SENTENZA N.323
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna riapprovata il 16 dicembre 1996, recante: "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 3 gennaio 1997, depositato in cancelleria il 13 successivo ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1997.
Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 1998 il Giudice relatore Fernanda Contri;
uditi l’avv. Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avv. Sergio Panunzio per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale in via principale della legge della Regione Sardegna recante "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna" riapprovata, a sèguito di rinvio governativo, dal Consiglio regionale della Sardegna il 16 dicembre 1996, per contrasto con l’art. 3 dello statuto per la Sardegna, adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in relazione all’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il periodo venatorio), ed all’art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
In sede di riapprovazione a maggioranza assoluta, il Consiglio regionale ha apportato modifiche al testo originario, accogliendo i rilievi formulati con il rinvio governativo del 6 settembre 1996, ad eccezione di quello concernente l’art. 49, comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede un periodo di caccia agli uccelli migratori, nel medesimo articolo elencati, dalla terza domenica di settembre fino all’ultimo giorno di febbraio dell’anno successivo.
Secondo il rinvio governativo, richiamato nel ricorso, tale disposizione viola i limiti posti dallo statuto speciale per la Sardegna alla competenza legislativa della Regione in materia di caccia, sia per il contrasto con l’art. 18 della citata legge 11 febbraio 1992, n. 157 - che indica il 31 gennaio quale termine ultimo per la caccia - considerato norma fondamentale di riforma economico-sociale; sia per il contrasto con gli obblighi comunitari derivanti dalla direttiva 79/409/CEE. A quest’ultimo riguardo, il ricorrente richiama la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 17 gennaio 1991 (causa C-157/89), nella quale si dichiarò "che la Repubblica italiana, autorizzando la caccia a diverse specie migratorie fino al 28 febbraio, ed in taluni casi fino al 10 marzo, durante il periodo di ritorno di tali specie al luogo di nidificazione, era venuta meno agli obblighi che le incombevano in forza della direttiva del Consiglio 79/409/CEE".
Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva altresì che dalla relazione della commissione consiliare competente risulta che "non ci si é adeguati al limite massimo per l’esercizio venatorio del 31 gennaio, perchè non conciliabile con la reale presenza della fauna migratoria nel territorio della Regione Sardegna"; ma, lamenta il ricorrente, "di tale affermazione non é stata data alcuna dimostrazione".
2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituita la Regione Sardegna per argomentare l’infondatezza del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri.
L’ente resistente eccepisce che le norme comunitarie non stabiliscono il termine del 31 gennaio per la caccia alle specie in questione, nè l’obbligo della Regione di stabilirlo risulta dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee richiamata nel ricorso. L’art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE non prevede, osserva la Regione, termini rigidi ed uniformi, ma, per quanto riguarda le specie migratorie, impone agli Stati membri di provvedere "a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione". La direttiva comunitaria non esclude, ad avviso del resistente, che, all’interno di uno stesso Stato membro, le autorità regionali disciplinino diversamente i periodi di caccia, purchè essi "corrispondano agli effettivi movimenti migratori nei diversi territori, quali risultano dalle rilevazioni".
Ad avviso della Regione Sardegna, la stessa giurisprudenza comunitaria invocata dal ricorrente consente al legislatore regionale di derogare alla disciplina statale uniforme dei periodi venatori qualora risulti che nel territorio di una regione le specie migratorie passano in un periodo successivo al 31 gennaio.
Quanto alla lamentata violazione del limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione eccepisce che la legge n. 157 del 1992 può ricondursi a tale categoria di norme solo con riferimento alla disciplina delle specie cacciabili, non anche con riferimento ai periodi di caccia.
3. - In prossimità dell’udienza, la Regione autonoma della Sardegna ha depositato una memoria illustrativa nella quale vengono più ampiamente svolti argomenti già addotti con l’atto di costituzione per dedurre l’infondatezza del ricorso. In tale memoria la difesa della Regione insiste - con ampi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale - sull’impossibilità di ricondurre la disciplina statale dei periodi venatori invocata dal ricorrente alla categoria delle norme fondamentali di riforma economico-sociale. A questo riguardo, si osserva che l’imposizione di un limite temporale invalicabile "priverebbe del tutto le Regioni della possibilità di conformare alle proprie peculiarità ambientali i princìpi ricavabili dalle leggi di riforma". La Regione aggiunge che l’art. 51 della delibera legislativa impugnata attribuisce all’assessore regionale alla difesa dell’ambiente la potestà di limitare o vietare l’esercizio venatorio qualora sopravvenute condizioni stagionali o climatiche dimostrino la necessità di maggiori livelli di protezione della fauna selvatica.
Nella memoria, l’ente territoriale resistente menziona altresì le decisioni di questa Corte nn. 63 del 1990 e 449 del 1997 - per sottolineare come la caccia non sia riducibile al mero abbattimento di animali selvatici, rappresentando anche "un mezzo di regolazione della fauna selvatica" - e richiama la legislazione francese, applicabile nel vicino territorio corso, che consente la caccia di un ristretto elenco di specie selvatiche anche nel mese di febbraio.
Considerato in diritto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sottopone al controllo di costituzionalità l’art. 49, comma 1, lettera b), della legge riapprovata dal Consiglio regionale della Sardegna il 16 dicembre 1996 recante "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna" che, in deroga a quanto previsto per le specie elencate dal precedente art. 48, prolunga fino all’ultimo giorno di febbraio il periodo di caccia ad alcune specie di uccelli (colombaccio, beccaccia, beccaccino, merlo, tordo sassello, tordo bottaccio, cesena, storno, marzaiola, alzavola, pavoncella). L’art. 49, comma 1, lettera b), dell’impugnata delibera legislativa viene censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri nella parte in cui consente di abbattere gli elencati esemplari di fauna selvatica dalla terza domenica di settembre fino all’ultimo giorno di febbraio dell’anno successivo, per contrasto con l’art. 3 dello statuto speciale per la Sardegna, adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, che prevede il rispetto degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
Quest’ultimo limite viene invocato dal Presidente del Consiglio dei ministri in relazione all’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il periodo venatorio), che autorizza le Regioni a disciplinare i periodi di caccia in modo difforme da quanto in esso previsto "per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali", precisando però che "i termini devono essere comunque contenuti tra il 1° settembre ed il 31 gennaio".
Il limite degli obblighi internazionali si assume violato in riferimento all’art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, che impone agli Stati membri di provvedere, in relazione alle specie migratrici, "a che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il ritorno al luogo di nidificazione".
Le censure avanzate dal Governo riguardano anche l’omessa dimostrazione dell’assunto - che viene esplicitato nella relazione della commissione consiliare competente e dal quale sembra trarre origine la disciplina impugnata - secondo il quale "non ci si é adeguati al limite massimo per l’esercizio venatorio del 31 gennaio, perchè non conciliabile con la reale presenza della fauna migratoria nel territorio della Regione Sardegna".
2. - La questione é fondata.
3. - La costante giurisprudenza di questa Corte, nel riconoscere carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale alle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili (sentenze nn. 272 del 1996, 35 del 1995, 577 del 1990, 1002 del 1988), implica - contrariamente all’avviso della Regione resistente - che tale carattere sia proprio anche delle norme strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio.
La richiamata giurisprudenza costituzionale muove dalla premessa che la disciplina statale vincola anche le Regioni speciali e le Province autonome nella parte in cui delinea il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi - accanto alla elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio.
Il limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali deriva invero sia da disposizioni che si caratterizzano per il loro contenuto riformatore, per la loro posizione di norme-principio e per l’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza; sia da "norme legate con queste da un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione, che rispondano complessivamente ad un interesse unitario ed esigano, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale" (sent. n. 1033 del 1988).
Non potendosi disconoscere il rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione intercorrente tra le disposizioni che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio e quelle - volte ad assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili - che tale prelievo delimitano dal punto di vista temporale, la questione sollevata deve essere accolta.
L’accoglimento della presente questione non comporta tuttavia che le Regioni siano prive del potere di deroga alla generale disciplina dei periodi venatori, per determinate specie, in relazione alle situazioni ambientali, entro l’arco temporale definito dall’art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992, potere che deve essere preceduto dall’accertamento - condotto attraverso procedure e strumenti attendibili dal punto di vista tecnico-scientifico - delle condizioni e dei presupposti di ordine ambientale richiesti dalla disciplina statale, oltre che dalla giurisprudenza comunitaria.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, lettera b), della legge della Regione Sardegna recante "Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna", riapprovata, a sèguito di rinvio governativo, dal Consiglio regionale della Sardegna il 16 dicembre 1996.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Fernanda CONTRI
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.