Sentenza n. 367 del 1991

 

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SENTENZA N. 367

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo comma, lett. c) della legge regionale siciliana 5 settembre 1990, n. 35 (Istituzione e disciplina del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate), promosso con ordinanza emessa il 6 dicembre 1990 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione distaccata di Catania, sul ricorso proposto dalla s.p.a. "Nuova G. Barbera" contro la Presidenza della Regione siciliana ed altro, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di costituzione della s.p.a. "Nuova G. Barbera", nonché l'atto di intervento della Regione Sicilia rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato;

Udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

Uditi l'avv. Andrea Scuderi per la s.p.a. "Nuova G. Barbera" e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per la Regione Sicilia.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio promosso per l'annullamento del decreto 9 ottobre 1990 dell'Assessore regionale siciliano per il bilancio e le finanze, concernente l'individuazione degli ambiti territoriali da affidare in concessione per il servizio di riscossione dei tributi, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione distaccata di Catania, con ordinanza in data 6 dicembre 1990 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo comma, lett. c) della legge regionale siciliana 5 settembre 1990, n. 35, sulla istituzione e la disciplina del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate.

La norma, cui si è conformato il decreto impugnato, dispone che la concessione per la riscossione dei tributi può essere conferita "alle società per azioni regolarmente costituite, con capitale interamente versato non inferiore a lire venti miliardi ed aventi per oggetto sociale esclusivo la gestione in concessione del servizio, costituite soltanto da istituti ed aziende di credito", di cui all'art. 5, lettere a) e d) del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375 e successive modifiche.

Il giudice a quo osserva che la disposizione, escludendo dai possibili concessionari le società per azioni costituite da persone, si pone in contrasto con l'art. 1, primo comma, lett. e), punto 3, della legge 4 ottobre 1986, n. 657 (delega al Governo per la istituzione e la disciplina del servizio di riscossione dei tributi) e con l'art. 31, primo comma, lett. c), del conseguente d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (Istituzione del servizio di riscossione dei tributi). Entrambe le norme menzionate stabiliscono, infatti, che la concessione del servizio di riscossione dei tributi può essere conferita "alle società per azioni regolarmente costituite.. .. .. dai soggetti indicati nella lettera a) o da persone fisiche".

Nell'ordinanza si sottolinea che la serie dei soggetti, ai quali - a tenore della legislazione statale - può essere conferita la concessione, è tassativa. Sia l'art. 1 della legge n. 657 del 1986, sia l'art. 31, primo comma, del d.P.R. n. 43 del 1988 dispongono, infatti, che i possibili concessionari sono "esclusivamente" le aziende e gli istituti di credito, nonché le casse rurali ed artigiane di cui all'art. 5 del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375, le loro speciali sezioni autonome, le società per azioni, aventi per unico oggetto la gestione del servizio in esame, e le società cooperative già titolari di gestioni esattoriali.

L'esclusione delle dette società per azioni costituite da persone, non contemplate dalla disciplina statale, si porrebbe in contrasto con l'art. 17 dello Statuto siciliano, che fa obbligo al legislatore regionale di osservare i limiti dei principi ed interessi generali, cui si informa la legislazione dello Stato.

Invero, in base alla costante giurisprudenza costituzionale, la potestà legislativa tributaria della Regione siciliana ha carattere soltanto concorrente. La potestà di legiferare in via esclusiva, ai termini e nei limiti dell'art. 14 dello Statuto siciliano, non può essere riferita, per il suo carattere eccezionale, se non a materie esplicitamente e tassativamente indicate, tra le quali non è invece inclusa la materia in esame.

Del resto, l'art. 132 del predetto d.P.R. n. 43 del 1988 dispone che "i principi risultanti dalla legge 4 ottobre 1986, n. 657, e dal presente decreto si applicano anche alla regione siciliana, che provvede con legge all'istituzione e alla disciplina del servizio di riscossione dei tributi nell'esercizio della competenza legislativa ad essa spettante in materia". La norma risulta perfettamente aderente alla natura concorrente della potestà medesima, quale si desume dal combinato disposto degli artt. 17 e 36 dello Statuto siciliano, così come più volte affermato dalla Corte costituzionale.

L'ordinanza è stata emessa nella camera di consiglio del 6 dicembre 1990, nel corso della quale il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia aveva accolto temporaneamente la domanda di sospensione del decreto assessoriale impugnato, sino alla prima camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale dopo la decisione sulla questione di costituzionalità sollevata.

2. - È intervenuta nel giudizio la Regione Sicilia, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine, per l'infondatezza della questione.

Rileva l'Avvocatura che, con l'anomala ordinanza di sospensione temporanea dell'atto impugnato, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha inteso creare una artificiosa rilevanza della questione di costituzionalità rispetto ad una fase cautelare raffigurata come non esaurita.

L'espediente sarebbe comunque risultato vano, perché il Consiglio di giustizia amministrativa, adito con atto di appello dalla parte resistente, ha - in riforma della ordinanza n. 944 predetta - respinto l'istanza di sospensione e, quindi, definitivamente chiuso la fase cautelare. A questo punto, la questione di legittimità costituzionale è inammissibile se non altro per non-rilevanza.

Nel merito, l'Avvocatura osserva che se è vero che la competenza della Regione Sicilia in materia tributaria è solo concorrente, è però anche incontestabile che la elencazione delle categorie di possibili concessionari contenuta nell'art. 31 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 può essere inclusa tra i "principi" limite della competenza legislativa regionale solo per quanto determina requisiti minimi di affidabilità.

La disposizione regionale di che trattasi ha previsto, nell'interesse pubblico (che è l'unico rilevante in materia), requisiti più severi di quelli stabiliti dal predetto art. 31, prevedendo che le società per azioni debbano avere un capitale non inferiore a lire venti miliardi e debbano essere "costituite soltanto da istituti ed aziende di credito indicati nella lettera a". La disposizione palesemente non contrasta con alcun principio posto dalla normativa statale.

Con memoria in data 31 maggio 1991, l'Avvocatura ha quindi esibito l'ordinanza con cui il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana ha respinto l'istanza di sospensione proposta dalla S.p.a. "Nuova G. Barbera", sul rilievo che il decreto impugnato, nella parte in cui preclude l'affidamento della concessione della società, è meramente ripetitivo del disposto dell'art. 20 della legge regionale n. 35 del 1990 e, quindi, inidoneo a provocare un autonomo danno grave e irreparabile.

3. - Si è costituita la s.p.a. "Nuova G. Barbera", ricorrente nel giudizio davanti al Tribunale amministrativo regionale, chiedendo la declaratoria di incostituzionalità della norma impugnata con motivi che si ispirano a quelli contenuti nell'ordinanza di rimessione.

Con successiva memoria in data 4 giugno 1991, la S.p.a. "Nuova G. Barbera" sostiene anzitutto che il procedimento cautelare che ha dato luogo alla questione all'esame non è ancora esaurito, la sua definizione restando subordinata alla decisione della Corte costituzionale.

Il Consiglio di giustizia amministrativa non è infatti intervenuto sui punti relativi alla rimessione alla Consulta, né sulla riserva di emanare la definitiva decisione cautelare dopo la pronuncia di legittimità costituzionale. Esso si è pronunciato soltanto sulla opportunità di accogliere temporaneamente la domanda cautelare.

Nel merito, dopo aver ribadito il carattere concorrente della potestà legislativa della Regione siciliana nella materia - così come affermato da numerose sentenze della Corte costituzionale -, la società s.p.a. "Nuova G. Barbera" ribadisce che la elencazione dei "soggetti della riscossione", contenuta nella legislazione nazionale, ha valore di principio. Il legislatore ha compiuto la scelta del ricorso al mercato delle imprese finanziarie ed esattoriali, sia pubbliche che private, senza alcuna limitazione o discriminazione, tranne quelle derivanti dalla necessità di garantire una elevata qualificazione ed esercitare il necessario controllo. Ciò allo scopo di realizzare il massimo di concorrenza, efficienza, economicità e trasparenza nelle gestioni esattoriali.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione distaccata di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo comma, lett. c, della legge regionale siciliana 5 settembre 1990, n. 35, nella parte in cui esclude dai possibili concessionari del servizio di riscossione dei tributi le società per azioni costituite da persone fisiche. La disposizione non sarebbe conforme all'art. 1, primo comma, lett. e, punto 3, della legge 4 ottobre 1986, n. 657, concernente delega al Governo per la istituzione del servizio di riscossione dei tributi, nonché all'art. 31, primo comma, lett. c, del successivo d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 17. Entrambe le norme stabiliscono, infatti, che la concessione del servizio di riscossione dei tributi può essere conferita "alle società per azioni regolarmente costituite.. .. .. dai soggetti indicati nella lettera a o da persone fisiche".

La disposizione impugnata violerebbe quindi l'art. 17 dello Statuto siciliano, il quale fa obbligo al legislatore regionale di osservare i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato.

2. - L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta per la Regione siciliana, ha eccepito l'inammissibilità della questione per irrilevanza, osservando che il Tribunale amministrativo regionale ha emesso l'ordinanza di rimessione in sede di esame dell'istanza di sospensione del decreto regionale, ricorrendo ad un anomalo provvedimento di sospensione temporanea dell'atto impugnato.

Peraltro l'espediente, diretto a far apparire la fase cautelare come non ancora esaurita, sarebbe stato poi vanificato dal Consiglio di giustizia amministrativa che, adito con atto di appello della parte resistente, ha respinto l'ordinanza di sospensione e definitivamente chiuso la fase cautelare.

L'eccezione di inammissibilità va respinta con riguardo ad entrambi i profili prospettati.

Anzitutto, questa Corte ha già esaminato altro caso in cui il giudice, contemporaneamente alla ordinanza di rimessione, aveva disposto con separato provvedimento la sospensione degli atti impugnati, in via provvisoria e temporanea, fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalità (sentenza n. 444 del 1990). La Corte ha nell'occasione affermato che permaneva il requisito della rilevanza, poiché la pronuncia, per la sua natura meramente temporanea ed interinale, non aveva determinato l'esaurimento del potere cautelare del giudice a quo.

Quanto al secondo aspetto, è sufficiente ricordare che la sussistenza del requisito della rilevanza va valutata allo stato degli atti al momento della emanazione dell'ordinanza di rimessione, restando quindi ininfluenti gli eventuali provvedimenti adottandi o adottati successivamente (sentenza n. 97 del 1987).

3. - Nel merito la questione risulta infondata.

Questa Corte ha già ripetutamente affermato in termini generali che nella materia tributaria la Regione siciliana è titolare di potestà legislativa concorrente e che pertanto è tenuta ad osservare i principi generali recati dalle leggi dello Stato (da ultimo sentenze nn. 959 del 1988, 428 del 1989, 105 del 1991).

Per quanto concerne specificamente l'istituzione e la disciplina del servizio di riscossione dei tributi, l'indicato carattere concorrente della potestà legislativa della regione è confermato dall'art. 132 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43.

Esso dispone che i principi risultanti dalla legge 4 ottobre 1986, n. 657 (Delega al Governo per la istituzione e la disciplina dei servizi di riscossione dei tributi) e dallo stesso decreto n. 43 "si applicano anche alla Regione siciliana, che provvede con legge all'istituzione e alla disciplina del servizio di riscossione dei tributi nell'esercizio della competenza legislativa ad essa spettante in materia".

Risulta peraltro evidente che sia la giurisprudenza costituzionale sia il richiamato art. 132 definiscono poteri e limiti spettanti al legislatore regionale siciliano. L'obbligo di conformità delle norme regionali concerne, infatti, non ogni disposizione presente nella legislazione dello Stato, ma soltanto i principi e gli interessi generali che la informano.

La legge di delega del 1986 e il successivo decreto delegato del 1988 hanno predisposto una completa ed aggiornata disciplina del servizio di riscossione dei tributi. Tale servizio, di fondamentale importanza per il puntuale afflusso alle casse pubbliche delle risorse finanziarie e, al tempo stesso, per la natura e l'entità delle attività e degli interessi cui si connette, richiede previsioni atte ad evitare ogni forma di disfunzione e di abuso. Assai opportunamente, quindi, il legislatore nazionale ha emanato una normativa generale, che disciplina l'organizzazione centrale e periferica del servizio di riscossione, definendo al tempo stesso in tutti i suoi aspetti la figura del concessionario, con riguardo, quindi, alle sue caratteristiche soggettive, ai rapporti con l'autorità concedente, allo svolgimento dell'attività e ai rapporti con il personale addetto al servizio.

La natura e le finalità di tale legislazione, diretta, come si è rilevato, ad assicurare il più puntuale e corretto funzionamento di un servizio - che è al tempo stesso essenziale e per molti aspetti assai delicato - sono tali da non precludere che nell'uso della potestà legislativa concorrente si introducano norme ispirate alla considerazione di esigenze di particolare rilievo e limitative rispetto alla legislazione dello Stato.

Queste specificità non possono dirsi in contrasto con l'assetto generale che si è dato al servizio di riscossione e al rapporto di concessione, né possono apparire prive di razionale giustificazione.

La norma impugnata introduce infatti un ulteriore elemento di selezione dei possibili concessionari all'interno di una disciplina già diretta a delimitare tale ambito, facendo particolare riferimento alla composizione della struttura societaria, alla quale continua ad imputarsi la figura della concessione.

Si può dunque affermare che l'esclusione dal novero dei soggetti della concessione stessa delle società per azioni costituite da persone fisiche concreta una previsione differenziata, ma non incoerente, rispetto alla legislazione nazionale nell'ambito del genus societario qualificato, cui si riferisce quella legislazione. Il legislatore regionale siciliano ha introdotto un elemento differenziale sulla base della valutazione di specifiche esigenze locali, apprezzandole autonomamente nel quadro generale e nel rispetto dei limiti segnati al potere normativo concorrente.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo comma, lett. c), della legge regionale siciliana 5 settembre 1990, n. 35 (Istituzione e disciplina del servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate), sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione distaccata di Catania, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 17 del R.D. Lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1991.