SENTENZA N. 189 ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 1, della legge della Regione Sicilia 18 maggio 1996, n. 33 (Interventi urgenti per l’economia. Norme in materia di Impresa, Agricoltura, Artigianato, Lavoro, Turismo e Pesca. Disposizioni su altre materie, modifiche ed abrogazioni di norme), come modificato dall’art. 28, comma 1, della legge della Regione Sicilia 15 gennaio 1999, n. 4 (Integrazione del fondo per i comuni di cui all’articolo 11 della legge regionale 30 marzo 1998, n. 5. Realizzazione di progetti di utilità collettiva. Disposizioni finanziarie), e dall’art. 111, comma 1, della legge della Regione Sicilia 28 dicembre 2004, n. 17 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2005), dell’art. 16, comma 2, della legge della Regione Sicilia 17 marzo 2000, n. 8 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2000), e dell’art. 127, comma 2, della legge della Regione Sicilia 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), promosso con ordinanza del 13 febbraio 2006 dal Tribunale di Marsala nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Maria Rita Domingo ed altri e il Comune di Marsala, iscritta al n. 111 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti l’atto di costituzione di Alessandro Tarantino ed altri nonché l’atto di intervento della Regione Siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2007 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Salvatore Giacalone per Alessandro Tarantino ed altri e Paolo Chiapparrone per la Regione Siciliana.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di tre giudizi civili riuniti, promossi contro il Comune di Marsala da due dipendenti e dagli eredi di un altro lavoratore, il Tribunale di Marsala, con ordinanza del 13 febbraio 2006, ha sollevato, «in relazione all’art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001 ed all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, nonché in relazione all’art. 9, comma 5 e 10 della legge n. 150/2000», questioni di legittimità costituzionale: 1) dell’art. 58, comma 1, della legge della Regione Sicilia 18 maggio 1996, n. 33 (Interventi urgenti per l’economia. Norme in materia di Impresa, Agricoltura, Artigianato, Lavoro, Turismo e Pesca. Disposizioni su altre materie, modifiche ed abrogazioni di norme), come modificato dall’art. 28, comma 1, della legge della Regione Sicilia 15 gennaio 1999, n. 4 (Integrazione del fondo per i comuni di cui all’articolo 11 della legge regionale 30 marzo 1998, n. 5. Realizzazione di progetti di utilità collettiva. Disposizioni finanziarie), e dall’art. 111, comma 1, della legge della Regione Sicilia 28 dicembre 2004, n. 17 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2005), nella parte in cui prevede «l’istituzione di uffici stampa di cui faranno parte giornalisti a cui si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza»; 2) dell’art. 16, comma 2, della legge della Regione Sicilia 17 marzo 2000, n. 8 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2000), nella parte in cui stabilisce che «ai componenti degli uffici stampa si attribuisce la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio»; 3) dell’art. 127, comma 2, della legge della Regione Sicilia 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), nella parte in cui dispone che «in sede di prima applicazione ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti di cui all’articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10, è attribuita la qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del Contratto nazionale di lavoro giornalistico ed in sintonia con l’art. 72 della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41».
Il rimettente espone che i ricorrenti hanno chiesto l’accertamento del diritto all’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico e del relativo trattamento retributivo a decorrere dal 1° luglio 1998, nonché del diritto alle conseguenti differenze retributive rispetto al trattamento economico loro erogato in forza del contratto collettivo nazionale di lavoro degli enti locali.
Circa la rilevanza delle questioni, il Tribunale di Marsala deduce che dall’applicazione delle norme censurate può dipendere l’accoglimento dei ricorsi, poiché l’estensione del contratto collettivo di lavoro giornalistico al rapporto di impiego dei ricorrenti – conseguenza, appunto, delle disposizioni di legge impugnate – comporta un incremento del trattamento economico spettante a quei lavoratori.
Per quel che concerne la non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo ha evidenziato che, a norma dell’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), «le disposizioni del presente decreto costituiscono princípi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I princípi desumibili dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica» e che l’art. 2, comma 1, lettera a) della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), prevede che, salvi i limiti collegati al perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione delle pubbliche amministrazioni sono indirizzate, «i rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti di cui agli articoli 1, primo comma, e 26, primo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, siano ricondotti sotto la disciplina del diritto civile e siano regolati mediante contratti individuali e collettivi».
Secondo il Tribunale, dal combinato disposto delle due norme appena citate discende che la contrattazione collettiva costituisce «metodo di disciplina» del rapporto di pubblico impiego che gode di copertura costituzionale.
Un simile principio fondamentale sarebbe stato violato, a parere del rimettente, sia dall’art. 58 della legge regionale n. 33 del 1996 e successive modificazioni – nella parte in cui prevede l’applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza ai giornalisti impiegati negli uffici stampa –, sia dall’art. 16 della legge regionale n. 8 del 2000 – nella parte in cui stabilisce che «ai componenti degli uffici stampa si attribuisce la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio» –, sia infine dall’art. 127 della legge regionale n. 2 del 2002, nella parte in cui prevede che «in sede di prima applicazione ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti di cui all’articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10, è attribuita la qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del Contratto nazionale di lavoro giornalistico ed in sintonia con l’art. 72 della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41».
Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è dedotto dal giudice a quo con riferimento all’art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), il quale stabilisce che negli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sono affidate alla contrattazione collettiva nell’àmbito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti, e che dall’attuazione di tale disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A parere del rimettente, anche questi precetti godono di copertura costituzionale in virtù del successivo art. 10 della legge n. 150 del 2000, a norma del quale le disposizioni del capo I della medesima legge (tra le quali rientra anche l’art. 9) «costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione e si applicano, altresì, alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nei limiti e nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione».
Il Tribunale di Marsala, inoltre, svolge alcune argomentazioni circa la diversa operatività del limite previsto sia dalla norma statale, sia da quella regionale. In particolare, il rimettente afferma che nell’ultimo periodo dell’art. 9, comma 5, della legge n. 150 del 2000, il legislatore statale ha imposto alle parti sociali anche un preciso limite economico, stabilendo che, dalla individuazione e regolazione dei profili professionali dei dipendenti addetti agli uffici stampa, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Siffatto limite, individuato esclusivamente in relazione a questo aspetto, implicherebbe che il trattamento retributivo dei lavoratori impiegati negli uffici stampa non possa essere superiore a quello già spettante in relazione alla categoria in cui essi erano inquadrati prima dell’assegnazione agli uffici stampa, senza incidere, per il resto, sulla potestà normativa dell’amministrazione di rideterminare la propria dotazione organica e di sopportare, per effetto delle modifiche all’apparato organizzativo, un eventuale onere finanziario aggiuntivo.
Viceversa, l’art. 58 della legge regionale n. 33 del 1996, nel conferire agli enti territoriali l’autorizzazione «a modificare le piante organiche del personale riconvertendo i posti vacanti e disponibili, e senza ulteriori oneri per le amministrazioni, al fine di prevedere l’istituzione di uffici stampa di cui faranno parte giornalisti a cui si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza», permetterebbe che dall’applicazione di quel contratto collettivo consegua l’incremento del trattamento retributivo previsto per i singoli dipendenti assegnati agli uffici stampa, perché il divieto di nuovi oneri finanziari dovrebbe essere riferito all’aspetto delle modificazioni delle piante organiche, modificazioni che gli enti locali possono disporre esclusivamente mediante una riconversione dei posti vacanti e disponibili.
Il giudice a quo deduce, infine, che i rilievi sopra svolti mantengono validità anche a seguito della modifica dell’art. 58 della legge regionale n. 33 del 1996 disposta dall’art. 111 della legge regionale n. 17 del 2004. Quest’ultima norma, infatti, pur prevedendo che gli enti territoriali dovessero procedere, entro il 31 maggio 2005, ad adeguare le rispettive piante organiche alle previsioni della legge n. 150 del 2000, non ha innovato il profilo relativo all’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico.
2. – Le parti private del giudizio a quo si sono costituite nel giudizio costituzionale ed hanno chiesto che le questioni sollevate dal Tribunale di Marsala siano dichiarate manifestamente infondate.
Deducono, in proposito, che le norme censurate non hanno assoggettato il rapporto di lavoro degli addetti agli uffici stampa degli enti locali ad una fonte regolatrice diversa dalla contrattazione collettiva, avendo esse disposto, al contrario, proprio l’applicazione di un contratto collettivo, qual è quello nazionale di lavoro giornalistico, maggiormente aderente al contenuto della prestazione lavorativa di quei dipendenti.
3. – E’ intervenuta la Regione Sicilia che ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
Preliminarmente la difesa regionale eccepisce che il rimettente deduce la violazione di norme statali alle quali attribuisce natura di leggi di grande riforma economico-sociale, ma non indica le ragioni per le quali non dovrebbe assumersi, quale parametro costituzionale, l’art. 14, lettera o), dello statuto di autonomia speciale che attribuisce alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di enti locali.
Nel merito, la Regione deduce che le norme censurate non involgono direttamente la materia del trattamento giuridico ed economico del personale degli enti locali, bensì la costituzione ed il funzionamento degli uffici stampa e, quindi, attengono all’ordinamento degli enti stessi.
Inoltre, ad avviso della difesa regionale, le disposizioni impugnate ricalcherebbero quelle contenute nella legge n. 150 del 2000, la quale ha previsto, in sede di prima applicazione, la conferma del personale che già svolgeva le funzioni di comunicazione ed informazione (art. 6) e l’istituzione di appositi uffici stampa costituiti da dipendenti iscritti all’albo nazionale dei giornalisti con affidamento della regolazione del relativo status ad una speciale area di contrattazione (art. 9), previsione, quest’ultima, che confermerebbe come, anche secondo il legislatore statale, i giornalisti non potrebbero ritenersi equiparati tout court al restante personale dell’amministrazione, in ragione del particolare ruolo attribuito agli uffici stampa.
La Regione aggiunge che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 34 del 2004, ha ammesso che si possa ragionevolmente derogare ai princípi costituzionali in presenza di peculiari situazioni giustificatrici e nell’esercizio di una discrezionalità finalizzata a garantire il buon andamento della pubblica amministrazione. Nella fattispecie il legislatore avrebbe perseguito appunto tale buon andamento, individuando nel contratto collettivo dei giornalisti una garanzia di indipendenza e libertà di tali professionisti che altrimenti verrebbe meno ove il loro status fosse subordinato alla medesima fonte contrattuale del comparto delle autonomie locali.
Né potrebbe ritenersi violato il principio secondo cui la regolazione mediante contratti individuali e collettivi dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni costituisce una norma di riforma economico-sociale che si impone a qualsiasi tipo di potestà legislativa della Regione Sicilia, poiché le norme censurate richiamano pur sempre una fonte contrattuale collettiva.
Infine, a parere della Regione, le disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale sono intervenute nella fase transitoria della costituzione degli uffici stampa e pertanto dovrebbero essere considerate legittime sulla base dello stesso art. 2 della legge n. 421 del 1992 evocato dal rimettente, norma che contempla la necessità di prevedere una fase transitoria idonea ad assicurare la graduale sostituzione del regime all’epoca in vigore nel settore pubblico con quello previsto nello stesso art. 2.
4. – In prossimità dell’udienza di discussione, la Regione Sicilia ha depositato memoria con la quale, oltre a richiamare le argomentazioni già svolte nell’atto di intervento, deduce che le norme censurate rispondono ad un’esigenza di disciplina dello stato giuridico ed economico degli addetti agli uffici stampa degli enti locali oggetto di un apposito protocollo d’intesa stipulato il 16 aprile 2003 fra la Conferenza dei Presidenti dell’Assemblea Siciliana, dei Consigli regionali e delle Province autonome, la Federazione nazionale della stampa italiana e l’Associazione italiana della comunicazione pubblica istituzionale. In quel protocollo d’intesa le parti avrebbero convenuto di applicare il contratto nazionale di lavoro dei giornalisti ai dipendenti degli uffici stampa iscritti all’ordine dei giornalisti, in maniera da favorire una omogenea realtà professionale e retributiva all’interno di tutte le Regioni e le Province autonome.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Marsala ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: dell’art. 58, comma 1, della legge della Regione Sicilia 18 maggio 1996, n. 33 (Interventi urgenti per l’economia. Norme in materia di Impresa, Agricoltura, Artigianato, Lavoro, Turismo e Pesca. Disposizioni su altre materie, modifiche ed abrogazioni di norme), come modificato dall’art. 28, comma 1, della legge della Regione Sicilia 15 gennaio 1999, n. 4 (Integrazione del fondo per i comuni di cui all’articolo 11 della legge regionale 30 marzo 1998, n. 5. Realizzazione di progetti di utilità collettiva. Disposizioni finanziarie), e dall’art. 111, comma 1, della legge della Regione Sicilia 28 dicembre 2004, n. 17 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2005), nella parte in cui prevede «l’istituzione di uffici stampa di cui faranno parte giornalisti a cui si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza»; dell’art. 16, comma 2, della legge della Regione Sicilia 17 marzo 2000, n. 8 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2000), nella parte in cui stabilisce che «ai componenti degli uffici stampa si attribuisce la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio»; dell’art. 127, comma 2, della legge della Regione Sicilia 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), nella parte in cui dispone che «in sede di prima applicazione ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti di cui all’art. 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10, è attribuita la qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico ed in sintonia con l’art. 72 della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41».
Il rimettente ritiene che le disposizioni censurate si pongono in contrasto con la norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica espressa dall’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), secondo cui la regolazione mediante contratti individuali e collettivi costituisce il metodo di disciplina dei rapporti di lavoro nel settore pubblico.
Inoltre, ad avviso del giudice a quo, le norme impugnate violerebbero i princípi fondamentali, applicabili ai sensi dell’art. 117 Cost. anche alle Regioni a statuto speciale nei limiti e nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione, espressi dal combinato disposto degli artt. 9 e 10 della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), secondo il quale i profili professionali degli addetti agli uffici stampa debbono essere individuati e regolamentati dalla contrattazione collettiva senza che dall’attuazione di tale previsione possano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. – In via preliminare la Regione Sicilia deduce che il rimettente, nell’affermare che le disposizioni censurate contrasterebbero con norme statali alle quali attribuisce natura di leggi di grande riforma economico-sociale, omette inammissibilmente di indicare i motivi che impedirebbero di assumere, quale parametro costituzionale, l’art. 14, lettera o), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, che attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia di «regime degli enti locali».
2.1. – L’eccezione non è fondata.
E’ vero che il rimettente ha indicato solamente le norme statali dal cui combinato disposto discenderebbe la norma fondamentale di riforma economico-sociale con la quale quelle disposizioni confliggerebbero, ma è anche vero che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale è ammissibile quando il parametro costituzionale, seppur non menzionato, sia comunque chiaramente desumibile dal testo dell’ordinanza di rimessione (si vedano, ad esempio, le sentenze n. 305 del 1994 e n. 115 del 1993). In simili casi l’omissione dell’espressa indicazione delle norme statutarie sui limiti dei poteri legislativi regionali che si assumono violate, può essere superata dalla Corte mediante i suoi poteri di interpretazione dell’atto che solleva la questione di legittimità costituzionale.
Ora, ricordato che le norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica costituiscono limiti alla potestà legislativa della Regione Sicilia (sentenze n. 308 del 2006, n. 4 del 2000 e n. 153 del 1995), nell’ordinanza di rimessione il Tribunale di Marsala denuncia la violazione di un limite all’esercizio della potestà legislativa regionale di tipo esclusivo indicando le norme fondamentali delle riforme economico-sociali violate. Pertanto dal complesso dell’atto di rimessione risultano in modo chiaro i termini delle questioni proposte, le quali sono dunque ammissibili (si veda, per un caso analogo, la sentenza n. 352 del 1996).
3. – Nel merito le questioni sono fondate.
3.1. – Questa Corte ha già affermato che il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali, essendo stato “privatizzato” in virtù dell’art. 2 della legge n. 421 del 1992, dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e dei decreti legislativi emanati in attuazione di quelle leggi delega, è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti (sentenza n. 95 del 2007). Conseguentemente i princípi fissati dalla legge statale in materia costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 234 e n. 106 del 2005; n. 282 del 2004).
In particolare, poi, dalla legge n. 421 del 1992 può trarsi il principio (confermato anche dagli artt. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, e 45 del d. lgs. n. 165 del 2001) della regolazione mediante contratti collettivi del trattamento economico dei dipendenti pubblici (sentenze n. 308 del 2006 e n. 314 del 2003) che, per le ragioni sopra esposte, si pone quale limite anche della potestà legislativa esclusiva che l’art. 14, lettera o), dello statuto di autonomia speciale attribuisce alla Regione Sicilia in materia di «regime degli enti locali».
3.2. – Alla luce dei rilievi appena svolti appare chiara l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative regionali oggetto delle questioni sollevate dal Tribunale di Marsala.
Si tratta, infatti, di norme che determinano il trattamento economico dei dipendenti degli enti locali addetti agli uffici stampa delle amministrazioni di appartenenza. Esse hanno previsto, in un primo momento (art. 58 della legge regionale n. 33 del 1996), che a quei lavoratori si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti; poi (art. 16 della legge regionale n. 8 del 2000), che ad essi è attribuita la qualifica ed il trattamento di capo servizio; infine (art. 127 della legge regionale n. 2 del 2002), che la qualifica ed il trattamento economico che spetta loro è quella di redattore capo.
Le norme censurate si pongono, quindi, in contrasto con il generale principio secondo il quale il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro è stato “privatizzato” deve essere disciplinato dalla contrattazione collettiva.
Non è condivisibile l’assunto espresso sia dalle parti private, sia dalla Regione, secondo cui quel principio nella fattispecie non sarebbe stato leso perché le norme impugnate fanno comunque rinvio ad una fonte contrattuale collettiva, quale il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico.
In primo luogo, perché le norme censurate non si limitano a rinviare alla contrattazione collettiva di un certo settore, ma specificano anche la qualifica ed il trattamento economico che deve essere riconosciuto agli addetti agli uffici stampa (e quindi, per il personale in questione, la disciplina di questi fondamentali aspetti del rapporto di impiego è il frutto, non del libero esplicarsi dell’autonomia negoziale collettiva, bensì dell’intervento del legislatore). In secondo luogo, e più in generale, perché le disposizioni impugnate in realtà non dispongono che il rapporto di lavoro degli addetti agli uffici stampa debba essere regolato dalla contrattazione collettiva, bensì individuano esse stesse il trattamento che si deve applicare a quel personale (appunto, quello previsto dal contratto collettivo del lavoro giornalistico), onde gli agenti negoziali rappresentativi delle categorie delle amministrazioni datrici di lavoro e dei dipendenti interessati non possono contrattare alcunché in proposito.
Neppure è possibile sostenere che le disposizioni sul trattamento giuridico degli addetti agli uffici stampa sarebbero strettamente funzionali alla regolamentazione di quegli uffici, onde le norme impugnate sarebbero legittime perché dirette, in realtà, a disciplinare gli uffici stampa. Invero, la definizione della struttura e delle funzioni degli uffici stampa è aspetto diverso da quello dell’individuazione della fonte della disciplina del rapporto di impiego di chi a quegli uffici sia addetto. Né si scorgono le ragioni per le quali l’applicazione del trattamento economico previsto dal contratto collettivo di lavoro giornalistico sarebbe funzionale alla garanzia della trasparenza e dell’obiettività dell’informazione dovuta dalla pubblica amministrazione ai cittadini.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 1, della legge della Regione Sicilia 18 maggio 1996, n. 33 (Interventi urgenti per l’economia. Norme in materia di Impresa, Agricoltura, Artigianato, Lavoro, Turismo e Pesca. Disposizioni su altre materie, modifiche ed abrogazioni di norme), nella parte in cui prevede che il contratto nazionale di lavoro giornalistico si applica anche ai giornalisti che fanno parte degli uffici stampa degli enti locali;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, della legge della Regione Sicilia 17 marzo 2000, n. 8 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2000), nella parte in cui prevede che la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio si applica anche ai componenti degli uffici stampa degli enti locali;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 127, comma 2, della legge della Regione Sicilia 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), nella parte in cui prevede che ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti locali è attribuita la qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2007.