalle norme impugnate
«incidere[bbero], limitandole, sull’esercizio delle
funzioni amministrative regionali nei medesimi ambiti».
Inoltre, il comma 12, ultimo periodo, stabilendo
un divieto assoluto di corresponsione dell’indennità chilometrica e, così,
impedendo l’utilizzo del mezzo proprio da parte dei dipendenti per spostamenti
di servizio, oltre a ledere l’autonomia finanziaria e organizzativa della
Regione (artt. 2, comma 1, lettera a,
e 3, comma 1, lettera f, dello
statuto regionale, e artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost.),
sarebbe altresì censurabile sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto,
considerate le caratteristiche morfologiche della Regione, l’attuazione della
norma determinerebbe un aggravio (invece che una riduzione) della spesa
pubblica. Nei casi in cui il dipendente debba raggiungere sedi amministrative
non (adeguatamente) servite da mezzi pubblici, infatti, la norma costringerebbe
l’amministrazione regionale ad avvalersi di taxi o mezzi di trasporto analoghi,
comunque più dispendiosi del mezzo privato.
3.2.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito in giudizio, eccependo, in via preliminare, la tardività del
ricorso, in quanto le disposizioni del decreto-legge impugnate, non essendo
state modificate in sede di conversione, sarebbero state immediatamente lesive.
Nel merito, la difesa erariale chiede che
le censure rivolte all’art. 6 siano rigettate, in quanto il comma 20 dispone
che le norme impugnate «non si applicano in via diretta alle regioni, alle
province autonome e agli enti del SSN», con la conseguenza che «la disposizione
di principio viene ad essere la riduzione complessiva (tetto) della spesa
generale provinciale e regionale nella misura pari alle riduzioni percentuali
indicate (20 e 50 per cento rispetto a quelle sostenute nell’anno 2009)». Tale
principio varrebbe anche per gli enti locali e il sistema sanitario nazionale,
nonché per le società pubbliche, «e quindi nessun esonero può ipotizzarsi,
senza contare che i commi 3, 5, 12 e 19 pongono norme di per sé rientranti
nell’ordinamento civile (organi sociali e relativi compensi, aumenti di capitale),
materia questa esclusiva statale». Non sussisterebbe, perciò, nessuna
«violazione dello Statuto perché proprio il comma 20 è il presupposto per
l’applicazione dell’art. 2 di dette Norme, rimanendo demandato alla Regione
l’adeguamento ai principi posti dall’art. 6, anche per quanto riguarda gli E.L.
le società e le Camere di commercio della Regione».
3.3.— Con memoria depositata il 17
maggio 2011, la Regione autonoma Valle d’Aosta ribadisce l’illegittimità della
normativa contenuta nel d.l. n. 78 del 2010 e chiede, in via preliminare, a
questa Corte di dichiarare l’inapplicabilità delle norme impugnate, in quanto
la Regione, data la particolare autonomia finanziaria di cui gode in forza
dello statuto, «concorre agli obiettivi complessivi di finanza pubblica –
diversamente da quanto accade per gli Enti territoriali soggetti al patto di
stabilità interno – mediante la sottoscrizione di accordi separati da siglare
con il Ministero dell’Economia e delle Finanze», come previsto dall’art. 1,
comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011).
3.4.— Con atto depositato nella
cancelleria di questa Corte il 27 maggio 2011, la ricorrente ha rinunciato
all’impugnativa, limitatamente ai commi 8 e 9 dell’art. 6, per sopravvenuta
carenza di interesse ad agire. Con atto depositato il 30 giugno 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha formalmente accettato la rinuncia
parziale.
4.— Con ricorso notificato il 28
settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 6 ottobre 2010
(reg. ric. n. 102 del 2010), la Regione Liguria ha impugnato i commi 3, 5, 6,
7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell’art. 6, per violazione
degli artt. 117 e 119 Cost. Inoltre, la ricorrente censura il comma 20, quarto
periodo, dell’art. 6, nel testo vigente (terzo periodo nel testo originario,
impugnato anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 9, comma 2, del
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, recante «Meccanismi sanzionatori
e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17
e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42»), in riferimento all’art. 117, terzo e
sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione.
4.1.— Innanzi tutto, le disposizioni
censurate lederebbero l’autonomia organizzativa e finanziaria della Regione
ricorrente, garantita dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in
quanto conterrebbero previsioni «molto puntuali, analitiche, che disciplinano
"frammenti” di realtà finanziaria e organizzativa», rispetto alle quali le
Regioni «non hanno né (in ragione della struttura delle norme) potrebbero aver
alcun margine di manovra», e, d’altro canto, l’auto-qualificazione contenuta
nel primo periodo del comma 20 non varrebbe a trasformare quelle norme di
dettaglio in disposizioni di principio. Quest’ultima disposizione lederebbe,
poi, l’autonomia organizzativa regionale anche «nella parte in cui non
comprende nel proprio ambito di "esonero” dall’applicazione diretta gli enti
locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale», in quanto il
mancato esonero comporterebbe l’applicazione diretta a tali enti dei commi
impugnati.
Inoltre, la ricorrente deduce
l’illegittimità costituzionale del comma 12, ultimo periodo, che, escludendo
che il personale dipendente possa essere autorizzato all’uso del mezzo proprio
per missioni e ponendo il conseguente divieto di corrispondere l’indennità
chilometrica, violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto, quinto, ottavo e
nono, e 118, commi secondo e terzo, Cost., in quanto precluderebbe alla Regione
la possibilità di valutare discrezionalmente se sia più conveniente rimborsare
ai propri dipendenti la spesa per l’utilizzo del mezzo proprio rispetto alle
alternative e metterebbe a rischio la possibilità materiale di svolgere compiti
che la legge assegna all’amministrazione regionale in tutti i casi di
insufficienza di mezzi di trasporto pubblici o di carenza di mezzi
dell’amministrazione, in tal modo ostacolando l’esercizio di funzioni
amministrative legittimamente previste dalla legislazione regionale.
Infine, il comma 20, quarto periodo,
affidando la determinazione di «modalità, tempi e criteri per l’attuazione del
presente comma» a un «decreto di natura non regolamentare del Ministro
dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni», violerebbe
l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe allo Stato una potestà
sostanzialmente regolamentare al di fuori delle materie di competenza esclusiva
dello Stato e, in subordine, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo
comma, Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto «per
compensare la "deroga” all’art. 117, comma 6, Cost., avrebbe dovuto prevedere
almeno l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del semplice parere».
4.2.— Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel
merito, la questione sia dichiarata non fondata. Secondo la difesa erariale, le
disposizioni dell’art. 6 censurate non violerebbero la competenza della Regione
Liguria in quanto rientrerebbero tutte nella competenza statale in materia di
coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, il comma 12, ultimo periodo,
rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato attinente all’ordinamento
civile. Infine, per quanto concerne l’attuazione del sistema di incentivi,
prevista dal comma 20, terzo (ora quarto) periodo, il decreto ministeriale non
richiederebbe il raggiungimento di un’intesa in sede di Conferenza
Stato-Regioni, dal momento che disciplinerebbe il trasferimento di risorse
erariali.
4.3.— In data 3 maggio 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, riaffermando la
compatibilità del dettato dell’art. 6 con i profili di autonomia
costituzionalmente garantiti alle Regioni e insistendo per il rigetto delle questioni
di legittimità costituzionale sollevate in riferimento a tale articolo.
4.4.— Con memoria depositata il 18
maggio 2011, la ricorrente reitera le proprie censure, precisando che il
decreto ministeriale previsto dal comma 20, considerato il suo notevole impatto
in una materia di competenza concorrente, non dovrebbe essere ammesso o, in
subordine, dovrebbe essere oggetto di un’intesa, e non di un parere, della
Conferenza Stato-Regioni.
4.5.— In conseguenza del rinvio
dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17
ottobre 2011 la difesa erariale ha depositato una nuova memoria, insistendo nel
chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.
4.6.— Con memoria depositata il 2
novembre 2011, la Regione Liguria osserva che, in base alla sopravvenuta sentenza n. 182 del
2011 della Corte, «l’applicazione diretta dell’art. 6 alle Regioni, agli
enti locali ed agli enti del sistema regionale sarebbe illegittima», dovendosi
riconoscere a quegli enti il potere di modulare, all’interno del vincolo
complessivo desumibile dall’art. 6, le percentuali di riduzione delle singole
voci di spesa contemplate nel predetto articolo. Tale interpretazione «adeguatrice», mentre consentirebbe di salvaguardare
l’autonomia finanziaria delle Regioni e quindi di riconoscere la legittimità
costituzionale della disposizione sotto questo profilo, confermerebbe, d’altro
canto, «l’illegittimità del comma 20, primo periodo, dell’art. 6, nella parte
in cui non esonera dall’applicazione diretta anche gli enti locali e gli enti
ed organismi appartenenti al sistema regionale».
4.7.— Con memoria depositata il 17
aprile 2012, la Regione Liguria osserva che la limitazione dell’ambito di
applicazione del comma 12, quinto periodo, stabilita dall’art. 4, comma 1,
della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010) – secondo cui «la disposizione del quinto periodo del comma 12»
dell’articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, «non si applica alle missioni
indispensabili ad assicurare la partecipazione a riunioni nell’ambito dei
processi decisionali dell’Unione europea e degli organismi internazionali di
cui l’Italia è parte, nonché alle missioni nei Paesi beneficiari degli aiuti
erogati da parte dei medesimi organismi e dell’Unione europea» – non modifica
«il quadro della controversia per quanto riguarda l’applicazione della norma da
parte delle Regioni».
4.8.— Nella memoria difensiva depositata
il 17 aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che
l’art. 6 contiene previsioni che hanno valore di disposizioni di principio nei
confronti delle Regioni.
5.— Con ricorso notificato il 28
settembre 2010 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il 6 ottobre
2010 (reg. ric. n. 103 del 2010), la Regione Umbria ha impugnato il comma 12
dell’art. 6, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
5.1.— Il comma 12, primo periodo,
prevedendo una riduzione delle spese per missioni non inferiore al 50 per cento
della spesa sostenuta nel 2009, esorbiterebbe dai limiti della competenza
statale di principio nella materia del coordinamento della finanza pubblica
(art. 117, terzo comma, Cost.) e lederebbe l’autonomia organizzativa e
finanziaria della Regione (artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.), in quanto
avrebbe un «contenuto innegabilmente e chiaramente dettagliato» e in quanto
opererebbe in via diretta anche per gli enti locali e gli enti ed organismi
appartenenti al sistema regionale, non compresi nella clausola di salvaguardia
di cui al comma 20.
Il comma 12, ultimo periodo, poi,
escludendo che il personale dipendente possa essere autorizzato a usare il
mezzo proprio per recarsi in missione, lederebbe l’autonomia organizzativa
della Regione (art. 117, quarto comma) e comprometterebbe l’esercizio delle
funzioni amministrative da essa disciplinate (artt. 117, terzo, quarto, quinto,
ottavo e nono comma, e 118, commi secondo e terzo), in quanto introdurrebbe un
limite assoluto, relativo a una singola minuta voce di spesa.
5.2.— Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel
merito, la questione sia dichiarata non fondata. Quanto al carattere
dettagliato della disposizione impugnata, insuscettibile – ad avviso della
ricorrente – di essere convertito in disposizione di principio, la difesa
erariale osserva che «non si tratta, invero, di trasformare una norma di
dettaglio in principio fondamentale, ma di estrarre questo da quella (e dal
loro insieme) tenendo conto della finalità perseguita dalla legge in questione,
che è appunto il contenimento della spesa». In merito al divieto di autorizzare
i dipendenti contrattualizzati a svolgere missioni con mezzo proprio,
l’Avvocatura generale dello Stato afferma che esso interverrebbe «su
disposizioni legislative statali, di generale applicazione per tutti i pubblici
dipendenti e attiene, quindi, alla materia dell’ordinamento civile».
5.3.— In data 3 maggio 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, ribadendo la
compatibilità del dettato dell’art. 6 con l’autonomia costituzionalmente
garantita alle Regioni.
5.4.— Con memoria depositata il 18
maggio 2011, la Regione Umbria osserva che l’ultimo periodo del comma 12 non
può essere ricondotto né all’ordinamento civile, né alle materie della
responsabilità civile e della previdenza, in considerazione del suo contenuto,
estraneo a quelle materie, e della sua ratio,
chiaramente orientata a conseguire un risparmio di spesa.
5.5.— In conseguenza del rinvio
dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17
ottobre 2011 la difesa erariale ha depositato una nuova memoria, insistendo nel
chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.
5.6.— Con memoria depositata il 2
novembre 2011, la Regione Umbria sostiene che, a seguito della sentenza n. 182 del
2011 di questa Corte, risulterebbe confermata «l’illegittimità del comma 12
nella parte in cui si applica direttamente agli enti locali e agli enti ed
organismi appartenenti al sistema regionale», non essendo tali enti compresi
nella clausola di salvaguardia di cui all’art. 6, comma 20.
5.7.— Con memoria depositata il 17
aprile 2012, la Regione Umbria osserva che la limitazione dell’ambito di
applicazione del comma 12, quinto periodo, stabilita dall’art. 4, comma 1,
della legge n. 217 del 2011 non modifica «il quadro
della controversia per quanto riguarda l’applicazione della norma da parte
delle Regioni».
5.8.— Nella memoria depositata il 17
aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l’art. 6
contiene previsioni che, in virtù dell’auto-qualificazione contenuta nel comma
20, hanno valore di disposizioni di principio nei confronti delle Regioni.
6.— Con ricorso notificato il 28
settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 6 ottobre 2010
(reg. ric. n. 106 del 2010), la Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 12
e 20 dell’art. 6, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. e del
principio di leale collaborazione.
6.1.— Innanzi tutto, secondo la
ricorrente, il comma 20, primo periodo, qualificando come disposizioni di
principio norme di dettaglio recanti riduzioni puntuali di singole voci di
spesa, lederebbe l’autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.) e ne
invaderebbe la competenza legislativa sia nella materia del coordinamento della
finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), sia nella materia
dell’organizzazione (art. 117, quarto comma, Cost.). Le medesime censure sono
proposte in riferimento al comma 20, primo periodo, nella parte in cui non
esonera dall’ambito di applicazione diretta gli enti locali e gli enti ed
organismi appartenenti al sistema regionale.
Inoltre, il comma 20, quarto periodo,
affidando la determinazione di «modalità, tempi e criteri per l’attuazione del
presente comma» a un «decreto di natura non regolamentare del Ministro
dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni», da un
lato, attribuirebbe allo Stato una potestà sostanzialmente regolamentare al di
fuori delle materie di legislazione esclusiva, in violazione dell’art. 117,
sesto comma, Cost., e dall’altro, contrasterebbe con l’art. 117, terzo comma,
Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto «per compensare la
"deroga” all’art. 117, sesto comma, Cost., avrebbe dovuto prevedere almeno
l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del semplice parere».
Infine, ad avviso della ricorrente, il
comma 12, ultimo periodo, nella parte in cui esclude che il personale
dipendente possa essere autorizzato a usare il mezzo proprio per recarsi in
missione, lederebbe l’autonomia organizzativa della Regione (art. 117, quarto
comma) e comprometterebbe l’esercizio delle funzioni amministrative da essa
disciplinate (artt. 117, terzo, quarto, quinto, ottavo e nono comma, e 118,
commi secondo e terzo), in quanto introdurrebbe un limite assoluto riguardante
una singola minuta voce di spesa.
6.2.— Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel
merito, la questione sia dichiarata non fondata.
In primo luogo, la difesa erariale
ribadisce la legittimità del comma 20, primo periodo, laddove qualifica come
«disposizioni di principio» le previsioni contenute nell’art. 6, in quanto
sarebbe possibile estrapolare da quelle disposizioni, unitariamente
considerate, un tetto complessivo di spesa, da intendersi come principio di
coordinamento della finanza pubblica ai fini dell’adeguamento della normativa
regionale.
Inoltre, il medesimo regime varrebbe
anche per gli enti locali e del sistema sanitario provinciale, nonché per le
società pubbliche. Nessun esonero sarebbe ipotizzabile per tali enti, anche in
considerazione del fatto che i commi 3, 5, 12 e 19 disciplinerebbero – secondo
l’Avvocatura generale dello Stato – aspetti (organi sociali e relativi
compensi, aumenti di capitale) che soggiacciono alla potestà legislativa
esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Per i medesimi motivi, si
dovrebbe escludere la fondatezza della censura riguardante il comma 12.
Infine, per quanto concerne l’attuazione
del sistema di incentivi, prevista dal comma 20, ultimo periodo, il decreto
ministeriale non assumerebbe natura regolamentare, dal momento che
disciplinerebbe il trasferimento di risorse erariali.
6.3.— In data 3 maggio 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, insistendo per il
rigetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento
a tale articolo.
6.4.— Con memoria depositata il 18
maggio 2011, la Regione Emilia-Romagna reitera le proprie censure e riafferma
l’illegittimità dell’auto-qualificazione operata dal comma 20, sostenendo che
dall’art. 6 non sarebbe desumibile nessun tetto di riduzione complessiva della
spesa regionale.
6.5.— In conseguenza del rinvio
dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17
ottobre 2011 la difesa dello Stato ha depositato una nuova memoria, insistendo
nel chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.
6.6.— Con memoria depositata il 2
novembre 2011, la Regione Emilia-Romagna osserva che, in base alla sopravvenuta
sentenza n. 182
del 2011 di questa Corte, dovrebbe riconoscersi alle Regioni il potere di
modulare, all’interno del vincolo complessivo desumibile dall’art. 6, le
percentuali di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nel predetto
articolo. Tale interpretazione «adeguatrice»
consentirebbe di salvaguardare l’autonomia finanziaria delle Regioni. Si
confermerebbe, d’altro canto, «l’illegittimità del comma 20, primo periodo,
dell’art. 6, nella parte in cui non esonera dall’applicazione diretta anche gli
enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale».
6.7.— Con memoria depositata il 17
aprile 2012, la Regione Emilia-Romagna osserva che la limitazione dell’ambito
di applicazione del comma 12, quinto periodo, stabilita dall’art. 4, comma 1,
della legge n. 217 del 2011 non modifica «il quadro
della controversia per quanto riguarda l’applicazione della norma da parte
delle Regioni».
6.8.— Nella memoria depositata il 17
aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l’art. 6
contiene previsioni che hanno valore di disposizioni di principio nei confronti
delle Regioni.
7.— Con ricorso notificato il 28
settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 7 ottobre 2010
(reg. ric. n. 107 del 2010), la Regione Puglia ha impugnato i commi 7, 8, 9,
12, primo periodo, 13, 14 e 20, primo e secondo periodo, dell’art. 6, per
violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., e il comma 20, terzo
periodo (recte:
quarto periodo), del medesimo articolo, per contrasto con l’art. 117, sesto
comma, Cost., e, in via subordinata, con l’art. 118, primo comma, Cost. e con
il principio di leale collaborazione.
7.1.— In primo luogo, le previsioni
contenute nei commi 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14, in combinato disposto
con il comma 20, primo periodo, che le qualifica come disposizioni di
principio, lederebbero l’autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.) e la
potestà legislativa concorrente della Regione (art. 117, terzo comma, Cost.),
in quanto fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa e sarebbero
prive del requisito della «transitorietà», che questa Corte avrebbe
«individuato quale ulteriore condizione affinché possa riconoscersi a questo
tipo di norme dettate dal legislatore statale la qualifica di "principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica”».
In secondo luogo, il comma 20, quarto
periodo, affidando la determinazione di «modalità, tempi e criteri per
l’attuazione del presente comma» a un «decreto di natura non regolamentare del
Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni»,
violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto la disciplina degli
incentivi statali avrebbe «natura propriamente normativa» e quindi si
tratterebbe di un potere propriamente regolamentare che interviene in una
materia di legislazione concorrente. In subordine, ove si assegni al decreto
natura amministrativa, la norma impugnata, prevedendo l’acquisizione di un
parere, invece di un’intesa, della Conferenza Stato-Regioni, violerebbe l’art.
118, primo comma, Cost. e il principio di leale collaborazione, in quanto lo
Stato potrebbe invocare la «chiamata in sussidiarietà» di funzioni
amministrative in materia di legislazione concorrente «solo in presenza di una
disciplina che prefiguri un iter in
cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al
principio di lealtà» (sentenza n. 278 del
2010).
7.2.— Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel
merito, la questione sia dichiarata non fondata. In merito al comma 20, primo
periodo, la difesa erariale ribadisce la legittimità della qualificazione delle
disposizioni dell’art. 6 come disposizioni di principio, in quanto sarebbe
possibile estrapolare da quelle disposizioni, unitariamente considerate, un
tetto complessivo di spesa, da intendersi come principio di coordinamento della
finanza pubblica ai fini dell’adeguamento della normativa regionale. Per quanto
concerne il decreto ministeriale previsto dal comma 20, la difesa dello Stato
sostiene che tale decreto non avrebbe natura regolamentare e che, «riferendosi
al trasferimento di risorse erariali correttamente è adottato dallo Stato con
il concorso (parere) della Conferenza».
7.3.— In data 3 maggio 2011, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, insistendo per il
rigetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento
a tale articolo.
7.4.— Con memoria depositata il 17
maggio 2011, la Regione Puglia sostiene l’infondatezza dell’eccezione di
inammissibilità per tardività sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato,
richiamando la giurisprudenza di segno opposto di questa Corte. In merito alla
natura del decreto ministeriale previsto dal comma 20, la ricorrente ribadisce
che, essendo volto a stabilire «criteri» e «modalità» di attuazione, il decreto
avrebbe i caratteri della generalità e dell’astrattezza propri degli atti
regolamentari. In via subordinata, ove si escludesse tale natura, la «chiamata
in sussidiarietà» da parte dello Stato di una competenza amministrativa
richiederebbe la previsione di un’intesa, in luogo del parere, della Conferenza
Stato-Regioni.
7.5.— In conseguenza del rinvio
dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17
ottobre 2011 la difesa erariale ha depositato una nuova memoria, insistendo nel
chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.
7.6.— Nella memoria depositata il 17
aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l’art. 6
contiene previsioni che hanno valore di disposizioni di principio nei confronti
delle Regioni.
8.— A seguito del rinvio dell’udienza
pubblica del 7-8 giugno 2011, la Corte ha disposto, su istanza congiunta della
Provincia autonoma di Bolzano e del Presidente del Consiglio dei ministri dalla
Corte, il rinvio dell’udienza pubblica per tutti i ricorsi in esame dal 22-23
novembre 2011 all’8 maggio 2012.
Considerato in diritto
1.— Le Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
(ricorso n. 96 del 2010), Liguria (ricorso n. 102 del 2010), Umbria (ricorso n.
103 del 2010), Emilia-Romagna (ricorso n. 106 del 2010) e Puglia (ricorso n.
107 del 2010) hanno impugnato vari commi dell’articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122.
1.1.— In particolare, la Regione
autonoma Valle d’Aosta ha impugnato i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19
e 20, primo periodo, dell’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, rubricato «Riduzione dei costi degli apparati amministrativi», lamentando la
violazione degli artt. 2, comma 1, lettere a)
e b), 3, comma 1, lettere f) e l),
e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la
Valle d’Aosta), degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., nonché del principio di
ragionevolezza. Nei rispettivi ricorsi, le Regioni a statuto ordinario – Liguria,
Umbria, Emilia-Romagna e Puglia – hanno anch’esse impugnato vari commi
dell’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010 (d’ora in avanti «art. 6»), lamentando
tutte la violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e, con
l’eccezione della Regione Umbria, il contrasto con il principio di leale
collaborazione: la Regione Liguria ha impugnato i commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11,
12, 13, 14, 19 e 20; la Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 12 e 20; la
Regione Puglia ha impugnato i commi 7, 8, 9, 12, 13, 14 e 20; la Regione Umbria
ha impugnato il comma 12.
1.2.— Le disposizioni censurate dettano
misure di contenimento dei costi degli apparati amministrativi, ponendo i
seguenti vincoli: rendere onorifica la partecipazione a organi collegiali degli
enti che ricevono finanziamenti pubblici e limitare a 30 euro l’importo dei
gettoni di presenza (comma 2); ridurre del 10 per cento, rispetto al 2010,
indennità, compensi, gettoni, retribuzioni e altre utilità corrisposte ai
componenti di organi (comma 3); limitare il numero dei componenti degli organi
di amministrazione e di controllo degli enti e organismi pubblici,
rispettivamente, a cinque e a tre (comma 5); ridurre del 10 per cento il
compenso dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo di
società a totale partecipazione pubblica o inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione (comma 6); contenere entro il 20 per
cento del tetto raggiunto nel 2009 sia le spese per studi ed incarichi di
consulenza (comma 7), sia le spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre,
pubblicità e rappresentanza (comma 8); rinunciare integralmente alle spese per
sponsorizzazioni (comma 9); applicare alle società inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione le misure previste dai commi 7, 8 e
9 (comma 11); non corrispondere le indennità chilometriche per missioni di
servizio effettuate dal personale contrattualizzato con mezzo proprio (comma
12, ultimo periodo), nonché ridurre del 50 per cento rispetto al tetto
raggiunto nel 2009 le spese per le missioni (comma 12, primo periodo) e per la
formazione (comma 13); ridurre dell’80 per cento rispetto al 2009 le spese per
la gestione delle autovetture, compresi i buoni taxi (comma 14); non effettuare
aumenti di capitale, trasferimenti straordinari o aperture di credito, né
rilasciare garanzie a favore di società partecipate in perdita (comma 19).
Il comma 20, poi, stabilisce che «le
disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle
regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale,
per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento
della finanza pubblica» (primo periodo) e prevede incentivi statali a favore
delle Regioni che volontariamente si adeguino alle disposizioni dell’art. 6,
affidandone la disciplina a un decreto ministeriale non regolamentare, emanato
a seguito di consultazione della Conferenza Stato-Regioni (quarto periodo).
2.— La trattazione delle questioni di
legittimità costituzionale relative alle suddette disposizioni viene qui separata
da quella delle altre questioni, promosse con i medesimi ricorsi, che
riguardano altri articoli del d.l. n. 78 del 2010 e che devono essere riservate
ad altre pronunce.
In considerazione della loro connessione
oggettiva, i giudizi relativi alle disposizioni dell’art. 6 sopra indicate
devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.— Preliminarmente, va ricordato che, dopo la
presentazione dei ricorsi, alcune disposizioni impugnate sono state modificate.
In particolare, il comma 12 dell’art. 6 è stato modificato dall’art. 29, comma 15, della legge 30 dicembre
2010, n. 240 (Norme in materia
di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché
delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema
universitario), che, dopo le parole «compiti ispettivi», vi ha aggiunto
le seguenti: «e a quella effettuata dalle università e dagli enti di ricerca
con risorse derivanti da finanziamenti dell’Unione europea ovvero di soggetti
privati». Inoltre, il comma 20 dell’art. 6 è stato modificato dall’art. 9,
comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi
sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli
articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), che ha introdotto un
terzo periodo, ove è stabilito che «[a]i fini ed agli effetti di cui al periodo
precedente, si considerano adempienti le Regioni a statuto ordinario che hanno
registrato un rapporto uguale o inferiore alla media nazionale fra spesa di
personale e spesa corrente al netto delle spese per i ripiani dei disavanzi
sanitari e del surplus di spesa rispetto agli obiettivi programmati dal patto
di stabilità interno e che hanno rispettato il patto di stabilità interno».
Lo ius superveniens, pur modificando le
suddette disposizioni, non è intervenuto sulle parti oggetto di impugnativa e
non ha, quindi, carattere satisfattivo. Non può, perciò, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
4.— Sempre in via preliminare, la difesa
dello Stato eccepisce la tardività del ricorso, in quanto le disposizioni
impugnate, non modificate in sede di conversione del d.l. n. 78 del 2010,
sarebbero state immediatamente lesive. Di conseguenza, le ricorrenti avrebbero
dovuto impugnare, entro il termine decadenziale di
cui all’art. 127 Cost., il decreto-legge e non la legge di conversione.
L’eccezione va respinta.
Secondo la giurisprudenza costante di
questa Corte, la Regione che ritenga
lese le proprie competenze da norme contenute in un decreto-legge «può
riservare l’impugnazione a dopo l’entrata in vigore» della relativa legge di
conversione, perché «soltanto a partire da tale momento il quadro normativo
assume un connotato di stabilità e l’iniziativa d’investire la Corte non
rischia di essere vanificata dall’eventualità di una mancata conversione» (da ultimo, sentenza n. 232 del
2011).
5.— Ciò premesso, ai fini della
trattazione, le questioni proposte dalle ricorrenti vanno suddivise, in ragione
della omogeneità e della reciproca connessione delle norme dell’art. 6 cui esse
si riferiscono, in tre gruppi, riguardanti, il primo, i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8,
9, 11, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20, primo periodo; il secondo, il comma
12, ultimo periodo; il terzo, il comma 20, quarto periodo.
6.— Con riferimento al primo gruppo di
disposizioni, le ricorrenti – in particolare, la Regione autonoma Valle d’Aosta
per i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20; la Regione
Liguria per i commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20;
la Regione Umbria per il comma 12, primo periodo; la Regione Emilia-Romagna per
il comma 20; la Regione Puglia per i commi 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14 e
20 – prospettano due ordini di censure, che è opportuno esaminare
separatamente.
6.1.— In primo luogo, ad avviso delle
ricorrenti, le disposizioni impugnate invaderebbero la potestà legislativa
regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica, così violando
l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché l’art. 3, comma 1, lettera f), dello Statuto della Regione Valle
d’Aosta, e lederebbero altresì l’autonomia finanziaria regionale garantita
dall’art. 119 Cost. Nonostante la qualificazione come «disposizioni di
principio» operata dal comma 20 dell’art. 6, secondo le ricorrenti, da quelle
previsioni non potrebbe estrapolarsi alcun principio o limite complessivo di
spesa, non essendo possibile «attribuire alle norme una natura diversa da
quella ad esse propria, quale risultante dalla loro oggettiva sostanza»
(sentenze n. 207
del 2010, n.
447 del 2006 e n.
482 del 1995). Il carattere dettagliato e puntuale di tali disposizioni
precluderebbe qualsiasi possibilità di autonomo adeguamento da parte delle Regioni
e delle Province autonome, nonché da parte degli enti locali e degli altri enti
e organismi che fanno capo ai rispettivi ordinamenti.
Tali censure non sono fondate.
Il legislatore statale può, con una
disciplina di principio, legittimamente «imporre agli enti autonomi, per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di
bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni
indirette all’autonomia di spesa degli enti» (da ultimo, sentenza n. 182 del
2011). Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle
Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un «limite complessivo, che
lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 182 del
2011, nonché sentenze n. 297 del 2009,
n. 289 del 2008
e n. 169 del
2007). Lo Stato, quindi, può agire direttamente sulla spesa delle proprie
amministrazioni con norme puntuali e, al contempo, dichiarare che le stesse
norme sono efficaci nei confronti delle Regioni «a condizione di permettere
l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di
uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale» (sentenza n. 182 del
2011). In caso contrario, la norma statale non può essere ritenuta di principio
(sentenza n. 159
del 2008), a prescindere dall’auto-qualificazione operata dal legislatore (sentenza n. 237 del
2009).
La disciplina dettata dall’art. 6 del
d.l. n. 78 del 2010 – come questa Corte ha chiarito con la richiamata sentenza n. 182 del
2011 – soddisfa la suddetta condizione. Le disposizioni in esame prevedono
puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa, ma ciò
non esclude che da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del
quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e
obiettivi di spesa. Questa possibilità è espressamente prevista dal comma 20
dell’art. 6, che precisa che le disposizioni di tale articolo «non si applicano
in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio
sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai
fini del coordinamento della finanza pubblica».
L’art. 6 citato «consente un processo di
induzione che, partendo da un apprezzamento non atomistico, ma globale, dei
precetti in gioco, conduce all’isolamento di un principio comune» (sentenza n. 182 del
2011). In base a tale principio, le Regioni devono ridurre le spese di funzionamento
amministrativo di un ammontare complessivo non inferiore a quello disposto
dall’art. 6 per lo Stato. Ne deriva che il medesimo articolo «non intende
imporre alle Regioni l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli
precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio
fondamentale della finanza pubblica» (sentenza n. 182 del
2011).
Né si può escludere l’applicabilità dei
principi di coordinamento della finanza pubblica alla Regione autonoma Valle
d’Aosta in ragione della speciale autonomia ad essa riconosciuta dalle norme
statutarie. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che
anche gli enti ad autonomia differenziata sono soggetti ai vincoli legislativi
derivanti dal rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica (da
ultimo, sentenze n.
30 del 2012 e n.
229 del 2011).
Il presupposto interpretativo posto a
base di questo gruppo di censure è, dunque, errato, in quanto il comma 20
dell’art. 6 «autorizza le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio
sanitario nazionale, anzitutto, a determinare, sulla base di una valutazione
globale dei limiti di spesa puntuali dettati dall’art. 6, l’ammontare
complessivo dei risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in modo
discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle
singole voci di spesa contemplate nell’art. 6» (sentenza n. 182 del
2011).
6.2.— In secondo luogo, le ricorrenti
lamentano l’interferenza delle misure impugnate con altre materie di competenza
esclusiva o concorrente regionale. In particolare, tali norme, dettando
disposizioni che attengono all’organizzazione e al personale, lederebbero la
potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di ordinamento degli
uffici e degli enti regionali e locali e di statuto giuridico ed economico del
personale (art. 117, quarto comma, Cost., nonché art. 2, comma 1, lettere a e b,
dello Statuto della Regione autonoma Valle d’Aosta). Le stesse censure sono
riferite al comma 20, primo periodo, che non menziona gli enti locali e gli
enti ed organismi appartenenti al sistema regionale, con la conseguenza che i
commi impugnati si applicherebbero in via diretta a tali enti. Le disposizioni
impugnate violerebbero, poi, l’art. 118, secondo e terzo comma, Cost., nonché
l’art. 4 dello Statuto della Regione autonoma Valle d’Aosta, poiché «incidere[bbero], limitandole, sull’esercizio delle funzioni
amministrative regionali nei medesimi ambiti». Infine, le norme impugnate dalla
Regione autonoma Valle d’Aosta, se applicabili anche all’azienda sanitaria
valdostana, lederebbero la potestà legislativa concorrente della Regione in
materia di «igiene, assistenza ospedaliera e profilattica» (art. 3, comma 1,
lettera l, dello statuto) e in
materia di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.).
Tali censure non sono fondate.
Secondo una costante giurisprudenza,
quando la disposizione impugnata costituisce principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), «l’eventuale
impatto di essa sull’autonomia finanziaria (art. 119 Cost.) ed organizzativa
(artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.) della ricorrente si traduce in una
"circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della legittimità
costituzionale”» (da ultimo, sentenza n. 40 del
2010, nonché sentenze n. 169 del 2007
e n. 36 del 2004).
Ne consegue che la lamentata
interferenza con l’autonomia organizzativa delle Regioni o con altre competenze
loro assegnate in via esclusiva o concorrente non è censurabile, poiché le
norme impugnate devono essere complessivamente intese come disposizioni di
principio, riconducibili alla potestà legislativa concorrente.
La previsione contenuta nel comma 20
dell’art. 6, inoltre, nello stabilire che le disposizioni di tale articolo «non
si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti
del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica», va intesa nel
senso che le norme impugnate non operano in via diretta, ma solo come
disposizioni di principio, anche in riferimento agli enti locali e agli altri
enti e organismi che fanno capo agli ordinamenti regionali.
7.— La seconda questione, prospettata dalle Regioni
Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e Valle d’Aosta, riguarda il comma 12, ultimo
periodo, dell’art. 6, secondo cui «[a] decorrere dalla data di entrata in
vigore del presente decreto gli articoli
15 della legge 18 dicembre 1973, n. 836 e 8 della legge 26 luglio 1978, n. 417 e relative disposizioni di
attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 e cessano di avere
effetto eventuali analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi».
Tale disposizione comporterebbe che le amministrazioni pubbliche inserite nel
conto economico consolidato della pubblica amministrazione non possano
corrispondere le indennità chilometriche in caso di missioni di servizio
effettuate dal personale contrattualizzato con mezzo proprio.
Ad avviso delle ricorrenti, questa norma
violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto, quinto, ottavo e nono, e 118,
commi secondo e terzo, Cost., in quanto, ponendo un divieto di autorizzazione
all’uso del mezzo proprio, inciderebbe sull’organizzazione delle Regioni e
ostacolerebbe «lo svolgimento delle attività pubbliche legittimamente previste
dalla legislazione regionale». Secondo la Regione autonoma Valle d’Aosta, poi,
la disposizione impugnata lederebbe la potestà legislativa esclusiva in materia
di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti
dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» (art. 2,
comma 1, lettera a, dello statuto regionale) e l’autonomia finanziaria
regionale (artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., nonché art. 3,
comma 1, lettera f, dello statuto
regionale) e sarebbe, altresì, contraria al principio di ragionevolezza, in
quanto, «tenuto anche conto delle caratteristiche morfologiche della Regione»,
l’applicazione della norma produrrebbe un aggravio, invece che una riduzione,
della spesa.
La questione non è fondata.
Le censure richiamate muovono tutte
dall’assunto che la disposizione impugnata non potrebbe essere ricondotta al
principio generale di coordinamento della spesa di cui l’art. 6 nel suo
complesso è espressione, poiché si tratterebbe di un precetto che non lascia
alcun margine di autonomia in sede di attuazione.
Questo presupposto interpretativo non
può essere condiviso. Il comma 20, più volte richiamato, stabilisce che le
disposizioni di tale articolo non si applicano in via diretta alle Regioni, per
le quali costituiscono disposizioni di principio. Si deve, quindi, verificare
se da ciascuna previsione dell’art. 6 si possano desumere «principi rispettosi
di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale» (sentenza n. 182 del
2011).
In base a tale canone interpretativo,
l’ultimo periodo del comma 12 vincola le Regioni solo in quanto concorre a
determinare il tetto massimo dei risparmi di spesa che esse devono conseguire. Qualora
esigenze di funzionamento rendessero gli effetti del divieto contrario al
principio di buon andamento, le Regioni sarebbero libere di rimodulare in modo
discrezionale, nel rispetto del limite complessivo, le percentuali di riduzione
di questa come delle altre voci di spesa contemplate nell’art. 6.
Il comma 12, ultimo periodo, deve quindi
essere ricondotto al principio generale di coordinamento della spesa di cui
all’art. 6. Ne consegue che non sono fondate, per le ragioni già enunciate, le censure
riguardanti la dedotta lesione dell’autonomia finanziaria regionale e la
presunta interferenza con competenze assegnate in via esclusiva o concorrente
alle Regioni.
8.— La terza questione, proposta dalle
Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Puglia, concerne il comma 20, quarto periodo,
dell’art. 6, ove si prevede che «modalità, tempi e criteri per l’attuazione del
presente comma» e, in particolare, per l’attuazione degli incentivi statali a
favore delle Regioni che abbiano applicato volontariamente le riduzioni di
spesa previste dal medesimo art. 6, sono stabiliti «con decreto di natura non
regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza
Stato-Regioni». Secondo le ricorrenti, tale norma violerebbe sia l’art. 117,
commi terzo e sesto, Cost., in quanto prevederebbe un
atto sostanzialmente regolamentare in materia di legislazione concorrente, sia
il principio di leale collaborazione, in quanto, qualora il decreto
ministeriale non avesse natura regolamentare, il legislatore statale avrebbe
dovuto disporre l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del parere.
La questione non è fondata.
In primo luogo, si deve escludere che il
decreto ministeriale previsto dalla disposizione impugnata abbia natura
regolamentare. Esso, infatti, dovendo disciplinare l’erogazione degli incentivi
statali, «non comporta la produzione di norme generali ed astratte, con cui si
disciplinino i rapporti giuridici, conformi alla previsione normativa, che
possano sorgere nel corso del tempo», limitandosi, invece, a esprimere «una
scelta di carattere essenzialmente tecnico» (sentenza n. 278 del
2010). La censura dedotta in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost.
va, perciò, respinta.
In secondo luogo, la disposizione
censurata, nel prevedere l’acquisizione di un parere della Conferenza
Stato-Regioni, non vìola l’art. 117, terzo comma, Cost. Come rilevato dalla
difesa dello Stato, il decreto ministeriale, disciplinando il trasferimento di
«una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all’art. 7
della legge 15 marzo 1997, n. 59», deve solo regolare l’impiego di risorse
statali e individuare «modalità, tempi e criteri per l’attuazione» del comma 20
dell’art. 6, definendo le condizioni e la procedura per accertare che venga
rispettato il complessivo risparmio indicato dalla legge. Ne discende che
l’approvazione del decreto previsto dalla norma impugnata non richiede, per
garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il raggiungimento di
un’intesa, necessaria quando si debbano «contemperare le ragioni dell’esercizio
unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente
attribuite alle regioni» (da ultimo, sentenza n. 165 del
2011).
Per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle
altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Regioni Valle
d’Aosta, Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in
epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’articolo 6, commi 2, 3, 5, 6, 7, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20, primo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, promosse, per violazione degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b),
3, comma 1, lettere f) e l), e 4 della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), nonché degli artt.
117 e 119 della Costituzione, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta con il
ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
comma 12, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione
degli artt. 2, comma 1, lettera a), e
3, comma 1, lettera f), dello Statuto
speciale della Regione Valle d’Aosta, degli artt. 117 e 119 della Costituzione,
nonché del principio di ragionevolezza, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta
con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
comma 12, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione degli artt. 117, 118 e 119
della Costituzione, dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20, primo periodo,
del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, promosse, per violazione degli artt. 117 e 119 della
Costituzione, dalla Regione Liguria,
con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
comma 20, primo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione
degli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il
ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 6, comma 12, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito,
con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione
degli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Liguria ed
Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
comma 20, quarto periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione
dell’art. 117 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione,
dalle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
commi 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14 e 20, primo periodo, del d.l. n. 78
del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,
promosse, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla
Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
comma 20, quarto periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione
degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale
collaborazione, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara
estinto il processo relativo al ricorso proposto dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6,
commi 8 e 9, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2012.
F.to:
Alfonso
QUARANTA, Presidente
Sabino
CASSESE, Redattore
Gabriella
MELATTI, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 4 giugno 2012.