Sentenza n. 4/2000

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SENTENZA N. 4

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 50, comma 4, della legge regionale siciliana 1° settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), nonchè dei seguenti altri articoli della stessa legge: combinato disposto degli artt. 19, comma 1, come modificato dall'art. 6 della legge regionale siciliana n. 15 del 1998, e 18, comma 1; degli artt. 17, comma 6; 18, comma 3; 19, commi 1 e 2, come modificato dall'art. 6 della legge regionale siciliana n. 15 del 1998; 22, come modificato dall'art. 8 della legge regionale siciliana n. 15 del 1998, e 26, comma 4, come modificato dall'art. 11 della legge regionale siciliana n. 15 del 1998, promossi con ordinanze emesse il 27 novembre 1997 ed il 16 dicembre 1998 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sui ricorsi proposti da Legambiente - comitato regionale siciliano ed altri contro l'Assessorato per l'agricoltura e le foreste della Regione Siciliana, iscritte al n. 312 del registro ordinanze 1998 e al n. 298 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1998 e n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visti gli atti di costituzione di Legambiente - comitato regionale siciliano ed altri nonchè l'atto di intervento della Regione Siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 12 ottobre 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi gli avvocati Girolamo Calandra e Alessio Petretti per Legambiente - comitato regionale siciliano ed altri e gli avvocati Giovanni Lo Bue e Silvana Oddo per la Regione Siciliana.

Ritenuto in fatto

1.1.- Con ordinanza del 27 novembre 1997 (R.O. n. 312 del 1998), il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato, nel corso di un giudizio fra Legambiente - comitato regionale siciliano e Associazione Italiana per il World Wildlife Found (WWF) - Delegazione Sicilia contro l’Assessorato per l’agricoltura e le foreste della Regione Siciliana, questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, comma 4, della legge regionale 1° settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l'incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), denunciando violazione dell'art. 14 dello statuto della Regione Siciliana, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 e dell'art. 10 della Costituzione, in relazione alla legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

1.2.- In punto di rilevanza, il giudice a quo sottolinea che il giudizio principale ha ad oggetto il decreto dell'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste del 2 settembre 1997, con il quale si é provveduto a regolamentare l'esercizio del prelievo venatorio nella Regione, per la stagione 1997-1998. Atteso che il gravame proposto dalle parti ricorrenti si fonda, in modo esclusivo, sulla asserita incostituzionalità della norma denunciata, di cui il decreto assessoriale costituisce puntuale applicazione, il giudice rimettente richiama quella giurisprudenza della Corte costituzionale secondo la quale "la dedotta incostituzionalità di una norma può costituire l'unico motivo su cui può validamente fondarsi l'impugnazione di un atto amministrativo e la richiesta di un'eventuale pronuncia cautelare" (sentenze n. 444 del 1990 e n. 367 del 1991).

Si conclude, pertanto, per la sussistenza della rilevanza, dato che soltanto la declaratoria di illegittimità costituzionale consentirà al Collegio di pronunciarsi definitivamente e positivamente sia sulla domanda cautelare (che nella specie risulta temporaneamente accolta, con separata ordinanza, sino alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del presente giudizio), sia sul merito del ricorso.

1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rammenta che la legge statale n. 157 del 1992 contiene prescrizioni che comportano per la Regione l'obbligo:

1) di realizzare la pianificazione faunistico-venatoria del territorio, delimitando le zone da destinare alla protezione della fauna selvatica ed alla gestione privata della caccia, nonchè le aree in cui la Regione medesima può promuovere forme di gestione programmata della stessa caccia (art. 10);

2) di approvare e pubblicare il piano faunistico-venatorio ed il relativo regolamento di attuazione, ripartendo il territorio destinato alla caccia programmata in ambiti "di dimensione sub-provinciale, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali" (art. 14, commi 1 e 7, della stessa legge).

L'ordinanza ricorda, altresì, che il già menzionato art. 14 della legge n. 157 del 1992 stabilisce, al comma 16, che, a partire dalla stagione 1995-1996, i calendari venatori devono indicare le aree nelle quali l'attività di caccia é consentita in forma programmata ovvero é riservata alla gestione privata, oppure non é consentita.

Rilevato che non solo tale pianificazione non é avvenuta, ma non sono stati neppure istituiti quegli organismi tecnici previsti dalla predetta normativa, il cui apporto é necessario per l'attuazione dei piani, l'ordinanza osserva che la legge regionale n. 33 del 1997, mentre "non ha sostanzialmente recepito alcuna prescrizione del legislatore statale" ha, invece, con la disposizione denunciata, autorizzato l'Assessore regionale ad applicare il calendario e le modalità venatorie dell'anno precedente, con relativo ampliamento dell'arco temporale della stagione faunistica. E ciò apportando i necessari aggiornamenti, "nelle more dell'adozione del piano regionale faunistico-venatorio" e "prescindendo dal parere del comitato regionale faunistico venatorio".

Nel sottolineare la violazione operata dal legislatore siciliano del termine perentorio ("a partire dalla stagione venatoria 1995-1996") posto dalla legge n. 157 del 1992 per l'indicazione, da parte dei calendari venatori, delle zone nelle quali ammettere, in forme diverse, l'attività venatoria nonchè di quelle nelle quali tale attività é da considerare vietata, il rimettente osserva che la legge statale viene a caratterizzarsi come legge di riforma economico-sociale, suscettibile di condizionare, attraverso le norme fondamentali che in essa é dato identificare, la legislazione esclusiva delle Regioni e delle Province a speciale autonomia. Donde la lamentata violazione dell'art. 14 dello statuto speciale, non superabile in virtù della qualificazione di disposizione transitoria data alla norma impugnata.

Quest'ultima si porrebbe in contrasto anche con l'art. 10 della Costituzione, sotto il profilo della violazione degli obblighi internazionali, atteso che l'art. 1, comma 4, della legge n. 157 del 1992, recepisce integralmente le direttive CEE concernenti la conservazione degli uccelli selvatici e costituisce adeguamento dell'ordinamento italiano agli obblighi posti dalla Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950 e dalla Convenzione di Berna del 19 settembre 1979.

1.4.- Si é costituito in giudizio il comitato regionale siciliano della Legambiente, unitamente all'Associazione Italiana per il World Wildlife Found (WWF), chiedendo che la questione sia dichiarata fondata.

Sotto il profilo della rilevanza, la memoria, ricordata la giurisprudenza costituzionale secondo la quale la rilevanza stessa va valutata in relazione alla semplice applicabilità nel giudizio a quo della legge di cui si contesta la legittimità costituzionale, afferma che le parti sono non solo titolari di un preciso interesse morale alla salvaguardia ed integrità del patrimonio faunistico, ma anche di un interesse dalle evidenti connotazioni patrimoniali e materiali alla pronunzia di merito, alla luce della possibilità di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno ambientale, secondo quanto previsto dall'art. 18 della legge n. 349 del 1986.

Anche il fatto che la legge n. 157 del 1992 costituisca ricezione di diverse direttive CEE in tema di prelievo venatorio rafforzerebbe ¾ secondo le prospettazioni della memoria di costituzione ¾ l'interesse patrimoniale delle associazioni deducenti ad ottenere una pronuncia dal TAR.

Nel merito, le associazioni sostengono "l'evidente incompatibilità" tra quanto previsto nella norma denunciata e l'intero complesso normativo statale, relativamente alla gestione programmata della caccia, di cui agli artt. 10 e seguenti della legge n. 157 del 1992.

Ci si troverebbe in presenza, secondo le parti costituite, di una vanificazione dell'intero impianto di detta legge da parte del legislatore siciliano ed, in particolare, delle finalità di bilanciamento tra interessi legati all'attività venatoria ed interessi legati alla protezione della fauna che, proprio nella pianificazione, devono trovare adeguata composizione e soddisfacente punto di equilibrio (cfr. sentenza n. 448 del 1997).

si può giungere a conclusioni diverse, considerando "transitoria" la previsione dell'art. 50, comma 4, della legge della Regione Siciliana n. 33 del 1997.

Al riguardo, viene fatto osservare come non uno degli adempimenti previsti dall'art. 36 della legge n. 157 del 1992 sia stato realizzato dalla Regione Siciliana, che si é limitata a porre in essere la criticata norma "transitoria", senza considerare che il rispetto dei termini previsti dal predetto art. 36, per l’adeguamento della legislazione regionale, esigeva che si provvedesse, anteriormente all’emanazione del calendario venatorio, non solo ad effettuare l’attività pianificatoria, ma anche a predisporre le strutture a ciò deputate.

Quanto poi all’art. 10 della Costituzione, tale ulteriore profilo di illegittimità, secondo la memoria, si impone in tutta la sua evidenza, ove si consideri la particolare natura della legge n. 157 del 1992, quale espresso atto di recepimento e di attuazione delle direttive comunitarie, specificamente indicate al comma 4 dell’art. 1 della stessa legge.

2.1.- Con ordinanza emessa il 16 dicembre 1998 (R.O. n. 298 del 1999), lo stesso TAR ha sollevato, nel corso di un giudizio promosso da Legambiente - comitato regionale siciliano, dall'Associazione Italiana per il World Wildlife Found (WWF) - Delegazione Sicilia e dalla Lega Anti Vivisezione (LAV), questione di legittimità costituzionale di altre varie disposizioni della già menzionata legge regionale.

2.2.- In punto di rilevanza, il collegio rimettente, nel sottolineare come il ricorso introduttivo del giudizio principale (richiesta di annullamento dei seguenti decreti dell'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste: decreto del 15 giugno 1998, avente ad oggetto il calendario venatorio 1998-1999; decreto 7 agosto 1998, recante modifiche allo stesso calendario venatorio e, ove occorra, decreto 30 aprile 1998, con il quale si sono stabiliti l’indice massimo di densità venatoria ed il numero di cacciatori ammissibili in ciascun ambito territoriale di caccia per la stagione venatoria 1998-1999) sia esclusivamente affidato alla dedotta incostituzionalità di alcune disposizioni della legge impugnata, svolge argomenti analoghi a quelli contenuti nell’ordinanza di promovimento del primo giudizio in epigrafe (R.O n. 312 del 1998), osservando, anche in questo caso, che soltanto la declaratoria di illegittimità delle disposizioni denunciate consentirà al collegio di pronunziarsi definitivamente e positivamente sulla domanda di sospensiva (temporaneamente accolta fino alla restituzione degli atti da parte della Corte) e sul merito del giudizio.

2.3.- Sulla non manifesta infondatezza, il rimettente, nell'affermare che la competenza legislativa esclusiva o primaria del legislatore siciliano va esercitata "nei limiti derivanti dai principi dell'ordinamento giuridico statale, dalla riserva di legge statale (in campo penale, processuale e nella regolamentazione dei rapporti interprivati)" come pure dal "rispetto delle c.d. grandi riforme introdotte con leggi statali", nonchè dal "rispetto degli obblighi internazionali", osserva che l'art. 36, ultimo comma, della legge n. 157 del 1992 imponeva alle Regioni a statuto speciale di adeguare ¾ entro un anno dall'entrata in vigore della medesima legge ¾ la propria legislazione ai principi ed alle norme in essa contenuti, sia pure nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti.

Ad avviso del rimettente, la formula dell'art. 36 ¾ confermata dall'art. 14, comma 17, della stessa legge ¾ porrebbe limiti particolarmente stringenti all'autonomia legislativa della Regione, prevedendo un adeguamento non solo ai principi ma anche alle norme poste dalla legge statale, con esclusione soltanto di quelle c.d. di dettaglio, da intendersi come "quelle che riguardano aspetti veramente marginali della disciplina considerata".

2.4.- Quanto ai singoli articoli della legge denunciata, l'ordinanza censura, in primo luogo, le disposizioni che disciplinano la formazione del calendario venatorio, omettendo di prevedere la necessaria acquisizione del parere dell'organo tecnico-scientifico a carattere nazionale (Istituto nazionale per la fauna selvatica), individuato dall'art. 7, comma 3, della legge statale n. 157 del 1992 come consulente istituzionale dello Stato e di tutte le Regioni e Province autonome; organo che dovrebbe essere sentito dalle Regioni prima della pubblicazione del calendario medesimo, ai sensi dell'art. 18, comma 4, della predetta legge-quadro.

Secondo il rimettente, alla norma che contempla la partecipazione del menzionato Istituto al procedimento di emanazione del calendario deve essere riconosciuta la qualificazione di norma di grande riforma economico-sociale, in grado di vincolare anche il legislatore di autonomia speciale.

Viene, pertanto, considerata non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 1, della menzionata legge regionale n. 33 del 1997 (come modificato dall'art. 6 della legge regionale n. 15 del 1998) e dell’art. 18, comma 1, della stessa legge, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale e per contrasto con l’art. 18, comma 4, della legge statale n. 157 del 1992.

2.5.- La seconda questione riguarda la disciplina regionale degli ambiti territoriali di caccia nonchè del diritto di accesso dei cacciatori agli ambiti stessi, contenuta nell’art. 22 della legge censurata, come modificato dall'art. 8 della legge regionale n. 15 del 1998, in relazione all’art. 14 dello statuto speciale, nonchè alle disposizioni degli artt. 10 e 14 della legge n. 157, alle quali andrebbe riconosciuto il carattere di grande riforma economico-sociale.

Sotto tale profilo, il rimettente censura la mancata adozione dei piani faunistico-venatori ed, al tempo stesso, la scelta del legislatore regionale di: identificare gli ambiti territoriali di caccia con le Province; consentire ai cacciatori il diritto di accesso non soltanto nell'ambito territoriale coincidente con la Provincia di residenza, ma anche in due diversi ambiti ed, a partire da un certo momento della stagione venatoria, in tutti gli ambiti; consentire l'accesso anche ai cacciatori provenienti da altre Regioni, senza subordinarlo al consenso degli organi di gestione degli ambiti territoriali di caccia.

2.6.- La terza questione ha ad oggetto l'art. 19, commi 1 e 2, come modificato dall'art. 6 della legge regionale n. 15 del 1998, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale e per contrasto con l’art. 18 della legge n. 157 del 1992; nonchè per violazione dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Sarebbe, in particolare, incostituzionale l'inclusione tra le specie cacciabili elencate all'art. 19 predetto, della lepre comune, in quanto surrettiziamente idonea, anche in conseguenza della confusione che si può ingenerare, a fungere da copertura per l'abbattimento della lepre appenninica, specie protetta per la quale é esclusa la caccia, con grave interferenza della Regione nella materia penale.

2.7.- La quarta questione di legittimità costituzionale concerne gli artt. 17, comma 6, e 26, comma 4, quest'ultimo come modificato dall'art. 11 della legge regionale n. 15 del 1998.

Quanto alla prima disposizione, il rimettente ritiene contrastanti con i principi e con le norme di grande riforma economico-sociale contenute negli artt. 12, 16, 18 e 30 della legge n. 157 del 1992 l'omissione di limiti temporali all'attività di abbattimento nelle aziende agro-venatorie, come pure l’esonero di coloro che esercitano la caccia in dette aziende dall'obbligo di rispettare i limiti di abbattimento - giornalieri e stagionali - che normalmente valgono per il prelievo venatorio.

Tale soluzione legislativa, contrastante con le norme della legge-quadro, che non distinguono l'attività venatoria svolta nelle aziende sopra ricordate da quella svolta in altri luoghi, realizzerebbe, altresì, una "deroga" al divieto penalmente sanzionato di cacciare al di fuori dei periodi fissati dalla legge, sì da invadere la sfera riservata alla legge statale in materia penale, con violazione dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Del pari incostituzionale sarebbe la "delega in bianco" conferita, dall'art. 26, comma 4, alle ripartizioni faunistico-venatorie per la regolamentazione delle modalità di esercizio della caccia nelle suddette aziende e per la fissazione del numero massimo di capi da abbattere; delega che verrebbe non solo a violare i principi della legge-quadro, ma a rendere impossibile l'adozione di criteri omogenei ed uniformi in tutto il territorio regionale.

2.8.- Viene denunciato, infine, l'art. 18, comma 3, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, in relazione agli artt. 13 e 30 della legge n. 157 del 1992; nonchè per violazione dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Il rimettente ritiene che l'aver ammesso la caccia con il furetto leda la competenza esclusiva dello Stato nella determinazione tassativa dei mezzi consentiti per l'esercizio dell'attività venatoria; competenza che si impone anche al legislatore delle Regioni speciali. Risulterebbe violata anche la riserva di legge statale in materia penale, essendo prevista dall'art 30, lettera h), della legge n. 157 del 1992 una sanzione penale per l'utilizzazione di mezzi diversi da quelli elencati dall'art. 13 della stessa legge (e tra i quali il furetto non é compreso).

2.9.- Si é costituito in giudizio il comitato regionale siciliano della Legambiente, unitamente alla Delegazione Sicilia dell'Associazione Italiana per il World Wildlife Found (WWF), concludendo per l'accoglimento delle questioni.

2.10.- Sotto il profilo della rilevanza, vengono svolte considerazioni analoghe a quelle di cui alla memoria depositata nell’altro giudizio (R.O. n. 312 del 1998).

2.11.- Nel merito, la memoria, soffermandosi, in primo luogo, sull'art. 19, comma 1, denunciato dal TAR in combinato disposto con l'art. 18, comma 1, osserva che ulteriore riprova della illegittimità della soluzione adottata dal legislatore siciliano, in tema di emanazione del calendario venatorio, senza prevedere l’acquisizione del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, é data dalla circostanza che il denunciato art. 19, comma 1, era stato omesso in sede di promulgazione della legge, in quanto impugnato dal Commissario dello Stato. E’ evidente, pertanto, che, attraverso la norma di cui si lamenta l’incostituzionalità, il legislatore regionale ha di fatto reiterato le proprie precedenti illegittime determinazioni.

Quanto all’art. 22, si osserva come il principio ispiratore della legge-quadro sia quello di stabilire ¾ attraverso la dimensione data agli ambiti territoriali di caccia e la disciplina dell’accesso agli stessi ¾ un preciso legame del cacciatore con il proprio territorio di residenza, fissando, al tempo stesso, limiti di circolazione, sì da evitare il massiccio depauperamento della fauna selvatica, provocato dal c.d. nomadismo venatorio.

Tali obiettivi vengono perseguiti, tra l'altro, statuendo che gli ambiti territoriali di caccia (ATC) siano di estensione sub-provinciale, in aderenza al criterio secondo cui "quanto più si fraziona un territorio, tanto più diminuisce e diventa omogenea la pressione venatoria" (cfr. art. 14 legge n. 157 del 1992).

In merito alla disciplina della caccia alla lepre comune, le parti richiamano, aderendovi, le argomentazioni dell'ordinanza di rimessione.

A proposito delle norme poste dall'art. 17, comma 6 e dall'art. 26, comma 4, si osserva, invece, che anche l’attività esercitata all'interno delle aziende agro-venatorie, costituisce, ai sensi e per gli effetti della legge-quadro, "prelievo venatorio", con conseguente assoggettamento alla disciplina prevista per la caccia dalla legge-quadro stessa.

Quanto, infine, all'art. 18, comma 3, che attribuisce all'Assessore regionale il potere di disciplinare l'uso del furetto, come strumento per la caccia al coniglio selvatico, si osserva che la norma regionale - oltre ad istituzionalizzare l'uso di un mezzo dotato di elevatissima capacità distruttiva - si pone in contrasto con il principio, posto dall'art. 13 della legge n. 157 del 1992, in tema di tassativa elencazione dei mezzi di caccia consentiti.

2.12.- E' intervenuta nel giudizio anche la Regione Siciliana, sostenendo, in primo luogo, l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per mancanza di incidentalità.

La Regione sostiene, infatti, che l'eventuale pronunzia di accoglimento coinciderebbe con la tutela richiesta innanzi al giudice amministrativo (cfr. sentenza n. 127 del 1998).

2.13.- Nel merito, viene, in primo luogo, precisato come, in materia di caccia, il limite delle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali" comporti che la disciplina statale (legge n. 157 del 1992) vincoli il legislatore siciliano "solo nella parte in cui delinea il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica nel quale deve includersi - accanto alla elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalità di caccia". Tra queste modalità, sono da annoverare la delimitazione del periodo venatorio (cfr. sentenze n. 323 del 1998, n. 272 del 1996, n. 35 del 1995, n. 577 del 1990 e n. 1002 del 1988) e la determinazione delle deroghe al generale regime di protezione (cfr. sentenza n. 168 del 1999).

La Regione interveniente nega, invece, che possa attribuirsi il carattere di principio ovvero di norma fondamentale di riforma economico-sociale alla disciplina del procedimento di adozione del calendario venatorio (art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992).

Identiche considerazioni vengono svolte con riferimento agli artt. 10 e 14 della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui disciplinano gli ambiti territoriali di caccia e regolamentano il diritto di accesso dei cacciatori. Ne conseguirebbe l'infondatezza della censura rivolta all'art. 22 della legge regionale n. 33 del 1997.

Infondata viene considerata anche la censura sollevata in ordine all'art. 19, comma 1, relativo all'inclusione della lepre tra le specie cacciabili.

La Regione contesta, in primo luogo, le argomentazioni, svolte nell’ordinanza, circa "supposte intenzioni occulte del legislatore" volte a consentire l'abbattimento della lepre appenninica, non senza rilevare che, ai sensi della normativa vigente, tale attività, essendo vietata, comporterebbe comunque l'applicazione delle previste sanzioni.

Del pari infondata sarebbe la questione di legittimità costituzionale degli artt. 17, comma 6, e 26, comma 4, essendo la disposizione contenuta nel primo articolo analoga a quella contenuta nell'art. 12, comma 7, della legge n. 157 del 1992 ed essendo, altresì, la disposizione contenuta nel secondo articolo conforme ai principi scaturenti dall'art. 16, comma 1, lettera b), della legge n. 157 del 1992.

In ordine all'ultima censura, relativa all'art. 18, comma 3, della legge regionale, in tema di mezzi utilizzabili per l'esercizio dell'attività venatoria, la Regione non ritiene che il principio espresso nell'art. 13 della legge n. 157 del 1992 vincoli il legislatore siciliano.

2.14.- Con memoria 28 settembre 1999, relativa sempre al giudizio iscritto al R.O. n. 298 del 1999, la Regione Siciliana, oltre a ribadire le considerazioni già svolte, ha rappresentato quanto segue.

Quanto all’art. 19, comma 1, la Regione torna a ribadire che non sussiste per la Regione l'obbligo di sentire l'Istituto nazionale per la fauna selvatica anche sui contenuti complessivi del calendario venatorio.

A proposito dell'art. 22 della legge censurata, si sostiene che il legislatore regionale ¾ nell'esercizio dell'autonomia in materia riconosciuta dall'art. 14, comma 17, della legge n. 157 del 1992 ¾ ha ritenuto omogenea la dimensione provinciale degli ambiti territoriali di caccia (ATC), prevedendo, comunque, il potere dell'Assessore regionale di riorganizzare l'estensione dei suddetti ambiti, allorchè si presenti l'esigenza di un riequilibrio della gestione faunistica e dell'esercizio venatorio sul territorio regionale.

Per quanto riguarda i criteri adottati per disciplinare il diritto di accesso dei cacciatori agli ATC, la Regione sottolinea l'avvenuta definizione di un indice molto basso di densità venatoria, per il quadriennio 1998-2002 (un cacciatore per 34,53 ettari, da confrontare con l'indice fissato, con decreto ministeriale, per le Regioni ordinarie, di un cacciatore per ogni 19,10 ettari, per il quinquennio 1993-1998).

Si osserva, inoltre, che la possibilità di ammettere cacciatori aventi residenza in Province diverse da quella coincidente con l'ATC é possibile solo nel numero consentito dall’indice massimo di densità venatoria.

La Regione difende, poi, la scelta operata con l’art. 19, comma 1, di includere la lepre comune tra le specie cacciabili, richiamando i risultati di una ricerca recentemente condotta dall'Istituto nazionale per la fauna selvatica sulla sistematica del genere Lepus, a seguito della quale é stato richiesto al Presidente del Consiglio l'emanazione di un provvedimento di modifica dell'art. 18 della legge n. 157 del 1992, con l'inserimento della lepre italica nell'elenco delle specie cacciabili, limitatamente alla Sicilia.

Quanto agli artt. 17, comma 6, e 26, comma 4, la Regione assume la legittimità della norma che non considera esercizio venatorio il prelievo di fauna selvatica ai fini dell'esercizio delle attività di impresa agricola, nei limiti previsti dalla normativa regionale.

Nel precisare, inoltre, che il prelievo da effettuare nelle aziende agricole é limitato alle specie del fagiano e della quaglia di allevamento, alle quali, trattandosi di specie riprodotte e cresciute in allevamento, non può attribuirsi connotazione di fauna selvatica, si conclude osservando che si tratta di una disposizione che opera un ragionevole bilanciamento di interessi diversi (ambiente, libertà di iniziativa imprenditoriale, diritto al lavoro dei dipendenti delle aziende agricole), tutti di rilevanza costituzionale.

Infine, a proposito dell’art. 18, comma 3, la Regione sottolinea come il furetto munito di museruola non sia, di per , riconducibile alla nozione di mezzo per l'esercizio dell'attività venatoria, potendosi ritenere, viceversa, un aiuto del cacciatore alla stessa stregua del cane.

Considerato in diritto

1.- Con le due ordinanze in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, solleva questione di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge regionale 1° settembre 1997, n. 33 (parzialmente modificata dalla successiva legge regionale 31 agosto 1998, n. 15), il cui capo I contiene norme relative alla salvaguardia della fauna selvatica ed alla disciplina dell'attività venatoria.

Comune a entrambe le ordinanze é la denuncia del contrasto delle predette disposizioni con lo statuto della Regione Siciliana, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (in particolare, con l'art. 14) e, in taluni casi, anche con gli artt. 10 e 25 della Costituzione. E questo, segnatamente, a cagione del mancato rispetto delle prescrizioni della legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), la quale, considerato il carattere unitario degli interessi ad essa sottesi, sarebbe, secondo il rimettente, suscettibile di vincolare anche la legislazione esclusiva delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, in virtù di diverse sue disposizioni qualificabili come principi ovvero come norme fondamentali di riforma economico-sociale.

2.- I due giudizi, avendo ad oggetto questioni tra loro connesse, possono essere riuniti per essere decisi con una unica sentenza.

2.1.- Preliminarmente, deve osservarsi che non osta alla trattazione del merito delle questioni la circostanza che le stesse siano state sollevate in sede di esame delle domande di sospensiva dei provvedimenti impugnati, alla luce dell'orientamento della Corte secondo il quale il requisito della rilevanza non viene meno nel caso in cui il giudice, contemporaneamente all'ordinanza di rimessione, abbia disposto, con separato provvedimento, la sospensiva stessa, in via provvisoria e temporanea, sino alla ripresa del giudizio cautelare (sentenze n. 444 del 1990 e n. 367 del 1991).

2.2.- Anche la circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce ¾ contrariamente a quanto assume la difesa della Regione ¾ di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogniqualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum, separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi (cfr. sentenze n. 263 del 1994 e n. 128 del 1998); ipotesi, questa, senz’altro ricorrente nei casi in esame, nei quali si chiede al TAR per la Sicilia di pronunciare l’annullamento dei provvedimenti assunti dall’Assessore regionale per l’agricoltura e le foreste, in tema di disciplina venatoria.

3.- Con la prima ordinanza (R.O. n. 312 del 1998) emessa il 27 novembre 1997, il rimettente censura l'art. 50, comma 4, della legge regionale, il quale prevede che, "in sede di prima applicazione" della legge stessa e nelle more dell'adozione del piano regionale faunistico-venatorio, l'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste sia autorizzato ad applicare, per la stagione venatoria 1997-1998, "il calendario e le modalità venatorie dell'anno precedente e la disciplina in esso prevista, apportando i necessari aggiornamenti e prescindendo dal parere del comitato regionale faunistico venatorio".

Nel richiamare il generale quadro normativo della predetta legge n. 157 del 1992 (con particolare riguardo agli artt. 1, commi 1 e 4; 10; 14, commi 1, 7 e 16; 18, commi 1 e 2; 36), l'ordinanza si sofferma sull'obbligo per la Regione:

1) di procedere alla pianificazione faunistico-venatoria del territorio, delimitando le zone da destinare alla protezione della fauna selvatica ed alla gestione privata della caccia, nonchè le aree in cui promuovere forme di gestione programmata della stessa caccia (art. 10);

2) di approvare e pubblicare il piano faunistico-venatorio ed il relativo regolamento di attuazione, definendo ambiti di dimensione sub-provinciale, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali, delle aree destinate all'attività venatoria (art. 14, commi 1 e 7);

3) di indicare, a partire dalla stagione 1995-1996, nei calendari venatori, le aree nelle quali l'attività di caccia é consentita in forma programmata, quelle riservate alla gestione venatoria privata e le zone dove l'esercizio venatorio non é consentito (art. 14, comma 16).

Facendo riferimento a detto contesto legislativo, il rimettente sostiene che la mancata rispondenza ad esso dell'art. 50, comma 4, della legge regionale n. 33 del 1997, ne determina l'illegittimità costituzionale, senza che possa giungersi a diversa conclusione in considerazione dell'asserita natura transitoria della norma emanata dal legislatore regionale, non avendo quest'ultimo "alcun potere di ritardare l'attuazione delle norme fondamentali poste dal legislatore statale". Donde la violazione, in particolare, dell'art. 14 dello statuto speciale ed, al tempo stesso, anche dell'art. 10 (rectius: 11) della Costituzione, sotto il profilo del mancato adeguamento agli obblighi internazionali derivanti dalle direttive comunitarie in materia.

3.1.- La questione non é fondata.

Va premesso, in linea generale, con riferimento alla prospettata violazione dell'art. 11 della Costituzione, come l'ordinanza non specifichi quali disposizioni comunitarie sarebbero state di volta in volta disattese, soffermandosi, invece, in modo esclusivo, sulle norme della legge n. 157 del 1992, da considerare ¾ quali norme fondamentali di riforma economico-sociale ¾ interposte rispetto a quelle costituzionali. Di talchè la generica censura relativa alla violazione del diritto comunitario, a tacer del problema dei limiti in cui, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, possono reputarsi ammissibili questioni aventi ad oggetto il contrasto fra norme appartenenti al diritto comunitario stesso e quelle di diritto interno, deve ritenersi assorbita nell'altro profilo di denuncia.

Quanto, poi, all'evocato vincolo derivante dalle norme di grande riforma economico-sociale, non é dubbio che esse si impongano, secondo la giurisprudenza costituzionale, anche alla competenza legislativa primaria delle Regioni e Province autonome (vedi, per una delle tante applicazioni, sentenza n. 153 del 1995).

Senonchè, nel caso in esame, il suddetto vincolo non é stato violato.

Infatti, il quadro normativo in cui si inscrivono gli adempimenti gravanti, secondo l’ordinanza, sulla Regione, non porta assolutamente a ritenere che quest'ultima, per il solo fatto di avere autorizzato con l’art. 50, comma 4, l’adozione di un calendario venatorio transitoriamente ispirato alle vecchie regole, abbia disatteso norme della legislazione statale qualificabili nei termini sopra precisati.

A fronte dell'articolata disciplina della materia contenuta nella legge statale n. 157 del 1992, quel che occorre, in particolare, stabilire é il carattere tassativo o meno della previsione dell'art. 14, comma 16, circa le indicazioni che, a partire dalla stagione 1995-1996, dovevano essere inserite nei calendari venatori. Trattandosi di adempimento il cui presupposto era l'avvenuto esercizio, da parte della Regione, dei propri poteri normativi in tema, tra l'altro, di pianificazione faunistico-venatoria, non può trascurarsi che la legge-quadro aveva fissato, per l'adeguamento della legislazione anche delle Regioni a statuto speciale, un termine (vedi, in particolare, art. 36, commi 6 e 7, della legge n. 157 del 1992) che, originariamente stabilito in un anno a partire dall'entrata in vigore della medesima legge, é stato successivamente differito al 31 luglio 1997, per effetto dell'art. 11-bis del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 542 (convertito nella legge 23 dicembre 1996, n. 659). Non essendosi contestualmente provveduto alla necessaria conseguente modificazione della disposizione concernente il contenuto dei calendari venatori, si é in presenza, dunque, di un mancato coordinamento tra le disposizioni dello stesso atto normativo, dal quale non può che inferirsi l'esclusione della tassatività, sotto il profilo temporale, della prescrizione di cui all'art. 14, comma 16.

4.- Con la seconda ordinanza (R.O. n. 298 del 1999) emessa il 16 dicembre 1998, il medesimo TAR sottopone a scrutinio di costituzionalità molteplici altre disposizioni della stessa legge regionale, a partire dall’art. 19, comma 1, che viene denunciato in combinato disposto con l'art. 18, comma 1, con il quale concorre a regolare gli aspetti sostanziali e procedimentali del calendario venatorio. In particolare, mentre la prima disposizione (nel testo di cui all’art. 6 della legge regionale n. 15 del 1998) affida all'Assessore regionale il compito di determinare le date di apertura e di chiusura dell’attività venatoria, indicando nel contempo le specie ed i relativi periodi di caccia, la seconda dispone che il calendario stesso, con i contenuti di cui al predetto art. 19, é emanato, entro e non oltre il 15 giugno di ogni anno, sentito il comitato regionale faunistico-venatorio.

4.1.¾ Secondo il rimettente, il legislatore siciliano, violando l'art. 14 dello statuto nonchè la norma di grande riforma economico-sociale contenuta nell’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, avrebbe omesso di contemplare la necessaria acquisizione, in sede di emanazione del calendario venatorio, del parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica, organo chiamato a fornire, in virtù della sua alta specializzazione, le speciali conoscenze tecniche necessarie, alle Regioni e alle Province, per operare scelte conformi alle finalità protettive cui si ispira tutta la produzione normativa, statale e non statale, riferita all'ambiente.

4.2.- La censura, per i termini in cui é formulata, investe, in realtà, il solo art. 18, comma 1, della legge regionale - nel quale risulta disciplinato il profilo procedimentale che viene qui in considerazione ¾ e non anche l’art. 19, comma 1, che attiene, invece, alla disciplina sostanziale del calendario. In ordine a quest’ultima disposizione - denunciata, oltretutto, in un testo, e cioé quello di cui all’art. 6 della legge regionale 31 agosto 1998, n. 15 (in Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 43 del 1° settembre 1998), successivo ai provvedimenti amministrativi oggetto di impugnazione innanzi al TAR ¾ la censura stessa é da ritenere, pertanto, inammissibile, non avendo il rimettente argomentato in alcun modo e sotto alcun profilo in punto sia di non manifesta infondatezza che di rilevanza ai fini del decidere.

4.3.- Quanto all'art. 18, comma 1, della legge regionale, la questione é da ritenere, invece, fondata, alla stregua dell'espressa previsione contenuta nel comma 4 dell’art. 18 della legge-quadro statale n. 157 del 1992, secondo il quale il calendario venatorio va emanato "sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica"; previsione significativa di una scelta che trova spiegazione nel ruolo spettante a detto Istituto, qualificato dal precedente art. 7 della stessa legge-quadro, come "organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza" non solo dello Stato, ma anche delle Regioni e delle Province.

Va, quindi, rilevata l’illegittimità costituzionale della soluzione normativa prescelta dal legislatore siciliano, che omettendo la previsione dell’intervento dell’Istituto anzidetto, viene a violare una prescrizione di grande riforma economico-sociale.

5.- Denunciando violazione dell'art. 14 dello statuto e degli artt. 10 e 14 della legge statale n. 157 del 1992, l'ordinanza dubita, poi, della legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge regionale, nel testo modificato dall'art. 8 della successiva legge 31 agosto 1998, n. 15.

Secondo il rimettente, la disciplina contenuta in detto art. 22 sarebbe incostituzionale, anzitutto, perchè non risulterebbero osservate le prescrizioni dell'art. 10 della legge statale in tema di adozione del piano faunistico venatorio. Altre ragioni di incostituzionalità andrebbero, poi, ravvisate nel contrasto fra l’art. 14 della predetta legge statale n. 157 del 1992 e le scelte del legislatore regionale, in ordine alla coincidenza dell'estensione degli ambiti territoriali di caccia con il territorio delle Province, come pure in ordine ai criteri dettati in tema di accesso a tali ambiti, sia dei cacciatori residenti in Sicilia sia di quelli provenienti da altre Regioni.

5.1.- Per una compiuta valutazione delle riferite censure, giova premettere che la disposizione denunciata, dopo aver definito gli ambiti territoriali di caccia (ATC) quali "unità territoriali di gestione e di prelievo venatorio programmato e commisurato alle risorse faunistiche", corrispondenti "a zone del territorio agro-silvo-pastorale tra loro fondamentalmente omogenee" (comma 1), stabilisce che dette zone "hanno dimensione provinciale e sono delimitate dai confini della provincia" (comma 2).

Si precisa, altresì (comma 7), che, ai fini di cui sopra, "le isole Eolie, Pelagie, Egadi, Pantelleria ed Ustica fanno parte dell'ambito territoriale di caccia della Provincia cui esse appartengono".

La stessa disposizione, in vista di una equilibrata regolazione della pressione venatoria, assegna, poi, all'Assessore regionale per l’agricoltura e le foreste (comma 3) il compito di verificare periodicamente, sulla base dei dati censuari, l’indice medio di densità venatoria regionale ¾ costituito dal rapporto fra il numero dei cacciatori residenti in Sicilia e il territorio agro-silvo-pastorale regionale ¾ definendo, sulla base di questo, "l’indice massimo per ogni ambito territoriale di caccia, in relazione alle condizioni ambientali ed alle caratteristiche di omogeneità venatoria tra tutti gli ambiti territoriali" della Regione.

Il medesimo articolo conferisce, inoltre, all'Assessore la facoltà di procedere alla riorganizzazione dell’estensione degli ambiti territoriali, "al fine di garantire parità di condizioni nell’esercizio venatorio" presso gli stessi (ultima parte del già citato comma 3).

In ordine al diritto di accesso, il comma 5, lettera a), della disposizione in esame prevede che il cacciatore possa esercitare l'attività venatoria, oltre che nell’ambito ricadente nella Provincia di residenza, in altri due ambiti della Regione, secondo il criterio cronologico di presentazione delle relative istanze, nel caso in cui non sia raggiunta in essi la densità massima di cui al precedente comma 3. L'ammissione negli ulteriori ambiti avviene sulla base di una delibera assunta dalle competenti ripartizioni faunitisco-venatorie, "previo parere dei comitati di gestione degli ambiti territoriali" (art. 8, comma 2, lettera s, della legge regionale). Il già menzionato art. 22, comma 5, lettera a), autorizza, inoltre, a partire dalla prima domenica del mese di novembre, l’esercizio della caccia alla selvaggina migratoria, non solo all'interno dell’ambito territoriale di residenza e di quelli prescelti, ma anche in tutti gli altri ambiti della Regione.

Quanto al numero massimo di cacciatori ammissibili in ciascun ambito, esso ¾ in base al comma 5, lettera b) ¾ viene determinato e reso noto, periodicamente, dall'Assessorato regionale alle ripartizioni faunistico-venatorie operanti nelle Province, con "una riserva del 10 per cento, a favore dei cacciatori provenienti da altre Regioni", nel rispetto del principio di reciprocità.

L'ammissione di questi ultimi, in uno degli ambiti territoriali di caccia, é disposta dall'Assessorato stesso, secondo l’ordine cronologico di presentazione delle istanze (comma 5, lettera d).

5.2.- Così descritta, in breve sintesi, la disciplina portata all'esame di questa Corte, va, anzitutto, precisato che non osta all’ammissibilità delle sollevate questioni il fatto che l'ordinanza denunzi l'art. 22 nel testo risultante dalle modifiche ad esso addotte dall'art. 8 della legge regionale n. 15 del 1998. Tali modifiche concernono, infatti, una parte di detto articolo che rimane estranea al promosso giudizio di costituzionalità, riguardando le modalità attraverso le quali l’amministrazione dà seguito alle richieste, da parte dei cacciatori, di ammissione all'esercizio dell'attività venatoria negli ambiti diversi da quello di residenza (lettera b, penultimo periodo, del comma 5).

5.3.- Nel merito, le censure sono parzialmente fondate.

Quanto a quella concernente la dimensione data dal legislatore regionale agli ambiti territoriali di caccia, é evidente, anzitutto, che non spetta in alcun modo alla Corte occuparsi del problema, segnalato dal rimettente, della mancata adozione da parte della Regione dei piani faunistico-venatori; problema che, riguardando atti presupposti rispetto a quelli impugnati innanzi al TAR, potrà eventualmente assumere rilievo nell'ambito di quest'ultimo giudizio.

Ne risulta, perciò, l’inconferenza dell’evocazione, a parametro della dedotta censura di incostituzionalità, delle prescrizioni poste dall'art. 10 (piani faunistico-venatori) della legge n. 157 del 1992, restando, invece, da esaminare se la dimensione data, con il comma 2 dell'art. 22 della legge regionale, agli ambiti territoriali di caccia, accorpando, tra l'altro, alle rispettive Province le isole (comma 7), collida o meno con le prescrizioni dell'art. 14 della medesima legge n. 157 del 1992.

Ciò posto, occorre osservare che il legislatore statale, con quest'ultima legge, ha inteso perseguire un punto di equilibrio tra il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l’interesse - pure considerato lecito e meritevole di tutela - all’esercizio dell’attività venatoria, attraverso la previsione di penetranti forme di programmazione dell’attività di caccia.

Momento qualificante di tale disciplina programmatoria é la valorizzazione - ogni qualvolta possibile ¾ delle caratteristiche di omogeneità (anche da un punto di vista naturalistico) dei territori nei quali si esercita la caccia. Tali caratteristiche devono, infatti, essere adeguatamente considerate dalle Regioni, in vista della delimitazione degli ambiti territoriali di caccia, giusta l'art. 14, comma 1, della medesima legge, il quale dispone che le Regioni, con apposite norme, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.

Come é dato evincere da quest'ultima previsione, aspetto rilevante, nel disegno del legislatore statale, é, perciò, quello della realizzazione di uno stretto vincolo tra il cacciatore ed il territorio nel quale esso é autorizzato ad esercitare l’attività venatoria. Di qui, la configurazione in via legislativa di ripartizioni territoriali quanto più vicine possibile agli interessati, in ragione, per l'appunto, della prevista dimensione sub-provinciale degli ambiti di caccia, valorizzando, al tempo stesso, il ruolo della comunità che, in quel territorio, é insediata e che é primariamente chiamata, attraverso gli organi direttivi degli ambiti, nella composizione di cui al comma 10 del medesimo art. 14, a gestire le risorse faunistiche.

Ora, gli aspetti di cui sopra non sono adeguatamente considerati dalla legislazione regionale.

Vero é che la disposizione censurata non ignora, come risulta dal comma 1 dell’art. 22, l'esigenza di far corrispondere gli ambiti territoriali a "zone del territorio agro-silvo-pastorale tra loro fondamentalmente omogenee" e che l’opzione operata verso la dimensione provinciale degli ambiti (comma 2) non si presenta come rigida e definitiva, prevedendosi ¾ come sopra ricordato ¾ la possibilità, per l’Assessore regionale di riorganizzarne l’estensione, "al fine di garantire parità di condizioni nell’esercizio venatorio" (comma 3).

Ciò non vale, tuttavia, a superare l'evidente contrasto con il modello desumibile dall'art. 14 della legge n. 157 del 1992, posto che l'intervento affidato all'Assessore regionale, allo scopo di rendere omogenei gli ambiti, si presenta come futuro ed incerto, e ciò che più conta, finalizzato ad obiettivi che non sembrano puntualmente coincidere con quelli del legislatore statale, il quale non solo ha voluto, attraverso la più ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio, ma ha inteso, altresì, attraverso il richiamo ai confini naturali, conferire specifico rilievo anche alla dimensione propria della comunità locale, in chiave di gestione, responsabilità e controllo del corretto svolgimento dell'attività venatoria. Ne consegue, pertanto, l'illegittimità costituzionale dei commi 2 e 7 del predetto art. 22.

5.4.- Non fondata é, invece, la questione di legittimità costituzionale nella parte in cui investe la previsione del diritto di accesso del cacciatore, oltre che nell’ambito territoriale corrispondente alla Provincia di residenza, in altri due ambiti (art. 22, comma 5, lettera a). A parte il fatto che la stessa legge statale (art. 14, comma 5) non esclude la possibilità, per il cacciatore, di avere "accesso ad altri ambiti o ad altri comprensori, anche compresi in una diversa Regione, previo consenso dei relativi organi di gestione", la previsione censurata non si pone, comunque, in contrasto con le esigenze di programmazione dell’attività venatoria e di salvaguardia della fauna selvatica, attesa la presenza di un preciso ¾ e ragionevole ¾ limite all’ammissione, consistente nel mancato raggiungimento, negli ambiti ospitanti, della densità venatoria massima di cui al comma 3.

5.5.- Del pari, non fondata é la censura di violazione, da parte del medesimo art. 22 (vedi, in particolare, comma 5, lettera d), del criterio della legge statale che subordina l'accesso dei cacciatori non residenti al consenso degli organi di gestione dell'ambito territoriale. Non é dato, in realtà, comprendere quali sarebbero i principi di grande riforma economico-sociale che verrebbero lesi dall’avvenuta attribuzione all’Assessorato regionale, anzichè agli organi di gestione degli ambiti territoriali di caccia, del potere di adozione dei provvedimenti di ammissione dei cacciatori non residenti.

E' decisiva, invece, la circostanza che si tratta di competenza rigorosamente delimitata, in virtù delle prescrizioni contenute nell'art. 22, comma 5, lettera b).

5.6.- E', per contro, incostituzionale la disposizione contenuta nella seconda parte della lettera a) del comma 5 dell'art. 22, la quale, a partire dalla prima domenica del mese di novembre, consente l'indiscriminato esercizio della caccia alla selvaggina migratoria in tutti gli ambiti. E' evidente, infatti, che tale norma non garantisce minimamente quella equilibrata distribuzione dei cacciatori, nell'esercizio dell'attività venatoria, che costituisce uno degli obiettivi fondamentali della normativa in materia, alla stregua segnatamente dell'art. 14 della legge n. 157 del 1992.

6.- Assumendo a parametro, oltre all'art. 14 dello statuto, le norme interposte di cui all'art. 18 della legge statale ed, altresì, l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, viene censurato, poi, l'art. 19, commi 1 e 2, come modificato dall'art. 6 della legge regionale n. 15 del 1998, che annovera fra le specie, di cui é consentita la caccia dal 1° ottobre al 30 novembre, la lepre comune (lepus europaeus).

Secondo il rimettente, l'inclusione, fra le specie cacciabili, della lepre comune (che non esiste in Sicilia) sarebbe incostituzionale, in quanto surrettiziamente idonea a fungere da copertura per l'abbattimento di una specie protetta quale la lepre appenninica (lepus corsicanus).

La questione ¾ da ritenere più esattamente riferita al solo comma 1, giacchè il comma 2 ha tutt’altro oggetto ¾ va dichiarata inammissibile, in quanto il rimettente, nel denunciare una norma contenuta in un testo legislativo emanato successivamente all'adozione dei provvedimenti amministrativi impugnati, non adduce alcun cenno di motivazione in punto di rilevanza della proposta censura.

7.- Il TAR per la Sicilia dubita, inoltre, della legittimità costituzionale degli artt. 17, comma 6, e 26, comma 4, della legge regionale, ritenendo violati l'art. 14 dello statuto, nonchè gli artt. 12, 16, 18 e 30 della legge n. 157 del 1992 ed, altresì, l'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

La prima delle disposizioni denunciate stabilisce testualmente che "non costituisce esercizio venatorio il prelievo di fauna selvatica ai fini dell’esercizio delle attività di impresa agricola previste dalla presente legge, limitatamente all’area dove vengono allevati gli animali e alle specie oggetto di allevamento".

La seconda disposizione, aggiunta al precedente testo normativo dall’art. 11 della legge regionale n. 15 del 1998, consente, invece, alle aziende agro-venatorie di utilizzare "le specie di fauna indicate all’articolo 19, purchè le relative immissioni e modalità di abbattimento seguano le prescrizioni dettate dalla ripartizione faunistico-venatoria competente per territorio".

Ad avviso del rimettente, la qualificazione data dall'art. 17 al prelievo di fauna selvatica, come attività non riconducibile all'esercizio venatorio, non solo consentirebbe, nell’ambito delle aziende agro-venatorie, di disattendere i limiti temporali e quantitativi di abbattimento della selvaggina ¾ giornalieri e stagionali ¾ fissati dalla legge-quadro, ma si risolverebbe in una indebita interferenza del legislatore regionale in materia sanzionata penalmente, con violazione, quindi, anche dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Nell'art. 26, comma 4, sarebbe, invece, ravvisabile, in contrasto sempre con le disposizioni sopra menzionate, una non consentita delega in bianco a favore delle ripartizioni faunistico-venatorie, con l'aggravante della mancanza di criteri omogenei ed uniformi validi per tutto il territorio regionale.

7.1.- Le censure sono l'una fondata e l'altra inammissibile.

Quanto alla prima, é da considerare che, nell'ambito delle differenziate destinazioni del territorio agro-silvo-pastorale previste dalla legge statale, vengono in rilievo, anche ai fini dei limiti all'attività venatoria, vari tipi di strutture: i centri privati di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma d'azienda agricola (art. 10, comma 8, lettera d, della legge n. 157 del 1992); le aziende faunistico-venatorie, senza fini di lucro, in cui "la caccia é consentita nelle giornate indicate dal calendario venatorio secondo i piani di assestamento e d'abbattimento" (art. 16, comma 1, lettera a, della legge n. 157 del 1992) e le aziende agri-turistico-venatorie, a fini di impresa agricola, "nelle quali sono consentiti l'immissione e l'abbattimento per tutta la stagione venatoria di fauna selvatica di allevamento" (art. 16, comma 1, lettera b, della stessa legge n. 157 del 1992).

La legge n. 157 del 1992 prevede, altresì, "l'allevamento di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale", autorizzato e disciplinato dalle Regioni (art. 17, comma 1).

In ordine ai centri privati di riproduzione, il legislatore statale ha stabilito (art. 12, comma 7), che "non costituisce esercizio venatorio il prelievo di fauna selvatica ai fini di impresa agricola", nei limiti di cui all'art. 10, comma 8, lettera d), e cioé il "prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell'impresa agricola, di dipendenti della stessa e di persone nominativamente indicate". Ha disposto, altresì (art. 16, comma 4), che, nelle aziende faunistico-venatorie, senza fini di lucro e nelle aziende agri-turistico-venatorie, a fini di impresa agricola, l'esercizio della caccia "é consentito nel rispetto delle norme della presente legge, con la esclusione dei limiti di cui all'art. 12, comma 5".

Quanto, infine, all'esercizio "dell'allevamento a scopo di ripopolamento, organizzato in forma di azienda agricola", si prevede (art. 17, comma 4) che le Regioni possano "consentire al titolare, nel rispetto delle norme della presente legge, il prelievo di mammiferi ed uccelli in stato di cattività con i mezzi di caccia contemplati all'art. 13".

A tale normativa statale, fa riscontro, non senza talune peculiarità di disciplina, la legge regionale, la quale prevede, a sua volta, oltre ai centri privati di produzione di selvaggina ed agli allevamenti di fauna selvatica a scopo di ripopolamento (art. 38), le aziende faunistico-venatorie, di cui all'art. 25, e le aziende agro-venatorie, di cui all'art. 26.

7.2.- Ciò posto, é evidente che una previsione quale quella denunciata, considerando in modo del tutto indifferenziato, come attività non riconducibile all'esercizio venatorio, "il prelievo di fauna selvatica ai fini dell'esercizio di attività di impresa agricola", finisce per infrangere il quadro di riferimento posto dalla legge statale, improntato a puntuali distinzioni circa i limiti di liceità dell'esercizio venatorio stesso, a seconda delle diverse strutture di volta in volta considerate.

Tale disposizione é da ritenere, pertanto, incostituzionale, perchè attraverso la definizione ivi accolta, si presta ad una sostanziale elusione dei vincoli posti dalla legislazione statale e, in specie, così come prospettato dall'ordinanza di rimessione, di quelli concernenti la caccia nelle aziende agro-venatorie.

7.3.- Per le ragioni già indicate sub 6, é, invece, inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza, la questione concernente l'art. 26, comma 4, così come aggiunto dall'art. 11 della legge regionale n. 15 del 1998.

8.- Viene censurato, infine, l'art. 18, comma 3, per violazione dell'art. 14 dello statuto nonchè degli artt. 13 e 30 della legge n. 157 del 1992 ed altresì dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

8.1.- Ad avviso del rimettente, la disposizione di cui trattasi ¾ prevedendo che "in sede di emissione del calendario venatorio l’Assessore regionale per l’agricoltura e le foreste regolamenta l’uso del furetto munito di museruola" - si porrebbe in contrasto con l'elenco tassativo dei "mezzi per l'esercizio dell'attività venatoria" previsto dall'art. 13 della legge n. 157 del 1992 (vedi, in particolare, comma 5), non senza realizzare, altresì, una indebita interferenza in materia riservata alla legge statale, per il fatto di rendere sostanzialmente lecita una condotta sanzionata penalmente.

8.2.- La questione non é fondata.

Occorre considerare, infatti, che l’uso del furetto nell’attività venatoria viene consentito dalla normativa regionale a condizione che l’animale sia fornito di museruola (art. 18, comma 3, legge regionale n. 33 del 1997). L'adozione di tale precauzione lo rende, infatti, configurabile come strumento che si può considerare ausiliario del cacciatore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale:

- dell’art. 18, comma 1, della legge della Regione Siciliana 1° settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), nella parte in cui non prevede che l’Assessore regionale per l’agricoltura e le foreste emani il calendario venatorio regionale, previa acquisizione del parere dell'Istituto nazionale della fauna selvatica;

- dell’art. 17, comma 6, della medesima legge;

- dell'art. 22, commi 2 e 7, della medesima legge;

- dell’art. 22, comma 5, lettera a), della medesima legge, nella parte in cui dispone che "a partire dalla prima domenica del mese di novembre al cacciatore é altresì consentito l’esercizio della caccia alla selvaggina migratoria, oltre che all’interno dell’ambito territoriale di caccia di residenza e di quelli prescelti anche negli altri ambiti della Regione senza obblighi di partecipazione economica";

  dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con l'ordinanza del 16 dicembre 1998 di cui in epigrafe (R.O. n. 298 del 1999), concernenti le seguenti disposizioni della legge della Regione Siciliana 1° settembre 1997, n. 33:

- art. 19, comma 1, come modificato dall’art. 6 della legge della Regione Siciliana 31 agosto 1998, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 1° settembre 1997, n. 33 in materia di tutela della fauna selvatica ed esercizio venatorio), per violazione dell’art. 14 dello statuto della Regione Siciliana, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, nonchè dell’art. 18, comma 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157;

- del medesimo art. 19, comma 1, come modificato dall’art. 6 della legge della Regione Siciliana 31 agosto 1998, n. 15, per violazione dell'art. 14 dello statuto siciliano, dell’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 nonchè dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione;

¾ art. 26, comma 4, come modificato dall’art. 11 della legge della Regione Siciliana 31 agosto 1998, n. 15, per violazione dell’art. 14 dello statuto siciliano, degli artt. 12, 16, 18 e 30 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nonchè dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 50, comma 4, della medesima legge, sollevata dal sopra richiamato Tribunale amministrativo regionale con l'ordinanza del 27 novembre 1997 (R.O. n. 312 del 1998) di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 11 della Costituzione e 14 dello statuto siciliano;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal sopra richiamato Tribunale amministrativo regionale con l'ordinanza del 16 dicembre 1998 di cui in epigrafe (R.O. n. 298 del 1999), concernenti le seguenti altre disposizioni della già menzionata legge regionale 1° settembre 1997, n. 33:

- art. 18, comma 3, per violazione dell’art. 14 dello statuto siciliano, degli artt. 13 e 30 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nonchè dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione;

- art. 22, comma 5, lettera a), nella parte in cui prevede che il cacciatore ha diritto di accesso "ad altri due ambiti della Regione, secondo il criterio cronologico di presentazione delle relative istanze nel caso che non sia raggiunta in essi la densità massima di cui al comma 3", per violazione dell’art. 14 dello statuto siciliano, nonchè degli artt. 10 e 14 della legge 11 febbraio 1992, n. 157;

- art. 22, comma 5, lettera d), per violazione dell’art. 14 dello statuto siciliano, nonchè degli artt. 10 e 14 della legge 11 febbraio 1992, n. 157.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2000.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 gennaio 2000.