SENTENZA N. 30
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3 e 7, commi 1, 2 e 3, della legge della
Regione autonoma Sardegna 19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2011), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con
ricorso notificato il 21-25 marzo 2011, depositato in cancelleria il 24 marzo
2011 ed iscritto al n. 28 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre
2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Massimo Luciani per
Ritenuto in fatto
1.― Giusta
conforme deliberazione governativa del 10 marzo 2011, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, con ricorso notificato in data 21 marzo
Ad avviso del
ricorrente le dette disposizioni sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 23, 97, 117, commi primo, secondo, lettere e) ed l), e terzo, della Costituzione, nonché con gli artt. 3 e 10 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per
1.1.― L’art. 3 della legge regionale n. 1 del
Condizioni, limiti e modalità di applicazione del beneficio, aggiunge la
disposizione censurata, saranno determinate dalla Giunta regionale con propria
deliberazione.
1.2.― Secondo il
ricorrente siffatta disciplina sarebbe, in primo luogo, in contrasto con l’art.
117, primo comma, della Costituzione, in riferimento
ai principi espressi dagli artt. 56 e seguenti del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea (in seguito indicato come TFUE) nonché dagli artt. 53 e 64
del medesimo Trattato.
Ciò in
quanto – costituendo per costante giurisprudenza della Corte di
giustizia dell’Unione europea la concessione di crediti di imposta una pratica distorsiva del mercato – essa, per non incorrere nella
violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, avrebbe dovuto
essere previamente autorizzata dalla competente Commissione comunitaria.
1.3.― Aggiunge
il ricorrente che l’impugnato art. 3 della legge
regionale n. 1 del 2011 è, altresì, in contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera e), della Costituzione in
quanto interviene, trasmodando rispetto alla competenza regionale, sulla
disciplina di tributi statali. Ricorda, infatti, l’Avvocatura che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte (è richiamata in particolare la sentenza n. 123 del
2010), in carenza della legislazione statale di
coordinamento, è inibito alle Regioni sia istituire tributi propri aventi gli
stessi presupposti di quelli dello Stato, sia intervenire, anche prevedendo
agevolazioni nella forma del credito di imposta, sulla disciplina di tributi
regolati da leggi statali, quali sono sia le imposte sui redditi sia l’IRAP.
1.4.― Prosegue
il ricorrente precisando che la norma censurata viola anche gli artt. 3 e 10 dello statuto di autonomia sardo: infatti, la facoltà
concessa da tali norme al legislatore sardo di disporre, nei limiti della
propria competenza tributaria, esenzioni ed agevolazioni fiscali per nuove
imprese non legittima l’intervento normativo censurato, atteso che quest’ultimo
non è finalizzato ad incentivare nuove imprese o nuove iniziative produttive.
1.5.― Infine
l’art. 3 della legge regionale n. 1 del 2011 sarebbe
in contrasto con l’art. 23 della Costituzione, dato che, demandando a
successiva deliberazione della Giunta regionale la individuazione di modalità,
limiti e condizioni per l’applicazione del beneficio, senza preventivamente
determinare i criteri per l’esercizio di tale attribuzione, imporrebbe una
prestazione patrimoniale con un atto non di rango legislativo.
1.6.― Con
riferimento all’art. 7 della legge regionale n. 1 del
2011, il ricorrente precisa che esso, col proprio comma 1, è andato a
modificare l’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 7 agosto 2009,
n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), introducendo
talune disposizioni volte al superamento del fenomeno del precariato nelle
amministrazioni locali.
In particolare il
comma 1-bis dell’art. 3 della legge regionale n. 3 del 2009, novellato, appunto,
dall’art. 7 della legge regionale n. 1 del 2011, prevede che
Secondo l’avviso del
ricorrente, i predetti commi violerebbero l’art. 117, terzo comma, della
Costituzione in quanto, afferendo alla materia, di legislazione concorrente,
relativa al coordinamento della finanza pubblica, cozzerebbero
coi principi fondamentali dettati sia dall’art. 17, commi 10 e 12, del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di
termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali), convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.
1.7.― I
novellati commi dell’art. 3 della legge n. 3 del 2009
sarebbero, nel loro complesso, altresì, in contrasto con l’art.117, comma 2,
lettera l), della Costituzione, posto
che, dettando una disciplina esulante dalle disposizioni statali di
riferimento,
Infine, per ciò che
attiene alle disposizioni dianzi richiamate, il
ricorrente deduce la violazione dell’art. 97 della Costituzione in quanto
dispongono l’assunzione in ruolo di personale in assenza di selezione concorsuale.
1.8.― Il comma 2 dell’art. 7 della legge regionale n. 1 del 2011
stabilisce, in favore dei dipendenti regionali in possesso di determinati
requisiti (fissati da altra disposizione legislativa regionale), la riserva del
40% dei posti vacanti in organico messi a concorso nel periodo 2010/2012 ed a
quelli che si renderanno vacanti entro il 31 dicembre 2013.
La norma, in contrasto
col già citato art. 14, comma 9, del decreto-legge n.
78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009,
violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione (in relazione alla
materia coordinamento della finanza pubblica), nonché l’art. 3 dello statuto di
autonomia sardo, non rientrando la materia in questione fra quelle rimesse alla
competenza legislativa regionale, e l’art. 97 della Costituzione, derogando al
principio dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso pubblico.
1.9.― Il comma 3 dell’art. 7 della legge regionale n. 1 del 2011, infine,
prevede che i dipendenti laureati dell’amministrazione, inquadrati nell’area C,
terzo livello, ed assunti con pubblico concorso, nonché quelli di categoria C,
anch’essi assunti con pubblico concorso, i quali abbiano superato selezioni
interne verticali entro il 31 dicembre 2006 e siano in possesso di almeno
trenta mesi di anzianità, vengano inquadrati nella categoria D primo livello a
decorrere dal 1° gennaio 2011.
Siffatta disciplina
cozzerebbe con l’art. 97 della Costituzione, in quanto
prevedrebbe un’ipotesi di concorso riservato, e con l’art. 3 della Costituzione
in quanto, in contrasto col principio di eguaglianza, impedirebbe ad altri
l’accesso all’impiego ed alla qualifica.
A tale proposito il
Presidente del Consiglio dei ministri rammenta che, secondo la giurisprudenza
della Corte, solo la presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico, non rinvenibili nel caso di specie,
consentirebbe la deroga ai sopra riferiti principi.
La norma in questione,
conclude il ricorrente, violerebbe, infine, l’art. 3
dello statuto di autonomia, anche in relazione all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, eccedendo rispetto alla competenza legislativa statutaria
regionale.
2.― Si è
costituita in giudizio
2.1.― Con
riferimento alle censure mosse all’art. 3 della legge
regionale n. 1 del 2011, la resistente Regione deduce che, con riferimento alla
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, le censure sono basate su di una errata
interpretazione sia della disposizione impugnata che del richiamato parametro
costituzionale.
Rileva, infatti, la
resistente che, diversamente da quanto ritenuto nel ricorso, la disposizione
impugnata non avrebbe ad oggetto il pagamento di
tributi statali in quanto essa si limiterebbe a prevedere un contributo
semplicemente commisurato all’importo di taluni tributi erariali. Quest’ultimo,
aggiunge la difesa regionale, costituisce esclusivamente la base di calcolo del
contributo, che non è affatto destinato ad essere
scomputato dalle medesime imposte statali.
Non sarebbe
riscontrabile, pertanto, nel caso che interessa, quella integrazione
da parte della norma regionale della disciplina dei tributi erariali che, in
base alla giurisprudenza della Corte, comporta la violazione della competenza
legislativa regionale in tema di sistema tributario. D’altra parte, aggiunge la
resistente, la riprova della inesistenza di
interferenze fra la disposizione censurata ed il sistema tributario statale sta
nel fatto che non è prevista la esenzione dalla tassazione su quanto viene
erogato a titolo di credito di imposta ed ancora che, essendo le modalità
applicative del beneficio suscettibili di essere successivamente determinate
con delibera della Giunta regionale, le eventuali doglianze sulle modalità di
fruizione del credito di imposta andrebbero eventualmente indirizzate, a tempo
debito, nei confronti di tale delibera e non ora nei confronti della legge
regionale, sicché l’attuale ricorso sarebbe inammissibile.
Con riferimento alla evocazione del parametro costituito dall’art. 117,
comma primo, della Costituzione, la resistente Regione deduce, in primo luogo,
la inammissibilità del relativo gravame in quanto parte ricorrente per un verso
non avrebbe chiarito la pertinenza delle disposizioni del TFUE in riferimento
alle quali la questione è sollevata e, per altro verso, pur additando quali
norme interposte disposizioni relative alla libera circolazione dei servizi e
dei capitali nel territorio dell’Unione, poi sviluppa argomentazioni inconferenti rispetto a tale censura, riguardanti, cioè, la
violazione delle disposizioni comunitarie sugli aiuti di Stato.
Ove si esamini la
questione sotto la prospettiva della violazione della disciplina sugli aiuti di Stato, la resistente Regione autonoma Sardegna ritiene
che nel ricorso sia stata omessa la considerazione di dati normativi rilevanti.
L’art. 107, comma 3, lettere a) e c), del TFUE,
infatti, consente gli aiuti volti ad agevolare lo sviluppo economico se
destinati a favorire le regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso
ovvero nelle quali sia presente una grave forma di sottoccupazione: quindi,
l’interesse perseguito dalla disposizione denunziata trova esplicita tutela anche
in sede comunitaria.
Ma il ricorrente, aggiunge la difesa regionale, non
tiene conto del Regolamento 06/1998/CE in base al quale sono irrilevanti gli
aiuti di Stato, cosiddetti de minimis, che non superino la soglia dei 200.000,00 euro
nell’arco del triennio.
Quanto al riferimento
alla sentenza
della Corte costituzionale n. 123 del 2010, sostiene la resistente che
anch’esso non sia pertinente, quantomeno perché in quel caso erano richiamate,
come norme interposte, disposizioni del Trattato CE diverse da quelle ora
invocate.
Prosegue la difesa
regionale osservando che la questione di legittimità costituzionale è infondata
anche con riferimento ai parametri costituiti dagli artt. 3
e 10 dello statuto di autonomia. Siffatte disposizioni hanno ad
oggetto interventi i cui effetti concernono l’intero territorio regionale,
laddove il contributo in contestazione si applica solo in alcune zone montane
in favore di imprese che, per la loro ubicazione, sono particolarmente
disagiate. A tal fine
Riguardo, infine, alla
doglianza argomentata con riferimento all’art. 23
della Costituzione, osserva la difesa della Sardegna che la disposizione
censurata non impone alcuna prestazione, prevedendo, anzi, la concessione di un
beneficio. Peraltro non vi sarebbe violazione del principio di riserva di
legge, atteso che è la legge regionale che stabilisce direttamente sia i
requisiti per godere del beneficio sia l’importo
massimo del medesimo, essendo alla Giunta, in ossequio alla natura relativa
della riserva di legge di cui al citato parametro costituzionale, demandato
solo di dettare le norme organizzative per la concessione del beneficio.
2.2.― Relativamente alle censure aventi ad oggetto l’art. 7 della
legge regionale n. 1 del 2011, la resistente difesa ne contesta preliminarmente
l’ammissibilità non essendo chiaro in che modo ciascuna di esse si riferisca
puntualmente alle singole disposizioni in esso contenute.
Ad avviso della
resistente, esse comunque neppure colliderebbero con gli evocati parametri
costituzionali: quanto alla stabilizzazione dei lavoratori precari degli enti
locali, non sarebbe ravvisabile la violazione di principi
statali in tema di coordinamento della finanza pubblica essendo anzi
espressamente richiamato, quale dato normativo da osservare, l’art. 14, comma
24-bis, del decreto-legge n. 78 del
2010. Quanto alla violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia
di ordinamento civile, non essendo in discussione la definizione di istituti di diritto civile, riservata alla legislazione
dello Stato, ma solo la determinazione di effetti indiretti sulle situazioni
soggettive di privati, non vi è incompetenza del legislatore regionale. La espressa previsione di una "selezione concorsuale”
esclude poi la violazione dell’art. 97 della Costituzione.
La censura
specificamente relativa al comma 2 dell’art. 7 sarebbe
inammissibile stante la mancata dimostrazione della applicabilità dell’evocato
parametro interposto; peraltro nel caso non ci sarebbe un ampliamento di posti
di organico ma la legittima copertura di quelli disponibili.
La dedotta violazione
dello statuto di autonomia è affermata in maniera apodittica e senza tenere
conto che
Anche la censura
dell’art. 7, comma 3, sarebbe infondata, in quanto in
esso ci si riferisce al superamento di prove selettive ed all’esigenza di
completare procedure già da tempo avviate.
3.― In
prossimità dell’udienza pubblica l’Avvocatura dello Stato ha depositato, per conto
del ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri, una breve memoria
illustrativa, volta principalmente a ribadire quanto
già contenuto nel ricorso.
In particolare la
difesa erariale confuta la tesi della Regione secondo la quale il «credito
d’imposta» di cui all’art. 3 della legge regionale n.
1 del 2011 sarebbe solo commisurato ai tributi statali ma non sarebbe destinato
ad essere scontato su di essi. Infatti sarebbe
decisiva, come lo fu in occasione della sentenza n. 123 del
2010 della Corte, la circostanza che la norma impugnata non individui in
maniera esplicita quali siano i tributi propri regionali sui quali operare la
compensazione, né, peraltro, ciò avrebbe potuto fare in quanto
Proprio in funzione di
ciò l’Avvocatura desume il fatto che il credito di
imposta di cui alla disposizione censurata non può essere riconosciuto dalla
Regione altrimenti che a valere su tributi erariali.
Riguardo alle censure
aventi ad oggetto l’art. 7 della legge regionale n. 1
del 2011 l’Avvocatura dello Stato, in primo luogo, ne ribadisce la
ammissibilità stante l’adeguatezza della loro formulazione.
Aggiunge la ricorrente
difesa che più volte nella giurisprudenza della Corte si riscontra
l’affermazione in base alla quale sia con riferimento al limite competenziale dell’ordinamento civile, in materia di
pubblico impiego, sia con riferimento a quello del coordinamento della finanza
pubblica, non vi è trattamento differenziato fra le
Regioni a statuto ordinario e quelle speciali.
Relativamente, poi,
alle singole disposizioni censurate, nella memoria sono sostanzialmente
ribaditi gli argomenti e le doglianze già sviluppate nel ricorso introduttivo.
4.―
Nell’imminenza della discussione del ricorso anche la difesa della Regione
autonoma Sardegna ha depositato una ampia ed
articolata memoria illustrativa.
In essa
In particolare,
ribadito che il beneficio economico previsto dal citato art. 3
è semplicemente commisurato alle somme versate quali tributi erariali,
Prosegue la resistente
Regione affermando che la infondatezza del ricorso sul
punto si desume anche dal contenuto di una precedente ordinanza pronunziata
dalla Corte costituzionale, la n. 418 del 2008.
In quella
occasione, chiamata a scrutinare la legittimità costituzionale di una
legge della Regione Campania che prevedeva incentivi alle imprese, sotto forma
di credito di imposta,
D’altra parte che la
disciplina censurata non preveda un credito di imposta
ma solo un beneficio parametrato ad una quota
d’imposta è riscontrabile anche dal fatto che, nella ordinaria legislazione, il
credito di imposta «funziona come un’agevolazione fiscale attraverso la
deducibilità e la detraibilità di alcune spese sostenute nell’anno fiscale cui
fa riferimento la relativa dichiarazione», mentre nel caso della Regione
autonoma Sardegna il meccanismo è del tutto diverso: non vi è né deduzione né
detrazione ma, soprattutto, il contributo, testualmente definito finanziamento,
è relativo all’esercizio precedente a quello di erogazione.
Con riferimento alla impugnazione dell’art. 7 della legge n. 1 del 2011,
Quanto al merito,
oltre ad insistere nelle difese già spiegate in sede di comparsa di
costituzione,
Considerato in diritto
1.― Il Presidente
del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale
degli articoli 3 e 7, commi 1, 2 e 3, della legge
della Regione autonoma Sardegna 19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria
2011), deducendone il contrasto: a) con gli artt. 23 e 117, commi primo e
secondo, lettera e), della
Costituzione e con gli artt. 3 e 10 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per
In considerazione dei
diversi ed autonomi contenuti delle disposizioni
censurate, cui fanno seguito anche autonomi motivi di doglianza da parte del
ricorrente, si procederà partitamente ad esaminare la
compatibilità costituzionale di ciascuna di esse.
1.1.― La prima
delle disposizioni impugnate, l’art. 3 della legge
regionale n. 1 del 2011, prevede che, al fine di ridurre le diseconomie
presenti nei Comuni montani della Sardegna, sia concessa alle imprese aventi
sede legale in uno di tali Comuni un contributo, nella forma del credito di
imposta, nella misura del venti per cento di quanto effettivamente pagato a
titolo di imposte sui redditi ed IRAP nel corso dell’anno 2011, sino ad un
importo massimo, per ciascun beneficiario, di 10.000,00 euro. Precisa la
disposizione che condizioni, limiti e modalità di
applicazione del beneficio saranno determinate con successiva deliberazione
della Giunta regionale.
Ritiene il ricorrente
che la descritta disciplina violerebbe l’art. 117, primo comma, della
Costituzione, in riferimento ai principi espressi
dagli artt. da
Peraltro, aggiunge il
ricorrente, la disposizione impugnata sarebbe, altresì, in contrasto con l’art.
117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione in quanto interverrebbe sulla materia del
sistema tributario dello Stato, riservata alla competenza legislativa esclusiva
di quest’ultimo, esulando anche dalle competenze legislative regionali in
materia tributaria fissate, per
Infine, ad avviso del
ricorrente, l’art. 3 della legge regionale n. 1 del
2011 violerebbe l’art. 23 della Costituzione, poiché, in contrasto con la
riserva di legge in esso contenuta, demanda ad una successiva deliberazione
della Giunta regionale, senza che ne siano determinati i criteri applicativi,
la determinazione di modalità, limiti e condizioni per la concessione del
ricordato beneficio finanziario.
Violerebbe, altresì,
gli artt. 3 e 10 dello statuto di autonomia in quanto
il beneficio fiscale previsto eccederebbe dai rigorosi limiti ivi previsti, che
riguardano solo la possibilità di agevolazioni fiscali relative a nuove
imprese, peraltro nel rispetto della competenza tributaria della Regione.
2.― Stante la
sua natura preliminare deve essere valutata la eccezione
di inammissibilità sollevata dalla difesa regionale ed incentrata,
sostanzialmente, sul fatto che l’impugnazione sarebbe prematura in quanto l’eventuale
vulnus alle competenze statali si
determinerebbe solo a seguito della individuazione da parte della Giunta
regionale di condizioni, limiti e modalità di concessione del beneficio.
L’eccezione non può
essere accolta.
Anche a prescindere
dal fatto che, essendo la questione di legittimità costituzionale rivolta nei
confronti di una legge regionale certamente già in vigore, la sua attualità è in re ipsa,
potendo essere contestata, solo in negativo, la tempestività della sua
proposizione là dove, al momento della notificazione del ricorso introduttivo
del giudizio, già fosse spirato il termine previsto dall’art. 127 della
Costituzione per la sua promozione, osserva questa Corte che, a voler seguire
il ragionamento della difesa della Sardegna, ove non fosse intervenuta la impugnazione dell’art. 3 della legge regionale n. 1 del
2011, l’eventuale conflitto di attribuzione proposto successivamente alla
delibera di Giunta con la quale fossero stati definiti i termini concreti di
concessione del beneficio sarebbe inammissibile, in quanto, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, non è ammissibile il ricorso per conflitto di
attribuzione nei confronti di atti che siano la diretta applicazione di
preesistenti disposizioni legislative non impugnate (sentenze n. 380 del 2007,
n. 467 del 1997,
n. 215 del 1996
e n. 472 del 1995).
2.1.― Sempre in
via preliminare, va osservato che, sebbene la norma ora in discussione sia
stata oggetto di modificazione, a seguito della entrata
in vigore dell’art. 18, comma 31, lettera a),
della legge regionale della Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei
vari settori di intervento), tenuto conto della assoluta marginalità della
modificazione stessa (che consiste nella variazione della previsione di spesa
annua connessa all’attuazione della disposizione legislativa in questione che
passa, per ciascun anno, da euro 10.000.000,00 ad euro 2.000.000,00) e della
sua indifferenza rispetto ai motivi di censura dedotti dal ricorrente, la
questione può senza dubbio essere trasferita sul testo attualmente vigente del
citato art. 3 della legge regionale n. 1 del 2011.
3.― Passando al
merito, la questione di legittimità costituzionale è fondata.
3.1.― Con
riferimento alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, rileva, infatti,
questa Corte come non possa convenirsi con la difesa regionale là dove essa
afferma che la disposizione censurata non incide nella materia – riservata alla
competenza legislativa esclusiva statale – afferente
al «sistema tributario e contabile dello Stato», essendo, secondo la
ricostruzione di parte resistente, il beneficio esclusivamente commisurato, nei
suoi termini finanziari, al «venti per cento delle imposte sui redditi ed IRAP
effettivamente pagate […] nel corso dell’anno 2011», fino ad un massimo di
10.000 euro.
Infatti la disposizione legislativa fa due volte
riferimento al sistema impositivo: nella determinazione dell’entità del
beneficio (il ricordato 20 per cento delle imposte pagate) e
nell’individuazione del rapporto debitorio da cui l’impresa può defalcare
l’importo del beneficio concesso. L’argomentazione della Regione può valere per
ciò che concerne la prima parte dell’operazione (vale a dire la determinazione
del quantum) che è però evocata dal
ricorrente solo come necessario punto di partenza delle sue censure, le quali si indirizzano sulla seconda parte della disposizione,
laddove viene a stabilire quale sia il rapporto debitorio da cui l’impresa può
detrarre il beneficio concesso.
Osta alla ricostruzione
ermeneutica della Regione, per ciò che riguarda la sostanza della censura, il
dato, incontrovertibile nella sua chiarezza lessicale, che il contributo alle
imprese aventi sede legale ed unità operative nei
Comuni montani sardi è concesso «nella forma del credito di imposta». Si
tratta, pertanto, indubbiamente di un beneficio sussumibile nella più ampia
categoria delle agevolazioni fiscali.
Osserva questa Corte
non soltanto che la disposizione impugnata prevede che il credito di imposta, evidentemente utilizzabile o attraverso la
compensazione con altre imposte o attraverso il rimborso dell’eventuale quota
residua, sia pari al venti per cento di quanto versato a titolo di imposta sui
redditi o a titolo di IRAP – indubbiamente ambedue imposte erariali – ma
soprattutto che essa non contiene alcuna precisazione, come sarebbe stato
invece onere della Regione fornire, in ordine agli eventuali tributi propri
della Regione sui quali l’agevolazione fiscale, nella forma del credito di
imposta, sarebbe applicabile.
La giurisprudenza
costituzionale ha, anche recentemente, sottolineato
che «allo stato attuale della normativa regionale, non risultano sussistere
tributi regionali propri (nel senso di tributi istituiti e disciplinati dalla
Regione) che possano essere considerati ai fini dell’agevolazione in
questione», e, quindi, «deve ritenersi che detta agevolazione si riferisce a
tributi erariali, compresi i tributi regionali cosiddetti derivati, cioè […]
istituiti e disciplinati con legge statale, il cui gettito sia attribuito alle
Regioni» (sentenza
n. 123 del 2010).
Da tale
considerazione, essendo «innegabile che la previsione di un’agevolazione
tributaria nella forma del credito di imposta
applicabile a tributi erariali costituisce un’integrazione della disciplina dei
medesimi tributi erariali» (sentenza n. 123 del
2010), deriva l’affermazione della illegittimità costituzionale della
disposizione in scrutinio per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, dato che, in
assenza di specifica autorizzazione contenuta in una legge statale, detta
normativa viene a violare la competenza accentrata in materia di «sistema
tributario dello Stato». Infatti «la disposizione censurata, non limitando in
maniera espressa l’efficacia dell’agevolazione fiscale all’ambito dei soli
tributi regionali, consente l’applicazione di detta agevolazione, nella forma
del credito d’imposta, anche ai tributi statali».
Si tratta di una affermazione che, anche se espressa in una sentenza
relativa ad una Regione a statuto ordinario, si estende a tutti quei tributi
statali che, ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia della Sardegna,
costituiscono una sua entrata, in quanto una loro modifica esula dalle
competenze legislative attribuite alla Regione ai sensi degli artt. 3 e 4 del
medesimo statuto.
Né a diversa
conclusione si può giungere sulla base del rilievo che la lettera h) del primo comma dell’art. 8 dello statuto di autonomia inserisce tra le entrate
proprie della Regione le «imposte e tasse sul turismo» in quanto, potendo
essere istituite solo «in armonia con i principi del sistema tributario dello
Stato», non possono contrastare con gli «elementi essenziali del sistema
statale» (sentenza
n. 102 del 2008). La circostanza che la disposizione legislativa regionale renda
possibile uno sconfinamento nell’ambito legislativo che l’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. affida in
via esclusiva allo Stato rende costituzionalmente illegittima la suddetta
normativa, la quale concede, altresì, il beneficio non preoccupandosi di far
coincidere i fruitori dello stesso (rappresentati da
tutte le imprese aventi sede legale ed unità operativa nei comuni montani che
abbiano le caratteristiche innanzi indicate) con i soggetti che attualmente
versano le imposte e le tasse sul turismo, i tributi cioè che lo statuto
prevede possano, con i limiti visti, costituire autonoma entrata della Regione.
Né può immaginarsi che il beneficio possa indirizzarsi verso future misure
impositive rientranti nell’ambito del turismo che si rivolgessero a tali
imprese per l’evidente illogicità che si avrebbe nell’anticipare il beneficio
all’istituzione dell’obbligo contributivo, per di più nei confronti di un
insieme di imprese che il legislatore regionale
ritiene invece meritevoli di trattamenti incentivanti.
3.2.― Parimenti fondata è la censura che il Presidente del Consiglio muove
alla disposizione legislativa con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3
e 10 dello statuto di autonomia.
Il citato art. 10 prevede, infatti, che «
Restano assorbite le
restanti censure.
4.― L’altra
disposizione impugnata, l’art. 7, commi 1, 2 e 3,
della legge regionale n. 1 del 2011, per un verso, interviene, integrandone
sostanzialmente il contenuto, sull’art. 3 della legge regionale 7 agosto 2009,
n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale): in particolare il
comma 1 dell’impugnato art. 7 inserisce quattro nuovi commi, cioè i commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies, nell’art. 3 della legge
regionale n. 3 del 2009. Per altro verso, ai commi 2 e
3, prevede benefici di carriera in favore dei dipendenti delle amministrazioni
locali in possesso di determinati requisiti.
4.1.― Per
chiarezza espositiva, sebbene la disposizione impugnata dal Presidente del
Consiglio dei ministri sia l’art. 7, comma 1, della
legge regionale n. 1 del 2011, d’ora in poi si richiameranno, nella versione
novellata, le disposizioni contenute nei quattro nuovi commi dell’art. 3 della
legge regionale n. 3 del 2009 che, come si è detto, costituiscono il contenuto
sostanziale dell’introdotto comma 1.
Di questi, il primo,
il comma 1-bis, prevede che
4.2.― Secondo il
ricorrente, i predetti commi violano l’art. 117, terzo comma, della
Costituzione in quanto, in materia di coordinamento della finanza pubblica,
sarebbero in contrasto con i principi fondamentali dettati: a) dall’art. 17, commi 10 e 12, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78
(Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione
italiana a missioni internazionali), convertito, con modificazioni, dalla legge
3 agosto 2009, n.
I novellati commi
dell’art. 3 della legge n. 3 del 2009 sarebbero, nel
loro complesso, altresì, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in quanto
Infine, per ciò che
attiene alle disposizioni dianzi richiamate, il
ricorrente deduce, altresì, la violazione dell’art. 97 della Costituzione in
quanto in esse è prevista l’assunzione in ruolo di personale in assenza di
pubblico concorso.
4.3.― Il comma 2 dell’art. 7 della legge regionale n. 1 del
La norma, in contrasto
con il già citato art. 14, comma 9, del decreto-legge
n. 78 del 2010, convertito con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,
violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione (in relazione alla
materia coordinamento della finanza pubblica), nonché l’art. 3 dello statuto di
autonomia sardo, non rientrando la materia in questione fra quelle rimesse alla
competenza legislativa regionale, e l’art. 97 della Costituzione, derogando al
principio dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso pubblico.
4.4.― Infine, il
comma 3 dell’art. 7 della legge regionale n. 1 del
2011, nel prevedere che i dipendenti laureati dell’amministrazione, inquadrati
nell’area C terzo livello ed assunti con pubblico concorso, nonché quelli di
categoria C, anch’essi assunti con pubblico concorso, che abbiano superato
selezioni interne verticali entro il 31 dicembre 2006 e che abbiano almeno
trenta mesi di anzianità, siano inquadrati nella categoria D primo livello a
decorrere dal 1° gennaio 2011, cozzerebbe con l’art. 97 della Costituzione, in
quanto prevederebbe un’ipotesi di concorso riservato, e con l’art. 3 della
Costituzione in quanto, impedirebbe ad altri, in contrasto col principio di
eguaglianza, l’accesso all’impiego ed alla qualifica.
La norma in questione,
conclude il ricorrente, violerebbe, altresì, l’art. 3
dello statuto di autonomia, in relazione all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, eccedendo rispetto alla competenza legislativa statutaria
regionale.
5.― Anche in
questo caso, dato che successivamente alla
presentazione del ricorso introduttivo alcune delle disposizioni censurate sono
state oggetto di modificazioni, deve prioritariamente valutarsi la incidenza di
queste ultime sul presente giudizio.
In particolare l’art. 20 della legge della Regione autonoma Sardegna n. 12 del
2011, nell’interpretare autenticamente il comma 1-bis della legge regionale n. 3 del 2009, chiarisce che i programmi
pluriennali di stabilizzazione sono finalizzati alla «assunzione a tempo pieno
ed indeterminato» dei lavoratori precari degli enti locali e fissa modalità e
criteri per il loro svolgimento.
La medesima norma
interviene anche sul successivo comma 1-quater,
nel quale, oltre ad apportare talune integrazioni per ulteriormente specificare
i soggetti cui la disposizione si indirizza, espunge dalla parte finale il
riferimento all’art. 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010.
Da ultimo, introduce
nell’impugnato art. 3 della legge regionale n. 1 del
2011 un comma 3-bis (non impugnato
dal ricorrente) con il quale sono disciplinate le modalità di attuazione di
quanto previsto dal precedente comma 3.
Considerato, pertanto,
che le modifiche introdotte, aventi esclusivamente una funzione esplicativa od attuativa dei precedenti contenuti legislativi, non
modificano sostanzialmente i medesimi né soddisfano le pretese impugnatorie di parte ricorrente, la questione può essere
ulteriormente trattata con riferimento all’attuale formulazione della
normativa.
5.1.― Sempre
preliminarmente, va esaminata la eccezione di
inammissibilità delle censure, formulata dalla difesa regionale, a causa della
loro oscurità.
Tale eccezione è da respingere avendo svolto il
ricorrente il percorso argomentativo delle proprie censure in maniera adeguata,
chiara ed intellegibile.
6.― Passando, a
questo punto, al merito della questione, essa è fondata.
6.1.― Con
riferimento ai nuovi commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies
della legge regionale n. 3 del 2009, attraverso i quali è finanziato e
realizzato il piano pluriennale di stabilizzazione del personale precario delle
amministrazioni locali che abbia svolto, alle dipendenze di
esse, almeno trenta mesi di servizio, anche non continuativi, a
decorrere dal 1° gennaio 2002, occorre innanzitutto premettere che questa Corte
ha già precisato che anche le Regioni a statuto speciale, quale è
Dal confronto fra la
norma censurata e quella richiamata dall’art. 17,
comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009, emerge che, diversamente da quella
regionale, la disposizione statale non prevede la stabilizzazione pura e
semplice (ancorché previa selezione attitudinale) ma esclusivamente
l’assunzione a seguito dell’espletamento del pubblico concorso con riserva di
posti, per accedere al quale è necessaria un’anzianità di servizio non per la
durata di trenta mesi, come previsto dalla legge della Regione autonoma
Sardegna, ma per quella, più ampia, di trentasei mesi. Anche le date da
prendere in considerazione divergono in quanto il
periodo finale del servizio prestato che consente la fruizione delle misure agevolative è fissato alla data di entrata in vigore della
legge regionale n. 1 del 2011, ben oltre quindi quello previsto dalla normativa
statale, vale a dire la data dell’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006
(sentenza n. 179
del 2010).
Essendo indubbio che
l’art. 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009,
sia espressivo di un principio di coordinamento della finanza pubblica, volto
al contenimento della spesa (sentenza n. 69 del
2011), la distonia esistente fra questo ed il contenuto della norma
censurata ne determina la illegittimità costituzionale.
6.1.1.― Tale
illegittimità, d’altra parte, è riscontrabile anche a causa della violazione
dell’art. 97 della Costituzione, il quale, come è
noto, impone che il reclutamento della provvista di personale debba avvenire
attraverso il pubblico concorso, là dove è chiaro che, invece, le disposizioni
introdotte tramite il comma 1 dell’art. 7 della legge regionale n. 1 del 2011
prefigurano lo svolgimento non di un concorso aperto a tutti ma esclusivamente
di una «specifica selezione concorsuale» riservata ai lavoratori precari in
possesso dei requisiti previsti dalla legge regionale stessa.
Al riguardo si ricorda
che «la natura comparativa ed aperta della procedura,
quale elemento essenziale del concorso pubblico, è stata affermata dalla Corte
in molteplici occasioni». Si è anche sottolineato che
«la facoltà […] di introdurre deroghe […] è stata limitata in modo rigoroso,
potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali
esse stesse alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione e ove
ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a
giustificarle» (sentenza
n. 299 del 2011). In particolare è stato precisato che, anche ove vi sia
l’esigenza di consentire il consolidamento di pregresse
esperienze lavorative maturate nella pubblica amministrazione, in assenza di
situazioni del tutto eccezionali, il sistema «non tollera […] la riserva
integrale dei posti disponibili in favore del personale interno» (sentenza n. 52 del
2011).
La palese
insussistenza delle condizioni atte a giustificare la deroga rende, quindi,
anche sotto questo profilo, illegittime le disposizioni introdotte dal comma 1 dell’art. 7 della legge regionale n. 1 del 2011.
6.2.― Riguardo
al comma 2 del citato art. 7, valgono in buona parte
le stesse considerazioni svolte dianzi.
Anche la norma ora in
esame realizza, in sostanza, un’ipotesi di stabilizzazione di personale
precario. Pur essendo, infatti, previsto lo svolgimento di pubblici concorsi,
in favore dei dipendenti regionali precari in possesso dei requisiti previsti
dall’art. 36, comma 2, della legge regionale 29 maggio
2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
della Regione – Legge finanziaria 2007), cioè in sintesi l’avere lavorato alle
dipendenze della amministrazione regionale o degli enti e delle agenzie
regionali per trenta mesi nel quinquennio precedente, viene stabilita non
soltanto una riserva di posti, computata sia su quelli messi a concorso sia su
quelli che si renderanno disponibili a seguito delle cessazioni dal servizio
che si verificheranno sino al 31 dicembre 2013, nella misura del 40%, ma è
altresì previsto che, onde realizzare gli effetti premiali del servizio
precario prestato, previsti nella parte finale del citato art. 36, comma 2, della
legge regionale n. 2 del 2007, il concorso sia espletato «per titoli e
colloquio» e che i soggetti beneficiari della riserva di posti siano esentati
da eventuali prove preselettive.
6.2.1.― Ritiene
questa Corte che sia l’ampia riserva di posti, pari in questo caso quasi alla
metà dei posti disponibili in atto e che si verrebbero a determinare in un
prossimo futuro, in favore di una determinata categoria di concorrenti, sia la
valorizzazione in sede concorsuale dei titoli di
servizio – della quale, data la sua dichiarata finalità premiale, si gioveranno
i concorrenti, dipendenti precari della Amministrazione regionale e
pararegionale, già destinatari della riserva dei posti –, sia, infine, la
limitazione ai soli «titoli e colloquio» delle prove concorsuali con esenzione
dei riservatari dall’espletamento di eventuali prove di preselezione, fanno
fondatamente escludere che lo svolgimento dei pubblici concorsi richiamati
dalla disposizione censurata sia governato dal principio della par condicio fra i vari concorrenti, in
assenza del quale la procedura di selezione dei migliori aspiranti è
indubbiamente viziata e, in definitiva, non idonea ad assicurare la
soddisfazione delle finalità sia di trasparenza che di efficienza dell’operato
della Pubblica Amministrazione cui è ispirato l’art. 97 della Costituzione.
6.3.― Parimenti fondata è la questione di legittimità costituzionale del
successivo comma 3 dell’art. 7 della legge regionale n. 1 del 2011.
Anche in questa
fattispecie normativa, infatti, caratterizzata dal transito, di fatto ope legis, da una categoria contrattuale a quella
superiore di una determinata aliquota di dipendenti regionali aventi certi
requisiti, è riscontrabile la palese violazione dell’art. 97
della Costituzione.
Né ha un qualche rilievo la circostanza che, fra i requisiti che si debbono
avere per potere godere della progressione in carriera vi sia quello di essere
stati in precedenza assunti presso l’amministrazione di appartenenza a seguito
di un pubblico concorso, trattandosi, evidentemente, di concorso bandito per
una qualifica diversa ed inferiore rispetto a quella cui si accederebbe per
effetto della disposizione censurata. Così come non significativo
è il dato in base al quale l’accesso automatico alla categoria superiore è
riservato ai dipendenti in possesso di laurea, essendo questo elemento – in
assenza di qualsivoglia indicazione riguardo alla affinità di materia fra il
predetto titolo di studio e la funzione di cui
la nuova più elevata qualifica comporterebbe lo svolgimento – del tutto
neutro ai fini della dimostrazione di una più elevata preparazione
professionale funzionale alla categoria superiore. Egualmente irrilevante è,
ancora, il fatto che per un’altra determinata categoria di dipendenti (coloro i
quali non sono in possesso della laurea) il transito
sia subordinato all’ulteriore requisito dell’aver superato selezioni interne
per il passaggio alla categoria superiore entro il 31 dicembre
6.3.1.― Né,
infine, varrebbe ad escludere la violazione dell’art.
97 della Costituzione il fatto che, con l’art. 20 della legge regionale n. 12
del 2011, il legislatore sardo abbia previsto, con l’introduzione nell’art. 7
della legge regionale n. 1 del 2011 del già richiamato comma 3-bis, che il personale di cui al predetto
comma 3 debba partecipare ad un corso-concorso di formazione professionale da
concludersi con una prova il cui mancato superamento comporta il venir meno
della qualifica attribuita.
Ciò per un duplice
ordine di considerazioni: per un verso, infatti, lo svolgimento del
corso-concorso, in assenza di una preliminare prova pubblica di selezione degli
aspiranti, non è equiparabile ad un concorso pubblico;
per altro verso, dalla espressione utilizzata dal legislatore sardo («venir
meno della qualifica attribuita») si deduce che il positivo esito del
corso-concorso ha una funzione meramente confermativa di una progressione
lavorativa già avvenuta e non determinativa della stessa.
Posto che
l’inserimento del citato comma 3-bis
nella complessiva disciplina oggetto di esame non vale a sanarne i vizi di
legittimità costituzionale e che la normativa in esso prevista (cioè lo
svolgimento dei corsi-concorso) è funzionale alla progressione di carriera di
cui al precedente comma 3, ricorrono le condizioni per
dichiarare, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
l’illegittimità conseguenziale di tale disposizione.
per questi motivi
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
degli articoli 3 e 7, commi 1, 2 e 3, della legge
della Regione autonoma Sardegna 19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria
2011);
2) dichiara, altresì, in via conseguenziale, l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 7, comma 3-bis, della medesima legge regionale n. 1 del 2011.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
15 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2012.