Sentenza n.97 del 1987

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SENTENZA N. 97

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

        ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) promossi con ordinanze emesse rispettivamente il 27 giugno 1984 dal Tribunale di Cuneo, il 28 settembre 1984 dal Tribunale di Agrigento, il 27 dicembre 1984, il 24 e 18 gennaio, il 5 marzo, il 26 febbraio, il 2 marzo, il 4 aprile, il 15 marzo e il 6 e 9 maggio 1985, dal giudice istruttore del Tribunale di Agrigento (n. 15 ordd.), iscritte ai nn. 983 e 1296 del registro ordinanze 1984, ai nn. 126, 251, 252, 280, 281, 282, 283, 324, 325, 452, 453, 454, 455, 621 e 622 del registro ordinanze 1985, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19-bis, 107-bis, 161-bis, 202-bis, 208-bis, 220-bis, 214-bis, 244-bis, 285-bis, 297-bis dell'anno 1985;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 24 giugno 1986 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;

Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Con sedici identiche ordinanze, il giudice istruttore ed il Tribunale di Agrigento hanno sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 nella parte in cui dispone, in relazione alle ipotesi di "furto di selvaggina ad opera di cacciatori", l'applicazione della sola sanzione amministrativa se il fatto é commesso con violazione della legge statale 27 dicembre 1977, n. 968 e l'applicazione della sanzione penale per il reato di furto - artt. 624, 625 n. 7, c.p. - se il fatto é commesso con violazione della legge regionale siciliana 30 marzo 1981, n. 37.

Osservano i giudici a quibus che, avendo l'art. 1 della legge n. 968 del 1977 inquadrato la fauna selvatica nel patrimonio indisponibile dello Stato, risponde ormai di furto chi si impossessi di selvaggina. L'art. 8 della stessa legge, poi, considera "esercizio di caccia" non solo "ogni atto diretto all'abbattimento o cattura di selvaggina" ma anche il "vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina o di attesa della medesima per abbatterla o catturarla", e vieta infine "ogni altro modo di abbattimento o di cattura". Questa disposizione, quindi, fornisce i criteri per valutare se ci si trova in presenza di un tentativo illegittimo di caccia, e pertanto di un tentativo di furto, il quale poi trova sanzione nell'art. 31, lett. c) ed e), della legge stessa, che appunto punisce "chi esercita la caccia in periodi non consentiti" e "con mezzi non consentiti...". La legge, invero, punisce sia l'impossessamento illegale della selvaggina e sia il tentativo di caccia illegale, rimanendo indifferente il fatto che l'esercizio illegale della caccia abbia o meno conseguito un risultato utile per il soggetto costituito dall'abbattimento o dalla cattura dell'animale.

Per quanto riguarda però la Sicilia, si applica invece la legge reg. 30 marzo 1981, n. 37, tranne che per le ipotesi da essa non espressamente contemplate, per le quali, giusta il rinvio di cui all'art. 58, si applicano le norme della legge statale n. 968 del 1977 purché non in contrasto con quelle della legge regionale.

Ora, proseguono i giudici a quibus, l'art. 48 della legge regionale punisce esclusivamente l'esercizio illegale della caccia che si sia risolto nella cattura della selvaggina, e cioè i casi di esercizio illegale consumato. Né (tranne l'ipotesi eccezionale di cui all'art. 26 relativa alla caccia con mezzi non consentiti dalla legge statale) esiste altra norma regionale che sanzioni le ipotesi, per così dire, di tentativo, quali l'esercizio illegale della caccia senza cattura o uccisione di selvaggina. Di conseguenza, stante il rinvio ex art. 58 della legge regionale, nell'ipotesi di mero esercizio illegale della caccia senza cattura o uccisione di selvaggina, privo di sanzione amministrativa nell'ambito della legge regionale (come nel caso di chi compia atti diretti all'abbattimento di selvaggina in periodo non consentito), deve applicarsi l'art. 31 della legge statale, che appunto ricomprende invece anche tale fattispecie.

Non v'é dubbio peraltro, proseguono le ordinanze di rimessione, che questo tipo di esercizio della caccia, secondo la definizione datane dall'art. 8 della legge n. 968 del 1977, integra necessariamente, ove avvenga con modalità illegittime, la fattispecie del tentativo di furto aggravato di selvaggina. Deve quindi trovare applicazione l'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il quale stabilisce che "quando uno stesso fatto é punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale", mentre "quando uno stesso fatto é punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale... che prevede una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali". Sennonché l'applicazione di questi criteri all'ipotesi di tentato furto aggravato di selvaggina (ma i rilievi valgono anche per l'ipotesi di furto consumato) produce la conseguenza che, allorché una stessa condotta di caccia, valutabile penalmente sotto la fattispecie degli artt. 56, 624 c.p. e loro coordinati, é sanzionata amministrativamente soltanto dalla legge n. 968 del 1977, che costituisce lex specialis rispetto a quella penale, dovrà applicarsi unicamente la legge n. 968 del 1977, con esclusione delle norme penali, mentre allorché la stessa condotta é sanzionata amministrativamente da una legge regionale, che si sostituisca alla medesima legge statale, quest'ultima resterà inoperante, dovendosi applicare gli artt. 56, 624 c.p. e coordinati.

Nel territorio della regione siciliana, quindi, poiché la legge reg. n. 37 del 1981 punisce soltanto un caso di caccia cui non consegue l'uccisione o la cattura della selvaggina, e precisamente l'esercizio di caccia con mezzi non consentiti, si avrà che nel caso di un cacciatore sorpreso in atteggiamento di caccia con mezzi consentiti, ma al di fuori del periodo stabilito, oppure che cerchi di catturare esemplari appartenenti a specie particolarmente protette, trattandosi di condotta non sanzionata dall'art. 48 della legge regionale, giusta l'art. 58 della legge stessa dovrà applicarsi l'art. 31 della legge statale n. 968 del 1977, il quale, stante il disposto dell'art. 9 della legge 689 del 1981, viene appunto a prevalere sulla norma penale. Per contro, nella stessa regione, nel caso di un cacciatore sorpreso in chiaro atteggiamento di caccia esercitata con mezzi non consentiti, dovranno applicarsi le norme penali di cui agli artt. 56, 624 e 625 n. 7 c.p., e ciò perché tale ipotesi di tentativo é sanzionata amministrativamente dall'art. 26 della legge reg. 37 del 1981, la quale, per il principio di cui al capoverso dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981, deve soccombere di fronte alla norma penale.

Nel caso di specie, concludono i giudici a quibus, gli imputati devono rispondere di tentativo di furto aggravato per aver tentato di impossessarsi di selvaggina in periodo non consentito e con mezzi non autorizzati. Dovrebbero quindi applicarsi contemporaneamente le norme della legge n. 968 del 1977 e quelle della legge penale, con irrogazione della sanzione amministrativa per la prima modalità e di quella penale per la seconda. E ciò per fattispecie sostanzialmente uguali che, se pure sono suscettibili di diverso apprezzamento sul piano della sanzione amministrativa, non possono tollerare un trattamento profondamente diverso quale quello che deriverebbe dall'applicabilità o meno della norma penale. Sorge pertanto il dubbio di un contrasto dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 col principio di eguaglianza.

2. - É intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale, preliminarmente, eccepisce l'inammissibilità delle questioni perché l'interpretazione dell'impugnato art. 9 legge n. 689 del 1981 adottata dai giudici a quibus é priva di adeguata e corretta dimostrazione e perché manca ogni valutazione sulla configurabilità del ritenuto rapporto di specialità e sull'applicabilità del detto art. 9.

Nel merito l'Avvocatura osserva che é erronea la tesi dei giudici a quibus circa la prevalenza, in caso di furto venatorio, dell'art. 9 legge n. 689 del 1981 sulla norma penale e di questa su quella regionale. Infatti, se pure l'apprensione di selvaggina cacciata sine titulo o comunque irregolarmente integra gli estremi del furto venatorio, o del suo tentativo, essa tuttavia non pone in essere un rapporto di specialità con le ipotesi sanzionatorie di cui alla legge sulla caccia. Queste ultime, infatti, tutelano un diverso oggetto giuridico, in quanto, mentre il furto protegge la proprietà dello Stato, esse proteggono il corretto esercizio della caccia. Non si tratta, pertanto, di uno stesso illecito con due diversi tipi di sanzioni, bensì di due autonome ipotesi delittuose con relative sanzioni, che non interferiscono col richiamato art. 9.

Diversa é poi l'ipotesi di cui al secondo comma del detto art. 9, che si verifica quando uno stesso fatto sia sanzionato amministrativamente da una legge regionale e sia altresì punito da una disposizione penale. La prevalenza data alla disposizione statale rispetto a quella regionale si spiega qui col fatto che la legge ha inteso precludere al legislatore regionale, privo di poteri in materia penale, di incidere sulla legislazione penale, ponendo in essere nell'ambito regionale un sistema di depenalizzazione basato sulla previsione di illeciti amministrativi, costruiti con elementi specializzanti rispetto alle varie fattispecie penali.

Ora, conclude l'Avvocatura, l'interpretazione più corretta del secondo comma dell'art. 9 legge n. 689 del 1981 si sostanzia nel ritenere che vada attribuita la prevalenza alla disposizione penale speciale che é la sola da applicarsi anche se sussista una disposizione speciale regionale.

3. - Altra questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art.9, comma primo, della legge 24 novembre 1981, n. 689, é stata sollevata dal Tribunale di Cuneo con ordinanza del 27 giugno 1984.

Osserva il Tribunale che, nella specie, il fatto addebitato all'imputato non può essere inquadrato nell'art. 8 legge n. 968 del 1977, in quanto l'azione non é riconducibile al concetto di esercizio della caccia, sia pure nella più lata accezione, perché non diretta all'abbattimento o alla cattura dell'animale e perché manca del tutto l'impiego di mezzi atti a realizzare in modo idoneo tale abbattimento o cattura. Correttamente, quindi, all'imputato é stato ascritto il reato di furto, ed allo stesso non sarebbe in ogni caso applicabile il principio di specialità di cui all'art. 9, primo comma, legge n. 689 del 1981.

Di conseguenza - continua il giudice a quo - la situazione dell'imputato si presenta diversa e deteriore rispetto a quella di chi ha esercitato illegittimamente la caccia. E non v'é alcuna giustificazione di tale diversità, in quanto in ambedue i casi si verifica l'apprensione o l'abbattimento della selvaggina con dolo specifico. Si determina pertanto, in violazione dell'art. 3 Cost., una ingiustificata discriminazione di due situazioni identiche sul piano della rilevanza giuridico-penale.

4. - É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile, e in via subordinata infondata.

Osserva invero l'Avvocatura dello Stato, che non v'é relazione o rapporto tra l'impugnato art. 9 legge n. 689 del 1981 e gli artt. 624 e 625 c.p., la cui violazione é stata contestata all'imputato. Pertanto, l'inapplicabilità alla specie del detto art. 9 dipende non già da questa norma, ma piuttosto dall'inesistenza di una norma speciale che, analogamente a quanto viene disposto in materia di caccia (art. 8 legge n. 968 del 1977), preveda l'applicazione della sanzione amministrativa anche per il tipo di contestazione ricorrente nella specie. Mancano peraltro le condizioni perché si renda applicabile il principio di specialità postulato dalla norma impugnata, cosicché in nessun modo é possibile colmare tale lacuna normativa mediante una pronunzia della Corte riguardante esclusivamente l'art. 9 citato. Da ciò deriva l'inammissibilità della questione non suscettibile di avere alcun rilievo per la decisione dell'imputazione.

Peraltro - continua l'Avvocatura - la questione é anche infondata nel merito in quanto, secondo la giurisprudenza della Cassazione, nella specie vi é concorso formale del reato di furto e di esercizio illegittimo della caccia, quest'ultimo integrante gli estremi di una violazione amministrativa e non anche l'esclusione del reato di furto per specialità dell'illecito amministrativo. Invero, costituendo gli animali oggetto della caccia patrimonio indisponibile dello Stato ai sensi della legge n. 968 del 1977, il loro impossessamento a seguito di attività esercitata in violazione delle norme sulla caccia costituisce reato contro il patrimonio, e segnatamente l'ipotesi di furto. Ad ogni modo, la differenza della disciplina sanzionatoria rientra notoriamente nell'ambito della discrezionalità legislativa.

Considerato in diritto

1. - Tutte le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe trattano questioni identiche od analoghe e possono, pertanto, esser decise con unica sentenza.

L'ordinanza di rimessione n. 1296/84 emessa dal Tribunale di Agrigento il 28 settembre 1984 e tutte le ordinanze del giudice istruttore presso lo stesso Tribunale n. 126/85 del 27 dicembre 1984; nn. 251/85 e 252/85 del 24 gennaio 1985; n. 280/85 del 18 gennaio 1985; nn. 282/85, 283/85 e 453/85 del 26 febbraio 1985; n. 452/85 del 2 marzo 1985; nn. 281/85, 324/85 e 325/85 del 5 marzo 1985; n. 455/85 del 15 marzo 1985; n. 454/85 del 4 aprile 1985; n. 621/85 del 6 maggio 1985; e n. 622/85 del 9 maggio 1985; trattano un'unica questione; mentre la questione sollevata con ordinanza n. 983/84 del Tribunale di Cuneo é, sebbene analoga, diversa.

2. - Le ordinanze del Tribunale e del giudice istruttore di Agrigento, come precisato in narrativa, sollevano questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui dispone, in relazione alle ipotesi di "furto di selvaggina ad opera di cacciatori", l'applicazione della sola sanzione amministrativa se il fatto é commesso in violazione della legge statale 27 dicembre 1977, n. 968, e l'applicazione della sanzione penale (artt. 624, 625, n. 7, C.P.) se il fatto é commesso in violazione della legge regionale siciliana 30 marzo 1981, n. 37.

Va anzitutto respinta l'eccezione d'inammissibilità della questione ora precisata, eccezione sollevata dall'Avvocatura Generale dello Stato per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Va notato che dalle ordinanze in esame risultano ben chiariti gli elementi di fatto dai quali le ordinanze stesse sono state determinate, le norme giuridiche che, secondo i giudici a quibus, si applicherebbero alla specie sottoposta al loro esame (artt. 31 della legge statale n. 968 del 1977 e 624 C.P.) nonché il parametro di riferimento (art. 3 Cost.) in base al quale é stata chiesta la dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Certo, nelle ordinanze di rimessione, manca la dimostrazione del rapporto di specialità che, secondo le stesse ordinanze, intercorrerebbe tra la fattispecie tipica di cui all'art. 624 C.P. ed alcune delle ipotesi previste e sanzionate dall'art. 31 della legge n. 968 del 1977 e che renderebbe applicabile, nella specie, l'impugnato art. 9 della legge n. 689 del 1981.

Sennonché, sarà appunto l'indagine di merito che, dapprima dimostrando che, anche quando si ritenesse applicabile, al caso in esame, il primo comma dell'art. 9 ora citato, certamente non si potrebbe ritenere applicabile il secondo comma dello stesso articolo e che, di poi, svelando la relazione d'"interferenza" (e non di "specialità") che intercorre tra le norme di cui agli artt. 624 C.P. e 31 della legge n. 968 del 1977, escluderà che sia invocabile, nel procedimento a quo, il primo comma dell'impugnato articolo: non é metodo logicamente condividibile, tuttavia, anticipare i risultati dell'indagine di merito e, sulla base dei medesimi, dichiarare inammissibile la proposta questione di legittimità costituzionale.

3. - La richiesta dichiarazione d'illegittimità costituzionale di cui alle indicate ordinanze del Tribunale e del Giudice istruttore di Agrigento non può, nel merito, essere accolta. Non é, invero, condividibile né l'interpretazione che della correlazione tra i primi due commi dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 danno i giudici a quibus né il "rapporto" di specialità che gli stessi giudici ravvisano tra la fattispecie tipica di cui all'art. 624 C.P. ed alcune delle ipotesi previste dall'art. 31 della legge n. 968 del 1977.

Le ordinanze in esame non sottopongono ad analisi i primi due commi dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e ritengono che, anche quando la disposizione penale generale sia stata, in relazione ad un determinato fatto, posta "fuori gioco", in virtù della prevalenza, per "specialità", d'una disposizione (statale) prevedente sanzioni amministrative, ugualmente detta disposizione penale debba prevalere, ai sensi del secondo comma dell'articolo in esame, sulla disposizione regionale relativa allo stesso fatto. Le ordinanze, invero, come s'é già notato, parlano d'un unico fatto che, se commesso in violazione della legge statale, comporterebbe la sanzione amministrativa mentre, se commesso in violazione della legge regionale sostitutiva di quella statale, comporterebbe la sanzione penale.

Anche dando un attimo per ammesso che, come ritenuto dai giudici a quibus, la legge statale n. 968 del 1977 costituisca, almeno per alcune fattispecie ivi amministrativamente sanzionate, lex specialis rispetto alla fattispecie tipica di furto ex art. 624 C.P. dall'art. 9 della legge n. 689 del 1981 comunque non deriverebbero gli effetti paventati dagli stessi giudici: e, cioè, l'applicabilità della sola sanzione amministrativa ad una condotta di caccia prevista e sanzionata dalla preindicata legge statale del 1977 (che prevarrebbe, per "specialità", sull'art. 624 C.P.) e l'applicazione della sanzione penale, in virtù del secondo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981, ad una stessa condotta sanzionata amministrativamente da una legge regionale "che venga a sostituirsi alla legge statale n. 968 del 1977".

A parte i rapporti, ai quali s'accennerà tra breve, tra la legge statale ora citata e la legge regionale siciliana 30 marzo 1981 n. 37, vero é che il primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981, nel sancire l'applicabilità della disposizione speciale "quando uno stesso fatto é punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa", si rifà ai ben noti principi che disciplinano la risoluzione del concorso apparente di norme. Quel che di particolare il predetto comma inserisce nel sistema é l'estensione dei sopraindicati principi (che, almeno di regola, erano riferiti al solo concorso apparente di norme e di leggi penali) anche al concorso apparente tra disposizioni penali e disposizioni prevedenti sanzioni amministrative o tra disposizioni amministrative. Si ritenga, pertanto, il concorso apparente di norme appartenere alla teoria dell'interpretazione o dell'applicazione delle norme, certo é che, una volta constatata la convergenza su di uno stesso fatto di più disposizioni, delle quali una sola é "effettivamente" applicabile, a causa delle relazioni intercorrenti tra le disposizioni stesse (ad es. rapporto di "specialità" ex art. 15 C.P.) ed una volta risolto il conflitto con la "scelta" d'una sola delle disposizioni confliggenti, la disposizione o le disposizioni "escluse" dalla prevalenza della legge effettivamente applicabile non sono più "valide", per la disciplina del fatto concreto; sono "definitivamente" messe "fuori gioco", in relazione a quest'ultimo, appunto dalla legge effettivamente "valida" nella specie.

Discende che, ove si fosse dell'avviso, come lo sono i giudici a quibus, che il fatto contestato agli imputati nei procedimenti nei quali sono state emesse le ordinanze di rimessione, sia previsto dall'art. 624 C.P. (o dagli artt. 56 e 624 C.P.) ed insieme dall'art. 31 della legge n. 968 del 1977; ed ove si concludesse, ritenendo quest'ultima disposizione, nelle ipotesi di esercizio di caccia con mezzi non consentiti od in tempi non consentiti, "speciale" nei confronti della fattispecie tipica di furto ex 624 C.P., per l'effettiva applicabilità al fatto contestato del solo art. 31 della legge n. 968 del 1977, ai sensi del primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981; la disposizione "esclusa", e cioé l'art. 624 C.P. (o gli articoli 56 e 624 C.P.) non essendo più "valida" in relazione al caso in esame, appunto per la prevalenza della disposizione amministrativa "speciale" effettivamente applicabile, non potrebbe esser "invocata", ai fini previsti dal secondo comma dell'art. 9 della più volte citata legge del 1981, in relazione allo stesso fatto per il quale, ai sensi del primo comma, se ne fosse decisa l'esclusione.

L'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 (uno stesso fatto punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale prevedente sanzioni amministrative) potrebbe verificarsi soltanto quando, per lo stesso fatto, ai sensi del primo comma dell'art. 9, si fosse decisa, in base al principio di "specialità", l'effettiva applicabilità della legge penale; non quando questa legge sia stata esclusa da una disposizione statale "speciale" prevedente sanzioni amministrative. In quest'ultima situazione resterebbero, se mai, "valide", per lo stesso fatto, disposizioni amministrative statali e disposizioni amministrative regionali, per la risoluzione del concorso fra le quali non sarebbe più applicabile il secondo comma dell'articolo in discussione.

É, pertanto, malamente invocato, dalle ordinanze di rimessione, il secondo comma dell'articolo 9 della legge n. 689 del 1981: anche se s'applicasse il primo comma, il secondo comma di quest'ultimo articolo certamente non s'applicherebbe al caso in esame, appunto perché dalle stesse ordinanze si assume che il concorso apparente tra alcune disposizioni ex art. 31 della legge n. 968 del 1977 e la disposizione ex art. 624 C.P. si sia risolto, ai sensi del primo comma del citato art. 9, a favore dell'art. 31 della legge n. 968 del 1977.

I commi primo e secondo dell'art. 9 qui in esame sono certamente autonomi e possono essere indubbiamente applicati, il primo comma ad un determinato fatto (con la prevalenza della disposizione "speciale", penale od amministrativa) ed il secondo comma ad altro, diverso fatto (con la prevalenza, in ogni caso, della disposizione penale). Ma, allorché si afferma che la legge regionale siciliana n. 37 del 1981, prevedente sanzioni amministrative, si sia "sostituita alla legge statale n. 968 del 1977" (e non può esser dubbio che la "sostituzione" si riferisca allo stesso fatto, previsto dalle due leggi; diversamente non s'intenderebbe il riferimento all'art. 3 Cost.) non si può invocare il primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 (dichiarando la prevalenza della legge statale amministrativa "speciale" sulla legge penale) e contemporaneamente invocare il secondo comma dell'art. 9, al fine di sancire la prevalenza della legge penale, ormai non più valida per il fatto in esame.

Insomma: o i fatti previsti dalle due leggi, statale e regionale, irroganti sanzioni amministrative, sono diversi e non ci si può meravigliare se per uno si applichi, per il principio di specialità, la legge amministrativa statale, ai sensi del primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981, e per il secondo la legge penale, ai sensi del primo capoverso dello stesso art. 9; ma, in tale ipotesi, data la diversità dei fatti, non é invocabile l'art. 3 Cost.; oppure il fatto é lo stesso, come si assume dai giudici a quibus allorché sostengono che il "furto di selvaggina ad opera di cacciatori" sarebbe sanzionato amministrativamente se commesso in violazione della legge statale n. 968 del 1977 e con la pena se commesso in violazione della legge regionale siciliana n. 37 del 1981; ma, in quest'ultimo caso, ove si sottolineasse l'applicazione, in ogni altra parte d'Italia, in base al primo comma dell'art. 9 della legge in esame, della legge amministrativa statale n. 968 del 1977, dovrebbe concludersi che, non potendo la legge penale esser "invocata" ai fini del capoverso dello stesso art. 9, e dovendosi applicare, nel territorio della Regione siciliana, la legge amministrativa siciliana n. 37 del 1981, non sarebbe più violato l'art. 3 Cost.: una sanzione amministrativa sarebbe, infatti, prevista per il "furto di selvaggina ad opera di cacciatori" ovunque il fatto si verificasse; anche se, nel territorio della Regione siciliana, la sanzione amministrativa si facesse discendere da una legge regionale e non da una legge statale.

La verità é che, ove si ritenga esclusa la legge penale, a seguito della prevalenza della legge "speciale" amministrativa statale del 1977, prevalenza determinata, secondo i giudici rimettenti, ai sensi del primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981, tenuto conto della potestà legislativa "esclusiva" della Regione Sicilia in materia di caccia, sulla quale si tornerà fra breve (cfr. art. 14 dello Statuto speciale della stessa Regione), nell'ambito del territorio siciliano sarebbe effettivamente applicabile la sola legge regionale n. 37 del 1981. E sarebbe soltanto in virtù del "rinvio recettizio", di cui all'art. 58 della stessa legge regionale, che potrebbero, nel predetto territorio, anche applicarsi alcune delle norme della legge amministrativa statale n. 968 del 1977.

In conclusione su questo aspetto della questione: anche se talune ipotesi previste dall'art. 31 della legge da ultimo citata fossero davvero "speciali", in relazione all'art. 624 C.P. (od agli artt. 56 e 624 C.P.) l'esatta interpretazione dei primi due commi dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 condurrebbe ad escludere che dall'applicazione, alla specie in esame, dello stesso articolo discenda la violazione dell'art. 3 Cost.

4. - Ma le ipotesi di cui alle ordinanze di rimessione, previste e sanzionate amministrativamente dall'art. 31 della legge n. 968 del 1977, non sono "speciali" nei confronti della fattispecie tipica ex art. 624 C.P.: e pertanto non é invocabile, nel caso in esame, neppure il primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981.

Va, anzitutto, chiarito che l'esercizio dell'attività venatoria deve, perché possa porsi un rapporto problematico con la norma sul furto, almeno oltrepassare la fase degli atti meramente preparatori del delitto ora indicato: deve, cioè, tale attività almeno integrare gli estremi del tentativo (ex art. 56, primo e secondo comma, C.P.) di furto. E non sembra, ad es., che l'ipotesi di cui al terzo comma dello stesso art. 8 della legge n. 968 del 1977 ("É considerato, altresì, esercizio di caccia il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della selvaggina o di attesa della medesima per abbatterla o catturarla") costituisca, per sé, già tentativo di furto.

Quest'ultima questione, non attiene ai casi concreti di cui alle ordinanze in discussione: va, comunque, sottolineato che, al fine di stabilire se il soggetto che esercita la caccia in violazione delle regole sanzionate amministrativamente dalla legge n. 968 del 1977 debba essere anche punito ai sensi dell'art. 624 C.P. (o degli artt. 56 e 624 ed assimilati C.P.) vanno confrontate le astratte, tipiche fattispecie che, almeno a prima vista, sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente unico. Ed il confronto, nel caso in discussione, va operato tra l'ipotesi tipica d'esercizio di caccia (s'intende, illecito, amministrativamente sanzionato, dall'art. 31 della legge quadro sulla caccia del 1977) delineata dal secondo comma dell'art. 8 della stessa legge ("Costituisce esercizio di caccia ogni atto diretto all'abbattimento o cattura di selvaggina mediante l'impiego dei mezzi...") e la fattispecie tipica di cui all'art. 624 C.P. Le predette fattispecie, confrontate a vicenda, mostrano, oltre ad un nucleo comune attinente alla condotta, elementi particolari, speciali appunto, a ciascuna: mentre alla struttura della fattispecie di furto é del tutto estraneo l'elemento della violazione delle regole sulla caccia (stabilite dalla legge quadro in esame) presente invece nella fattispecie di esercizio abusivo della caccia, alla struttura di quest'ultima fattispecie é estraneo l'impossessamento (secondo la Corte di Cassazione) od il "fine di lucro" (secondo autorevole dottrina): in ogni caso, costituisca elemento estraneo all'ipotesi d'esercizio di caccia, sanzionato amministrativamente, l'impossessamento oppure il fine di lucro, certo é che dalla struttura della fattispecie tipica d'esercizio di caccia é estraneo un elemento che é invece presente nella fattispecie di furto. Le stesse ipotesi hanno, cioè, nucleo (comportamentale) fondamentalmente comune ma l'una contiene anche un elemento strutturale che manca all'altra e viceversa: la relazione che corre tra le medesime é, pertanto, di "specialità bilaterale".

Va sottolineato ancora che l'elemento "violazione delle regole sulla caccia", che manca allo schema tipico del furto non "specifica" alcun elemento "generico" di quest'ultimo: é, dunque, elemento che lo schema dell'esercizio abusivo della caccia "aggiunge" agli elementi tipici del furto; così come l'impossessamento (od il dolo specifico), che manca allo schema tipico (atto diretto all'abbattimento o cattura della selvaggina...) dell'esercizio abusivo della caccia, non "specifica" alcun elemento "generico" di quest'ultimo schema: é, pertanto, elemento strutturale che lo schema del furto "aggiunge", a sua volta, agli elementi costitutivi dell'esercizio abusivo della caccia. Quest'ultima norma é, dunque, "speciale" "per aggiunta" (e non "per specificazione") nei confronti del furto; e quest'ultimo, a sua volta, é "speciale" "per aggiunta" (e non "per specificazione") rispetto all'esercizio abusivo della caccia. La specialità bilaterale, bilateralmente "per aggiunta", é il classico, scolastico modello dell'"interferenza", e cioè del concorso effettivo di reati, che esclude l'assorbimento ex art. 15 C.P. Quale delle due norme dovrebbe, pertanto, prevalere sull'altra? Non quella del furto, giacché é estranea alla sanzione comminata dell'art. 624 C.P. l'elemento della violazione delle norme sulla caccia (ove prevalesse la norma sul furto, non verrebbero tutelati gli interessi, garantiti attraverso le limitazioni poste all'esercizio della caccia dalla legge n. 968 del 1977: questa mira, appunto, ad impedire che si turbi un determinato equilibrio ambientale ecc.); né potrebbe prevalere la norma che incrimina l'esercizio abusivo della caccia giacché, nella previsione delle sanzioni amministrative comminate dall'art. 31 della legge da ultimo citata, non si tiene conto dell'interesse garantito attraverso l'incriminazione del furto: questo tende, appunto, ad impedire il conseguimento d'un indebito vantaggio patrimoniale attraverso la sottrazione della cosa altrui. L'esclusione di ogni assorbimento, con la conseguente, effettiva, applicazione di entrambe le norme (e delle relative sanzioni, penale ed amministrativa, stabilite rispettivamente dall'art. 624 C.P. ed assimilati e dall'art. 31 della legge n. 968 del 1977) é la conclusione certa che discende dalle precedenti precisazioni.

Il primo comma dell'art. 9 della legge impugnata, che prevede l'applicabilità di un'unica norma "soltanto" nell'ipotesi di "specialità" tra le disposizioni ivi indicate, non può, in conseguenza, essere invocato nella specie in esame. D'altra parte, il precitato primo comma dell'art. 9, appunto nel sancire l'assorbimento soltanto nel caso di "specialità" d'una delle norme rispetto ad altre, impone d'adottare la soluzione opposta, e cioè la contemporanea applicazione di entrambe le norme sopra analiticamente confrontate.

5. - Da quanto innanzi precisato discende che é l'errore interpretativo dei giudici a quibus, in ordine alle relazioni correnti tra le ipotesi d'esercizio abusivo della caccia e di furto (si sottolinea ancora una volta che gli stessi giudici partono dal presupposto che la prima ipotesi sia "speciale" nei confronti del furto mentre si é chiarito che si tratta d'"interferenza", e, precisamente, di "specialità bilaterale, bilateralmente per aggiunta" e che questa relazione dà ingresso al concorso effettivo, formale, di illeciti) ad inesattamente richiamare il primo comma dell'art. 9 della legge 689 del 1981: corretto il primo errore interpretativo, risulta del tutto esclusa, nella specie, l'applicabilità del predetto primo comma. In ogni caso, dunque (sempre che, s'intende, si realizzino in concreto almeno gli estremi del tentativo di furto) al "furto di selvaggina ad opera di cacciatori" (così s'esprimono i giudici a quibus) si applica la legge penale statale, sia che tale furto sia commesso in territori diversi da quello della Regione Sicilia sia che venga realizzato nel territorio della stessa Regione.

In conseguenza, non esistendo, nella specie, i presupposti per l'applicabilità del secondo comma dell'art. 9 della legge impugnata (non v'é, infatti, da risolvere alcun conflitto tra legge penale e legge regionale siciliana, applicandosi la prima, sempre che se ne realizzino in fatto i presupposti, e la seconda, come sarà precisato tra breve, nel territorio della Regione Sicilia, in aggiunta alla prima) non risulta neppure applicabile, al caso prospettato dalle ordinanze di rimessione, il predetto secondo comma. D'altra parte, come si é innanzi chiarito, se anche si ritenesse d'applicare il primo comma dell'art. 9 della legge impugnata (nel senso di ritenere prevalente, in quanto "speciale", la legge statale che sanziona amministrativamente l'esercizio abusivo della caccia, come arbitrariamente assunto dai giudici a quibus) rimarrebbe ugualmente esclusa l'applicabilità del precitato secondo comma.

Poiché l'articolo 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, non é in nessun caso applicabile alla specie in esame (e non é, dunque, lo stesso articolo che produce le disparità di trattamento, ex art. 3 Cost., indicate dalle ordinanze agrigentine di rimessione) non può qui dichiararsi l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo.

6. - Va ancora osservato che non é questa la sede per dibattere sull'interpretazione dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1977 n. 968: a giudizio di questa Corte, l'articolo ora citato, ponendo fine al regime di res nullius della fauna selvatica e dichiarando quest'ultima "patrimonio indisponibile dello Stato" consente, appunto, di ritenere applicabili all'esercizio abusivo della caccia non soltanto le sanzioni amministrative di cui all'art. 31 della stessa legge ma anche, verificandosene in fatto i presupposti, la sanzione penale di cui all'art. 624 C.P. ed assimilati. Questa Corte non ignora che vi sono ancora resistenze, soprattutto in dottrina (in sede d'interpretazione del predetto art. 1) sulla configurabilità del furto nel fatto d'esercizio abusivo della caccia: le opinioni contrarie ad intravvedere in quest'ultimo anche la realizzazione dell'ipotesi di furto sono state, tuttavia, decisamente contrastate dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione le cui conclusioni vanno ormai imponendosi anche in dottrina.

7. - Va sottolineato che dalle conclusioni innanzi raggiunte non possono derivare altre, diverse disparità di trattamento ex art. 3 Cost. Poiché l'art. 31 della legge quadro statale sulla caccia commina diverse sanzioni amministrative per le differenti ipotesi di esercizio abusivo della caccia (esercizio della caccia senza licenza, senza polizza d'assicurazione, in periodi non consentiti od in zone in cui sussiste il divieto di caccia, con mezzi non consentiti ecc.) si potrebbe obiettare che far rispondere di furto tante volte quante sono le corrispondenti ipotesi di esercizio abusivo della caccia sarebbe iniquo; e, in ogni caso, grave disparità di trattamento si verificherebbe tra chi realizzi una sola delle ipotesi predette (e che risponderebbe di un solo furto) e chi invece ne realizzi diverse (che risponderebbe di tanti furti quanti sono gli illeciti amministrativi realizzati).

Sennonché, in proposito, va fugato ogni dubbio. É ben vero che la legge n. 968 del 1977 é una "legge mista cumulativa" e che, pertanto, si risponde con tante sanzioni amministrative quante sono le ipotesi, previste dall'art. 31 della predetta legge, realizzate in concreto; ma é anche vero che la fattispecie di furto é "a forma libera", e cioè la condotta può esser realizzata nei modi più diversi. Comunque si concreti l'impossessamento (con la relativa sottrazione della cosa altrui si risponderà d'un solo furto, a meno che, s'intende, non si superi quel limite di contenuto che, secondo la teoria del concorso di reati, conduce a "moltiplicare" i reati stessi. Si risponderà, pertanto, d'un solo furto anche se, per la violazione di più d'una delle ipotesi di cui all'art. 31 della legge n. 968 del 1977, si risponde anche con diverse sanzioni amministrative.

Un'ultima precisazione. Nelle ordinanze di rimessione si sostiene che la legge regionale siciliana del 30 marzo 1981, n. 37, si sarebbe sostituita alla legge statale n. 968 del 1977 soltanto in alcune delle ipotesi d'illecito amministrativo ivi previste; ed é da ciò che si desume l'assunta disparità di trattamento tra chi, violando, con un determinato fatto d'esercizio abusivo della caccia, una delle ipotesi previste dalla legge statale del 1977, subirebbe la sanzione amministrativa ivi prevista, mentre (per quelle ipotesi per le quali alla legge statale si é sostituita la legge regionale siciliana) chi, con lo stesso fatto, violasse la legge regionale siciliana subirebbe la sanzione penale (data l'assunta prevalenza della legge penale su quella regionale, ex art. 9, secondo comma, della legge n. 689 del 1981).

In questo caso, i giudici a quibus errano nello stabilire le relazioni tra la legge quadro statale sulla caccia del 1977 e la legge regionale siciliana 30 marzo 1981, n. 37. In base all'art. 14 dello Statuto speciale della Regione Sicilia, la stessa Regione ha potestà legislativa "esclusiva" in materia di caccia. Esercitata tale potestà attraverso la citata legge regionale del 30 marzo 1981 n. 37, quest'ultima sostituisce in toto (e non soltanto per alcune ipotesi d'illecito) la legge statale n. 968 del 1977. Ed infatti, con l'art. 58 della precitata legge regionale, viene operato un "rinvio recettizio" alla legge statale sulla caccia del 1977, per le ipotesi non espressamente regolate dalla legge regionale; le disposizioni della legge statale (peraltro non contrastanti con la predetta legge regionale) vengono, pertanto, e per effetto del richiamo recettizio di quest'ultima (e non per "virtù propria") ad integrare le norme regionali, costituendo, insieme a queste, un unico corpo legislativo.

Precisata con esattezza la relazione tra la legge statale n. 968 del 1977 e la legge regionale siciliana 30 marzo 1981, n. 37, non é dato intravvedere disparità di trattamento, ex art. 3 Cost., tra le violazioni amministrative, in materia di caccia, commesse nel territorio della Regione Sicilia e quelle commesse fuori dello stesso territorio. Premesso che, nel caso di esercizio abusivo della caccia, verificandosene, in fatto, i presupposti, si risponde sempre, in quel territorio come in ogni parte d'Italia, anche di furto (o di tentativo di furto) per le violazioni amministrative derivanti dal fatto d'abusivo esercizio della caccia, nel territorio siciliano si risponderà per le ipotesi e con le sanzioni previste dalla citata legge regionale (anche se il "rinvio recettizio", ex art. 58 della stessa delibera, conducesse, di fatto, ad applicare alcune delle norme della legge amministrativa statale) mentre, in ogni altra parte d'Italia, si risponderà ai sensi della legge statale n. 968 del 1977, sempre con sanzioni di natura amministrativa.

8. - L'ordinanza emessa il 27 giugno 1984 n. 983 dal Tribunale di Cuneo propone una questione diversa, benché analoga, da quella prospettata con le ordinanze del Tribunale di Agrigento e del giudice istruttore presso lo stesso Tribunale. Partendo da un'imputazione di furto, ai danni dello Stato, d'un aquilotto reale esposto, per necessità, alla pubblica fede; dopo aver notato che non poteva essere addebitato all'imputato, nel procedimento a quo, l'esercizio abusivo della caccia, non essendo la condotta dello stesso imputato diretta all'abbattimento o cattura dell'animale selvatico e mancando, in essa, ogni impiego di mezzi atti a realizzare in modo adeguato l'abbattimento o la cattura, e dopo aver aggiunto che, pertanto, non poteva, in ogni caso, esser applicato il principio di specialità ex primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981; il giudice a quo rileva che la situazione in cui si trovava il predetto imputato era ingiustificatamente diversa e deteriore rispetto a quella di colui al quale fosse stato addebitato l'esercizio abusivo della caccia, pur essendo le due situazioni, sul piano materiale e psicologico, sostanzialmente identiche. Anche il Tribunale di Cuneo assume la violazione dell'art. 3 Cost. e conclude per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

9. - Va anzitutto respinta l'eccezione di inammissibilità della proposta questione. L'Avvocatura Generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, sostiene che la norma sospettata d'incostituzionalità non ha alcun rilievo per la decisione sull'imputazione che costituisce oggetto del processo pendente innanzi al Tribunale di Cuneo, mancando i presupposti perché si renda applicabile, nella specie, il principio di specialità ex art. 9, primo comma, della legge n. 689 del 1981.

La verità é che il Tribunale di Cuneo cade nello stesso errore, di merito, nel quale, come si é innanzi sottolineato, sono caduti i giudici di Agrigento: e cioè quello di ritenere che, nell'ipotesi in cui sia contestato l'esercizio abusivo della caccia, ex artt. 8 e 31 della legge n. 968 del 1977, sarebbe applicabile la sola sanzione amministrativa, ai sensi e per effetto del primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981, data la prevalenza, per "specialità", di alcune delle norme di cui all'art. 31 della legge n. 968 del 1977 sulla norma di cui all'art. 624 C.P. Si tratta, tuttavia, di errore attinente al merito della proposta questione: data una determinata interpretazione della relazione intercorrente tra il fatto tipico di furto (che si assume come "generale" ed il fatto tipico di abusivo esercizio della caccia (che si assume come "speciale", e quindi assorbente, rispetto al primo) viene invocato il primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 e se ne chiede la dichiarazione d'illegittimità; a parere del giudice a quo, sarebbe, infatti, tale norma a produrre, dando essa rilevanza al principio di specialità anche nei rapporti tra illecito penale ed illecito amministrativo, la denunciata disparità di trattamento tra colui al quale venga addebitato, per un determinato fatto concreto, il solo illecito penale (e che risponderebbe, pertanto, con la sanzione penale) e colui al quale, venendo addebitati sia l'illecito penale sia l'illecito amministrativo, per un fatto sostanzialmente e formalmente simile al primo risponderebbe, per l'applicazione del principio di specialità, con la sola sanzione amministrativa. Il ragionamento é, senz'altro, erroneo, come si é innanzi dimostrato nell'esame del merito della questione proposta dai giudici di Agrigento, giacché il fatto tipico d'esercizio abusivo della caccia non é "speciale", ex art. 15 C.P., rispetto al fatto tipico di furto: tale errore interpretativo non può, comunque, essere assunto a motivo determinante l'inammissibilità della proposta questione. Si rinvia qui a quanto innanzi precisato in sede d'ammissibilità delle ordinanze dei giudici agrigentini: e soprattutto al rilievo che non é dato far valere i risultati dell'indagine di merito quale motivo determinante l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale.

10. - Nel merito, non v'é molto da aggiungere a quanto s'é notato innanzi: va qui ancora una volta ribadito che la relazione tra il fatto tipico di furto e quello, ugualmente tipico, d'abusivo esercizio della caccia é di specialità bilaterale, bilateralmente per aggiunta; é, cioè, relazione d'interferenza, escludente l'assorbimento ex art. 15 C.P., e comportante il concorso formale, effettivo di illeciti. Si é già notato che la giurisprudenza della Corte di Cassazione é, ormai, totalmente nel senso del concorso effettivo della pena, ove, s'intende, ne ricorrano i presupposti di fatto, ex art. 624 C.P. e delle sanzioni amministrative ex art. 31 della legge n. 968 del 1977.

Gli effetti "perversi" paventati dal giudice a quo, almeno nella specie, non possono prodursi. L'imputato, al quale, nel procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Cuneo, sarebbe stato correttamente (così si afferma nell'ordinanza di rimessione) addebitato il delitto di furto, una volta dichiarato colpevole, risponderebbe con la sola pena del furto; così come l'imputato, al quale correttamente venissero addebitati la violazione dell'art. 624 C.P. ed insieme alcuna delle violazioni di cui all'art. 31 della legge n. 968 del 1977, una volta dichiarato colpevole, risponderebbe con la pena ex art. 624 C.P. ed insieme con la sanzione amministrativa ex art. 31 della citata legge 968 del 1977.

Né si può ritenere che, così concludendo, ingiustificatamente deteriore, rispetto all'imputato del procedimento di Cuneo, sarebbe la posizione di colui al quale venisse addebitata anche la violazione della legge sulla caccia. É razionale, invero, che l'imputato di Cuneo, una volta condannato per il delitto di furto, non avendo leso i beni tutelati con la legge n. 968 del 1977 (equilibrio ambientale ecc.) non subisca alcuna sanzione amministrativa; mentre é del pari razionale che chi abbia leso i beni tutelati dalla predetta legge ed abbia insieme realizzato o tentato di realizzare un ingiustificato arricchimento mediante l'impossessamento e sottrazione (tentativo d'impossessamento e sottrazione della cosa altrui) subisca sia la sanzione amministrativa sia la sanzione penale.

D'altra parte, quand'anche venisse dichiarata l'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981 (e cioè si negasse l'assorbimento, nel rapporto tra disposizioni penali ed amministrative, della norma generale nella "speciale") mentre si dovrebbe condannare un soggetto per un fatto illecito naturalisticamente unico, sul quale convergano norme generali e speciali, con tutte le sanzioni previste da queste ultime, nessun vantaggio ne ricaverebbe l'imputato nel procedimento di cui all'ordinanza del Tribunale di Cuneo. Lo stesso imputato, legittima od illegittima che sia la norma di cui al primo comma dell'art. 9 della legge quadro sulla caccia, risponderebbe, ove condannato, con la pena del furto, essendogli stata correttamente contestata, in imputazione, la violazione della norma di cui all'art. 624 C.P.

Né questa Corte ha poteri manipolativi di tal natura da operare, in sostituzione della norma dichiarata illegittima, una "scelta" (che ovviamente spetta al solo legislatore) idonea a far addebitare all'imputato di Cuneo una violazione comportante l'applicabilità d'una sanzione amministrativa.

Poiché, nell'ipotesi prospettata dal Tribunale di Cuneo, mancando un rapporto di "specialità" tra il delitto di furto e gli illeciti amministrativi di cui all'art. 31 della legge n. 968 del 1977, é del tutto esclusa l'applicabilità del primo comma dell'art. 9 della legge n. 689 del 1981, non si ritiene d'impostare e tanto meno di risolvere (in quanto non rilevante) la questione relativa alle conseguenze che deriverebbero ove, invece, esistendo una relazione di specialità ed applicandosi il primo comma dell'art. 9 qui in discussione, si verificasse l'assorbimento d'una legge penale da parte d'una legge amministrativa; occorrerebbe, in tal caso, stabilire se possano verificarsi disparità di trattamento, ex art. 3 Cost., analoghe a quella prospettata dall'ordinanza di rimessione del Tribunale di Cuneo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981 n. 689 proposte, in riferimento all'art. 3 Cost., dalle ordinanze del Tribunale di Agrigento n. 1296/84; del giudice istruttore presso lo stesso Tribunale nn. 126/85; 251/85; 252/85; 280/85; 282/85; 283/85; 453/85; 452/85; 281/85; 324/85; 325/85; 455/85; 454/85; 621/85; 622/85; e del Tribunale di Cuneo n. 983/84.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: DELL'ANDRO

Depositata in cancelleria il 3 aprile 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE