SENTENZA N. 69
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
- Giorgio LATTANZI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 55 a 63, comma 69 e commi da 84 a 91 della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – Legge finanziaria anno 2010), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22-24 marzo 2010, depositato in cancelleria il 30 marzo 2010 ed iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2010.
Visti l’atto di costituzione della Regione Campania, nonché l’atto di intervento della Federazione Precari della Sanità Campana, FP - CGIL Medici Campania e CIMO-ASMD (Coordinamento italiano medici ospedalieri - Associazione sindacale medici dirigenti) Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 25 gennaio 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Antonio Nardone per la Federazione Precari della Sanità Campana, FP - CGIL Medici Campania e CIMO-ASMD (Coordinamento italiano medici ospedalieri - Associazione sindacale medici dirigenti) Regione Campania,Vincenzo Cocozza per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso depositato in cancelleria il 30 marzo 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri – unitamente alle censure relative ad altre disposizioni del medesimo testo normativo, decise separatamente – ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dell’art. 1, commi da 55 a 63, comma 69 e commi da 83 a 91 della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010).
2. – Espone il Presidente del Consiglio che le disposizioni contenute nei commi da 55 a 60 dell’art. 1 della legge regionale in esame sono dirette a modificare l’art. 81 della legge regionale 30 gennaio 2008, n. 1, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania (Legge finanziaria 2008)», nel senso di estendere le procedure di stabilizzazione previste dal medesimo articolo nell’ambito di quanto previsto dall’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», alla «dirigenza di primo livello» (con esclusione dei dirigenti di strutture semplici e complesse) che abbia prestato servizio a tempo determinato presso le aziende sanitarie, al personale del comparto ed alla dirigenza delle aziende ospedaliere universitarie che svolge in via esclusiva attività di assistenza sanitaria in forza di contratti a tempo determinato stipulati con le medesime aziende.
Secondo il ricorrente, le predette previsioni ripropongono sostanzialmente i contenuti delle disposizioni recate dall’art. 1, commi 1 e 4, della precedente legge della Regione Campania 14 aprile 2008, n. 5 (Modifiche dell’art. 81 della legge regionale 30 gennaio 2008, n. 1, concernenti norme per la stabilizzazione del personale precario del servizio sanitario regionale), che questa Corte, con la sentenza n. 215 del 2009, aveva dichiarato illegittime. I commi 56, 57 e 58 della legge regionale oggi censurata, per ovviare alle lacune che avevano condotto alla precedente declaratoria di illegittimità costituzionale, avrebbero integrato le predette previsioni con apposite norme volte a disporre che la stabilizzazione del personale dirigenziale avvenga previo accertamento delle specifiche necessità funzionali dell’amministrazione procedente, a seguito di verifica in termini positivi dell’attività svolta come dirigente nell’ambito del rapporto a tempo determinato. Inoltre, nei confronti del personale dirigenziale assunto ab origine mediante procedure concorsuali preordinate al conferimento di incarichi dirigenziali, il legislatore ha altresì previsto che, in caso contrario, gli interessati debbano comunque essere preventivamente sottoposti a selezioni basate sulle norme statali vigenti in materia di accesso alla dirigenza.
Nonostante le modifiche apportate, secondo il ricorrente anche la nuova normativa regionale sarebbe costituzionalmente illegittima, essendo profondamente mutato il quadro normativo statale in materia di assunzioni di personale precario, sia con riferimento alla generalità delle amministrazioni pubbliche, sia relativamente, in particolare, agli enti del Servizio sanitario nazionale. In particolare, l’art. 1, comma 565, della legge n. 296 del 2006, in quanto riferito al triennio 2007-2009, dovrebbe intendersi superato: invero, secondo il ricorrente, per l’anno in corso e per gli anni 2011-2012 occorrerebbe far riferimento, per quanto concerne il contenimento delle spese di personale degli enti del S.S.N., alle norme contenute nell’art. 2, commi da 71 a 74, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», che, a suo avviso, si configurano quali norme di coordinamento della finanza pubblica e non recano alcuna disposizione volta a consentire l’attuazione di procedure di stabilizzazione di personale anche non dirigenziale. Le predette procedure di stabilizzazione dovrebbero, inoltre, ritenersi superate anche per effetto delle previsioni recate dall’art. 17, commi da 10 a 13, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102 che, con riferimento alla generalità delle amministrazioni pubbliche, stabiliscono nuove modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale che abbia prestato servizio a tempo determinato.
2.1 – Le predette norme, richiamate dallo stesso art. 2, comma 74, della n. 191 del 2009, farebbero esclusivo riferimento al personale precario non dirigenziale delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e successive modificazioni, tra cui sono ricompresi anche gli enti del S.S.N. Alla luce di quanto precede, i commi in esame della legge regionale campana violerebbero sia l’art. 117, comma 2, lettera 1), Cost., il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi), sia l’art. 117, comma terzo, Cost., essendo adottate in violazione delle norme statali di coordinamento della finanza pubblica sopra richiamate.
Secondo il ricorrente, infine, risulterebbe illegittimo il riferimento alla dirigenza di primo livello recato dai commi in esame, tenuto conto che il d.lgs. del 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario regionale, a norma dell’art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), nel dettare una nuova disciplina della dirigenza sanitaria del servizio sanitario nazionale, ha stabilito che la stessa è articolata in un unico ruolo ed in un unico livello. Tale modifica ordinamentale sarebbe infatti stata recepita dal C.C.N.L. dell’8 giugno 2000 e non avrebbe subito variazioni per effetto dei successivi C.C.N.L. Anche sotto tale profilo, pertanto, le disposizioni censurate dovrebbero ritenersi in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost.
3. – Riferisce, inoltre, il Presidente del Consiglio, che il predetto art. 1 della legge regionale impugnata, al comma 69, apporta talune modifiche all’art. 32-bis della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, recante «Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati», prevedendo che i consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti cessino di svolgere le proprie funzioni, trasferite alle Province, che subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, non più immediatamente, come disposto dal previgente art. 32-bis, inserito dalla legge regionale n. 4 del 2007, ma solo dal momento dell’avvenuto trasferimento dei servizi al nuovo soggetto gestore.
Il ricorrente evidenzia che la disciplina dei rifiuti, per consolidato orientamento di questa Corte, viene concordemente fatta rientrare, nell’ambito della legislazione esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., collocandosi nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, mentre resta in capo alle Regioni la possibilità di intervenire, ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato; e che la competenza statale nella materia ambientale si intreccia con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale. Proprio nel legittimo esercizio di siffatta potestà il Governo avrebbe emanato il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella Regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della Regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alla protezione civile), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 26 febbraio 2010, n. 26, recante, tra l’altro, norme specifiche per l’emergenza rifiuti proprio nella Regione Campania e in armonia con la disposizione regionale dell’originale art. 32-bis della l.r. n. 4 del 2007, per un definitivo trasferimento di funzioni alle province, con il conseguente venir meno della figura consortile.
Secondo il ricorrente, dunque, il disegno regionale originale coinciderebbe con quello espresso nell’art. 11, comma 2, del decreto-legge n. 195 del 2009, il quale prevede talune misure volte ad accelerare la costituzione e l’avvio delle società provinciali. Con l’attuale versione dell’art. 32-bis della citata legge regionale del 2007, viceversa, l’impianto strategico previsto dallo Stato verrebbe posto nel nulla, atteso che l’ultrattività della figura consortile impedirebbe alle Province di intraprendere le sopra menzionate attività di gestione del ciclo dei rifiuti e farebbe sì che le società provinciali non si trovino attualmente nelle condizioni, previste per legge, di assumere la veste di soggetti esattori, con la determinazione, di fatto, dell’inefficacia delle disposizioni di cui all’art. 11, comma 3, del decreto-legge n. 195 del 2009.
4. – Il Presidente del Consiglio censura, poi, i successivi commi da 83 a 91 della legge regionale campana, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost., in materia di retribuzione ed anzianità di servizio. Le disposizioni in esame consentirebbero ai dipendenti del Consiglio regionale, della Giunta regionale e degli enti strumentali della Regione Campania, con solo otto anni di anzianità lavorativa, di presentare domanda per la risoluzione del rapporto di lavoro per gli anni 2010-2011-2012, dietro corresponsione a detto personale, da parte della Regione, di incentivi economici fino ad un massimo di trentasei mensilità per il personale non dirigente e fino ad massimo di trenta mensilità per il personale dirigenziale. Così disponendo, le norme inciderebbero sulla materia del trattamento economico riservate alla contrattazione collettiva. Ne conseguirebbe, pertanto, un contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale), artt. da 40 a 50, del d.lgs. n. 165 del 2001, che obbliga al rispetto della normativa contrattuale e delle procedure da seguire in sede di contrattazione, violando l’art. 117, lettera l) Cost., il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi).
5. – Si è costituita in giudizio la Regione Campania e, quanto alle censure relative ai commi da 55 a63, ha dedotto che anche la normativa statale vigente che, a dire dell’Avvocatura, avrebbe superato quella di cui aveva tenuto conto la legge regionale censurata, esplicitamente fa salve le disposizioni della legge finanziaria del 2007, dal momento che l’art. 2, comma 71, della legge predetta afferma testualmente «Fermo restando quanto previsto dall’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni…». In ogni caso, secondo la difesa regionale la disciplina relativa alle assunzioni dei dipendenti regionali rientrerebbe nella competenza residuale delle Regioni in materia di organizzazione degli uffici regionali, purché sia rispettato l’unico limite della diminuzione dell’1,4% della spesa stabilito dalla normativa statale, a prescindere dalla stabilizzazione di personale precario. Sarebbe pertanto irrilevante che l’intervento regionale di stabilizzazione sia intervenuto in un altro periodo storico rispetto a quello originariamente dichiarato illegittimo, dato resterebbero immutati i termini soggettivi e oggettivi e non avendo i dipendenti della Regione Campania potuto beneficiarne negli anni precedenti.
Quanto al comma 69, la difesa della Regione afferma che la nuova formulazione della norma non impedisce il trasferimento delle funzioni dai Consorzi alle Province, e che, trattandosi di una materia complessa, con intersezione di competenze statali e regionali, tra le quali quelle relative al governo del territorio e all’organizzazione amministrativa regionale, la competenza dello Stato non escluderebbe la concomitante competenza delle Regioni a intervenire su aspetti meramente organizzativi, come dimostrato dal fatto che, anche in caso di esigenze unitarie che giustifichino l’attrazione in sussidiarietà, residuerebbe pur sempre la necessità quanto meno di meccanismi concertativi, che nella specie non sarebbero stati previsti.
D’altra parte, prosegue la Regione, la normativa statale di riferimento in materia di gestione dei rifiuti urbani d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), la cui applicazione in Campania è stata procrastinata per effetto della situazione di emergenza, sarebbe incentrata sulla previsione di cd. ambiti territoriali ottimali (A.t.o.), ma consentirebbe alle Regioni, nella gestione dei rifiuti, di adottare modelli organizzativi alternativi, che accentuino il coinvolgimento dei Comuni. Ne consegue che la normativa regionale “a regime” varata nel periodo di emergenza e destinata a valere al suo scadere, nell’introdurre, con legge regionale n. 2 del 2010 un nuovo comma all’art. 10 della precedente legge regionale n. 4 del 2007, comma mai impugnato, prevedendo anche in ambito regionale la stessa possibilità di prevedere dei modelli alternativi agli A.t.o., sarebbe in linea con la normativa statale.
Quanto alla censura sui commi da 83 a 91, secondo la Regione l’impugnazione della norma sulla indennità dei consiglieri regionali sarebbe il frutto di una svista, dal momento che tale materia rientra nella esclusiva sfera di attribuzione dell’ente territoriale. Quanto alle altre disposizioni, la Regione osserva che l’incentivo, accedendo ad una facoltà di risoluzione anticipata che si pone in linea con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, sarebbe da un lato misura attinente all’organizzazione interna degli uffici della Regione, e dall’altro rispettosa della materia del coordinamento della finanza pubblica, esulando invece dalla materia dell’ordinamento civile.
6. – Sono intervenuti ad opponendum nel giudizio di costituzionalità la Federazione Precari della Sanità Campana, la FP – CGIL – Medici Campania e il Coordinamento Italiano Medici Ospedalieri – Associazione sindacale Medici Dirigenti, chiedendo il rigetto del ricorso statale, in particolare con riferimento ai commi da 55 a 63 della disposizione censurata.
7. – Con memoria depositata il 21 settembre 2010, il Presidente del Consiglio ha eccepito l’inammissibilità dei tre interventi e della costituzione in giudizio della Regione Campania, quest’ultima in quanto deliberata “su proposta” del dirigente del settore contenzioso amministrativo e tributario con decreto dirigenziale dell’avvocato coordinatore, ossia da un organo che non è titolare del relativo potere.
Con memoria depositata in data 23 dicembre 2010, la Regione Campania ha svolto ulteriori deduzioni a sostegno delle proprie conclusioni.
Con memoria depositata in data 4 gennaio 2011, il Presidente del Consiglio ha ribadito l’eccezione di inammissibilità degli interventi e della costituzione in giudizio della Regione Campania. Nel merito, l’Avvocatura ha illustrato ulteriormente le proprie deduzioni, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
8. – Successivamente la Regione Campania ha depositato, in data 5 gennaio 2011, delibera di ratifica della costituzione in giudizio adottata in data 30 dicembre 2010.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 1, commi da 55 a 63, comma 69 e commi da 83 a 91 della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania - Legge finanziaria anno 2010).
2. – Preliminarmente, deve essere dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Campania e dei proposti interventi, come dalle separate ordinanze, lette in udienza.
3.1. – Nel merito, le disposizioni contenute nell’art. 1, commi da 55 a 63 della legge regionale censurata dettano una disciplina analoga ad altra già dichiarata illegittima da questa Corte, con sentenza n. 215 del 2009, autorizzando la stabilizzazione del personale precario anche con riferimento alla dirigenza di primo livello (con esclusione solo dei dirigenti delle strutture semplici e complesse). Esse, al fine di superare i profili di incostituzionalità della disposizione già dichiarata illegittima per violazione del principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97 Cost., richiamano alcune diposizioni di legge statale in materia di pubblici concorsi, contenute nel d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale dirigenziale sanitario nazionale), nel d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 e successive modifiche (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modifiche (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e, infine, nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), oltre alle disposizioni del vigente contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale della Dirigenza Medica e Sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa (SPTA) del servizio sanitario nazionale.
Le predette norme statali, in sostanza, limitano la possibilità di trasformazione del rapporto di lavoro precario in lavoro a tempo indeterminato, per i dirigenti di primo livello, ai soli soggetti che, in conformità alle norme statali predette, siano stati selezionati dall’inizio mediante procedure concorsuali preordinate al conferimento di funzioni dirigenziali di primo livello, e a condizione che siano stati utilmente inseriti in graduatorie concorsuali pubbliche.
Il Presidente del Consiglio, tuttavia, reputa la nuova norma ugualmente illegittima sotto diversi profili, concernenti, questa volta, la lesione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e di quella concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
Il ricorrente sostiene che la norma censurata contrasterebbe con il quadro normativo statale di riferimento che, nel frattempo, sarebbe mutato in senso ancor più restrittivo. L’art. 2, commi da 71 a 74, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», non prevedendo alcuna forma di stabilizzazione e responsabilizzando gli enti del SSN con l’invito a ridurre la spesa pubblica in misura pari a 1,4% rispetto a quella del 2004, escluderebbe la legittimità di ogni forma di stabilizzazione. Per altro verso, l’art. 17, commi da 10 a 13, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, stabilendo nuove modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale precario, farebbe esclusivo riferimento al personale non dirigenziale, escludendo dunque esplicitamente il personale dirigenziale.
Peraltro, la normativa regionale determinerebbe la violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, anche in considerazione del fatto che il sistema delineato nella legislazione statale sarebbe stato cristallizzato nel CCNL dell’8 giugno 2000, senza subire variazioni nei successivi contratti collettivi.
Inoltre, il descritto contrasto con norme statali in materia di coordinamento della finanza pubblica, delle quali implicitamente si assume il carattere di principio fondamentale, comporterebbe la lesione della competenza statale concorrente prevista dall’art. 117, comma 3, Cost.
3.2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura poi l’art. 1, comma 69, della legge regionale n. 2 del 2010, in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti. Tale norma, intervenendo sull’art. 32-bis della legge regionale del 28 marzo 2007, n. 4 recante «Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati», che disponeva in Campania il trasferimento delle funzioni precedentemente affidate ai consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti alle province, con conseguente subentro delle stesse in tutti rapporti, attivi e passivi, prescrive che tale trasferimento operi non immediatamente, ma solo al momento dell’avvenuto trasferimento dei servizi al nuovo soggetto gestore. Lo Stato lamenta che tale spostamento del dies a quo del trasferimento, determinando l’ultrattività della figura consortile, contrasterebbe con il quadro strategico delineato nel decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella Regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della Regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alla protezione civile), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 26 febbraio 2010, n. 26, a sua volta in linea con la disposizione regionale dell’originale art. 32-bis della l.r. n. 4 del 2007, per un definitivo trasferimento di funzioni alle Province e, in tal modo, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente.
La Regione, dal canto suo, afferma che la nuova formulazione della norma non impedisce il trasferimento delle funzioni dai Consorzi alle Province, e che, trattandosi di una materia complessa, con intersezione di competenze statali e regionali, tra le quali quelle relative al governo del territorio e all’organizzazione amministrativa regionale, la competenza dello Stato non escluderebbe la concomitante competenza delle Regioni a intervenire su aspetti meramente organizzativi. D’altra parte, prosegue la Regione, la stessa normativa statale di riferimento in materia di gestione dei rifiuti urbani, il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la cui applicazione in Campania è stata procrastinata per effetto della situazione di emergenza, prevederebbe che le Regioni possano, nella gestione dei rifiuti, adottare modelli organizzativi alternativi a quelli disposti dalla predetta norma statale, che accentuino il coinvolgimento dei Comuni.
3.3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura infine l’art. 1, commi da 83 a 91 della legge regionale n. 2 del 2010, in materia di retribuzione ed anzianità di servizio. Le disposizioni in esame consentirebbero ai dipendenti del Consiglio regionale, della Giunta regionale e degli enti strumentali della Regione Campania, con solo otto anni di anzianità lavorativa, di presentare domanda per la risoluzione del rapporto di lavoro per gli anni 2010-2011-2012, dietro corresponsione a detto personale, da parte della Regione, di incentivi economici fino ad un massimo di trentasei mensilità per il personale non dirigente e fino ad massimo di trenta mensilità per il personale dirigenziale. Così disponendo, le norme inciderebbero sulla materia del trattamento economico e dunque dell’ordinamento civile, oggetto della cd. riserva di contrattazione collettiva. Ne conseguirebbe, pertanto, un contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale), artt. da 40 a 50, del d.lgs. n. 165 del 2001 che obbliga al rispetto della normativa contrattuale e delle procedure da seguire in sede di contrattazione. L’art. 1, commi da 83 a 91, della legge regionale impugnata, quindi, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale riserva allo Stato la competenza esclusiva nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato (contratti collettivi).
Secondo la Regione, invece, il beneficio previsto esulerebbe dalla materia dell’ordinamento civile in quanto, da un lato, atterrebbe all’organizzazione interna degli uffici della Regione e, dall’altro, incentivando una facoltà di risoluzione anticipata che si pone in linea con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, atterrebbe alla materia del coordinamento della finanza pubblica, armonizzandosi con i princìpi fondamentali dettati dalla legislazione statale in materia.
4.1. – La questione relativa all’art. 1, commi da 55 a 63, della legge regionale censurata è fondata sia con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (ordinamento civile), sia con riferimento alla dedotta violazione di principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.).
4.1.1. – Quanto al primo parametro, come si è visto, la disciplina regionale censurata autorizza gli enti del servizio sanitario regionale a trasformare contratti di lavoro precario o flessibile, attualmente in corso o comunque già stipulati, in veri e propri contratti di lavoro a tempo indeterminato. Essa, pertanto, incide sulla regolamentazione del rapporto precario già in atto (e, in particolare, sugli aspetti connessi alla durata del rapporto) e determina, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione).
Una simile disposizione è inquadrabile, quindi, nella materia disciplinata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., di competenza esclusiva del legislatore statale. Come questa Corte ha di recente avuto modo di chiarire (sentenza n. 324 del 2010), infatti, la disciplina della fase costitutiva del contratto di lavoro, così come quella del rapporto sorto per effetto dello stesso, si realizzano mediante la stipulazione di un contratto di diritto privato e, pertanto, appartengono alla materia dell’ordinamento civile.
4.1.2. – Le norme regionali censurate sono, inoltre, illegittime anche con riferimento alla lesione dei principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
L’art. 17, commi da 10 a 13, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, con riferimento alla generalità delle amministrazioni pubbliche, nello stabilire nuove modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale che abbia prestato servizio a tempo determinato e, dunque, nel consentire, a certe condizioni, la stabilizzazione del personale precario, limita tale possibilità al solo personale non dirigenziale delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e successive modificazioni. Tra esse sono compresi anche gli enti del Servizio sanitario nazionale. La legittimità della stabilizzazione per il personale dirigenziale è, quindi, esclusa. Tale implicito divieto trova una conferma nell’art. 2, commi da 71 a 74, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2010), che, a sua volta, non reca alcuna disposizione diretta a consentire l’attuazione di procedure di stabilizzazione di personale anche non dirigenziale.
Tali norme si ispirano alla finalità del contenimento della spesa pubblica in uno specifico settore – quello del personale – e costituiscono princìpi fondamentali nella materia del coordinamento della finanza pubblica, che è di competenza concorrente, in quanto si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della finanza, senza prevedere strumenti e modalità per il perseguimento dei medesimi. Orbene, come ha chiarito questa Corte, la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interna (data la sua rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale (sentenza n. 169 del 2007).
Le disposizioni regionali censurate, pertanto, sono lesive della competenza legislativa statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
4.2. – La questione relativa all’art. 1, comma 69, è fondata.
Tale norma abroga la disposizione contenuta nell’art. 32-bis della legge della Regione Campania n. 4 del 2007, che disponeva l’immediata cessazione dell’attività dei consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti e il trasferimento delle relative funzioni alle Province, precisando che il subentro di queste ultime in rapporti attivi e passivi avvenga fin dal momento dell’avvenuto trasferimento dei servizi al nuovo soggetto gestore.
La norma regionale censurata, incidendo sul descritto sistema transitorio, modifica la competenza relativa alla gestione dell’attività di smaltimento dei rifiuti, stabilendo che i relativi consorzi obbligatori cessino di svolgere le proprie funzioni, trasferite alle Province, solo dal momento dell’avvenuto trasferimento dei servizi al soggetto gestore.
In tal modo, essa si pone in contrasto con la disciplina statale, dettata dall’art. 11 del citato decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella Regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della Regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed alla protezione civile), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 26 febbraio 2010, n. 26, che, recependo e presupponendo la disposizione regionale abrogata, statuisce l’immediato trasferimento delle funzioni e dei rapporti alle Province ed alle società da loro partecipate, autorizzando la protrazione della gestione consortile per le sole attività di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti, e, quanto a quelle di smaltimento o recupero, esclusivamente per la raccolta differenziata; e comunque, limita la possibile protrazione della gestione consortile solo fino al 31 dicembre 2010.
La norma regionale censurata determina uno slittamento temporale dell’effettivo passaggio delle funzioni amministrative in tema di raccolta e smaltimento dei rifiuti in Campania ed, in ultima analisi, individua, in modo eccentrico rispetto alla legge statale, l’ente pubblico responsabile dell’intera attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Una simile disciplina non può essere inquadrata, come proposto dalla Regione, nella materia del governo del territorio, ma, in linea con i precedenti della Corte (sentenze n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 380 del 2007), deve ritenersi lesiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente.
4.3. – La questione dall’art. 1, comma 83, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., non è fondata. La disposizione censurata, invero, dispone che, al termine della legislatura, la Giunta regionale provveda alla remissione al Consiglio delle quote necessarie alla copertura delle spese di liquidazione accertate ad avvenuta elezione relativamente ai Consiglieri non eletti. La norma censurata, pertanto, si limita a disporre il trasferimento della provvista necessaria all’adempimento di un preesistente obbligo di pagamento.
4.4. – La questione relativa alle disposizioni regionali contenute nell’art. 1, commi da 84 a 91, della legge regionale n. 2 del 2010 è fondata.
Le norme censurate introducono incentivi economici alla risoluzione anticipata del rapporto, stabilendone l’importo nella misura massima di trentasei mensilità per il personale non dirigente e di trenta mensilità per il personale dirigenziale.
La difesa regionale ha sostenuto che la normativa censurata sarebbe finalizzata a realizzare risparmi di spesa e inciderebbe, quindi, nella materia del coordinamento della finanza pubblica, armonizzandosi con i principi fondamentali della stessa. In realtà, come questa Corte ha da tempo avuto occasione di chiarire, l’individuazione della materia deve essere effettuata tenendo conto dell’oggetto della norma e della disciplina in essa stabilita, alla luce della ratio dell’intervento legislativo nel suo complesso e nei suoi punti fondamentali, così da identificare correttamente anche l’interesse tutelato (sentenze n. 368 del 2008, n. 165 del 2007, n. 422 e n. 81 del 2006).
L’applicazione dei principi suesposti rende chiaro che le norme regionali censurate, al di là delle possibili intenzioni di contenimento della spesa pubblica, introducono un istituto economico, quale l’indennità suddetta; determinano i criteri per il suo calcolo e, quindi, la sua entità; disciplinano la sua revocabilità ed hanno una chiara natura contrattuale, incidendo direttamente sulla regolamentazione del rapporto di lavoro con i dipendenti del Consiglio regionale, della Giunta e degli enti strumentali della Regione Campania.
Pertanto, esse, in contrasto con le disposizioni statali contenute negli artt. da 40 a 50 del d.lgs. n. 165 del 2001, che riservano alla contrattazione collettiva la determinazione delle norme regolatrici del rapporto di lavoro privatizzato con le pubbliche amministrazioni, invadono la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile (sentenze n. 7 del 2011, n. 332 del 2010 e n. 189 del 2007).
per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara l’inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Campania e degli interventi proposti dalla Federazione Precari della Sanità Campana, la FP – CGIL – Medici Campania e il Coordinamento Italiano Medici Ospedalieri – Associazione sindacale Medici Dirigenti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 55 a 63, comma 69 e commi da 84 a 91 della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010)»;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 83, della legge della Regione Campania n. 2 del 2010, promossa con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2011.
Allegato:
ordinanza letta all’udienza del 25 gennaio 2011