Sentenza n. 139 del 2012

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SENTENZA N. 139

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                             Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

-           Sabino                         CASSESE                                                "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

-           Giorgio                        LATTANZI                                              "

-           Aldo                            CAROSI                                                   "

-           Marta                           CARTABIA                                             "

-           Sergio                          MATTARELLA                                       "

-           Mario Rosario              MORELLI                                                "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19 e 20 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dalle Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia, notificati il 24-27 e il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria il 28 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e rispettivamente iscritti ai nn. 96, 102, 103, 106 e 107 del registro ricorsi 2010.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Ulisse Corea per la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria, Umbria e Emilia-Romagna, Stefano Grassi per la Regione Puglia e gli avvocati dello Stato Massimo Salvatorelli e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Le Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (ricorso n. 96 del 2010), Liguria (ricorso n. 102 del 2010), Umbria (ricorso n. 103 del 2010), Emilia-Romagna (ricorso n. 106 del 2010) e Puglia (ricorso n. 107 del 2010) hanno impugnato i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19 e 20 dell’articolo 6 (Riduzione dei costi degli apparati amministrativi) del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

2.— L’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010 (d’ora in avanti, «art. 6»), nelle parti censurate dalle Regioni ricorrenti, detta la seguente disciplina.

2.1.— Il comma 2 rende onorifica la partecipazione agli organi collegiali degli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, fatto salvo il rimborso delle spese sostenute, e stabilisce che i gettoni di presenza, non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera. La violazione della disposizione determina responsabilità erariale e la nullità degli atti adottati dagli organi interessati. La norma non si applica «agli enti previsti nominativamente dal decreto legislativo n. 300 del 1999 e dal decreto legislativo n. 165 del 2001, e comunque alle università, enti e fondazioni di ricerca e organismi equiparati, alle camere di commercio, agli enti del Servizio sanitario nazionale, agli enti indicati nella tabella C della legge finanziaria ed agli enti previdenziali ed assistenziali nazionali, alle ONLUS, alle associazioni di promozione sociale, agli enti pubblici economici individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze su proposta del Ministero vigilante, nonché alle società».

2.2.— Il comma 3 prevede, a partire dal 1° gennaio 2011, una riduzione automatica pari al 10 per cento delle indennità e dei compensi corrisposti ai componenti di organi collegiali comunque denominati e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo. Inoltre, «[s]ino al 31 dicembre 2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma». La norma riguarda tutte le pubbliche amministrazioni, incluse le autorità indipendenti; non si applica, sotto il profilo oggettivo, al trattamento retributivo di servizio, e, sotto il profilo soggettivo, ai commissari straordinari del Governo e agli altri commissari straordinari, comunque denominati.

2.3.— Il comma 5 impone a tutti gli enti e organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, l’adozione di modifiche statutarie che prevedano un limite, rispettivamente, di cinque e tre componenti per gli organi interni. Le amministrazioni vigilanti sono chiamate ad applicare il medesimo vincolo con riferimento a tutti gli enti ed organismi pubblici vigilati, attraverso l’adeguamento della relativa disciplina di organizzazione. La mancata attuazione determina responsabilità erariale e la nullità degli atti adottati dagli organi interessati.

2.4.— Il comma 6 riduce del 10 per cento il compenso dei componenti degli organi di amministrazione e di quelli di controllo nelle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, nonché nelle società a totale partecipazione pubblica, ad esclusione delle società quotate e delle loro controllate.

2.5.— Il comma 7 stabilisce che, a decorrere dall’anno 2011, la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza sostenuta da tutte le pubbliche amministrazioni – escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati – non può essere superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009. L’affidamento di incarichi in assenza dei presupposti menzionati costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. La previsione non si applica alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale delle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

2.6.— Il comma 8 prevede che, a decorrere dall’anno 2011 le amministrazioni pubbliche non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009. Inoltre, la norma dispone che, a decorrere dal 1° luglio 2010, l’organizzazione di convegni, cerimonie ed altri eventi similari da parte delle amministrazioni dello Stato e delle agenzie, nonché da parte degli enti e delle strutture da esse vigilati, è subordinata alla preventiva autorizzazione del ministro competente. Gli eventi autorizzati si devono svolgere al di fuori dall’orario di ufficio e il personale che vi partecipa non ha diritto a percepire compensi o indennità.

2.7.— Il comma 9 stabilisce che, a decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per sponsorizzazioni.

2.8.— In base al comma 11, le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione si conformano al principio di riduzione di spesa desumibile dai commi 7, 8 e 9 dell’art. 6.

2.9.— Il comma 12 prevede che, dal 2011, le amministrazioni pubbliche non possano effettuare spese per missioni, anche all’estero, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 e che «[g]li atti e i contratti posti in essere in violazione della disposizione contenuta nel primo periodo del presente comma costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale». Inoltre, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, non sono più dovute le diarie per le missioni all’estero, ad esclusione delle missioni internazionali di pace e di quelle comunque effettuate dalle Forze armate e di polizia e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Le misure e i limiti concernenti il rimborso delle spese di vitto e alloggio per il personale inviato all’estero sono determinate con decreto del Ministero degli affari esteri di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Infine, l’ultimo periodo prevede che «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto gli articoli 15 della legge 18 dicembre 1973, n. 836 e 8 della legge 26 luglio 1978, n. 417 e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi».

2.10.— Il comma 13 introduce, a decorrere dall’anno 2011, un limite di spesa non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le attività esclusivamente di formazione svolte dalle amministrazioni pubbliche. Gli atti e i contratti posti in essere in violazione di tale disposizione costituiscono illecito disciplinare e determinano responsabilità erariale. La disposizione non si applica all’attività di formazione effettuata dalle Forze armate e di polizia e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco tramite i propri organismi di formazione.

2.11.— Il comma 14 prevede che dal 2011 le amministrazioni pubbliche non possano effettuare spese di ammontare superiore all’80 per cento della spesa sostenuta nel 2009 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi. Tale limite può essere derogato, per il solo anno 2011, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. La disposizione non si applica alle autovetture utilizzate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

2.12.— Il comma 19 pone a carico delle amministrazioni pubbliche il divieto di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari o aperture di credito, e il divieto di rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate qualora esse abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono ammissibili deroghe giustificate dall’esigenza di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti alle medesime società sopra indicate quando siano previsti da convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse o alla realizzazione di investimenti.

2.13.— Il comma 20, nel testo originario impugnato, stabilisce che «[l]e disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica. A decorrere dal 2011, una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a statuto ordinario è accantonata per essere successivamente svincolata e destinata alle regioni a statuto ordinario che hanno attuato quanto stabilito dall’art. 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con legge 26 marzo 2010, n. 42 e che aderiscono volontariamente alle regole previste dal presente articolo. (…) Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, sono stabiliti modalità, tempi e criteri per l’attuazione del presente comma. Ai lavori della Conferenza Stato-Regioni partecipano due rappresentanti delle Assemblee legislative regionali designati d’intesa tra loro nell’ambito della Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome di cui agli articoli 5, 8 e 15 della legge 4 febbraio 2005, n. 11».

3.— Con ricorso notificato il 24 settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 28 settembre 2010 (reg. ric. n. 96 del 2010), la Regione autonoma Valle d’Aosta ha impugnato i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell’art. 6, lamentando la violazione degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) e l), e 4 dello statuto regionale, degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., nonché del principio di ragionevolezza.

3.1.— In primo luogo, ad avviso della ricorrente, i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell’art. 6 invaderebbero la competenza legislativa regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 3, comma 1, lettera f, dello statuto regionale) e lederebbero l’autonomia finanziaria regionale di cui all’art. 119 Cost., in quanto, a dispetto della qualificazione come «disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica» operata dal comma 20 dell’art. 6, da quelle previsioni non potrebbe estrapolarsi alcun limite complessivo di spesa, in ragione del loro carattere dettagliato e vincolante. Le medesime disposizioni dell’art. 6 lederebbero, poi, sia la potestà legislativa esclusiva della Regione in materia di ordinamento degli uffici e degli enti regionali e locali, nonché in materia di statuto giuridico ed economico del personale (art. 2, comma 1, lettere a e b, dello statuto regionale e art. 117, quarto comma, Cost.), in quanto dettano disposizioni che attengono all’organizzazione e al personale degli enti regionali e locali, sia la potestà legislativa concorrente in materia di «igiene, assistenza ospedaliera e profilattica» (art. 3, comma 1, lettera l, dello statuto regionale) e in materia di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), ove quelle disposizioni fossero applicabili anche all’Azienda sanitaria valdostana. Ne deriverebbe, poi, la violazione dell’art. 4 dello statuto regionale, in quanto i vincoli di spesa posti dalle norme impugnate «incidere[bbero], limitandole, sull’esercizio delle funzioni amministrative regionali nei medesimi ambiti».

Inoltre, il comma 12, ultimo periodo, stabilendo un divieto assoluto di corresponsione dell’indennità chilometrica e, così, impedendo l’utilizzo del mezzo proprio da parte dei dipendenti per spostamenti di servizio, oltre a ledere l’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione (artt. 2, comma 1, lettera a, e 3, comma 1, lettera f, dello statuto regionale, e artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost.), sarebbe altresì censurabile sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto, considerate le caratteristiche morfologiche della Regione, l’attuazione della norma determinerebbe un aggravio (invece che una riduzione) della spesa pubblica. Nei casi in cui il dipendente debba raggiungere sedi amministrative non (adeguatamente) servite da mezzi pubblici, infatti, la norma costringerebbe l’amministrazione regionale ad avvalersi di taxi o mezzi di trasporto analoghi, comunque più dispendiosi del mezzo privato.

3.2.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, eccependo, in via preliminare, la tardività del ricorso, in quanto le disposizioni del decreto-legge impugnate, non essendo state modificate in sede di conversione, sarebbero state immediatamente lesive.

Nel merito, la difesa erariale chiede che le censure rivolte all’art. 6 siano rigettate, in quanto il comma 20 dispone che le norme impugnate «non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del SSN», con la conseguenza che «la disposizione di principio viene ad essere la riduzione complessiva (tetto) della spesa generale provinciale e regionale nella misura pari alle riduzioni percentuali indicate (20 e 50 per cento rispetto a quelle sostenute nell’anno 2009)». Tale principio varrebbe anche per gli enti locali e il sistema sanitario nazionale, nonché per le società pubbliche, «e quindi nessun esonero può ipotizzarsi, senza contare che i commi 3, 5, 12 e 19 pongono norme di per sé rientranti nell’ordinamento civile (organi sociali e relativi compensi, aumenti di capitale), materia questa esclusiva statale». Non sussisterebbe, perciò, nessuna «violazione dello Statuto perché proprio il comma 20 è il presupposto per l’applicazione dell’art. 2 di dette Norme, rimanendo demandato alla Regione l’adeguamento ai principi posti dall’art. 6, anche per quanto riguarda gli E.L. le società e le Camere di commercio della Regione».

3.3.— Con memoria depositata il 17 maggio 2011, la Regione autonoma Valle d’Aosta ribadisce l’illegittimità della normativa contenuta nel d.l. n. 78 del 2010 e chiede, in via preliminare, a questa Corte di dichiarare l’inapplicabilità delle norme impugnate, in quanto la Regione, data la particolare autonomia finanziaria di cui gode in forza dello statuto, «concorre agli obiettivi complessivi di finanza pubblica – diversamente da quanto accade per gli Enti territoriali soggetti al patto di stabilità interno – mediante la sottoscrizione di accordi separati da siglare con il Ministero dell’Economia e delle Finanze», come previsto dall’art. 1, comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011).

3.4.— Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 27 maggio 2011, la ricorrente ha rinunciato all’impugnativa, limitatamente ai commi 8 e 9 dell’art. 6, per sopravvenuta carenza di interesse ad agire. Con atto depositato il 30 giugno 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha formalmente accettato la rinuncia parziale.

4.— Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 6 ottobre 2010 (reg. ric. n. 102 del 2010), la Regione Liguria ha impugnato i commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell’art. 6, per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. Inoltre, la ricorrente censura il comma 20, quarto periodo, dell’art. 6, nel testo vigente (terzo periodo nel testo originario, impugnato anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 9, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, recante «Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42»), in riferimento all’art. 117, terzo e sesto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione.

4.1.— Innanzi tutto, le disposizioni censurate lederebbero l’autonomia organizzativa e finanziaria della Regione ricorrente, garantita dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in quanto conterrebbero previsioni «molto puntuali, analitiche, che disciplinano "frammenti” di realtà finanziaria e organizzativa», rispetto alle quali le Regioni «non hanno né (in ragione della struttura delle norme) potrebbero aver alcun margine di manovra», e, d’altro canto, l’auto-qualificazione contenuta nel primo periodo del comma 20 non varrebbe a trasformare quelle norme di dettaglio in disposizioni di principio. Quest’ultima disposizione lederebbe, poi, l’autonomia organizzativa regionale anche «nella parte in cui non comprende nel proprio ambito di "esonero” dall’applicazione diretta gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale», in quanto il mancato esonero comporterebbe l’applicazione diretta a tali enti dei commi impugnati.

Inoltre, la ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale del comma 12, ultimo periodo, che, escludendo che il personale dipendente possa essere autorizzato all’uso del mezzo proprio per missioni e ponendo il conseguente divieto di corrispondere l’indennità chilometrica, violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto, quinto, ottavo e nono, e 118, commi secondo e terzo, Cost., in quanto precluderebbe alla Regione la possibilità di valutare discrezionalmente se sia più conveniente rimborsare ai propri dipendenti la spesa per l’utilizzo del mezzo proprio rispetto alle alternative e metterebbe a rischio la possibilità materiale di svolgere compiti che la legge assegna all’amministrazione regionale in tutti i casi di insufficienza di mezzi di trasporto pubblici o di carenza di mezzi dell’amministrazione, in tal modo ostacolando l’esercizio di funzioni amministrative legittimamente previste dalla legislazione regionale.

Infine, il comma 20, quarto periodo, affidando la determinazione di «modalità, tempi e criteri per l’attuazione del presente comma» a un «decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni», violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe allo Stato una potestà sostanzialmente regolamentare al di fuori delle materie di competenza esclusiva dello Stato e, in subordine, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto «per compensare la "deroga” all’art. 117, comma 6, Cost., avrebbe dovuto prevedere almeno l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del semplice parere».

4.2.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel merito, la questione sia dichiarata non fondata. Secondo la difesa erariale, le disposizioni dell’art. 6 censurate non violerebbero la competenza della Regione Liguria in quanto rientrerebbero tutte nella competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, il comma 12, ultimo periodo, rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato attinente all’ordinamento civile. Infine, per quanto concerne l’attuazione del sistema di incentivi, prevista dal comma 20, terzo (ora quarto) periodo, il decreto ministeriale non richiederebbe il raggiungimento di un’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, dal momento che disciplinerebbe il trasferimento di risorse erariali.

4.3.— In data 3 maggio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, riaffermando la compatibilità del dettato dell’art. 6 con i profili di autonomia costituzionalmente garantiti alle Regioni e insistendo per il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento a tale articolo.

4.4.— Con memoria depositata il 18 maggio 2011, la ricorrente reitera le proprie censure, precisando che il decreto ministeriale previsto dal comma 20, considerato il suo notevole impatto in una materia di competenza concorrente, non dovrebbe essere ammesso o, in subordine, dovrebbe essere oggetto di un’intesa, e non di un parere, della Conferenza Stato-Regioni.

4.5.— In conseguenza del rinvio dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17 ottobre 2011 la difesa erariale ha depositato una nuova memoria, insistendo nel chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.

4.6.— Con memoria depositata il 2 novembre 2011, la Regione Liguria osserva che, in base alla sopravvenuta sentenza n. 182 del 2011 della Corte, «l’applicazione diretta dell’art. 6 alle Regioni, agli enti locali ed agli enti del sistema regionale sarebbe illegittima», dovendosi riconoscere a quegli enti il potere di modulare, all’interno del vincolo complessivo desumibile dall’art. 6, le percentuali di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nel predetto articolo. Tale interpretazione «adeguatrice», mentre consentirebbe di salvaguardare l’autonomia finanziaria delle Regioni e quindi di riconoscere la legittimità costituzionale della disposizione sotto questo profilo, confermerebbe, d’altro canto, «l’illegittimità del comma 20, primo periodo, dell’art. 6, nella parte in cui non esonera dall’applicazione diretta anche gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale».

4.7.— Con memoria depositata il 17 aprile 2012, la Regione Liguria osserva che la limitazione dell’ambito di applicazione del comma 12, quinto periodo, stabilita dall’art. 4, comma 1, della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010) – secondo cui «la disposizione del quinto periodo del comma 12» dell’articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, «non si applica alle missioni indispensabili ad assicurare la partecipazione a riunioni nell’ambito dei processi decisionali dell’Unione europea e degli organismi internazionali di cui l’Italia è parte, nonché alle missioni nei Paesi beneficiari degli aiuti erogati da parte dei medesimi organismi e dell’Unione europea» – non modifica «il quadro della controversia per quanto riguarda l’applicazione della norma da parte delle Regioni».

4.8.— Nella memoria difensiva depositata il 17 aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l’art. 6 contiene previsioni che hanno valore di disposizioni di principio nei confronti delle Regioni.

5.— Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il 6 ottobre 2010 (reg. ric. n. 103 del 2010), la Regione Umbria ha impugnato il comma 12 dell’art. 6, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.

5.1.— Il comma 12, primo periodo, prevedendo una riduzione delle spese per missioni non inferiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2009, esorbiterebbe dai limiti della competenza statale di principio nella materia del coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.) e lederebbe l’autonomia organizzativa e finanziaria della Regione (artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.), in quanto avrebbe un «contenuto innegabilmente e chiaramente dettagliato» e in quanto opererebbe in via diretta anche per gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale, non compresi nella clausola di salvaguardia di cui al comma 20.

Il comma 12, ultimo periodo, poi, escludendo che il personale dipendente possa essere autorizzato a usare il mezzo proprio per recarsi in missione, lederebbe l’autonomia organizzativa della Regione (art. 117, quarto comma) e comprometterebbe l’esercizio delle funzioni amministrative da essa disciplinate (artt. 117, terzo, quarto, quinto, ottavo e nono comma, e 118, commi secondo e terzo), in quanto introdurrebbe un limite assoluto, relativo a una singola minuta voce di spesa.

5.2.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel merito, la questione sia dichiarata non fondata. Quanto al carattere dettagliato della disposizione impugnata, insuscettibile – ad avviso della ricorrente – di essere convertito in disposizione di principio, la difesa erariale osserva che «non si tratta, invero, di trasformare una norma di dettaglio in principio fondamentale, ma di estrarre questo da quella (e dal loro insieme) tenendo conto della finalità perseguita dalla legge in questione, che è appunto il contenimento della spesa». In merito al divieto di autorizzare i dipendenti contrattualizzati a svolgere missioni con mezzo proprio, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che esso interverrebbe «su disposizioni legislative statali, di generale applicazione per tutti i pubblici dipendenti e attiene, quindi, alla materia dell’ordinamento civile».

5.3.— In data 3 maggio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, ribadendo la compatibilità del dettato dell’art. 6 con l’autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni.

5.4.— Con memoria depositata il 18 maggio 2011, la Regione Umbria osserva che l’ultimo periodo del comma 12 non può essere ricondotto né all’ordinamento civile, né alle materie della responsabilità civile e della previdenza, in considerazione del suo contenuto, estraneo a quelle materie, e della sua ratio, chiaramente orientata a conseguire un risparmio di spesa.

5.5.— In conseguenza del rinvio dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17 ottobre 2011 la difesa erariale ha depositato una nuova memoria, insistendo nel chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.

5.6.— Con memoria depositata il 2 novembre 2011, la Regione Umbria sostiene che, a seguito della sentenza n. 182 del 2011 di questa Corte, risulterebbe confermata «l’illegittimità del comma 12 nella parte in cui si applica direttamente agli enti locali e agli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale», non essendo tali enti compresi nella clausola di salvaguardia di cui all’art. 6, comma 20.

5.7.— Con memoria depositata il 17 aprile 2012, la Regione Umbria osserva che la limitazione dell’ambito di applicazione del comma 12, quinto periodo, stabilita dall’art. 4, comma 1, della legge n. 217 del 2011 non modifica «il quadro della controversia per quanto riguarda l’applicazione della norma da parte delle Regioni».

5.8.— Nella memoria depositata il 17 aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l’art. 6 contiene previsioni che, in virtù dell’auto-qualificazione contenuta nel comma 20, hanno valore di disposizioni di principio nei confronti delle Regioni.

6.— Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 6 ottobre 2010 (reg. ric. n. 106 del 2010), la Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 12 e 20 dell’art. 6, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione.

6.1.— Innanzi tutto, secondo la ricorrente, il comma 20, primo periodo, qualificando come disposizioni di principio norme di dettaglio recanti riduzioni puntuali di singole voci di spesa, lederebbe l’autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.) e ne invaderebbe la competenza legislativa sia nella materia del coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), sia nella materia dell’organizzazione (art. 117, quarto comma, Cost.). Le medesime censure sono proposte in riferimento al comma 20, primo periodo, nella parte in cui non esonera dall’ambito di applicazione diretta gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale.

Inoltre, il comma 20, quarto periodo, affidando la determinazione di «modalità, tempi e criteri per l’attuazione del presente comma» a un «decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni», da un lato, attribuirebbe allo Stato una potestà sostanzialmente regolamentare al di fuori delle materie di legislazione esclusiva, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., e dall’altro, contrasterebbe con l’art. 117, terzo comma, Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto «per compensare la "deroga” all’art. 117, sesto comma, Cost., avrebbe dovuto prevedere almeno l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del semplice parere».

Infine, ad avviso della ricorrente, il comma 12, ultimo periodo, nella parte in cui esclude che il personale dipendente possa essere autorizzato a usare il mezzo proprio per recarsi in missione, lederebbe l’autonomia organizzativa della Regione (art. 117, quarto comma) e comprometterebbe l’esercizio delle funzioni amministrative da essa disciplinate (artt. 117, terzo, quarto, quinto, ottavo e nono comma, e 118, commi secondo e terzo), in quanto introdurrebbe un limite assoluto riguardante una singola minuta voce di spesa.

6.2.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel merito, la questione sia dichiarata non fondata.

In primo luogo, la difesa erariale ribadisce la legittimità del comma 20, primo periodo, laddove qualifica come «disposizioni di principio» le previsioni contenute nell’art. 6, in quanto sarebbe possibile estrapolare da quelle disposizioni, unitariamente considerate, un tetto complessivo di spesa, da intendersi come principio di coordinamento della finanza pubblica ai fini dell’adeguamento della normativa regionale.

Inoltre, il medesimo regime varrebbe anche per gli enti locali e del sistema sanitario provinciale, nonché per le società pubbliche. Nessun esonero sarebbe ipotizzabile per tali enti, anche in considerazione del fatto che i commi 3, 5, 12 e 19 disciplinerebbero – secondo l’Avvocatura generale dello Stato – aspetti (organi sociali e relativi compensi, aumenti di capitale) che soggiacciono alla potestà legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Per i medesimi motivi, si dovrebbe escludere la fondatezza della censura riguardante il comma 12.

Infine, per quanto concerne l’attuazione del sistema di incentivi, prevista dal comma 20, ultimo periodo, il decreto ministeriale non assumerebbe natura regolamentare, dal momento che disciplinerebbe il trasferimento di risorse erariali.

6.3.— In data 3 maggio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, insistendo per il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento a tale articolo.

6.4.— Con memoria depositata il 18 maggio 2011, la Regione Emilia-Romagna reitera le proprie censure e riafferma l’illegittimità dell’auto-qualificazione operata dal comma 20, sostenendo che dall’art. 6 non sarebbe desumibile nessun tetto di riduzione complessiva della spesa regionale.

6.5.— In conseguenza del rinvio dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17 ottobre 2011 la difesa dello Stato ha depositato una nuova memoria, insistendo nel chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.

6.6.— Con memoria depositata il 2 novembre 2011, la Regione Emilia-Romagna osserva che, in base alla sopravvenuta sentenza n. 182 del 2011 di questa Corte, dovrebbe riconoscersi alle Regioni il potere di modulare, all’interno del vincolo complessivo desumibile dall’art. 6, le percentuali di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nel predetto articolo. Tale interpretazione «adeguatrice» consentirebbe di salvaguardare l’autonomia finanziaria delle Regioni. Si confermerebbe, d’altro canto, «l’illegittimità del comma 20, primo periodo, dell’art. 6, nella parte in cui non esonera dall’applicazione diretta anche gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale».

6.7.— Con memoria depositata il 17 aprile 2012, la Regione Emilia-Romagna osserva che la limitazione dell’ambito di applicazione del comma 12, quinto periodo, stabilita dall’art. 4, comma 1, della legge n. 217 del 2011 non modifica «il quadro della controversia per quanto riguarda l’applicazione della norma da parte delle Regioni».

6.8.— Nella memoria depositata il 17 aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l’art. 6 contiene previsioni che hanno valore di disposizioni di principio nei confronti delle Regioni.

7.— Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 7 ottobre 2010 (reg. ric. n. 107 del 2010), la Regione Puglia ha impugnato i commi 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14 e 20, primo e secondo periodo, dell’art. 6, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., e il comma 20, terzo periodo (recte: quarto periodo), del medesimo articolo, per contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., e, in via subordinata, con l’art. 118, primo comma, Cost. e con il principio di leale collaborazione.

7.1.— In primo luogo, le previsioni contenute nei commi 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14, in combinato disposto con il comma 20, primo periodo, che le qualifica come disposizioni di principio, lederebbero l’autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.) e la potestà legislativa concorrente della Regione (art. 117, terzo comma, Cost.), in quanto fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa e sarebbero prive del requisito della «transitorietà», che questa Corte avrebbe «individuato quale ulteriore condizione affinché possa riconoscersi a questo tipo di norme dettate dal legislatore statale la qualifica di "principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica”».

In secondo luogo, il comma 20, quarto periodo, affidando la determinazione di «modalità, tempi e criteri per l’attuazione del presente comma» a un «decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni», violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto la disciplina degli incentivi statali avrebbe «natura propriamente normativa» e quindi si tratterebbe di un potere propriamente regolamentare che interviene in una materia di legislazione concorrente. In subordine, ove si assegni al decreto natura amministrativa, la norma impugnata, prevedendo l’acquisizione di un parere, invece di un’intesa, della Conferenza Stato-Regioni, violerebbe l’art. 118, primo comma, Cost. e il principio di leale collaborazione, in quanto lo Stato potrebbe invocare la «chiamata in sussidiarietà» di funzioni amministrative in materia di legislazione concorrente «solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 278 del 2010).

7.2.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo la tardività del ricorso e chiedendo che, nel merito, la questione sia dichiarata non fondata. In merito al comma 20, primo periodo, la difesa erariale ribadisce la legittimità della qualificazione delle disposizioni dell’art. 6 come disposizioni di principio, in quanto sarebbe possibile estrapolare da quelle disposizioni, unitariamente considerate, un tetto complessivo di spesa, da intendersi come principio di coordinamento della finanza pubblica ai fini dell’adeguamento della normativa regionale. Per quanto concerne il decreto ministeriale previsto dal comma 20, la difesa dello Stato sostiene che tale decreto non avrebbe natura regolamentare e che, «riferendosi al trasferimento di risorse erariali correttamente è adottato dallo Stato con il concorso (parere) della Conferenza».

7.3.— In data 3 maggio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha presentato memoria difensiva, insistendo per il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento a tale articolo.

7.4.— Con memoria depositata il 17 maggio 2011, la Regione Puglia sostiene l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità per tardività sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, richiamando la giurisprudenza di segno opposto di questa Corte. In merito alla natura del decreto ministeriale previsto dal comma 20, la ricorrente ribadisce che, essendo volto a stabilire «criteri» e «modalità» di attuazione, il decreto avrebbe i caratteri della generalità e dell’astrattezza propri degli atti regolamentari. In via subordinata, ove si escludesse tale natura, la «chiamata in sussidiarietà» da parte dello Stato di una competenza amministrativa richiederebbe la previsione di un’intesa, in luogo del parere, della Conferenza Stato-Regioni.

7.5.— In conseguenza del rinvio dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011 disposto da questa Corte, il 17 ottobre 2011 la difesa erariale ha depositato una nuova memoria, insistendo nel chiedere il rigetto delle censure prospettate dalla ricorrente.

7.6.— Nella memoria depositata il 17 aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce che l’art. 6 contiene previsioni che hanno valore di disposizioni di principio nei confronti delle Regioni.

8.— A seguito del rinvio dell’udienza pubblica del 7-8 giugno 2011, la Corte ha disposto, su istanza congiunta della Provincia autonoma di Bolzano e del Presidente del Consiglio dei ministri dalla Corte, il rinvio dell’udienza pubblica per tutti i ricorsi in esame dal 22-23 novembre 2011 all’8 maggio 2012.

Considerato in diritto

1.— Le Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (ricorso n. 96 del 2010), Liguria (ricorso n. 102 del 2010), Umbria (ricorso n. 103 del 2010), Emilia-Romagna (ricorso n. 106 del 2010) e Puglia (ricorso n. 107 del 2010) hanno impugnato vari commi dell’articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

1.1.— In particolare, la Regione autonoma Valle d’Aosta ha impugnato i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, rubricato «Riduzione dei costi degli apparati amministrativi», lamentando la violazione degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) e l), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., nonché del principio di ragionevolezza. Nei rispettivi ricorsi, le Regioni a statuto ordinario – Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia – hanno anch’esse impugnato vari commi dell’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010 (d’ora in avanti «art. 6»), lamentando tutte la violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e, con l’eccezione della Regione Umbria, il contrasto con il principio di leale collaborazione: la Regione Liguria ha impugnato i commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19 e 20; la Regione Emilia-Romagna ha impugnato i commi 12 e 20; la Regione Puglia ha impugnato i commi 7, 8, 9, 12, 13, 14 e 20; la Regione Umbria ha impugnato il comma 12.

1.2.— Le disposizioni censurate dettano misure di contenimento dei costi degli apparati amministrativi, ponendo i seguenti vincoli: rendere onorifica la partecipazione a organi collegiali degli enti che ricevono finanziamenti pubblici e limitare a 30 euro l’importo dei gettoni di presenza (comma 2); ridurre del 10 per cento, rispetto al 2010, indennità, compensi, gettoni, retribuzioni e altre utilità corrisposte ai componenti di organi (comma 3); limitare il numero dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo degli enti e organismi pubblici, rispettivamente, a cinque e a tre (comma 5); ridurre del 10 per cento il compenso dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo di società a totale partecipazione pubblica o inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (comma 6); contenere entro il 20 per cento del tetto raggiunto nel 2009 sia le spese per studi ed incarichi di consulenza (comma 7), sia le spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (comma 8); rinunciare integralmente alle spese per sponsorizzazioni (comma 9); applicare alle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione le misure previste dai commi 7, 8 e 9 (comma 11); non corrispondere le indennità chilometriche per missioni di servizio effettuate dal personale contrattualizzato con mezzo proprio (comma 12, ultimo periodo), nonché ridurre del 50 per cento rispetto al tetto raggiunto nel 2009 le spese per le missioni (comma 12, primo periodo) e per la formazione (comma 13); ridurre dell’80 per cento rispetto al 2009 le spese per la gestione delle autovetture, compresi i buoni taxi (comma 14); non effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari o aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore di società partecipate in perdita (comma 19).

Il comma 20, poi, stabilisce che «le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica» (primo periodo) e prevede incentivi statali a favore delle Regioni che volontariamente si adeguino alle disposizioni dell’art. 6, affidandone la disciplina a un decreto ministeriale non regolamentare, emanato a seguito di consultazione della Conferenza Stato-Regioni (quarto periodo).

2.— La trattazione delle questioni di legittimità costituzionale relative alle suddette disposizioni viene qui separata da quella delle altre questioni, promosse con i medesimi ricorsi, che riguardano altri articoli del d.l. n. 78 del 2010 e che devono essere riservate ad altre pronunce.

In considerazione della loro connessione oggettiva, i giudizi relativi alle disposizioni dell’art. 6 sopra indicate devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.

3.— Preliminarmente, va ricordato che, dopo la presentazione dei ricorsi, alcune disposizioni impugnate sono state modificate. In particolare, il comma 12 dell’art. 6 è stato modificato dall’art. 29, comma 15, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), che, dopo le parole «compiti ispettivi», vi ha aggiunto le seguenti: «e a quella effettuata dalle università e dagli enti di ricerca con risorse derivanti da finanziamenti dell’Unione europea ovvero di soggetti privati». Inoltre, il comma 20 dell’art. 6 è stato modificato dall’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), che ha introdotto un terzo periodo, ove è stabilito che «[a]i fini ed agli effetti di cui al periodo precedente, si considerano adempienti le Regioni a statuto ordinario che hanno registrato un rapporto uguale o inferiore alla media nazionale fra spesa di personale e spesa corrente al netto delle spese per i ripiani dei disavanzi sanitari e del surplus di spesa rispetto agli obiettivi programmati dal patto di stabilità interno e che hanno rispettato il patto di stabilità interno».

Lo ius superveniens, pur modificando le suddette disposizioni, non è intervenuto sulle parti oggetto di impugnativa e non ha, quindi, carattere satisfattivo. Non può, perciò, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

4.— Sempre in via preliminare, la difesa dello Stato eccepisce la tardività del ricorso, in quanto le disposizioni impugnate, non modificate in sede di conversione del d.l. n. 78 del 2010, sarebbero state immediatamente lesive. Di conseguenza, le ricorrenti avrebbero dovuto impugnare, entro il termine decadenziale di cui all’art. 127 Cost., il decreto-legge e non la legge di conversione.

L’eccezione va respinta.

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la Regione che ritenga lese le proprie competenze da norme contenute in un decreto-legge «può riservare l’impugnazione a dopo l’entrata in vigore» della relativa legge di conversione, perché «soltanto a partire da tale momento il quadro normativo assume un connotato di stabilità e l’iniziativa d’investire la Corte non rischia di essere vanificata dall’eventualità di una mancata conversione» (da ultimo, sentenza n. 232 del 2011).

5.— Ciò premesso, ai fini della trattazione, le questioni proposte dalle ricorrenti vanno suddivise, in ragione della omogeneità e della reciproca connessione delle norme dell’art. 6 cui esse si riferiscono, in tre gruppi, riguardanti, il primo, i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20, primo periodo; il secondo, il comma 12, ultimo periodo; il terzo, il comma 20, quarto periodo.

6.— Con riferimento al primo gruppo di disposizioni, le ricorrenti – in particolare, la Regione autonoma Valle d’Aosta per i commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20; la Regione Liguria per i commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20; la Regione Umbria per il comma 12, primo periodo; la Regione Emilia-Romagna per il comma 20; la Regione Puglia per i commi 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14 e 20 – prospettano due ordini di censure, che è opportuno esaminare separatamente.

6.1.— In primo luogo, ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni impugnate invaderebbero la potestà legislativa regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica, così violando l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché l’art. 3, comma 1, lettera f), dello Statuto della Regione Valle d’Aosta, e lederebbero altresì l’autonomia finanziaria regionale garantita dall’art. 119 Cost. Nonostante la qualificazione come «disposizioni di principio» operata dal comma 20 dell’art. 6, secondo le ricorrenti, da quelle previsioni non potrebbe estrapolarsi alcun principio o limite complessivo di spesa, non essendo possibile «attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risultante dalla loro oggettiva sostanza» (sentenze n. 207 del 2010, n. 447 del 2006 e n. 482 del 1995). Il carattere dettagliato e puntuale di tali disposizioni precluderebbe qualsiasi possibilità di autonomo adeguamento da parte delle Regioni e delle Province autonome, nonché da parte degli enti locali e degli altri enti e organismi che fanno capo ai rispettivi ordinamenti.

Tali censure non sono fondate.

Il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (da ultimo, sentenza n. 182 del 2011). Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 182 del 2011, nonché sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007). Lo Stato, quindi, può agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali e, al contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti delle Regioni «a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale» (sentenza n. 182 del 2011). In caso contrario, la norma statale non può essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), a prescindere dall’auto-qualificazione operata dal legislatore (sentenza n. 237 del 2009).

La disciplina dettata dall’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010 – come questa Corte ha chiarito con la richiamata sentenza n. 182 del 2011 – soddisfa la suddetta condizione. Le disposizioni in esame prevedono puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa, ma ciò non esclude che da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. Questa possibilità è espressamente prevista dal comma 20 dell’art. 6, che precisa che le disposizioni di tale articolo «non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica».

L’art. 6 citato «consente un processo di induzione che, partendo da un apprezzamento non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco, conduce all’isolamento di un principio comune» (sentenza n. 182 del 2011). In base a tale principio, le Regioni devono ridurre le spese di funzionamento amministrativo di un ammontare complessivo non inferiore a quello disposto dall’art. 6 per lo Stato. Ne deriva che il medesimo articolo «non intende imporre alle Regioni l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica» (sentenza n. 182 del 2011).

Né si può escludere l’applicabilità dei principi di coordinamento della finanza pubblica alla Regione autonoma Valle d’Aosta in ragione della speciale autonomia ad essa riconosciuta dalle norme statutarie. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che anche gli enti ad autonomia differenziata sono soggetti ai vincoli legislativi derivanti dal rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica (da ultimo, sentenze n. 30 del 2012 e n. 229 del 2011).

Il presupposto interpretativo posto a base di questo gruppo di censure è, dunque, errato, in quanto il comma 20 dell’art. 6 «autorizza le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale, anzitutto, a determinare, sulla base di una valutazione globale dei limiti di spesa puntuali dettati dall’art. 6, l’ammontare complessivo dei risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nell’art. 6» (sentenza n. 182 del 2011).

6.2.— In secondo luogo, le ricorrenti lamentano l’interferenza delle misure impugnate con altre materie di competenza esclusiva o concorrente regionale. In particolare, tali norme, dettando disposizioni che attengono all’organizzazione e al personale, lederebbero la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di ordinamento degli uffici e degli enti regionali e locali e di statuto giuridico ed economico del personale (art. 117, quarto comma, Cost., nonché art. 2, comma 1, lettere a e b, dello Statuto della Regione autonoma Valle d’Aosta). Le stesse censure sono riferite al comma 20, primo periodo, che non menziona gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale, con la conseguenza che i commi impugnati si applicherebbero in via diretta a tali enti. Le disposizioni impugnate violerebbero, poi, l’art. 118, secondo e terzo comma, Cost., nonché l’art. 4 dello Statuto della Regione autonoma Valle d’Aosta, poiché «incidere[bbero], limitandole, sull’esercizio delle funzioni amministrative regionali nei medesimi ambiti». Infine, le norme impugnate dalla Regione autonoma Valle d’Aosta, se applicabili anche all’azienda sanitaria valdostana, lederebbero la potestà legislativa concorrente della Regione in materia di «igiene, assistenza ospedaliera e profilattica» (art. 3, comma 1, lettera l, dello statuto) e in materia di «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.).

Tali censure non sono fondate.

Secondo una costante giurisprudenza, quando la disposizione impugnata costituisce principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), «l’eventuale impatto di essa sull’autonomia finanziaria (art. 119 Cost.) ed organizzativa (artt. 117, quarto comma, e 118 Cost.) della ricorrente si traduce in una "circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della legittimità costituzionale”» (da ultimo, sentenza n. 40 del 2010, nonché sentenze n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).

Ne consegue che la lamentata interferenza con l’autonomia organizzativa delle Regioni o con altre competenze loro assegnate in via esclusiva o concorrente non è censurabile, poiché le norme impugnate devono essere complessivamente intese come disposizioni di principio, riconducibili alla potestà legislativa concorrente.

La previsione contenuta nel comma 20 dell’art. 6, inoltre, nello stabilire che le disposizioni di tale articolo «non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica», va intesa nel senso che le norme impugnate non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio, anche in riferimento agli enti locali e agli altri enti e organismi che fanno capo agli ordinamenti regionali.

7.— La seconda questione, prospettata dalle Regioni Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e Valle d’Aosta, riguarda il comma 12, ultimo periodo, dell’art. 6, secondo cui «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto gli articoli 15 della legge 18 dicembre 1973, n. 836 e 8 della legge 26 luglio 1978, n. 417 e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni contenute nei contratti collettivi». Tale disposizione comporterebbe che le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione non possano corrispondere le indennità chilometriche in caso di missioni di servizio effettuate dal personale contrattualizzato con mezzo proprio.

Ad avviso delle ricorrenti, questa norma violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto, quinto, ottavo e nono, e 118, commi secondo e terzo, Cost., in quanto, ponendo un divieto di autorizzazione all’uso del mezzo proprio, inciderebbe sull’organizzazione delle Regioni e ostacolerebbe «lo svolgimento delle attività pubbliche legittimamente previste dalla legislazione regionale». Secondo la Regione autonoma Valle d’Aosta, poi, la disposizione impugnata lederebbe la potestà legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» (art. 2, comma 1, lettera a, dello statuto regionale) e l’autonomia finanziaria regionale (artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., nonché art. 3, comma 1, lettera f, dello statuto regionale) e sarebbe, altresì, contraria al principio di ragionevolezza, in quanto, «tenuto anche conto delle caratteristiche morfologiche della Regione», l’applicazione della norma produrrebbe un aggravio, invece che una riduzione, della spesa.

La questione non è fondata.

Le censure richiamate muovono tutte dall’assunto che la disposizione impugnata non potrebbe essere ricondotta al principio generale di coordinamento della spesa di cui l’art. 6 nel suo complesso è espressione, poiché si tratterebbe di un precetto che non lascia alcun margine di autonomia in sede di attuazione.

Questo presupposto interpretativo non può essere condiviso. Il comma 20, più volte richiamato, stabilisce che le disposizioni di tale articolo non si applicano in via diretta alle Regioni, per le quali costituiscono disposizioni di principio. Si deve, quindi, verificare se da ciascuna previsione dell’art. 6 si possano desumere «principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale» (sentenza n. 182 del 2011).

In base a tale canone interpretativo, l’ultimo periodo del comma 12 vincola le Regioni solo in quanto concorre a determinare il tetto massimo dei risparmi di spesa che esse devono conseguire. Qualora esigenze di funzionamento rendessero gli effetti del divieto contrario al principio di buon andamento, le Regioni sarebbero libere di rimodulare in modo discrezionale, nel rispetto del limite complessivo, le percentuali di riduzione di questa come delle altre voci di spesa contemplate nell’art. 6.

Il comma 12, ultimo periodo, deve quindi essere ricondotto al principio generale di coordinamento della spesa di cui all’art. 6. Ne consegue che non sono fondate, per le ragioni già enunciate, le censure riguardanti la dedotta lesione dell’autonomia finanziaria regionale e la presunta interferenza con competenze assegnate in via esclusiva o concorrente alle Regioni.

8.— La terza questione, proposta dalle Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Puglia, concerne il comma 20, quarto periodo, dell’art. 6, ove si prevede che «modalità, tempi e criteri per l’attuazione del presente comma» e, in particolare, per l’attuazione degli incentivi statali a favore delle Regioni che abbiano applicato volontariamente le riduzioni di spesa previste dal medesimo art. 6, sono stabiliti «con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni». Secondo le ricorrenti, tale norma violerebbe sia l’art. 117, commi terzo e sesto, Cost., in quanto prevederebbe un atto sostanzialmente regolamentare in materia di legislazione concorrente, sia il principio di leale collaborazione, in quanto, qualora il decreto ministeriale non avesse natura regolamentare, il legislatore statale avrebbe dovuto disporre l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del parere.

La questione non è fondata.

In primo luogo, si deve escludere che il decreto ministeriale previsto dalla disposizione impugnata abbia natura regolamentare. Esso, infatti, dovendo disciplinare l’erogazione degli incentivi statali, «non comporta la produzione di norme generali ed astratte, con cui si disciplinino i rapporti giuridici, conformi alla previsione normativa, che possano sorgere nel corso del tempo», limitandosi, invece, a esprimere «una scelta di carattere essenzialmente tecnico» (sentenza n. 278 del 2010). La censura dedotta in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost. va, perciò, respinta.

In secondo luogo, la disposizione censurata, nel prevedere l’acquisizione di un parere della Conferenza Stato-Regioni, non vìola l’art. 117, terzo comma, Cost. Come rilevato dalla difesa dello Stato, il decreto ministeriale, disciplinando il trasferimento di «una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59», deve solo regolare l’impiego di risorse statali e individuare «modalità, tempi e criteri per l’attuazione» del comma 20 dell’art. 6, definendo le condizioni e la procedura per accertare che venga rispettato il complessivo risparmio indicato dalla legge. Ne discende che l’approvazione del decreto previsto dalla norma impugnata non richiede, per garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il raggiungimento di un’intesa, necessaria quando si debbano «contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle regioni» (da ultimo, sentenza n. 165 del 2011).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Regioni Valle d’Aosta, Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 2, 3, 5, 6, 7, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse, per violazione degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) e l), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), nonché degli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 12, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione degli artt. 2, comma 1, lettera a), e 3, comma 1, lettera f), dello Statuto speciale della Regione Valle d’Aosta, degli artt. 117 e 119 della Costituzione, nonché del principio di ragionevolezza, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 12, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, primo periodo, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 20, primo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 12, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 20, quarto periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione dell’art. 117 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, dalle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 7, 8, 9, 12, primo periodo, 13, 14 e 20, primo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;

9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, comma 20, quarto periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;

10) dichiara estinto il processo relativo al ricorso proposto dalla Regione autonoma Valle d’Aosta quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6, commi 8 e 9, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2012.