Sentenza n. 332 del 2010

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SENTENZA N. 332

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Ugo                             DE SIERVO                                    Presidente

-           Paolo                           MADDALENA                               Giudice

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                   “

-           Alfonso                       QUARANTA                                         “

-           Franco                         GALLO                                                  “

-           Luigi                            MAZZELLA                                          “

-           Gaetano                       SILVESTRI                                           “

-           Sabino                         CASSESE                                              “

-           Maria Rita                   SAULLE                                                “

-           Giuseppe                     TESAURO                                             “

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                     “

-           Giuseppe                     FRIGO                                                   “

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                        “

-           Paolo                           GROSSI                                                 “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 11, comma 5, e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n. 31 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-23 febbraio 2010, depositato in cancelleria il 25 febbraio 2010 ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2010.

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli articoli 117, commi primo, secondo lettera l), e terzo, e 120, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, comma 5, e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n. 31 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010).

1.1. – Quanto all’art. 11, comma 5, della citata legge regionale, il ricorrente afferma che la norma censurata dispone che le risorse destinate al finanziamento del trattamento economico accessorio del personale addetto alle segreterie particolari dei componenti della Giunta regionale, dei componenti l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale, del personale dei gruppi politici, degli assistenti dei consiglieri regionali e degli autisti hanno carattere di certezza, stabilità e continuità e confluiscono tra quelle di cui all’art. 31, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003. Quest’ultimo stabilisce che l’importo è suscettibile di incremento in base a specifiche disposizioni contrattuali, nonché per effetto di ulteriori applicazioni della disciplina di cui all’art. 15 del contratto collettivo del 1º aprile 1999, limitatamente, però, agli effetti derivanti dall’incremento delle risorse aggiuntive.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, stabilizzando, in modo generico, le risorse destinate al trattamento accessorio del personale da esso menzionato, interverrebbe in una materia riservata alla contrattazione collettiva e si porrebbe in contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che disciplina le procedure da seguire in sede di contrattazione e prevede l’obbligo del rispetto della normativa contrattuale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di ordinamento civile.

1.2. – Con riferimento alle questioni relative all’art. 57, comma 1, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, il ricorrente premette che tale norma dispone che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e secondo quanto previsto dal Piano energetico ambientale regionale (PEAR), approvato con deliberazione 16 febbraio 2005, n. 175, gli impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare nel territorio regionale devono possedere le seguenti caratteristiche: a) capacità di generazione non superiore a 5 MW termici; b) autosufficienza produttiva mediante utilizzo di biomasse locali o reperite in ambito regionale; c) utilizzazione del calore di processo, in modo da evitarne la dispersione nell’ambiente.

Così disponendo il legislatore regionale avrebbe ecceduto dalla propria competenza legislativa, invadendo quella statale in riferimento ai principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Infatti, la disposizione censurata, stabilendo che gli impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare nel territorio regionale debbano, tra l’altro, possedere capacità di generazione non superiore a 5 MW termici, si porrebbe in contrasto con il citato art. 5, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 387 del 2003 (qualificabile come principio fondamentale), il quale, in ordine alla valorizzazione energetica delle biomasse, si limita a prevedere la possibilità di individuare le condizioni per la promozione prioritaria degli impianti cogenerativi di potenza elettrica inferiore a 5 MW, mentre la norma regionale impugnata non stabilisce criteri di promozione prioritaria, bensì limiti dimensionali cogenti, ponendosi in contrasto anche con i principi di cui all’art. 6 della direttiva 27 settembre 2001, n. 2001/77/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

Inoltre, la norma impugnata contrasterebbe con il principio di libertà dell’attività di produzione dell’energia elettrica – sancito all’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) – perché stabilisce un divieto di autorizzazione di impianti a biomassa (di generazione superiore a 5 MW termici, che non abbiano autosufficienza produttiva mediante utilizzo di biomasse locali o reperite in ambito regionale e che non siano cogenerativi) che non trova (né potrebbe trovare) riscontro nella normativa di livello comunitario e nazionale. Infatti, da un lato, divieti generali per l’utilizzo di determinate fonti rinnovabili sono in contrasto con il predetto principio e, dall’altro, eventuali restrizioni o divieti di utilizzo, per essere compatibili anche con il principio comunitario di libera circolazione delle merci, devono fondarsi su criteri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità in relazione a problemi di salute pubblica o ambientali, da valutarsi comunque nell’ambito dell’istruttoria per i singoli procedimenti amministrativi.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri sussisterebbe, inoltre, lesione dell’art. 117, primo comma, Cost., perché l’art. 57, comma 1, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 si porrebbe in contrasto con l’ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza, violando gli artt. 43 e 81 del Trattato 25 marzo 1957 che istituisce la Comunità europea, i quali vietano, rispettivamente, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e gli accordi consistenti nel limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti.

Conseguentemente sussisterebbe contrasto anche con l’art. 120, primo comma, Cost., che fa espressamente divieto al legislatore regionale di adottare provvedimenti che ostacolino, in qualsiasi modo, la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni o che limitino l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.

2. – La Regione Marche si è costituita in giudizio e ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o infondate.

2.1. – Ad avviso della Regione, la questione relativa all’art. 11, comma 5, della legge della Regione n. 31 del 2009 sarebbe inammissibile perché il ricorrente in realtà prospetterebbe due distinte censure fondate su ricostruzioni dell’assetto costituzionale delle competenze legislative tra esse incompatibili: la prima, secondo la quale si verterebbe in una materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato, con conseguente difetto assoluto di potestà legislativa in capo alle Regioni; la seconda, basata sull’asserito contrasto in concreto tra la norma impugnata e la disciplina statale, presupponente invece il riconoscimento di uno spazio di operatività a favore della legislazione di fonte regionale.

Un ulteriore motivo di inammissibilità è ravvisato dalla difesa della Regione nella genericità della deduzione dell’asserito contrasto con le disposizioni contenute negli artt. 40 ss. del d.lgs. n. 165 del 2001 e nella mancata individuazione del precetto costituzionale rispetto al quale quelle disposizioni assumerebbero natura di parametro interposto, non potendo valere, al riguardo, l’invocazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché tale precetto esclude in radice qualunque possibilità di intervento da parte delle Regioni, indipendentemente dalla conformità o meno delle norme regionali alla disciplina di produzione statale.

Nel merito, la questione non sarebbe fondata, perché frutto di una lettura erronea della disposizione impugnata e del quadro normativo nel quale essa si inserisce.

In particolare, ad avviso della Regione Marche, il trattamento economico accessorio previsto dall’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 è quello già disciplinato dalla legge della Regione Marche 8 agosto 1997, n. 54 (Misure flessibili di gestione del personale della Regione e degli Enti da essa dipendenti e norme sul funzionamento e sul trattamento economico accessorio degli addetti alle segreterie particolari), la quale, in particolare all’art. 10, ha escluso il personale addetto alle strutture organizzative di diretta collaborazione della Giunta e dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale «dalla fruizione di tutti i trattamenti accessori diversi dal trattamento stipendiale fondamentale, quali compensi per lavoro straordinario, compensi per la produttività e progetti obiettivi o altri previsti dai vigenti CCNL, per il personale delle Regioni e delle autonomie locali», provvedendo a «compensare l’esclusione» da tali competenze con «un’indennità annua lorda» stabilita in misura forfetaria diversa in relazione alle diverse categorie di personale. Tale disciplina, ai sensi dell’art. 11 della medesima legge della Regione Marche n. 54 del 1997, è espressamente qualificata come transitoria, «in attesa della specifica disciplina contrattuale così come previsto dall’articolo 12, comma 1, lettera n), della legge 15 marzo 1997, n. 59».

Quest’ultima disposizione autorizzava il legislatore delegato ad attuare, «senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro fino ad una specifica disciplina contrattuale», la revisione del «trattamento economico accessorio degli addetti ad uffici di diretta collaborazione dei Ministri, prevedendo, a fronte delle responsabilità e degli obblighi di reperibilità e disponibilità ad orari disagevoli, un unico emolumento, sostitutivo delle ore di lavoro straordinario autorizzabili in via aggiuntiva e dei compensi di incentivazione o similari».

Tale disciplina, per gli uffici di diretta collaborazione dei ministeri, è attualmente contenuta nell’art, 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il quale stabilisce che «con decreto adottato dall’autorità di governo competente, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, è determinato, in attuazione dell’articolo 12, comma 1, lettera n) della legge 15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento economico accessorio, da corrispondere mensilmente, a fronte delle responsabilità, degli obblighi di reperibilità e di disponibilità ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consiste in un unico emolumento, è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale».

Pertanto il modello di disciplina del trattamento accessorio del personale degli uffici di diretta collaborazione assunto sia a livello statale per i ministeri, sia dalla Regione Marche per i propri organi politici prevedeva, per il personale di diretta collaborazione dei vertici politici dell’amministrazione, una normativa transitoriamente derogatoria rispetto a quella generalmente fissata dalla contrattazione collettiva per il restante personale, in attesa di una specifica disciplina contrattuale.

Tanto premesso, la difesa regionale afferma che l’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, dopo aver stabilito che le risorse finanziarie stanziate per il trattamento economico accessorio del personale degli uffici di diretta collaborazione «hanno carattere di certezza, stabilità e continuità», dispone che tali risorse «confluiscono tra quelle di cui all’articolo 31, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002/2005 e il biennio economico 2002/2003».

A sua volta, l’art. 31 del contratto collettivo del 22 gennaio 2004 appena citato disciplina le c.d. “risorse decentrate”, ossia «le risorse finanziarie destinate alla incentivazione delle politiche di sviluppo delle risorse umane e della produttività», stabilendo che esse «vengono determinate annualmente dagli enti con effetto dal 31.12.2003 ed a valere per l’anno 2004, secondo le modalità definite dal presente articolo» (comma 1). Il successivo comma 2 dello stesso art. 31 individua «le risorse aventi carattere di certezza, stabilità e continuità determinate nell’anno 2003», aggiungendo che il relativo importo resta confermato ed «è suscettibile di incremento ad opera di specifiche disposizioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro nonché per effetto di ulteriori applicazioni della disciplina dell’art. 15, comma 5, del CCNL del 1° aprile 1999 limitatamente agli effetti derivanti dall’incremento delle dotazioni organiche».

Ad avviso della Regione Marche, il legislatore regionale ben poteva incrementare l’importo delle c.d. “risorse decentrate”, aggiungendovi quelle relative al trattamento economico accessorio del personale addetto agli uffici di diretta collaborazione già previsto dalla legge della Regione n. 54 del 1997, poiché l’art. 31, comma 2, del contratto collettivo del 22 gennaio 2004 è diretto solamente a costituire un presidio minimo a garanzia dell’importo delle risorse in questione, mediante la specifica previsione delle fonti di finanziamento che necessariamente debbono confluire nel fondo delle “risorse decentrate” e, altresì, mediante la previsione degli incrementi cui obbligatoriamente l’ente interessato debba considerarsi assoggettato. Il contratto collettivo, invece, non vieta in alcun modo che l’ente interessato provveda spontaneamente ad incrementare l’importo delle “risorse decentrate” oltre la misura minima obbligatoria contrattualmente stabilita.

La difesa regionale menziona, quindi, le disposizioni contrattuali che prevedono che le «risorse decentrate siano dirette a promuovere miglioramenti dei livelli di efficienza dei servizi erogati dall’ente pubblico e a premiare la qualità delle prestazioni lavorative» (art. 17 del contratto collettivo del 1° aprile 1999; art. 18 dello stesso contratto collettivo, come sostituito dall’art. 37 del contratto collettivo del 22 gennaio 2004; art. 5 del contratto collettivo del 31 luglio 2009).

In conclusione, a parere della Regione Marche, si deve escludere che il legislatore regionale abbia invaso il campo di disciplina del rapporto di lavoro riservato alla contrattazione collettiva e la competenza legislativa statale nella materia dell’ordinamento civile, perché la norma impugnata, senza alcun maggiore onere per la spesa pubblica, si è limitata a disporre che le risorse finanziarie destinate al trattamento economico accessorio del personale degli uffici di diretta collaborazione degli organi politici regionali assumano quei caratteri di certezza, stabilità e continuità tali da consentirne la confluenza tra le c.d. “risorse decentrate” previste nel vigente contratto collettivo nazionale di comparto da distribuire secondo i criteri di premialità rispetto alla effettiva qualità e quantità della prestazione lavorativa e come strumenti di incentivazione della produttività e di miglioramento dei servizi così come disciplinati dalla contrattazione collettiva.

Ne conseguirebbe, da un lato, il pieno riconoscimento da parte della Regione del ruolo che la legislazione statale vigente assegna alla contrattazione collettiva e, dall’altro, un’anticipazione (ancorché solo parziale) dell’adeguamento dell’ordinamento regionale ai nuovi principi fondamentali stabiliti nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), e, in particolare, dell’art. 31, comma 2, di tale decreto legislativo che prevede espressamente che «le regioni, anche per quanto concerne i propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, e gli enti locali, nell’esercizio delle rispettive potestà normative, prevedono che una quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale venga attribuita al personale dipendente e dirigente che si colloca nella fascia di merito alta e che le fasce di merito siano comunque non inferiori a tre».

Del resto, un’eventuale pronuncia di accoglimento della questione determinerebbe un nuovo dispiegamento della vis normativa degli artt. 9, 10 e 11 della legge della Regione Marche n. 54 del 1997, con tutti gli effetti ad essi connessi di perdurante sottrazione al regime della contrattazione collettiva e di attribuzione forfetaria del trattamento economico accessorio del personale addetto agli uffici di diretta collaborazione degli organi politici.

2.2. – Quanto alla questione relativa all’art. 57, comma 1, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, la Regione sostiene anzitutto che le censure con le quali il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la violazione del diritto comunitario sarebbero inammissibili.

In particolare, quanto all’asserito contrasto della norma «con i principi di cui all’art. 6 della direttiva 2001/77/CE», il ricorrente avrebbe omesso di indicare il parametro costituzionale necessario a configurare la questione di costituzionalità. Invece, quanto alla doglianza concernente la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., il ricorrente ha individuato, quali norme comunitarie interposte, gli artt. 43 e 81 del Trattato CE, ormai non più vigenti a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 49 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Nel merito, la Regione Marche afferma che il presupposto interpretativo dal quale muove la controparte (e secondo cui dalla disposizione censurata si ricaverebbe il divieto di autorizzazione per gli impianti alimentati a biomasse che non possiedano le caratteristiche individuate nella disposizione medesima) sarebbe erroneo.

Infatti, proprio nel rispetto della logica della «promozione prioritaria degli impianti cogenerativi di potenza elettrica inferiore a 5 MW» di cui all’art. 5, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 387 del 2003 e sulla base degli indirizzi contenuti nel PEAR, il legislatore regionale ha fissato una volta per tutte le condizioni e le caratteristiche degli impianti alimentati a biomasse in presenza delle quali il rilascio della relativa autorizzazione deve considerarsi automatico, eliminando in via generale e astratta, per gli impianti dotati di determinati requisiti, qualunque potere discrezionale dell’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione e anche il potere della medesima autorità di imporre specifiche prescrizioni per la realizzazione e l’esercizio del singolo impianto. Rimarrebbe del tutto impregiudicata la possibilità di autorizzare secondo le ordinarie procedure amministrative gli impianti che non presentino quei requisiti.

In questo senso la norma censurata sarebbe coerente con la logica dell’art. 6 della direttiva n. 2001/77/CE, attuata in Italia con il d.lgs. n. 387 del 2003, ai sensi del quale «gli Stati membri o gli organismi competenti individuati dagli Stati membri valutano l’attuale quadro legislativo e regolamentare esistente delle procedure di autorizzazione o delle altre procedure di cui all’articolo 4 della direttiva 96/92/CE applicabili agli impianti di produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili allo scopo di: - ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili, - razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo, - garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tengano pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili».

La Regione Marche aggiunge che la prospettata interpretazione dell’art. 57, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2009 non è smentita dal successivo comma 3 del medesimo art. 57, il quale dispone che «gli impianti di cui al comma 1 sono autorizzabili, previa valutazione da parte della Regione, anche in deroga a quanto previsto nel medesimo comma 1 se riguardano i progetti di riconversione industriale di cui all’articolo 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa), convertito con modificazioni nella legge 11 marzo 2006, n. 81, e hanno le seguenti caratteristiche: a) esistenza del piano industriale che preveda una dimensione dell’impianto coerente con le esigenze della riconversione; b) preminente interesse di carattere generale sul piano occupazionale; c) utilizzo di nuove tecnologie ecosostenibili; d) valorizzazione delle produzioni in una organizzazione di filiera corta».

Infatti, anche tale disposizione, anziché esprimere un divieto di autorizzabilità di tutti gli impianti diversi da quelli da essa contemplati, contiene una norma promozionale e semplificatoria delle procedure di autorizzazione per impianti che, pur non presentando le caratteristiche di cui all’art. 57, comma 1, posseggano altri requisiti espressamente predeterminati dalla stessa norma in esame, ma la cui sussistenza in concreto richiede una valutazione a carattere discrezionale affidata direttamente alla Regione.

In conclusione, ad avviso della resistente, essendo possibile attribuire all’art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n. 31 del 2009 un significato conforme ai parametri costituzionali invocati dal ricorrente, le relative questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri debbono essere dichiarate non fondate.

3. – In prossimità dell’udienza di discussione, la Regione Marche ha depositato una memoria nella quale insiste nelle conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione, ribadendo anche le argomentazioni ivi contenute.

La Regione aggiunge, a proposito della questione di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n. 31 del 2009, che tale disposizione è conforme agli obblighi più recentemente previsti dal legislatore dell’Unione europea che, all’art. 13, paragrafo 1, della Direttiva 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), impone agli Stati membri di adottare misure dirette ad assicurare, tra l’altro, la semplificazione delle procedure amministrative e di autorizzazione relativamente agli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e a quelli alimentati da biomasse.

La difesa regionale evidenzia, inoltre, che la norma impugnata non deroga alla disciplina statale dei procedimenti autorizzatori posta dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, con conseguente eterogeneità della presente fattispecie rispetto a quelle su cui si è espressa la Corte costituzionale e relative a norme regionali che invece introducevano quelle deroghe.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 11, comma 5, e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n. 31 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010).

2. – Quanto alla questione relativa all’art. 11, comma 5, della citata legge regionale, occorre delineare il quadro normativo e di contrattazione collettiva nel quale si inserisce la disposizione impugnata.

Il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto di impiego è contrattualizzato è definito dai contratti collettivi (art. 45, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165  recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»). Tuttavia la stessa normativa statale dispone che per determinate categorie di personale (e, precisamente, per i «dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato»), il trattamento accessorio è costituito, «fino ad una specifica disciplina contrattuale», da un unico emolumento determinato «con decreto adottato dall’autorità di governo competente», il quale «è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale» (art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001).

In senso analogo alla normativa statale dispone quella della Regione Marche. Infatti, secondo l’art. 10 della legge della Regione Marche 8 agosto 1997, n. 54 (Misure flessibili di gestione del personale della Regione e degli Enti da essa dipendenti e norme sul funzionamento e sul trattamento economico accessorio degli addetti alle segreterie particolari), i dipendenti assegnati alle segreterie particolari dei componenti della Giunta regionale e dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e gli autisti sono esclusi dalla fruizione di tutti i trattamenti accessori diversi dal trattamento stipendiale fondamentale, quali compensi per lavoro straordinario, compensi per la produttività e progetti obiettivi o altri previsti dal contratto collettivo per il personale delle Regioni e delle autonomie locali (commi 1 e 7); per compensare tale esclusione, al personale in questione è corrisposta un’indennità annua lorda erogata in 12 rate mensili e fissata dalla stessa legge (commi 2 e 8).

L’art. 11 della legge della Regione Marche n. 54 del 1997 stabilisce – al pari della normativa statale – che il trattamento in questione ha natura transitoria, in attesa che venga adottata la specifica disciplina contrattuale.

Passando all’esame dei contatti collettivi del comparto Regioni ed autonomie locali (che sono quelli che qui interessano), essi hanno costantemente disciplinato il trattamento accessorio.

Con l’art. 31 del contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto il 22 gennaio 2004 (relativo al quadriennio 2002-2005), è stato, poi, stabilito che le risorse che in precedenza erano destinate al finanziamento della gran parte delle voci del trattamento accessorio che avessero carattere di certezza, stabilità e continuità, sarebbero confluite in un unico importo (comma 2). La stessa clausola contrattuale individuava le risorse dirette a costituire tale unico importo e prevedeva come esso avrebbe potuto essere incrementato negli anni successivi (art. 31, comma 2, ultimo periodo, e comma 3; art. 32).

Intervenendo in un simile quadro normativo e di contrattazione collettiva, l’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 dispone che le risorse destinate al finanziamento del trattamento accessorio delle categorie di personale regionale di cui all’art. 10 della legge della Regione Marche n. 54 del 1997 hanno carattere di certezza, stabilità e continuità e confluiscono nel citato importo unico previsto dall’art. 31, comma 2, del contratto collettivo del 22 gennaio 2004.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma, stabilizzando, in modo generico, le risorse destinate al trattamento accessorio del personale da esso menzionato, interverrebbe in una materia riservata alla contrattazione collettiva e si porrebbe in contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III del d.lgs. n. 165 del 2001, che disciplina le procedure da seguire in sede di contrattazione e prevede l’obbligo del rispetto della normativa contrattuale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di ordinamento civile.

3. – L’art. 57, comma 1, della legge della Regione. Marche n. 31 del 2009 dispone che «ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera g), del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e secondo quanto previsto dal Piano energetico ambientale regionale (PEAR), approvato con Delib.G.R. 16 febbraio 2005, n. 175, gli impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare nel territorio regionale devono possedere le seguenti caratteristiche: a) capacità di generazione non superiore a 5 MW termici; b) autosufficienza produttiva mediante utilizzo di biomasse locali o reperite in ambito regionale; c) utilizzazione del calore di processo, in modo da evitarne la dispersione nell’ambiente».

In sostanza, la disposizione fissa i requisiti che debbono essere posseduti dagli impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse affinché possano essere autorizzati nel territorio della Regione Marche.

Il Presidente del Consiglio dei ministri censura la norma affermando che essa vìola vari parametri costituzionali. Precisamente: l’art. 117, terzo comma, Cost. (perché si verte nella materia di competenza concorrente della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e la norma regionale contrasta con i principi fondamentali posti dalla legislazione statale); l’art. 117, primo comma, Cost. (per contrasto con gli artt. 43 e 81 del Trattato 5 marzo 1957 che istituisce la Comunità europea, i quali vietano, rispettivamente, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e gli accordi consistenti nel limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti); l’art. 120, primo comma, Cost. (che vieta al legislatore regionale di adottare provvedimenti che ostacolino, in qualsiasi modo, la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni o che limitino l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale).

4. – La Regione Marche ha sollevato eccezioni di inammissibilità rispetto ad entrambe le questioni di legittimità costituzionale.

4.1. – Con riferimento a quella relativa all’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, la difesa regionale sostiene che la questione sia inammissibile perché formulata in termini contraddittori e generici.

In particolare, la Regione afferma che il ricorrente in realtà prospetterebbe due distinte censure fondate su ricostruzioni dell’assetto costituzionale delle competenze legislative tra esse incompatibili: la prima, secondo la quale si verterebbe in una materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato, con conseguente difetto assoluto di potestà legislativa in capo alle Regioni; la seconda, basata sull’asserito contrasto in concreto tra la norma impugnata e la disciplina statale, che presuppone invece il riconoscimento di uno spazio di operatività a favore della legislazione di fonte regionale.

Un ulteriore motivo di inammissibilità è ravvisato dalla difesa regionale nella genericità della deduzione dell’asserito contrasto con le disposizioni contenute negli artt. 40 ss. del d.lgs. n. 165 del 2001 e nella mancata individuazione del precetto costituzionale rispetto al quale quelle disposizioni assumerebbero natura di parametro interposto, non potendo valere, al riguardo, l’invocazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché tale precetto esclude in radice qualunque possibilità di intervento da parte delle Regioni, indipendentemente dalla conformità o meno delle norme regionali alla disciplina di produzione statale.

4.1.1. – L’eccezione non è fondata.

La censura non è contraddittoria né generica.

Infatti dal ricorso emerge con chiarezza che il Presidente del Consiglio dei ministri imputi alla Regione di aver invaso un campo (quello dell’ordinamento civile) riservato in via esclusiva allo Stato. Il richiamo alle disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001 è operato non tanto per denunciare un autonomo vizio della norma impugnata, consistente nel contrasto tra quest’ultima e la normativa statale, quanto piuttosto per confermare come anche da quest’ultima si ricavi, in modo incontrovertibile, che si tratta di aspetti oggetto di contrattazione collettiva e, dunque, appartenenti alla materia dell’ordinamento civile.

4.2. – Rispetto alla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 57, comma 1, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, la Regione ha eccepito preliminarmente che, in merito all’asserito contrasto della norma con i principi di cui all’art. 6 della direttiva 27 settembre 2001, n. 2001/77/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), il ricorrente avrebbe omesso di indicare il parametro costituzionale necessario a configurare la questione di costituzionalità.

4.2.1. – L’eccezione non è fondata.

Lo Stato ha menzionato i principi espressi dalla predetta norma comunitaria, non quale autonomo parametro interposto di un precetto costituzionale non identificato, ma semplicemente per sottolineare che le previsioni della norma statale interposta – l’art. 5, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) – sono conformi ai principi della legislazione comunitaria.

5. – Nel merito, la questione relativa all’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 è fondata.

Tale norma stabilisce che le risorse destinate al finanziamento del trattamento accessorio dei dipendenti addetti alle segreterie particolari dei componenti della Giunta regionale e dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e degli autisti – categorie di personale sottratte all’operatività delle voci di trattamento accessorio definite dalla contrattazione collettiva – confluiscono nelle risorse previste dalla contrattazione medesima per finanziare quelle voci. La disposizione, quindi, sopprime sostanzialmente lo speciale regime del trattamento economico accessorio, in precedenza previsto per gli impiegati addetti alle segreterie particolari e per gli autisti, con la conseguenza che anche ad essi si applica il trattamento accessorio disciplinato dal contratto collettivo che viene ad essere esteso, in questa maniera, a lavoratori che originariamente non ne erano destinatari.

Questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme regionali che determinavano il trattamento economico di alcune categorie di dipendenti pubblici (sentenza n. 189 del 2007), affermando che in tal modo esse si ponevano in contrasto con il generale principio, secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici, il cui rapporto di lavoro è stato “privatizzato”, deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva. Principio fondato sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati.

In conclusione, la norma oggetto della presente questione, attribuendo a determinati dipendenti regionali un certo trattamento accessorio in luogo di quello precedentemente goduto, tocca un aspetto essenziale del regime giuridico del rapporto contrattuale di lavoro subordinato che lega i dipendenti pubblici al loro ente di appartenenza (nella fattispecie, alla Regione). Essa interviene a disciplinare i reciproci diritti ed obblighi delle parti di natura economica, che sono sicuramente riconducibili alla materia dell’ordinamento civile, di esclusiva competenza statale.

Va, dunque, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 5, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

6. – Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 1, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 è fondata.

La norma impugnata disciplina una particolare tipologia di impianti di produzione di energia. Si verte, pertanto, in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, oggetto di competenza legislativa concorrente.

Orbene, la previsione di limiti generali alla possibilità di realizzare impianti di produzione di energia alimentati da biomasse è riconducibile, non già alla disciplina di dettaglio, bensì a quella attinente ai principi fondamentali della materia. Essa, pertanto, è preclusa alle Regioni.

Nella fattispecie, poi, la norma regionale si pone in netto contrasto con la disciplina statale. Invero, il d.lgs. n. 387 del 2003 (testo normativo che esprime principi fondamentali in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia: sentenze n. 194, n. 168, n. 124 e n. 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006), all’art. 5, prevede l’istituzione di una commissione per la predisposizione di una relazione contenente le indicazioni necessarie per la valorizzazione energetica delle biomasse, dei gas residuati dai processi di depurazione e del biogas. In particolare, il comma 1, lettera g), della norma richiede alla commissione di indicare «le condizioni per la promozione prioritaria degli impianti cogenerativi di potenza elettrica inferiore a 5 MW».

La normativa statale certamente esprime un favor per gli impianti con capacità generativa inferiore a 5 MW, ma non contiene alcun divieto di realizzazione di impianti con capacità di generazione di energia superiore a quel limite. Invece, la norma regionale impugnata richiede, quale condizione per la concessione dell’autorizzazione alla costruzione, che l’impianto abbia una capacità generativa non superiore a 5 MW termici.

La tesi sostenuta dalla difesa della Regione, secondo la quale la norma censurata si limiterebbe a fissare le condizioni e le caratteristiche degli impianti alimentati a biomasse in presenza delle quali il rilascio della relativa autorizzazione dovrebbe considerarsi automatico, restando impregiudicata la possibilità di autorizzare, secondo le ordinarie procedure amministrative, gli impianti che non presentino quei requisiti, è contraddetta dal testo della disposizione.

La norma, infatti, afferma testualmente che «gli impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare nel territorio regionale devono possedere le seguenti caratteristiche: a) capacità di generazione non superiore a 5 MW termici (…)», per cui gli impianti che posseggono una capacità generativa superiore a 5 MW termici non possono essere autorizzati. La disposizione non configura, quindi, una semplice promozione per la realizzazione di impianti aventi capacità di generazione inferiore a 5 MW, ma esprime un vero  e proprio divieto di autorizzazione per impianti dotati di capacità generativa maggiore.

L’art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n. 31 del 2009, contrastando con il principio fondamentale in materia di produzione di energia espresso dall’art. 5, comma 1, lettera g), del d.lgs n. 387 del 2003, è dunque illegittimo per violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

7. – La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, ai commi 2 e 3 dell’art. 57 della legge della Regione Marche n. 31 del 2009.

In particolare, il comma 2 rende inapplicabile uno dei limiti previsti al comma 1 (quello relativo all’utilizzazione del calore di processo) agli impianti alimentati a biogas. Il comma 3, poi, prevede che siano autorizzabili, in deroga a quanto previsto nel comma 1, gli impianti che riguardano i progetti di riconversione industriale di cui all’art. 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 11 marzo 2006, n. 81, purché posseggano certe caratteristiche stabilite dallo stesso comma 3. Si tratta di norme che, introducendo deroghe ai limiti previsti dalla disposizione dichiarata illegittima, non conservano alcuna autonomia, una volta venuta meno la disposizione della quale costituiscono parziale deroga.

8. – Restano assorbiti gli altri profili di illegittimità costituzionale denunciati dal Presidente del Consiglio dei ministri.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 11, comma 5, e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009, n. 31 (Disposizioni per la formazione del Bilancio annuale 2010 e pluriennale 2010/2012 della Regione – Legge Finanziaria 2010);

dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, commi 2 e 3, della legge della Regione Marche n. 31 del 2009.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2010.