SENTENZA N. 211
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 13, 31, 32, 34, comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30 settembre-4 ottobre 2011, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2011 ed iscritto al n. 118 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi l’avvocato dello Stato Attilio Barbieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Basilicata.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato in cancelleria il 7 ottobre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli articoli 97, primo comma, e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 13, 31, 32, 34, comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013).
2.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare, l’art. 13 della legge impugnata, che sostituisce l’art. 30, comma 2, della legge Regione Basilicata 30 dicembre 2010, n. 33 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata – legge finanziaria 2011), prevedendo che «gli Enti del Servizio Sanitario Regionale, nel rispetto delle limitazioni e delle procedure previste dalla normativa vigente, possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie valide di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del Servizio Sanitario Regionale, previo accordo tra le amministrazioni interessate», si pone in contrasto con l’articolo 30, comma 2-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il quale, per contro, prevede che «le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio» e che il trasferimento «è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento, assicurando la necessaria neutralità finanziaria».
Pertanto, il legislatore regionale, disponendo in modo non conforme ai principi sanciti dal d.lgs. n. 165 del 2001, avrebbe invaso la competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi i rapporti dl diritto privato regolabili dal codice civile.
3.– Riferisce inoltre il ricorrente che l’art. 31 della legge impugnata abroga la legge della Regione Basilicata 7 giugno 2011, n. 10 (Modifiche alla L.R. del 3 maggio 2002, n. 16 – Disciplina generale degli interventi in favore dei lucani all’estero) e ripristina le disposizioni di cui all’art. 12 della legge regionale 3 maggio 2002, n. 16 (Disciplina generale degli interventi in favore dei lucani all’estero), che riconosce al Presidente della Commissione dei lucani all’estero una indennità pari al 20 per cento di quella lorda mensile riservata ai consiglieri regionali, nonché il trattamento riservato ai dirigenti regionali per le missioni svolte all’estero o in Italia, prevedendo, per il Presidente ed i membri della Commissione, il rimborso delle spese di viaggio calcolate nella misura di 1/5 del prezzo al litro della benzina per ogni chilometro percorso tra il Comune in cui ha sede la Commissione e quello ove si svolge la missione.
Così disponendo, il legislatore regionale si sarebbe posto in contrasto con l’art. 6, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in base al quale «a decorrere dal 1° gennaio 2011, le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma».
In tal modo, la norma regionale censurata determinerebbe la lesione di un principio fondamentale della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non potrebbe derogare.
4.– Analoga censura, fondata sul contrasto con il già citato art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, è proposta in relazione all’art. 32 della legge impugnata. Tale norma, nel modificare l’art. 8, comma 3, della legge della Regione Basilicata 3 maggio 2002, n. 16 (Disciplina generale degli interventi in favore dei lucani all’estero), prevede che «ai componenti della Commissione, non consiglieri regionali, per la partecipazione alle sedute e per le missioni in Italia ed all’estero, compete il rimborso spese e il trattamento di missione dei dirigenti regionali. Ai componenti della Commissione, consiglieri regionali, compete il rimborso spese e trattamento di missione previsto per i consiglieri regionali».
5.– Allo stesso modo, l’art. 34, comma 5, modificando l’art. 19, comma 2, della legge regionale 13 aprile 1996, n. 21 (Interventi a sostegno dei Migranti in Basilicata ed istituzione della Commissione Regionale dell’Immigrazione), prevede la sostituzione, in quella norma, dell’espressione «dipendenti della Regione appartenenti alla qualifica funzionale più elevata», ivi già contenuta, con le parole «consiglieri regionali», così stabilendo che il ridetto art. 19, comma 2, della predetta legge regionale preveda che «al Presidente della Commissione per missioni in Italia e all’estero compete il rimborso spese o il trattamento di missione previsto dalla legge per consiglieri regionali.». Anche in tale modo, il legislatore regionale si porrebbe in contrasto con il citato art. 6, comma 3, del ridetto decreto-legge n. 78 del 2010, determinando un’ulteriore, analoga lesione costituzionale della riserva di legislazione stabilita dall’art. 117 della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica.
6.– Riferisce, infine, il Presidente del Consiglio dei ministri che l’art. 39, comma 1, della legge impugnata stabilisce che, ai sensi della legge Regione Basilicata 7 dicembre 2000, n. 60 (Norme per la stabilizzazione lavorativa dei soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili), si possa procedere alla stabilizzazione dei soggetti impegnati in attività socialmente utili, già esclusi dalla stabilizzazione operata con il decreto di Giunta regionale n. 1431 del 25 giugno 2001. Secondo il ricorrente, l’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini) non consente una generica salvaguardia di tutte le stabilizzazioni, anche se programmate ed autorizzate, ma prevede specifiche limitazioni, sia per ciò che concerne le modalità di stabilizzazione – sempre attraverso procedure concorsuali – sia a livello di percentuali di riserva dei posti messi a concorso a favore degli stabilizzandi.
Pertanto, la disposizione in esame si porrebbe in contrasto con la vigente normativa nazionale in materia, laddove, richiamando la legge della Regione Basilicata n. 60 del 2000, che non si pone in linea con i dettami del ripetuto decreto-legge n. 78 del 2009, configura una lesione dei principi stabiliti dall’art. 117 della Costituzione, nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, in considerazione del notevole lasso di tempo intercorso dalla precedente stabilizzazione, la disposizione contrasterebbe anche con i principi di buona amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, della Costituzione.
7.– Si è costituita in giudizio la Regione Basilicata ed ha contestato la fondatezza del ricorso statale.
8.– Quanto all’art. 13 della legge regionale n. 17 del 2011, secondo la resistente già la precedente formulazione, prima della modifica censurata, in sostanza, non faceva che attuare – a livello regionale – un principio già codificato su base statale dalla legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), che, all’art. 9, consente l’utilizzazione di graduatorie concorsuali di altri enti appartenenti al medesimo comparto di contrattazione.
La censura di legittimità costituzionale proposta con il ricorso appare alla Regione, pertanto, infondata, alla luce della ratio della norma regionale contenuta nell’art. 13, consistente nell’intento del legislatore regionale di evitare il ricorso obbligatorio a graduatorie relative a concorsi espletati in data non recente e, quindi, garantire una migliore selezione dei soggetti più capaci per la copertura dei posti vacanti negli Enti del Servizio sanitario Regionale.
Pertanto, secondo la Regione Basilicata, non avendo essa legiferato in contrasto con la succitata previsione del d.lgs. n. 165 del 2001, non avrebbe invaso le competenze esclusive dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
9.– Quanto agli artt. 31, 32 e 34, comma 5 della legge regionale censurata, secondo la Regione, anche laddove si interpreti la violazione del precetto statale quale violazione di un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, il ricorso avrebbe comunque mancato di porre la censura in relazione al comma 20 dell’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 – in base al quale le disposizioni contenute nell’art. 6 sono destinate a valere nei confronti delle Regioni solo come principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica – e pertanto, sarebbe, tardivo e quindi in parte irricevibile.
Inoltre, poiché la legge statale potrebbe stabilire solo un limite complessivo che lascia agli enti l’ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa, ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti per raggiungere quegli obiettivi, nella fattispecie non ricorrerebbe alcuna violazione, dato che la Regione Basilicata, con precedente legge regionale 5 agosto 2010, n. 28 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2010 e del bilancio pluriennale 2010-2012), aveva già proceduto ad uniformarsi alla richiamata normativa nazionale sul risparmio e, con l’art. 12 di tale legge regionale, era già stata prevista la riduzione del 10 per cento dell’indennità di carica dei consiglieri regionali e disposta la riduzione in egual misura di tutte le indennità spettanti ai nominati e designati in enti, aziende, società regionali, organismi e cariche di competenza della Regione Basilicata determinate ai sensi della vigente legislazione con riferimento a quella dei consiglieri regionali.
Dunque, secondo la Regione Basilicata, l’indennità riconosciuta al Presidente della Commissione dei Lucani all’estero (pari al 20 per cento dell’indennità lorda mensile del consigliere regionale) già risentirebbe della riduzione del 10 per cento prevista dal predetto art. 12 della legge regionale n. 28 del 2010.
In ordine alle prescrizioni che riguardano i componenti della Commissione, non ci sarebbe la prova che con esse sia stato operato un aumento di spesa in quanto, trattandosi di un organismo di consulenza che opera a stretto contatto con la Giunta regionale e presso la sua sede istituzionale, lo spostamento fuori sede è pressoché irrisorio. Il rimborso spese, inoltre, non rientrerebbe nella tipologia dei trattamenti economici indicati all’art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010.
10.– Quanto all’art. 39, comma 1, della legge regionale n. 17 del 2011, tale norma si riferirebbe ad un caso particolare in cui viene richiamato un diritto alla stabilizzazione già ben definito ed individuato a data certa, per cui sarebbe quantomeno dubbio che ricorra la violazione dell’art. 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, con riferimento agli articoli 97, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale degli articoli 13, 31, 32, 34, comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013).
1.1.– Con la prima delle norme regionali censurate, l’art. 13 della legge della Regione Basilicata n. 17 del 4 agosto 2011, il legislatore regionale è intervenuto su una previgente norma regionale, contenuta nell’art. 30, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2010, n. 33 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata – legge finanziaria 2011).
Quest’ultima prevedeva, per il reclutamento del personale degli enti del servizio sanitario regionale, il ricorso obbligatorio alle procedure di mobilità, e, solo successivamente a tale ricorso, l’obbligatoria utilizzazione delle graduatorie di procedure concorsuali precedentemente espletate, anche, su base regionale, da altre amministrazioni del Servizio Sanitario regionale.
Tale disposizione ricalcava quanto disposto, a livello di legislazione statale, dall’art. 30, comma 2-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che esplicitamente prevede che «le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio» e che il trasferimento «è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell’area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento, assicurando la necessaria neutralità finanziaria».
L’originaria disposizione regionale, dunque, per effetto della censurata riforma, prevede oggi, più genericamente, che «gli Enti del Servizio Sanitario Regionale, nel rispetto delle limitazioni e delle procedure previste dalla normativa vigente, possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie valide di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del S.S.R., previo accordo tra le amministrazioni interessate».
Secondo il ricorrente, la disposizione regionale, nella formulazione vigente per effetto della contestata novella, non riproducendo in modo pedissequo il contenuto della corrispondente disposizione statale, come faceva la disposizione regionale previgente – nella parte in cui esplicitamente prevedeva il previo ricorso obbligatorio alle procedure di mobilità – determinerebbe una deroga alla predetta norma statale.
Tale disciplina delle diverse forme di reclutamento normativamente imposte (mobilità, scorrimento delle graduatorie di precedenti concorsi e nuovo concorso), secondo il ricorrente, divergerebbe da quella dettata dalla normativa statale e, vertendo in materia di ordinamento civile, esulerebbe dalla competenza legislativa regionale.
1.2.– Gli artt. 31, 32 e 34, comma 5, della legge regionale n. 17 del 2011, contengono disposizioni in varia misura incidenti su indennità, compensi, rimborsi di due enti regionali: la Commissione dei lucani all’estero e la Commissione Regionale all’immigrazione. Tali norme regionali vengono impugnate in quanto contrastanti con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica contenuti nell’art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, costituenti, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica.
1.2.1.– In particolare, l’art. 31, ripristinando le disposizioni di cui all’art. 12 della legge della Regione Basilicata 3 maggio 2002, n. 16 (Disciplina generale degli interventi in favore dei lucani all’estero), reintroduce, per il Presidente della “Commissione dei lucani all’estero”, una indennità pari al 20 per cento di quella lorda mensile riservata ai consiglieri regionali, nonché il trattamento riservato ai consiglieri regionali medesimi per le missioni svolte all’estero o in Italia, trattamenti che erano stati precedentemente abrogati da precedente legge regionale. Analogamente, sempre per il Presidente ed i membri della Commissione, essa ripristina il rimborso delle spese di viaggio (calcolate nella misura di 1/5 del prezzo al litro della benzina per ogni chilometro percorso tra il Comune in cui ha sede la Commissione e quello ove si svolge la missione).
1.2.2.– L’art. 32 della legge impugnata, a sua volta, ha modificato il comma 3 dell’art. 8 della legge predetta regionale n. 16 del 2002, prevedendo che, mentre «a componenti della Commissione, non consiglieri regionali, per la partecipazione alle sedute e per le missioni in Italia ed all’estero, compete il rimborso spese e il trattamento di missione dei dirigenti regionali […]. Ai componenti della Commissione, consiglieri regionali, compete il rimborso spese e trattamento di missione previsto per i consiglieri regionali». La norma dunque stabilisce che, per i componenti che siano anche Consiglieri regionali, il rimborso spese e il trattamento di missione non sia pari a quello dei dirigenti regionali, ma sia pari a quello previsto per l’attività degli stessi componenti quali consiglieri regionali.
1.2.3.– L’art. 34, comma 5, nel modificare l’art. 19, comma 2, della legge regionale 13 aprile 1996, n. 21 (Interventi a sostegno dei Migranti in Basilicata ed istituzione della Commissione Regionale dell’Immigrazione), dispone la sostituzione, in quella norma, dell’espressione «dipendenti della Regione appartenenti alla qualifica funzionale più elevata», ivi già contenuta, con le parole «consiglieri regionali». Di conseguenza, l’art. 19, comma 2, della legge regionale n. 21 del 1996, prevede che «al Presidente della Commissione per missioni in Italia e all’estero compete il rimborso spese o il trattamento di missione previsto dalla legge per i consiglieri regionali».
Il ricorrente reputa che tutte le descritte disposizioni si pongano in contrasto con il principio fondamentale della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 6, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, norma in forza della quale «a decorrere dal 1° gennaio 2011, le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma».
1.3.– L’art. 39, infine, dà attuazione ad una stabilizzazione senza concorso di lavoratori socialmente utili, già programmata in precedenza dalla legge della Regione Basilicata 7 dicembre 2000, n. 60 (Norme per la stabilizzazione lavorativa dei soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili). La norma viene denunciata perché, vertendo in materia di coordinamento della finanza pubblica, si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale della legislazione statale, dettato dall’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), che vieta le stabilizzazioni ancorché programmate, nonché con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
2.– La questione relativa all’art. 13 della legge della Regione Basilicata n. 17 del 2011 non è fondata. Essa è basata su una erronea interpretazione della predetta norma regionale.
Diversamente da quanto asserito dal Presidente del Consiglio dei ministri, deve ritenersi che la legge regionale prescriva il ricorso obbligatorio alle procedure di mobilità disciplinate dall’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, prima che si possa procedere all’utilizzazione delle graduatorie degli altri concorsi, precedentemente espletati, o, in mancanza, indirne di nuovi.
La volontà del legislatore regionale di far salvo il rispetto di tale obbligo è desumibile non solo dall’assenza, nella norma regionale, di una qualsiasi espressione che autorizzi una deroga al principio, ma anche, e soprattutto, dall’esplicita clausola di salvaguardia contenuta in essa, laddove si prescrive che il ricorso agli altri meccanismi di reclutamento ivi esplicitamente previsti debba avvenire «nel rispetto delle limitazioni e delle procedure previste dalla normativa vigente». Questa espressione, sia per il significato lessicale, sia per la collocazione sistematica, è riferita, con evidenza, alle procedure di mobilità previste dalla citata disposizione di legge statale che, dunque, devono ritenersi, anche nella vigente formulazione della norma, tuttora obbligatorie.
3.– Le questioni, relative agli artt. 31, 32 e 34, comma 5, della legge regionale censurata, sono invece fondate. Sussiste il denunciato contrasto con gli obiettivi di contenimento e riduzione della spesa pubblica perseguiti dal legislatore statale con l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, che costituisce espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica.
Le censurate disposizioni regionali, ben lungi dall’imporre, come richiesto dalla disposizione statale richiamata, dei tagli alla spesa regionale, comportano tutte un sensibile incremento in un aggregato di spesa particolare, quello relativo alle indennità (anche di missione), ai compensi e ai rimborsi dei dipendenti di due enti regionali che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche (La “Commissione per i lucani all’estero” e la “Commissione per missioni in Italia e all’estero”), o mediante l’innalzamento ex novo di compensi e rimborsi per l’attività dei due organismi collegiali, o attraverso il ripristino di previgenti disposizioni, soppresse proprio nell’intento di abbatterne i costi di funzionamento.
Il contrasto con le disposizioni contenute nel citato art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 è di tutta evidenza. Il comma 3 di tale norma dispone che «le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma».
In proposito questa Corte ha affermato (sentenze n. 182 del 2011 e n. 139 del 2012) che «può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica» la disposizione che stabilisce «rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali che […] vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite complessivo di spesa». Ed, in particolare, con specifico riferimento al comma 3, che l’obbligo di riduzione delle spese per il personale ivi elencate nella misura del 10 per cento, e di mantenere le stesse ferme fino al 2013, costituisce principio fondamentale nel senso di limite globale, complessivo, al punto che ciascuna Regione deve ritenersi libera di darvi attuazione, nelle varie leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale. Nel caso in esame, pur ammettendo, per il carattere di globalità enunciato da questa Corte, attuazioni gradate e differenziate nel quantum della riduzione da parte delle diverse leggi regionali di spesa, non è tollerabile alcuna deroga rispetto all’an della riduzione.
Le disposizioni della legge regionale censurata, più che lasciare del tutto inalterate le spese, ne determinano, addirittura, un aumento. Esse vanno oltre i margini di discrezionalità del legislatore regionale e finiscono per porsi in contrasto con il nucleo stesso del principio statale, che mira ad una diminuzione della spesa per il personale. Le disposizioni impugnate, in altre parole, sono intrinsecamente lesive non solo dell’obiettivo di abbattimento della spesa pubblica regionale, ma direttamente di quello, minimale, di contenimento della stessa.
D’altra parte, le norme regionali censurate si pongono, in modo evidente, in contrasto con un’altra disposizione del citato art. 6, comma 2, in base alla quale la partecipazione in organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica e può dar luogo solo al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente. Tale disposizione non è stata esplicitamente richiamata dal ricorrente. Essa, però, insieme a quella contenuta nel comma 3, rappresenta l’espressione di un unico principio fondamentale che persegue il contenimento della spesa di funzionamento degli enti pubblici regionali.
4.– La questione relativa all’art. 39 della legge regionale censurata è fondata, con riferimento ad entrambi i parametri invocati.
La norma regionale dispone, sulla base di un’altra legge regionale che l’avrebbe già autorizzata (la legge della Regione Basilicata 7 dicembre 2000, n. 60, recante «Norme per la stabilizzazione lavorativa dei soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili»), la stabilizzazione di lavoratori socialmente utili che erano stati esclusi da tale beneficio in forza di una precedente delibera della Giunta regionale.
La legge regionale che aveva autorizzato la stabilizzazione di cui all’art. 39, però, era stata travolta dalla successiva entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2009 che, all’art. 17, comma 10, prevedeva specifiche limitazioni all’effettuazione di assunzioni senza concorso, sia per ciò che concerne le modalità di stabilizzazione – sempre attraverso procedure concorsuali – sia a livello di percentuali di riserva dei posti messi a concorso a favore degli stabilizzandi.
Con riferimento ad un’analoga disposizione regionale, relativa alla Regione Calabria, questa Corte (sentenza n. 310 del 2011) ha già dichiarato l’illegittimità della proroga, contemplata da tale disposizione, del termine dei piani di stabilizzazione occupazionale dei lavoratori contenuti in precedenti leggi regionali.
La disposizione in esame, dando attuazione, successivamente al regime dettato dall’art. 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009, ad una stabilizzazione da precedente legge regionale, si pone in contrasto con la vigente normativa nazionale in materia e configura una lesione dei principi di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione (coordinamento della finanza pubblica).
Tale stabilizzazione, inoltre, per taluni lavoratori, realizza una forma di assunzione riservata, senza predeterminazione di criteri selettivi di tipo concorsuale ed esclude o riduce irragionevolmente la possibilità di accesso al lavoro dall’esterno e viola, come questa Corte ha reiteratamente affermato (ex plurimis, sentenze nn. 108 e 127 del 2011) il principio del pubblico concorso e quello di buona amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 31, 32, 34, comma 5, e 39, comma 1, della legge della Regione Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13 della legge della Regione Basilicata 4 agosto 2011, n. 17 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011 e del bilancio pluriennale per il triennio 2011-2013), promossa, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2012.