SENTENZA N. 448
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), promosso con ordinanza emessa il 26 aprile 1996 dal TAR della Liguria sul ricorso proposto dall'Associazione Italiana per il W.W.F. contro la provincia di La Spezia, con l'intervento dell'U.N.A.V.I. e della C.P.A. della provincia di La Spezia, iscritta al n. 1278 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1996;
Visti gli atti di costituzione dell'U.N.A.V.I. della provincia di La Spezia e dell'Associazione italiana per il W.W.F., nonché gli atti di intervento della regione Liguria e del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 1997 il giudice relatore Massimo Vari;
Uditi gli avvocati Giovanni Petretti per l'Associazione italiana per il W.W.F., Claudio Chiola per l'U.N.A.V.I. della provincia di La Spezia, Gigliola Benghi per la regione Liguria e l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 26 aprile 1996 - nel giudizio sul ricorso proposto dall'Associazione italiana per il World Wildlife Fund (W.W.F.) contro la provincia di La Spezia, per l'annullamento delle delibere consiliari n. 56 del 29 maggio 1995 e n. 64 del 14 giugno 1995, aventi, rispettivamente, ad oggetto il piano faunistico venatorio provinciale e l'istituzione e perimetrazione degli ambiti territoriali di caccia, nonché degli atti connessi il T.A.R. della Liguria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), denunciando il contrasto di tali disposizioni con l'art. 97, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui comprendono, nella percentuale del territorio destinata a protezione della fauna selvatica, le aree in cui sia comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni; e cioè anche aree che, purché definibili come agro-silvo-pastorali, sarebbero tuttavia inidonee, per la limitata estensione o per la vicinanza a vie di comunicazione, a garantire i predetti obiettivi protettivi. Secondo l'ordinanza, se per protezione della fauna, a mente del comma 4 del medesimo art. 10 della citata legge n. 157 del 1992, va inteso "il divieto di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione e la cura della prole", è evidente che, nel territorio destinato a protezione, non può essere compreso quello che, per sua natura e funzione, sia inidoneo a consentire l'agevolazione congiunta delle attività vitali della fauna stessa. Di qui la denunciata illegittimità dell'art. 10, comma 3, della legge n. 157 del 1992 la cui "contraddittorietà in termini" farebbe dubitare della sua rispondenza al "principio di ragionevolezza di cui è codificazione nell'art. 97, primo comma, della Costituzione". Ad avviso del giudice rimettente lo stesso vizio colpirebbe anche l'art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria n. 29 del 1994, in quanto la stessa definizione "del territorio da considerare" consentirebbe l'inclusione, nella zona di protezione della fauna, anche di aree non idonee alla destinazione in questione.
2. - Nel costituirsi in giudizio l'Associazione italiana per il World Wildlife Fund (W.W.F.) ha chiesto che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale delle norme indicate nell'ordinanza, se non interpretate nel senso che, nella percentuale di territorio "da proteggere" in ogni regione, debbano essere incluse soltanto le aree idonee a consentire la sosta e la riproduzione della fauna selvatica, escludendo tutte quelle aventi natura marginale e residuale (come le fasce di rispetto delle vie di comunicazione, gli insediamenti aeroportuali, le zone antropizzate, i parchi e giardini urbani, ecc.).
Ricordato che il fine prioritario della legge n. 157 del 1992 è quello di proteggere la fauna selvatica, l'Associazione osserva che, quando il legislatore ha voluto che determinate aree fossero incluse nella percentuale di territorio protetto, lo ha indicato espressamente (come nel caso dei fondi chiusi vietati alla caccia di cui all'art. 15, commi 8 e 9).
Pertanto, ove la denunciata disposizione dell'art. 10 della legge n. 157 del 1992 non dovesse essere intesa nel senso che nel territorio protetto ricadono solo le aree idonee ad assicurare una efficace tutela della fauna, si chiede un intervento caducatorio che travolga anche tutte le disposizioni contenute nelle leggi regionali che dalla disposizione della legge-quadro traggono fondamento.
3. - Si è costituita in giudizio anche l'Unione nazionale associazioni venatorie italiane della provincia di La Spezia, che ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della questione sotto un duplice profilo: anzitutto per difetto di rilevanza, quanto all'art. 10, comma 3, della legge n. 157 del 1992, giacché la riproduzione del contenuto della legge statale da parte del legislatore regionale, secondo quanto si desume anche dalla giurisprudenza costituzionale, avrebbe comportato in ogni caso una novazione della fonte, con la conseguenza che il giudice a quo sarebbe tenuto ad applicare nel caso specifico soltanto la legge della regione Liguria; in secondo luogo, perché si tratterebbe di censure attinenti al merito politico della normativa impugnata, e non già alla violazione di norme o principi costituzionali.
Rilevato, poi, che in nessuna parte della legge statale o di quella regionale appare accolto l'assioma che tutti i territori compresi nella quota di protezione debbano essere idonei alla realizzazione contemporanea di tutti i fini protezionistici, l'associazione venatoria osserva che l'evocazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, lungi dal costituire una svista, dimostrerebbe come il giudice a quo critichi in realtà l'assetto dato dal legislatore ai contrapposti interessi in giuoco secondo scelte rimesse all'apprezzamento di quest'ultimo.
In ogni caso non sarebbe esatto che tutte le aree precluse all'attività venatoria in base ad altre leggi o disposizioni siano in radice inidonee a garantire la sosta e la riproduzione della fauna selvatica, rientrando fra di esse anche i fondi agricoli "chiusi" come pure i fondi esclusi dalla pianificazione venatoria per volontà del proprietario (legge n. 157 del 1992, art. 15, rispettivamente commi 8, 3 e 4).
E questo non senza rilevare che, ove il criterio sostenuto dal giudice fosse applicato a regioni caratterizzate da rilevante presenza di zone assoggettate a divieto di caccia ex lege, lo scorporo di tali zone finirebbe per creare insormontabili difficoltà alla pianificazione venatoria.
Quanto, poi, all'art. 3, comma 1, della legge regionale della Liguria n. 29 del 1994, si sostiene che la relativa censura, priva - tra l'altro - dell'indicazione del parametro costituzionale, propone una diversa definizione del territorio agro-silvo-pastorale, che si traduce in un'inammissibile richiesta alla Corte costituzionale "di provvedere ad una nuova disciplina legislativa della materia".
4. - Nell'intervenire in giudizio, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità della questione, non essendo l'art. 97, primo comma, della Costituzione "parametro pertinente allo scrutinio di costituzionalità di una norma che palesemente non attiene alla organizzazione e al funzionamento dei pubblici uffici".
Nel merito la questione sarebbe infondata.
Rammentato che l'art. 10 della legge n. 157 del 1992, stabilisce un criterio-base di "destinazione differenziata" del territorio, distinguendo tra aree di protezione della fauna selvatica (comma 3) ed aree di promozione di forme di gestione programmata della caccia (comma 6), si nega che sussista la denunciata contraddizione tra il censurato comma 3 e le altre disposizioni della legge n. 157 del 1992, spettando, infatti, "alla funzione pianificatoria disporre per un appropriato impiego protettivo dei territori soggetti a divieto di caccia tenuto conto che la protezione nei sensi indicati dal comma 4 ammette pur sempre forme diversificate e graduate".
Peraltro, alla stregua del voluto bilanciamento tra le esigenze di protezione della fauna e quelle dell'attività venatoria, il complesso normativo in questione dovrebbe essere letto "nel senso che le predette aree a protezione incompleta non possono valere al fine del raggiungimento della percentuale minima del 20%, ma debbono nondimeno essere considerate per evitare il superamento della soglia massima del 30%".
5. - Anche la regione Liguria è intervenuta in giudizio per sostenere l'infondatezza della questione, osservando che, secondo l'art. 10 della legge n. 157 del 1992, non tutto il territorio destinato alla tutela deve essere utilizzato come "oasi di protezione" (di cui alla lettera a del comma 8 del medesimo art. 10), spettando, invece, alla pianificazione regionale e provinciale il compito di individuare "comprensori omogenei" mediante destinazione differenziata del territorio stesso.
Secondo la regione la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR della Liguria sembra investire soprattutto la norma di principio della legge-quadro statale, norma che è rimessa alla discrezionalità del legislatore e che, in concreto, pare idonea ad assicurare, mediante un corretto esercizio della pianificazione per ambiti, una sufficiente tutela degli interessi pubblici connessi alla protezione della fauna.
6. - Con memoria, depositata nell'imminenza dell'udienza, l'Unione nazionale associazioni venatorie italiane della provincia di La Spezia, nell'insistere sulla richiesta di declaratoria di inammissibilità della questione, si sofferma, in particolare, sull'erroneità del riferimento al parametro dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, sull'irrilevanza della censura avverso l'art. 10 della legge n. 157 del 1992 e, nel contempo, sull'inaccoglibilità di una richiesta di sostanziale riscrittura dei criteri fissati dal legislatore in tema di pianificazione faunisticovenatoria del territorio; riscrittura tale da comportare l'introduzione - accanto alle aree disciplinate dalla legge regionale per le varie destinazioni - di una quarta area costituita dalle zone comunque soggette a divieto di caccia, ma ritenute, al tempo stesso, inidonee ad assicurare la protezione della fauna.
Inoltre, riguardo all'art. 3 della legge della regione Liguria n. 29 del 1994, si rileva che, mentre la censura a carico del comma 2 tende a colpire l'inclusione, nella zona di protezione, anche dei terreni comunque soggetti a divieto di caccia, quella concernente il comma 1 condurrebbe verso il più radicale esito di impedire che tali terreni rientrino nella nozione di territorio agro-silvo-pastorale, configurando, in tal guisa, una questione di costituzionalità inammissibile, in quanto "ambigua ed ancipite" ed "irrimediabilmente contraddittoria nell'esito".
Quanto, poi, alla esigenza di salvaguardare ecosistemi di particolare rilievo, a ciò dovrebbe provvedere la legislazione in tema di ambiente (come in effetti ha provveduto la legge n. 394 del 1991, che istituisce le riserve naturali), e non quella che disciplina l'attività venatoria sul territorio.
Rilevato, inoltre, che l'operazione richiesta dal T.A.R. della Liguria finirebbe col mettere in pericolo "la possibilità stessa di costituire ambiti territoriali di caccia razionalmente delimitati e configurati", relegando ingiustamente l'attività venatoria ad una posizione deteriore e residuale, si osserva, infine, quanto all'art. 3, comma 1, della legge della regione Liguria n. 29 del 1994, che, in ogni caso, non sussisterebbero i denunciati vizi di contraddittorietà ed irragionevolezza, in quanto la definizione di territorio agro-silvo-pastorale data dalla legge regionale della Liguria appare inattaccabile sotto ogni profilo logico e giuridico.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza in epigrafe il T.A.R. della Liguria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), nella parte in cui comprendono nella percentuale del territorio destinata a protezione della fauna selvatica le aree in cui sia comunque vietata l'attività venatoria, anche per effetto di altre leggi o disposizioni, purché le aree stesse siano definibili come agro-silvo-pastorali.
Il rimettente, premesso che l'art. 10, comma 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, definisce la protezione come "divieto di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione e la cura della prole", ritiene che, nel territorio destinato a protezione, non possano essere ricomprese aree che non siano adatte a consentire l'agevolazione congiunta di tutte le attività vitali della fauna; la legge quadro statale sarebbe, perciò, affetta da una "contraddittorietà in termini", tale da far dubitare della sua rispondenza al principio di ragionevolezza, che il rimettente reputa "codificato nell'art. 97, primo comma, della Costituzione", mentre analogo vizio colpirebbe anche l'art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria n. 29 del 1994, in quanto la definizione del territorio agro-silvo-pastorale ivi contenuta consentirebbe, del pari, di includere nella zona destinata alla protezione della fauna anche aree non idonee ad una compiuta funzione protettiva.
2. - Vanno, anzitutto, esaminate le eccezioni di inammissibilità, muovendo da quella proposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale nega che il parametro invocato, e cioè l'art. 97, primo comma, della Costituzione, possa reputarsi pertinente ad uno scrutinio di costituzionalità che concerne i criteri seguiti dal legislatore nella regolamentazione di una materia quale la pianificazione del territorio agro-silvo-pastorale a fini faunistico-venatori.
Tale rilievo, ripreso successivamente anche nella memoria illustrativa depositata dall'Unione delle associazioni venatorie italiane della provincia di La Spezia, non è, ad avviso di questa Corte, ostativo all'esame di merito delle proposte questioni.
Dal testo dell'ordinanza risulta, infatti, inequivocabilmente, che il giudice rimettente, sia pure attraverso l'evocazione del parametro dell'art. 97, primo comma, della Costituzione attinente alla materia dell'organizzazione dei pubblici uffici, intende segnalare, in realtà, un vizio di ragionevolezza riconducibile, piuttosto, all'art. 3 della Costituzione, in quanto la censura sollevata concerne disposizioni volte a disciplinare attività amministrative con riguardo, tra l'altro, a facoltà ed obblighi di soggetti pubblici e privati.
Onde superare l'eccezione in parola è, perciò, sufficiente rifarsi a quell'orientamento giurisprudenziale che, pur a fronte di inesatti od incompleti riferimenti normativi, reputa non precluso l'esame di costituzionalità, quando i termini della questione appaiono adeguatamente definiti.
3. - Neppure fondata è l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Unione delle associazioni venatorie italiane della provincia di La Spezia, la quale sostiene l'irrilevanza della questione, per quanto attiene segnatamente all'art. 10, comma 3, della legge n. 157 del 1992, in base al rilievo che la riproduzione del contenuto della legge statale da parte del legislatore regionale avrebbe comportato una novazione della fonte, sì che il giudice a quo sarebbe tenuto ad applicare, nel caso specifico, soltanto la legge della regione Liguria.
Infatti la questione sottoposta all'esame della Corte concerne materia (caccia e protezione della fauna selvatica) in cui, ex art. 117 della Costituzione (ma v. anche l'art. 99 del d.P.R. n. 616 del 1977), le regioni ordinarie hanno competenza legislativa concorrente con quella statale. Ne consegue che la disciplina dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria n. 29 del 1994 non pone fuori causa quella contenuta nella legge statale n. 157 del 1992, che detta i principi fondamentali in materia, ma si coordina con la medesima, realizzando, nell'accennata concorrenza tra le potestà legislative dello Stato e della regione, un assetto i cui criteri ispiratori formano, per l'appunto, oggetto della denuncia di incostituzionalità; denuncia che, a ben vedere, investe in primo luogo la disposizione di principio della legge-quadro statale, quale matrice originaria della regolamentazione sospettata di illegittimità.
Non maggiore considerazione merita l'ulteriore eccezione di inammissibilità, prospettata dalla stessa parte, nel senso che la contemporanea sottoposizione al giudizio della Corte dei commi 1 e 2 della legge regionale n. 29 del 1994 configurerebbe una questione "ambigua" ed "ancipite".
Infatti nella prospettazione dell'ordinanza la disciplina pianificatoria, che il rimettente reputa irragionevole e contraddittoria, scaturisce, ad un tempo, dalla disposizione della legge statale, che espressamente include nella zona di protezione della fauna aree da reputare non compiutamente idonee alle finalità protettive, e da quella della legge regionale, che definisce il territorio agro-silvo-pastorale in termini tali da consentire anch'essa l'inclusione, nella zona di protezione della fauna, di aree che il giudice a quo ritiene inadatte allo scopo.
4. - Nel merito la questione non è fondata, non ravvisandosi nelle disposizioni denunciate l'irragionevolezza segnalata dal rimettente.
Invero la disciplina faunistico-venatoria ha il suo tratto caratterizzante nella pianificazione di tutto il territorio agro-silvo-pastorale; pianificazione che, secondo le indicazioni dell'art. 10, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, è finalizzata, "per quanto attiene alle specie carnivore, alla conservazione delle effettive capacità riproduttive e al contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua conservazione, mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio".
In vista di tali obiettivi il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione viene destinato, dal medesimo art. 10, per una quota dal 20 al 30 per cento, alla protezione della fauna selvatica (comma 3); prevedendosi, nel contempo, che una quota fino al massimo del 15 per cento possa essere destinato alla istituzione di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed all'esercizio di caccia riservata a gestione privata (comma 5) e che, sulla quota residuale, le regioni promuovano forme di gestione programmata della caccia, attraverso la ripartizione in ambiti territoriali di dimensioni subprovinciali, sentite le province interessate nonché le organizzazioni professionali agricole (comma 6).
A sua volta l'art. 3 della legge della regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29, nel recepire i principi della legislazione statale, prevede, per la zona di "protezione e produzione della fauna selvatica", un'area i cui limiti di estensione vanno contenuti nelle percentuali minima e massima sopra accennate (comma 2), definendo, nel contempo, territorio agro-silvo-pastorale quello comprendente "i terreni agricoli, con esclusione di quelli situati nelle zone urbane, i terreni incolti, le foreste demaniali e regionali, le zone umide, le spiagge, i corsi d'acqua, i laghi naturali e artificiali ed ogni altra zona verde, attualmente o potenzialmente idonea all'attività di coltivazione dei fondi, di allevamento di specie animali e di silvicoltura" (comma 1).
La disciplina di cui trattasi, come si evince dal suo insieme, appare volta, dunque, ad orientare finalisticamente la pubblica amministrazione nella elaborazione di piani faunistico-venatori, i quali costituiscono la sede procedimentale per l'individuazione - secondo criteri dotati di sufficiente elasticità - di spazi a destinazione differenziata nell'ambito di un complessivo bilanciamento di interessi nel quale trovano considerazione, accanto alle esigenze di protezione della fauna, quelle venatorie e quelle, altresì, degli agricoltori, interessati non solo al contenimento della fauna selvatica che si riproduce spontaneamente, ma anche all'impedimento di una attività venatoria indiscriminata. D'altra parte l'attività venatoria, già considerata da questa Corte come diretta non solo all'abbattimento di animali selvatici, ma anche "congiuntamente" alla protezione dell'ambiente naturale e di ogni forma di vita (sentenza n. 63 del 1990), si pone essa stessa come mezzo di regolazione della fauna selvatica, dipendendo la densità ottimale delle specie non carnivore, come risulta dall'art. 10, comma 1, della legge n. 157 del 1992, non solo dal miglioramento delle risorse ambientali, ma anche dal prelievo venatorio.
Quanto poi alla zona di protezione della fauna, vero è che il comma 4 del medesimo art. 10 definisce la protezione come "il divieto di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione e la cura della prole", ma da tale definizione non è dato evincere che la volontà legislativa possa essere individuata prescindendo da tutto il contesto della legge n. 157 del 1992 ed, in particolare, dalle varie disposizioni contenute nell'art. 10 della legge medesima. Queste ultime confermano, infatti, che non necessariamente tutto il territorio destinato alla tutela faunistica deve rivestire le caratteristiche proprie delle "oasi di protezione", e cioè di quelle aree che, secondo la definizione del comma 8, sono "destinate al rifugio, alla riproduzione e alla sosta della fauna selvatica"; detto territorio "comprende" sì queste ultime (comma 4), ma resta affidato, per la ulteriore sua individuazione, alla pianificazione faunistico-venatoria regionale e provinciale, cui spetta enucleare, secondo i criteri stabiliti nel menzionato art. 10, "comprensori omogenei" nei quali si articola la destinazione differenziata del territorio stesso.
L'irragionevolezza della disciplina non può perciò essere predicata solo in ragione della definizione generale di protezione accolta dal comma 4 dell'art. 10; definizione che non va posta in antitesi bensì raccordata con gli altri disposti della disciplina in esame, sì da valutare coerenza e razionalità delle scelte in modo unitario, correlando, in particolare, il dato dell'entità della percentuale di territorio destinato alla tutela faunistica con gli elementi che, nella loro varietà, entrano, secondo quanto stabilito dallo stesso legislatore, a comporre detto dato.
Non hanno, dunque, fondamento i dubbi sollevati dal rimettente in ordine alle disposizioni censurate ed, in particolare, in ordine alla loro idoneità a realizzare, mediante un corretto esercizio della pianificazione, una adeguata tutela degli interessi pubblici connessi alla protezione della fauna. L'eventuale ipotesi di piani, che - in ragione delle tipologie di aree in essi inclusi - non apparissero rispondenti agli obiettivi di protezione individuati dalla normativa sopra citata, potrà, d'altro canto, aprire la via al sindacato di legittimità innanzi al giudice amministrativo, restando così garantita, in ogni caso, la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla normativa portata all'esame di questa Corte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell'art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), sollevata in riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Renato Granata
Il redattore: Massimo Vari
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.