SENTENZA N.
310
ANNO 2011
Commento alla decisione di
Alessandro Sterpa
Il
cumulo dei principi sul cumulo dei mandati
(per gentile concessione
della Rivista dell’AIC –
Associazione Italiana dei Costituzionalisti)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
-
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
articoli 11, comma 1, 14, 15, 16, commi 1 e 5, 18, 29, 46, 49 e 50 della legge
della Regione Calabria 29 dicembre 2010, n. 34 (Provvedimento generale recante
norme di tipo ordinamentale e procedurale – Collegato alla manovra di finanza
regionale per l’anno 2011. Articolo 3, comma 4, della legge regionale n. 8 del
2002), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito
per la notifica il 1° marzo 2011, depositato in cancelleria il 7 marzo 2011 ed
iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2011.
Visto
l’atto di costituzione della Regione Calabria;
udito
nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2011 il Giudice relatore
uditi
gli avvocati dello Stato Chiarina Aiello, Maria
Letizia Guida e Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Giuseppe Naimo per
Ritenuto in fatto
1. — Con
ricorso spedito per la notifica il 1° marzo 2011 e depositato il successivo 7
marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 11, comma 1, 14, 15, 16, commi 1 e 5,
18, 29, 46, 49 e 50 della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2010, n. 34
(Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale –
Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2011. Articolo 3, comma
4, della legge regionale n. 8 del 2002), in riferimento, nel complesso, agli
artt. 3, 41, 51, 97, 117, primo, secondo e terzo comma, e 122, primo comma,
della Costituzione.
1.1. —
L’art. 11, comma 1, della legge impugnata stabilisce: «
La norma
in questione, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, si pone in
contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettere g) e s), Cost.,
in quanto inserirebbe «nell’organizzazione, che deve essere esclusivamente
statale, finalizzata alla tutela dei beni culturali, un elemento del tutto
estraneo quale una società regionale a capitale interamente pubblico».
In
proposito, il ricorrente precisa che la tutela dei beni culturali consiste
nella disciplina e nell’esercizio delle funzioni connesse all’individuazione
dei beni costituenti il patrimonio culturale, alla loro protezione ed alla loro
conservazione per fini di pubblica fruizione. Siffatte funzioni sarebbero
attribuite dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in via
esclusiva, alla competenza statale, e sarebbero esercitate dal Ministero per i
beni e le attività culturali in tutte le sue articolazioni. In particolare, in
sede regionale, le soprintendenze costituirebbero l’organo competente a curare
la gestione, i restauri, la manutenzione e la fruizione dei beni culturali.
Pertanto
la previsione impugnata, consentendo alla Giunta regionale di costituire una
società competente a provvedere alla gestione unitaria e integrata del
patrimonio archeologico calabrese, si porrebbe in contrasto con la tutela
unitaria del patrimonio culturale, attribuita in via esclusiva al legislatore
nazionale.
L’art.
11, comma 1, della legge reg. Calabria n. 34 del 2010 violerebbe, inoltre,
l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 112 e 115 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137).
L’art.
117, terzo comma, Cost. è richiamato nella parte in cui prevede, fra le materie
di competenza legislativa concorrente, la «valorizzazione dei beni culturali».
A loro volta, i citati artt. 112 e 115 dispongono che lo Stato e gli altri enti
pubblici territoriali assicurino la valorizzazione dei beni culturali e che
siffatte attività siano gestite in forma diretta, per mezzo delle strutture
organizzative interne alle amministrazioni, o indiretta, tramite concessioni a
terzi.
Il
ricorrente osserva che, in virtù delle norme statali appena richiamate, la
valorizzazione, quando non è effettuata direttamente dallo Stato, «è collegata»
ad accordi o intese stipulati tra lo Stato e gli altri enti pubblici. Di
conseguenza, secondo la difesa statale, la norma impugnata – anche nella
denegata ipotesi in cui sia ritenuta come finalizzata alla sola valorizzazione
del patrimonio archeologico calabrese – si pone in contrasto con l’art. 117,
terzo comma, Cost., poiché prevede, senza alcuna forma di cooperazione con lo
Stato, la costituzione di una società in house, della quale, peraltro,
non sono precisati i compiti.
1.2. — L’art. 14 della legge reg.
Calabria n. 34 del 2010 dispone: «1. In riferimento a quanto previsto
dall’articolo 4, comma 7, della legge regionale n. 9 del 2007 disciplinante il
trasferimento alla Regione dei dipendenti addetti ai servizi amministrativi
dell’AFOR, nelle more dell’attuazione complessiva della norma,
Per illustrare le ragioni
dell’impugnazione il ricorrente si sofferma sull’evoluzione normativa in
materia di personale dell’Azienda forestale regionale (AFOR), sottolineando che
l’art. 4 della legge della Regione Calabria 11 maggio 2007, n. 9 (Provvedimento
generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – Collegato alla
manovra di finanza regionale per l’anno 2007, art. 3, comma 4, della legge
regionale n. 8 del 2002) ha disposto la soppressione e la messa in liquidazione
della citata Azienda.
Il comma 7 del medesimo art.
La norma oggetto dell’odierna
impugnazione dispone il trasferimento dei dipendenti AFOR alla Regione nelle
more dell’attuazione della legge reg. Calabria n. 9 del 2007, prevedendone
l’inquadramento nel ruolo organico della Regione, con precedenza per coloro che
si trovano già in servizio presso gli uffici regionali alla data di
pubblicazione della legge impugnata.
Secondo il ricorrente, il censurato art.
14 si pone in contrasto con i principi di buon andamento e di imparzialità
della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., poiché prevede il trasferimento
nel ruolo organico della Regione Calabria dei dipendenti AFOR già in servizio
presso
La difesa statale richiama, al riguardo,
la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha ripetutamente
affermato che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del
concorso pubblico deve essere circoscritta ai soli casi in cui le stesse
deroghe siano funzionali al buon andamento dell’amministrazione, e sempre che
ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a
giustificarle.
Nel caso in esame, il ricorrente
sostiene che il trasferimento alla Regione Calabria del personale appartenente
all’AFOR, se può risultare giustificato dall’esigenza straordinaria di
inquadrare nel ruolo regionale il personale di un’azienda soppressa per legge,
non può comportare l’indiscriminata attribuzione a tale personale dello stato
giuridico ed economico dei dipendenti regionali. L’inquadramento piuttosto, per
essere legittimo, avrebbe dovuto rispettare il regime contrattuale di
provenienza, come del resto previsto dalla legge reg. Calabria n. 9 del 2007.
Sulla base di tali rilievi, il
Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la norma impugnata si ponga
in contrasto con il principio di imparzialità, risolvendosi in un
ingiustificato privilegio a favore degli ex
dipendenti AFOR, rispetto a coloro che sono stati assunti nei ruoli regionali a
seguito di regolare concorso pubblico. In tal modo, infatti, sarebbero inseriti
nell’amministrazione regionale, con pienezza di diritti economici e di
carriera, dipendenti che non hanno sostenuto le prove di selezione necessarie
per accedere a tale amministrazione.
A parere del ricorrente, il legislatore
regionale della Calabria avrebbe dovuto costituire un "ruolo a parte o ad esaurimento”
in cui collocare i dipendenti in questione fino al compimento del loro periodo
di servizio, da determinare a tutti gli effetti secondo l’originario stato
giuridico ed economico dei dipendenti AFOR. Ciò sarebbe confermato da quanto
previsto negli artt. 4, comma 7, e 6 della legge reg. Calabria n. 9 del 2007;
in particolare, l’art. 6 fa riferimento alla possibilità di concedere, ai
dipendenti degli enti posti in liquidazione, incentivi per l’esodo anticipato
dall’impiego.
Al contrario, l’automatica
"regionalizzazione” degli ex
dipendenti AFOR farebbe venir meno il loro interesse a fruire degli incentivi
all’esodo, e svuoterebbe di significato la norma di cui al citato art. 6,
finalizzata a ridurre gli oneri complessivi delle spese per il personale di
ruolo della Regione.
1.3. —
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 46 della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010, il quale dispone: «Dopo il comma 6-bis
dell’articolo 1 della legge regionale 7 febbraio 2005, n. 1 è aggiunto il
seguente comma 6-ter: "Anche in deroga a quanto previsto dall’articolo
4, legge 154 del 1981 e dall’articolo 65 d.lgs. n. 267 del 2000 le cariche di
Presidente e Assessore della Giunta provinciale e di Sindaco e Assessore dei
comuni compresi nel territorio della Regione sono compatibili con la carica di
Consigliere regionale. Il Consigliere regionale che svolge contestualmente
anche l’incarico di Presidente o Assessore della Giunta Provinciale, di Sindaco
o Assessore Comunale deve optare e percepire solo una indennità di carica”».
Il
ricorrente sostiene che la norma in esame – nella parte in cui prevede che le
cariche di Presidente e assessore della Giunta provinciale, e di Sindaco e
assessore dei Comuni compresi nel territorio regionale sono compatibili con la
carica di consigliere regionale – si ponga in contrasto con gli artt. 122,
primo comma, 117, secondo comma, lettera p), e 51 Cost.
Quanto
all’asserita violazione dell’art. 122, primo comma, Cost., la difesa statale
sottolinea come l’art. 65, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali) stabilisca che
«Il presidente e gli assessori provinciali, nonché il sindaco e gli
assessori dei comuni compresi nel territorio della Regione, sono incompatibili
con la carica di consigliere regionale».
La norma impugnata, eliminando in radice dall’ordinamento regionale qualsiasi incompatibilità della carica di consigliere regionale con quelle di Presidente e assessore provinciale, nonché di Sindaco e assessore comunale, violerebbe il principio fondamentale posto dall’art. 65, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000 e, di conseguenza, l’art. 122, primo comma, Cost.
In
particolare, sarebbe violato il principio fondamentale del divieto di cumulo di
funzioni pubbliche, a cui possono essere apportate deroghe soltanto in casi
eccezionali. Siffatto divieto di cumulo sarebbe volto a garantire che
l’esercizio delle funzioni pubbliche avvenga in modo imparziale e sia immune da
conflitti di interesse. Nel caso di specie, l’incompatibilità costituirebbe una
garanzia anche dell’autonomia dei Comuni e delle Province rispetto all’ente
regionale.
Inoltre,
l’art. 46 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010, poiché «in fatto»
disciplinerebbe le cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei Presidenti
della Provincia, degli assessori provinciali, dei Sindaci e degli assessori
comunali, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, lettera
p), Cost., che prevede la potestà legislativa esclusiva statale in
materia di organi di governo di Comuni, Province e Città metropolitane.
Il
ricorrente ritiene che competa al legislatore statale dettare, in modo uniforme
su tutto il territorio nazionale, le regole in materia di ineleggibilità e di
incompatibilità degli amministratori di Province e Comuni. Tale disciplina,
infatti, sarebbe parte integrante di quella concernente gli organi di governo
di Comuni, Province e Città metropolitane, che, in quanto tale, non può essere
differenziata a seconda della Regione in cui si trovano gli enti locali
interessati.
Sarebbe,
infine, violato l’art. 51 Cost., che garantisce a tutti i cittadini il diritto
di concorrere alle funzioni pubbliche elettive in condizioni di eguaglianza nei
limiti stabiliti dalla legge. In particolare, la norma impugnata consentirebbe
di concorrere alla carica di consigliere regionale a soggetti che, a causa
della titolarità delle funzioni pubbliche sopra indicate, non potrebbero
candidarsi alla stessa carica in altre Regioni.
1.4. —
L’art. 15 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010 dispone: «Per eccezionali
ragioni di continuità nell’azione amministrativa restano validi gli incarichi
dirigenziali conferiti, per la copertura dei posti vacanti, in data anteriore
al 17 novembre 2010, ai sensi dell’articolo 10, commi 4, 4-bis e 4-ter,
della legge regionale 7 agosto 2002, n. 31, nonché i consequenziali effetti
giuridici».
La
predetta norma è impugnata in quanto inciderebbe su una materia diversamente disciplinata
dalla normativa statale di cui all’art. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione
della legge 4 marzo 2009, n.
La
difesa statale, prima di illustrare le ragioni dell’impugnazione, evidenzia
come gli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 10 della legge della Regione
Calabria 7 agosto 2002, n. 31 (Misure organizzative di razionalizzazione e di
contenimento della spesa per il personale) siano quelli che possono essere conferiti,
entro limiti percentuali e di tempo stabiliti dalla norma stessa, anche a
soggetti estranei all’amministrazione.
La norma
impugnata, confermando la validità e gli effetti giuridici degli incarichi
conferiti in virtù del citato art. 10 della legge reg. Calabria n. 31 del 2002,
interferirebbe con l’art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del
2009, il quale – attraverso l’introduzione del comma 6-ter nell’art. 19
del d.lgs. n. 165 del 2001 – ha reso applicabile alle Regioni i commi 6 e 6-bis
dello stesso art. 19. I commi da ultimo citati dettano, infatti, una disciplina
analitica in materia di costituzione del rapporto contrattuale con dirigenti di
provenienza esterna all’amministrazione interessata, stabilendo sia i limiti
percentuali entro cui è consentita l’assunzione dei soggetti di cui sopra, sia
la durata del rapporto di lavoro.
Il
ricorrente sottolinea come l’ambito materiale sul quale incide l’art. 40 del
d.lgs. n. 150 del 2009, estendendo la disciplina richiamata alle Regioni, sia
quello dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost. (sono citate al riguardo le sentenze della
Corte costituzionale n. 324 e n. 325 del 2010).
Da quanto appena detto, secondo la difesa statale, deriva l’illegittimità
costituzionale dell’art. 15 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010, il quale,
per le ragioni sopra esposte, incide sulla disciplina del contratto dei
dirigenti esterni e, segnatamente, sui profili connessi all’instaurazione ed
alla durata del rapporto.
1.5. —
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, i commi 1 e 5
dell’art. 16 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010, i quali rispettivamente
stabiliscono: «1. Il termine finale per l’attuazione del Piano di
stabilizzazione previsto dall’articolo 8 della legge regionale 30 gennaio 2001,
n. 4, come modificato da ultimo dalla legge regionale 12 giugno 2009, n. 19, è fissato
al 31 dicembre 2011» e «5. Il comma 1 dell’articolo 10 della legge regionale n.
20 del 2003 è sostituito dal seguente: "Le disposizioni di cui alla presente
legge cessano comunque di avere vigore il 31 dicembre 2013, data entro la quale
dovranno essere attuati i piani di stabilizzazione occupazionali dei lavoratori
dei bacini di cui all’articolo 2”».
Secondo
il ricorrente, i censurati commi 1 e 5 dell’art. 16 violano l’art. 117, terzo
comma, Cost., ponendosi in contrasto con i principi fondamentali in materia di
coordinamento della finanza pubblica, posti dall’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti
anticrisi, nonché proroga di termini), convertito
in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 agosto 2009,
n. 102.
Il
citato art. 17, comma 10, pone una serie di vincoli alla possibilità di
stabilizzare personale già assunto a tempo determinato da parte delle Regioni.
Peraltro, il rispetto dei limiti in questione sarebbe necessario per garantire
che le assunzioni a tempo indeterminato intervengano solo nella misura
consentita dalle disponibilità finanziarie esistenti.
Di
conseguenza, l’art. 16, commi 1 e 5, della legge reg. Calabria n. 34 del 2010,
prevedendo un termine ultimo per la stabilizzazione di determinate categorie di
lavoratori, senza tenere conto dei limiti posti dalle norme statali, si
porrebbe in contrasto con il principio fondamentale del coordinamento della
finanza pubblica di cui all’art. 17, comma 10, del d.l. n. 78 del 2009, il
quale non consente «una generica salvaguardia di tutte le stabilizzazioni,
ancorché programmate e autorizzate».
1.6. — è impugnato, ancora, l’art. 18 della
legge reg. Calabria n. 34 del 2010, il quale così dispone: «Per la copertura
dei posti di qualifica dirigenziale vacanti nei ruoli della Regione Calabria
(Consiglio regionale e Giunta) si procede tramite corso-concorso a cui possono
partecipare i dipendenti regionali in possesso dei requisiti previsti per
l’accesso alla qualifica dirigenziale».
La norma
regionale violerebbe i principi di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e del
pubblico concorso di cui all’art. 97 Cost., attesa la previsione di un
corso-concorso, tale da restringere arbitrariamente la categoria dei soggetti
legittimati a partecipare alla selezione. In particolare, il principio di
eguaglianza sarebbe violato poiché, a parità di requisiti, sono esclusi dalla
partecipazione alla procedura concorsuale coloro che non siano già dipendenti
dell’amministrazione; il principio dell’accesso per pubblico concorso, d’altro
canto, non consentirebbe deroghe che non siano giustificate da ragioni
eccezionali di interesse pubblico.
1.7. — Il Presidente del Consiglio dei
ministri impugna anche l’art. 49 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010,
secondo cui «1.
Secondo
la difesa statale la norma impugnata, prevedendo la possibilità di derogare in
parte alle regole della concorrenza, si porrebbe in contrasto con l’art. 117,
primo comma, Cost., che impone il rispetto dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, e con l’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., che riserva in modo esclusivo allo
Stato la materia della tutela della concorrenza.
1.8. — è inoltre impugnato – per violazione
degli artt. 3, 41 e 117, primo e terzo comma, Cost. – l’art. 29 della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010, il quale introduce l’art. 4-bis nella
legge della Regione Calabria 29 dicembre 2008, n. 42 (Misure in materia di
energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili).
Il detto
art. 4-bis dispone una serie di privilegi per gli enti pubblici, gli
enti locali ed i consorzi di sviluppo industriale che intendano proporre
iniziative in materia di produzione delle energie rinnovabili. È riconosciuta,
in particolare, quando il soggetto proponente sia uno degli enti indicati,
priorità di indizione ai procedimenti unici, con esonero dalla concorrenza dei
limiti di potenza autorizzati di cui alla stessa legge reg. Calabria n. 42 del
2008, e sono consentite deroghe ai procedimenti di verifica preliminare di cui
all’art. 6 dell’allegato SUB1 della legge reg. Calabria n. 42 del 2008.
Secondo
il ricorrente, la norma impugnata non è conforme al quadro normativo nazionale
di principio (sono richiamati i decreti legislativi 16 marzo 1999, n. 79 «Attuazione
della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno
dell’energia elettrica», e 29 dicembre 2003, n. 387 «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa
alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità»), secondo cui la produzione
di energia, anche da fonti rinnovabili, avviene in regime di libero mercato
concorrenziale, incompatibile con riserve, monopoli e privilegi pubblici.
Inoltre, il censurato art. 29 si tradurrebbe in un’irragionevole distorsione
del mercato della produzione di energia da fonti rinnovabili, ponendosi in
contrasto con l’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica), nonché con
l’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza) e con l’art. 117, primo e terzo
comma, Cost.
1.9. —
Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 50 della
legge reg. Calabria n. 34 del 2010, per violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
L’art.
50, rubricato «Stagione venatoria, giornate di caccia, legge regionale n. 9 del
1996», fissa il calendario venatorio regionale e reca una disciplina delle
specie cacciabili e dei periodi di attività venatoria, che si porrebbe in
contrasto con quanto stabilito dall’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n.
157 (Norme per la protezione della fauna
selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
Quest’ultima
disposizione, al comma 2, stabilisce che i periodi di attività venatoria,
previsti dal comma 1, possono essere modificati per determinate specie in
relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, e che
le Regioni possono autorizzare le modifiche previo parere dell’Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA); il comma 4 dispone
che le Regioni pubblichino il calendario venatorio regionale acquisendo il
parere dell’ISPRA.
La
normativa impugnata non rispetterebbe, inoltre,
Il
ricorrente – dopo aver sottolineato che, in base alla giurisprudenza della
Corte costituzionale, tale materia non può essere disciplinata con legge
regionale – deduce l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, in
quanto invasiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela
dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
2. — Con atto depositato il 30 marzo
2011,
2.1. —
In via preliminare, la difesa regionale eccepisce l’inesistenza della notifica
del ricorso, operata ai sensi dell’art. 55 della legge
18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile). Al
riguardo, la resistente ricorda come la norma citata consenta all’Avvocatura dello
Stato di eseguire la notificazione di atti civili, amministrativi e
stragiudiziali ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53 (Facoltà di
notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati
e procuratori legali) e come quest’ultima normativa legittimi gli avvocati ad
eseguire direttamente la notificazione, senza l’intermediazione dell’agente
notificatore, anche mediante l’utilizzo del servizio postale.
2.2. —
Nel merito delle singole censure, la difesa regionale ritiene che la questione
prospettata nei confronti dell’art. 11, comma 1, della legge reg. Calabria n.
34 del 2010 muova da presupposti erronei, in quanto la valorizzazione del
patrimonio archeologico si differenzia dalla tutela dello stesso. Peraltro, lo
stesso Codice dei beni culturali riconosce alla Regione competenze (non solo
legislative) in materia sia di gestione sia di valorizzazione del patrimonio
archeologico.
La
resistente precisa, altresì, come l’attività della società prevista dalla norma
impugnata non possa che svolgersi nel pieno rispetto del riparto di competenze
previsto dal Codice dei beni culturali; pertanto,
Infine,
la resistente ricorda che l’art. 115 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede la
possibilità di una gestione diretta delle attività di valorizzazione dei beni
culturali di appartenenza pubblica, «svolta per mezzo di strutture
organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica,
organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale
tecnico».
2.3. —
Quanto all’impugnazione dell’art. 14 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010,
essa sarebbe «frutto di evidente equivoco», in quanto la norma impugnata non
comporterebbe un «trasferimento in massa di dipendenti alla Regione, bensì la
copertura di alcuni posti dell’organico regionale». Di conseguenza, la norma si
porrebbe in continuità con i principi ispiratori della riforma (art. 4, comma
7, della legge reg. Calabria n. 9 del 2007) che ha operato la soppressione
dell’AFOR, e ne costituirebbe mera attuazione.
In
relazione all’asserita violazione dell’art. 97 Cost., la resistente rileva come
l’art. 4, comma 8, della legge reg. Calabria n. 9 del 2007 preveda che il personale
idraulico-forestale continui ad essere inquadrato nell’attuale comparto
contrattuale e non possa essere trasferito nei ruoli regionali o provinciali.
Pertanto, secondo la difesa regionale, nessun dipendente AFOR avente tale
inquadramento sarà trasferito; di qui l’asserita infondatezza della questione
prospettata.
2.4. —
In merito all’art. 15 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010, la resistente
sostiene, sulla scorta di un parere reso dall’Ufficio legislativo della stessa
Regione Calabria, che la norma impugnata afferisca alla materia
dell’organizzazione amministrativa regionale, rientrante nella potestà
legislativa residuale della Regione.
Il
censurato art. 15 non sarebbe finalizzato, dunque, ad «attribuire ex se
validità a precedenti atti di conferimenti di incarichi dirigenziali», ma
intenderebbe «fare proprio il principio generale del "funzionario di fatto”, al
dichiarato intento di dare "continuità” alla propria azione amministrativa».
In ogni
caso, la questione sarebbe infondata perché la norma impugnata si limiterebbe
«a fotografare l’esistente», senza innovare rispetto a quanto previsto
dall’art. 10 della legge reg. Calabria n. 31 del 2002, come modificato dalla
legge della Regione Calabria 17 agosto 2005, n. 13 (Provvedimento generale, recante
norme di tipo ordinamentale e finanziario – Collegato alla manovra di
assestamento di bilancio per l’anno 2005 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della
legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), peraltro non impugnata dal Governo.
2.5. —
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, commi 1 e 5, della
legge reg. Calabria n. 34 del 2010, sarebbe infondata, in quanto la norma in
esame non inciderebbe sulla materia del coordinamento della finanza pubblica ma
si limiterebbe a dettare regole per l’attuazione del piano di stabilizzazione
di lavoratori precari, nel rispetto dell’art. 1, comma 557, della legge 27
dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007). Tale ultima disposizione
conterrebbe l’unica norma di principio applicabile al caso di specie, mentre la
fissazione del termine per la stabilizzazione, posto dalla norma impugnata,
spetterebbe alla potestà legislativa regionale.
2.6. —
Quanto all’art. 18 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010, la relativa
questione sarebbe infondata perché, nel caso di specie, sussisterebbero
particolari ragioni giustificatrici della deroga al principio del pubblico
concorso. Siffatte ragioni sarebbero rappresentate dalla «pressante esigenza di
coprire i vuoti nell’organico dirigenziale, con immediatezza e mediante
personale "interno” già formato».
2.7. —
In particolare, il censurato art. 29 non realizzerebbe alcuna distorsione della concorrenza, limitandosi a stabilire «una mera priorità cronologica nella istruttoria delle iniziative proposte da enti pubblici», e sottolineerebbe «la necessità di spingere prioritariamente gli enti pubblici a destinare risorse ed attività nel campo della produzione e utilizzazione di energia da fonti rinnovabili».
2.8. — La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 46 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010 sarebbe
infondata, in quanto la norma in esame rientrerebbe nella competenza
legislativa regionale concorrente, prevista dall’art. 122 Cost., e non
sarebbero violati i principi dettati dalla legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122,
primo comma, della Costituzione).
2.9. — In merito all’art. 49 della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010,
L’inammissibilità deriverebbe dalla
carenza di un’adeguata motivazione della censura, tale da chiarirne realmente
la pertinenza, e dalla evocazione solo sommaria dei parametri costituzionali.
Al riguardo, la resistente ritiene inconferente, tra
l’altro, il parametro relativo alla competenza statale in materia di tutela
della concorrenza.
Quanto alle ragioni di infondatezza
della questione, la difesa regionale sottolinea come il Protocollo n. 26 al
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea preveda, all’art. 1, che i
valori comuni dell’Unione, con riguardo al settore dei servizi di interesse
economico generale ai sensi dell’articolo 14 del Trattato, comprendono in
particolare il ruolo essenziale e l’ampio potere discrezionale delle autorità
nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi
di interesse economico generale il più vicino possibile alle esigenze degli
utenti.
Secondo la resistente, sarebbe quindi lo
stesso Trattato ad attribuire alle amministrazioni regionali il potere (tra gli
altri) di «fornire, commissionare e organizzare» i servizi indicati, mentre
spetterebbe allo Stato (Protocollo n. 26, art. 2) la competenza correlata ai
servizi di interesse generale non economico.
Pertanto,
Da ultimo, la resistente precisa che
un’analoga normativa di altra Regione (legge della Regione Marche 17 marzo
2009, n. 6 «Attività della società di gestione dell’aeroporto delle Marche –
Legge regionale 24 marzo 1986, n. 6») non è stata impugnata dal Governo,
evidentemente perché ritenuta non in contrasto con
2.10. — Infine, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 50 della legge reg. Calabria n. 34 del
2010 dovrebbe essere rigettata perché la norma ha ormai cessato di produrre
effetti (in data 31 gennaio 2011) e non è dimostrato che abbia avuto effettiva
applicazione.
3. — In
prossimità dell’udienza,
3.1. —
In particolare, la difesa regionale riferisce che l’art. 1 della legge della
Regione Calabria 10 agosto 2011, n. 31 (Modifica dell’articolo
11, comma 1, della legge regionale n. 34 del 2010 – Partecipazione della
Regione Calabria alla Società «Progetto Magna Graecia») ha modificato l’art. 11, comma 1, della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010, che oggi così dispone: «
La
resistente ritiene che, con la modifica intervenuta, sia stato esplicitato
quanto già ricavabile dal testo originario della disposizione.
3.2. —
In merito alla censura formulata nei confronti dell’art. 14 della legge reg.
Calabria n. 34 del 2010, la difesa regionale evidenzia come – ai sensi degli
artt. 25 e 26 della legge della Regione Calabria 19 ottobre 1992, n. 20
(Forestazione, difesa del suolo e foreste regionali in Calabria), istitutiva
dell’AFOR – al solo personale di cantiere si applichi la correlata specifica
contrattazione. Agli altri dipendenti (e quindi a coloro che sono soggetti al
trasferimento disposto dalla norma impugnata) si applicherebbe, invece, la
contrattazione nazionale e decentrata del Comparto Regioni EE.LL.
Pertanto,
la resistente conclude rilevando che nessun dipendente AFOR, avente
l’inquadramento di operaio idraulico-forestale, transiterà nei ruoli regionali,
e che i soli dipendenti oggetto di trasferimento sono già inquadrati presso
l’ente di provenienza in base alla contrattazione di comparto della Regione.
In
definitiva, la norma impugnata non avrebbe operato alcuna modifica del regime
contrattuale dei dipendenti AFOR, sicché la censura prospettata sarebbe
infondata.
3.3. —
Quanto alla questione avente ad oggetto l’art. 15 della legge reg. Calabria n.
34 del 2010, la resistente ribadisce di aver agito in conformità al parere reso
dal Comitato di consulenza giuridica della Giunta regionale in data 6 dicembre
2010, circa l’incidenza della sentenza n. 324 del
2010 della Corte costituzionale sui provvedimenti di conferimento di incarichi
dirigenziali a tempo determinato già adottati nei limiti di cui all’art. 10,
comma 4, della legge reg. Calabria n. 31 del 2002.
Secondo
il parere in questione, richiamato nella memoria della Regione, l’applicazione
ragionevole del principio di continuità delle funzioni amministrative consente
di escludere il venir meno degli effetti prodotti dai provvedimenti di
conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, adottati in base
alla normativa regionale precedente la citata sentenza n. 324 del
2010. Sempre a detta del Comitato di consulenza giuridica, nel caso di
specie trova applicazione il principio tempus
regit actum.
3.4. —
In relazione all’impugnativa proposta nei confronti dell’art. 49 della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010, la difesa regionale precisa che siffatta
disposizione è stata modificata, a seguito di contatti tra
In particolare, l’art. 1, comma 1, della legge reg. Calabria n. 25 del 2011
stabilisce che
Il comma
2 dello stesso art. 1 dispone: «Al fine di imporre gli obblighi di servizio
pubblico di cui al comma 1,
La resistente – sulla base delle anzidette modifiche, concordate con lo
Stato, ed in assenza di alcuna applicazione del censurato art. 49 nella sua
versione originaria – chiede sia dichiarata la cessazione della materia del
contendere. Qualora ciò non avvenga, la difesa regionale ribadisce quanto già
affermato nell’atto di costituzione riguardo alla propria ampia discrezionalità
in materia.
In ulteriore subordine, nel caso in cui non dovesse essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere in riferimento alla questione relativa
all’art. 49, e
4. — In
prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato
atto di rinunzia al ricorso, limitatamente agli artt. 11, comma 1, e 49 della
legge reg. Calabria n. 34 del 2010.
Considerato in diritto
1. — Il
Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità
costituzionale degli articoli 11, comma 1, 14, 15, 16, commi 1 e 5, 18, 29, 46,
49 e 50 della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2010, n. 34
(Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale –
Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2011. Articolo 3, comma
4, della legge regionale n. 8 del 2002), in riferimento, nel complesso, agli
artt. 3, 41, 51, 97, 117, primo, secondo e terzo comma, e 122, primo comma,
della Costituzione.
2. — Preliminarmente, deve essere
esaminata l’eccezione di inesistenza della notifica, sollevata dalla Regione
Calabria sull’assunto che nei giudizi di costituzionalità non troverebbe
applicazione l’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n.
69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività nonché in materia di processo civile).
2.1. — La norma citata consente
all’Avvocatura dello Stato di eseguire la notificazione di atti civili,
amministrativi e stragiudiziali ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53
(Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per
gli avvocati e procuratori legali). Quest’ultima, a sua volta, legittima gli
avvocati ad eseguire direttamente la notificazione, senza l’intermediazione
dell’agente notificatore, anche mediante l’utilizzo del servizio postale.
Secondo
2.2. — L’eccezione non è fondata.
Innanzitutto, deve essere disatteso
l’assunto del «carattere derogatorio e quindi di stretta interpretazione»
dell’art. 55 della legge n. 69 del 2009. Trattasi, piuttosto, di norma a
carattere generale che eccettua dal suo ambito di applicazione solo gli atti
giudiziari penali.
Quanto agli atti relativi ai giudizi di
costituzionalità, essi sono compresi nella formula dell’art.
Né risulta pertinente il riferimento,
come elemento di comparazione, alle norme sulla sospensione feriale dei
termini, che, com’è stato più volte ribadito da questa Corte, non trovano
applicazione nei giudizi di costituzionalità. Infatti, la mera somiglianza dei
dati letterali posti a raffronto non consente di pervenire alle medesime
conclusioni. In particolare, quanto alla sospensione feriale dei termini,
questa Corte ha ritenuto tale istituto non applicabile al processo
costituzionale, «in considerazione delle peculiari esigenze di rapidità e
certezza cui il medesimo processo deve rispondere» (ancora di recente, sentenza n. 46 del
2011).
La medesima finalità è perseguita dalla
norma che estende la possibilità della notifica a mezzo del servizio postale
anche all’Avvocatura dello Stato; l’art. 55 della legge n. 69 del 2009
risponde, infatti, ad un’esigenza di rapidità e di semplificazione delle
modalità di notifica, che è particolarmente avvertita nei giudizi di
costituzionalità.
Pertanto, il rinvio operato dall’art. 22
della legge n. 87 del 1953, da un lato, e la ratio della norma di cui
all’art. 55 della legge n. 69 del 2009, dall’altro, depongono a favore
dell’applicabilità del citato art. 55 anche ai giudizi di costituzionalità, con
il conseguente rigetto dell’eccezione sollevata dalla Regione resistente.
3. — Sempre in via preliminare, devono
essere esaminate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11,
comma 1, e 49 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010. Entrambe le questioni
sono state, infatti, oggetto di rinunzia al ricorso da parte del Presidente del
Consiglio dei ministri, dopo che le relative disposizioni sono state modificate
dal legislatore regionale, successivamente all’impugnazione.
In particolare, l’art. 11 della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010 è stato modificato dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 10 agosto 2011, n. 31 (Modifica
dell’articolo 11, comma 1, della legge regionale n. 34 del 2010 –
Partecipazione della Regione Calabria alla Società «Progetto Magna Graecia»), mentre l’art. 49 è
stato implicitamente abrogato dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 18 luglio 2011, n. 25 (Modificazioni
all’articolo 49 della legge regionale 29 dicembre 2010, n. 34). Per entrambe le questioni, la difesa regionale,
nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha chiesto sia dichiarata
la cessazione della materia del contendere, per effetto della mancata
applicazione della norma originaria.
La giurisprudenza di questa Corte ha più
volte affermato che la dichiarazione di rinuncia non accettata, pur non potendo
comportare l’estinzione del processo, può fondare, unitamente ad altri
elementi, una dichiarazione di cessazione della materia del contendere (ex plurimis, sentenze n. 199,
n. 179 e n. 52 del 2010;
ordinanze n. 159
e n. 126 del
2010). Nel caso in esame, le due norme impugnate, in relazione alle quali
il ricorrente ha depositato atto di rinunzia, non hanno avuto medio tempore
attuazione; inoltre, le modifiche operate dal legislatore regionale in
relazione agli artt. 11 e 49 possono ritenersi satisfattive
delle pretese avanzate col ricorso.
Pertanto, avuto riguardo anche al
complessivo comportamento processuale delle parti, può essere dichiarata
cessata la materia del contendere, in relazione al ricorso proposto dal
Presidente del Consiglio dei ministri, limitatamente agli artt. 11, comma 1, e
49.
4. — Il Presidente del Consiglio dei
ministri, pur richiamando tra le norme impugnate l’intero art. 14 della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010, censura sostanzialmente il comma 1 del detto
articolo, ritenendolo in contrasto con l’art. 97 Cost. è pertanto al solo comma 1 che occorre circoscrivere il sindacato
di legittimità costituzionale.
4.1. — La questione è fondata.
La disposizione impugnata prevede che
«nelle more dell’attuazione complessiva» di quanto disposto dall’art. 4, comma
7, della legge della Regione Calabria 11 maggio 2007, n. 9 (Provvedimento
generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – Collegato alla
manovra di finanza regionale per l’anno 2007, art. 3, comma 4, della legge
regionale n. 8 del 2002), disciplinante il trasferimento alla Regione dei
dipendenti addetti ai servizi amministrativi dell’Azienda forestale regionale
(AFOR),
Per intendere il senso della censura, è
necessario soffermarsi sul contesto normativo in cui la disposizione sopra
citata si colloca.
La legge della Regione Calabria 19
ottobre 1992, n. 20 (Forestazione, difesa del suolo e foreste regionali in
Calabria) ha, tra l’altro, istituito l’AFOR (Azienda Forestale della Regione
Calabria). Il personale dell’AFOR era composto da operai idraulico-forestali e
da dipendenti addetti ai servizi amministrativi. I primi, ai sensi degli artt.
25 e 26 della suddetta legge, rivestivano le qualifiche e ricoprivano i livelli
previsti dai contratti di lavoro vigenti; ai secondi si applicava la
contrattazione nazionale e decentrata del Comparto Regioni-Enti locali.
L’art. 4 della legge reg. Calabria n. 9
del
4.2. — Alla luce di quanto sopra, si
deduce che l’odierna questione di legittimità costituzionale riguarda i soli
dipendenti addetti ai servizi amministrativi, per i quali è stato previsto il
trasferimento alla Regione, mentre gli addetti ai lavori di sistemazione
idraulico-forestale sono stati assegnati alle Province.
Questa precisazione consente alla difesa
regionale di affermare che la norma oggi impugnata non innoverebbe rispetto a
quanto già previsto dalle leggi reg. Calabria n. 20 del 1992 e n. 9 del 2007,
poiché i lavoratori trasferiti sarebbero già inquadrati nel ruolo regionale. In
particolare,
L’interpretazione prospettata dalla
resistente non è condivisibile, poiché proprio il tenore letterale della
disposizione scrutinata dimostra la discontinuità rispetto alla normativa
regionale pregressa, sopra esaminata. La disposizione censurata contiene infatti
due precisazioni, che depongono per il senso ora indicato: 1) innanzitutto,
essa precisa che l’intervento legislativo si colloca «nelle more
dell’attuazione complessiva della norma» (di cui all’art. 4, comma 7, legge
reg. Calabria n. 9 del 2007) e non in semplice attuazione della stessa; 2) in
secondo luogo, la norma impugnata prevede che
In base alla ricostruzione appena
illustrata, si deve concludere per l’illegittimità costituzionale dell’art. 14,
comma 1, della legge reg. Calabria n. 34 del 2010, sulla base della
giurisprudenza costante di questa Corte, che ha circoscritto in modo rigoroso i
casi di deroghe al principio del pubblico concorso, sancito dall’art. 97, terzo
comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 52 del
2011 e n.
293 del 2009).
5. — L’art. 15 della legge reg. Calabria
n. 34 del 2010 così stabilisce: «Per eccezionali ragioni di continuità
nell’azione amministrativa restano validi gli incarichi dirigenziali conferiti,
per la copertura dei posti vacanti, in data anteriore al 17 novembre 2010, ai
sensi dell’articolo 10, commi 4, 4-bis e 4-ter, della legge regionale 7 agosto
2002, n. 31, nonché i consequenziali effetti giuridici».
Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna questa disposizione per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in quanto la stessa si porrebbe in contrasto con
l’art. 40, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009,
n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n.
5.1. — La questione è fondata.
Al riguardo, occorre precisare che la
norma da ultimo citata ha modificato l’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), aggiungendo il comma 6-ter, il quale dispone che i commi 6 e 6-bis
si applicano alle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del medesimo
decreto. Quest’ultima norma, a sua volta, stabilisce che per amministrazioni
pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato e, per quanto qui
interessa, le Regioni.
Posta tale premessa, si deve notare che
il comma 6 della stessa disposizione statale stabilisce, con riferimento agli
incarichi a soggetti esterni ai ruoli dell’amministrazione conferente, che la
durata di questi ultimi «non può eccedere, per gli incarichi di funzione
dirigenziale, di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri
incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni».
La suddetta normativa statale in materia
di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all’amministrazione è
stata ritenuta da questa Corte «riconducibile alla materia dell’ordinamento
civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché il
conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla
normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di
lavoro di diritto privato». Nella medesima pronuncia è statuito altresì che tra
i precetti rientranti nella materia dell’ordinamento civile, devono ritenersi
compresi anche quelli relativi alla «durata massima dell’incarico (e, dunque,
anche del relativo contratto di lavoro)» (sentenza n. 324 del
2010).
La conseguenza di quanto appena rilevato
è l’illegittimità costituzionale dell’art. 15 della legge reg. Calabria n. 34
del 2010, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
6. — I commi 1 e 5 dell’art. 16 della
legge reg. Calabria n. 34 del 2010 modificano il termine finale entro il quale
può essere disposta la stabilizzazione di alcune categorie di lavoratori
precari.
Entrambe le disposizioni sono impugnate
dal Governo perché si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali in
materia di coordinamento della finanza pubblica, contenuti nell’art. 17, comma
10, del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché
proroga di termini), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 3 agosto 2009, n. 102. Tale norma statale stabilisce: «Nel
triennio 2010-2012, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma
2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 […] possono bandire concorsi
per le assunzioni a tempo indeterminato con una riserva di posti, non superiore
al 40 per cento dei posti messi a concorso, per il personale non dirigenziale
in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, commi 519 e 558, della legge
27 dicembre 2006, n. 296 e all’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre
2007, n. 244». A loro volta, le disposizioni legislative richiamate dalla norma
da ultimo citata stabiliscono i requisiti di cui deve essere in possesso il
personale a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni, per poter essere
stabilizzato.
6.1. — La questione è fondata.
Questa Corte ha qualificato le norme
statali in materia di stabilizzazione dei lavoratori precari come principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, poiché si ispirano alla
finalità del contenimento della spesa pubblica nello specifico settore del
personale (ex plurimis, tra le più recenti,
sentenze numeri 108,
69 e 68 del 2011).
La proroga del termine finale sia del
piano di stabilizzazione previsto dall’art. 8 della legge della Regione
Calabria 30 gennaio 2001, n. 4 (Misure
di politiche attive dell’impiego in Calabria), sia dei piani di
stabilizzazione occupazionale dei lavoratori dei bacini di cui all’art. 2 della
legge della Regione Calabria 19
novembre 2003, n. 20 (Norme volte alla stabilizzazione occupazionale dei
lavoratori impegnati in lavori socialmente utili e di pubblica utilità), produce
l’effetto di sottrarre le suddette stabilizzazioni ai vincoli previsti
dall’art. 17, comma 10, del d.l. n. 78 del
Dalla difformità sopra illustrata
discende l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, commi 1 e 5, della legge
reg. Calabria n. 34 del 2010.
7. — L’art. 18 della legge reg. Calabria
n. 34 del 2010 dispone: «Per la copertura dei posti di qualifica dirigenziale
vacanti nei ruoli della Regione Calabria (Consiglio regionale e Giunta) si
procede tramite corso-concorso a cui possono partecipare i dipendenti regionali
in possesso dei requisiti previsti per l’accesso alla qualifica dirigenziale».
Tale disposizione è impugnata dal Governo per violazione degli artt. 3 e 97,
terzo comma, Cost.
La questione è fondata.
La giurisprudenza consolidata di questa
Corte in tema di deroghe al principio del pubblico concorso è nel senso di
«consentire la previsione di condizioni di accesso intese a consolidare
pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, purché
l’area delle eccezioni sia delimitata in modo rigoroso e subordinata all’accertamento
di specifiche necessità funzionali dell’amministrazione e allo svolgimento di
procedure di verifica dell’attività svolta dal dirigente» (sentenza n. 189 del
2011, in conformità, ex plurimis, sentenze n. 108
e n. 52 del 2011,
n. 195 del 2010,
n. 293 del 2009,
n. 363 del 2006).
Nella norma regionale censurata non sono
menzionate specifiche necessità funzionali – che non possono essere
identificate nella generica necessità di coprire posti vacanti – né, almeno in
via generale, le modalità di verifica da adottare nel «corso-concorso» in essa
previsto. Per tale motivo si deve concludere per l’illegittimità costituzionale
della predetta norma, in quanto restringe ai soli dipendenti regionali, senza
alcuna specificazione e giustificazione, l’accesso ai posti di qualifica
dirigenziale nell’amministrazione della Regione Calabria.
8. — L’art. 29 della legge reg. Calabria
n. 34 del 2010, che introduce l’art. 4-bis nel testo della legge della
Regione Calabria 29 dicembre 2008, n. 42 (Misure in materia di energia
elettrica da fonti energetiche rinnovabili) è impugnato in quanto – prevedendo
una serie di privilegi per gli enti pubblici, gli enti locali ed i consorzi di
sviluppo industriale, che intendano proporre iniziative energetiche da fonti
rinnovabili – si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali in materia
di energia, nonché con gli artt. 3, 41 e 117, primo e terzo comma, Cost. Il
principio fondamentale asseritamene violato sarebbe quello per cui la
produzione di energia, anche da fonti rinnovabili, deve avvenire in regime di
libero mercato concorrenziale, incompatibile con riserve, monopoli e privilegi
pubblici.
8.1. — La questione è fondata.
Il ricorrente non indica una precisa
norma statale contenente il principio del libero mercato concorrenziale in
materia di produzione dell’energia, ma si limita ad indicare genericamente la
normativa statale in materia: decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato
interno dell’energia elettrica), e decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia
elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità). Si deve tuttavia
osservare che il principio fondamentale richiamato dal ricorrente permea tutta
la normativa statale e, ancor prima, la normativa comunitaria, cui il
legislatore italiano ha dato attuazione. L’esigenza che la produzione e la
distribuzione dell’energia siano realizzate in un regime di libera concorrenza
è particolarmente avvertita nel caso di energia prodotta da fonti rinnovabili,
sia perché la quantità di energia prodotta è di gran lunga inferiore rispetto a
quella derivante da altre fonti, sia perché la normativa comunitaria ha imposto
precise quote minime di produzione, che, in assenza di libera concorrenza,
rischierebbero di essere assorbite da pochi operatori, in grado di realizzare
veri e propri monopoli nei diversi territori.
Una conferma della necessità che la
produzione di energia sia svolta in regime di libera concorrenza si trae dalla
giurisprudenza di questa Corte sulle misure di compensazione in materia di
energia prodotta da fonti rinnovabili. In particolare, è stato precisato che
«la costruzione e l’esercizio di impianti per l’energia eolica sono libere
attività d’impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della
Regione», e che sono illegittime le previsioni di «oneri e condizioni a carico
del richiedente l’autorizzazione che si concretizzano in vantaggi economici per
Dalle considerazioni che precedono viene
in evidenza l’illegittimità costituzionale dell’art. 29 della legge reg.
Calabria n. 34 del 2010, per violazione degli artt. 117, primo e terzo comma, e
41 Cost., poiché le misure previste si traducono in una distorsione del mercato
nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili.
9. — L’art. 46 della legge reg. Calabria
n. 34 del 2010 dispone: «Anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 4
legge 154 del 1981 e dall’art. 65 d.lgs. n. 267 del 2000 le cariche di
Presidente e Assessore della Giunta provinciale e di Sindaco e Assessore dei
comuni compresi nel territorio della Regione sono compatibili con la carica di
Consigliere regionale. Il Consigliere regionale che svolge contestualmente
anche l’incarico di Presidente o Assessore della Giunta Provinciale, di Sindaco
a Assessore Comunale deve optare e percepire solo una indennità di carica».
Il ricorrente denuncia la violazione
dell’art. 122, primo comma, Cost., in relazione all’art. 65 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), dell’art. 117, secondo comma, lettera p),
Cost. e dell’art. 51, primo comma, Cost.
9.1. — La questione è fondata.
Occorre notare che l’art. 65, comma 1,
del d.lgs. n. 267 del 2000 stabilisce: «Il presidente e gli assessori provinciali,
nonché il sindaco e gli assessori dei comuni compresi nel territorio della
Regione, sono incompatibili con la carica di consigliere regionale».
La fondatezza dell’odierna questione,
prima ancora che dalla violazione di una specifica prescrizione normativa,
discende dal contrasto con il principio ispiratore, che sta a fondamento sia
dell’art. 65 del d.lgs. n. 267 del 2000, sia dell’art. 3 della legge n. 165 del
2004. Tale principio consiste, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
«nell’esistenza di ragioni che ostano all’unione nella stessa persona delle
cariche di sindaco o assessore comunale e di consigliere regionale e nella
necessità conseguente che la legge predisponga cause di incompatibilità idonee
a evitare le ripercussioni che da tale unione possano derivare sulla
distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali e, in
ultima istanza, sull’efficienza e sull’imparzialità delle funzioni». Sul
divieto di cumulo degli incarichi, questa Corte ha peraltro precisato: «Non la
regola dell’art. 65 del decreto legislativo n. 267 del 2000 […] deve assumersi
come limite alla potestà legislativa regionale, ma il principio ispiratore di
cui essa è espressione» (sentenza n. 201 del
2003). Questa Corte ha inoltre dichiarato l’illegittimità costituzionale di
norme, nella parte in cui non prevedono come causa di incompatibilità la
sopravvenienza di una carica costituente causa di ineleggibilità, confermando
così la validità generale del principio di non cumulo (sentenze n. 277 del
2011 e n.
143 del 2010).
Con riferimento al caso di specie, si
deve notare che il principio di non cumulo – il quale, come detto sopra, sta
alla base sia dell’art. 65 del d.lgs. n. 267 del 2000, sia dell’art. 3 della
legge n. 165 del 2004 – è integralmente disatteso dalla norma regionale
impugnata, che stabilisce invece l’opposto principio della generale
compatibilità delle cariche di consigliere regionale e presidente o assessore
provinciale, sindaco o assessore comunale.
L’art. 46 della legge reg. Calabria n.
34 del 2010 deve essere, per i motivi sopra esposti, dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 122, primo comma, e
51 Cost., in quanto contraddice, in materia di incompatibilità, un principio
generale contenuto nelle norme legislative statali prima citate, e lede, al
contempo, il principio di eguaglianza tra i cittadini nell’accesso alle cariche
elettive.
10. — L’art. 50 della legge reg.
Calabria n. 34 del 2010 fissa il calendario venatorio regionale e contiene una
disciplina delle specie cacciabili.
Le suddette eccezioni non sono fondate.
La prima non è fondata perché questa
Corte ha più volte affermato che il venir meno degli effetti della norma non
esclude il sindacato di costituzionalità della stessa, che trova una specifica
ragion d’essere nell’esigenza di ristabilire il corretto riparto di competenze
tra Stato e Regioni.
La seconda eccezione non è fondata
perché dalla formulazione della norma impugnata si deve ritenere che la stessa
abbia trovato applicazione nella stagione venatoria 2010/2011. Detta
applicazione, infatti, non richiede alcun particolare adempimento. Non si
comprende pertanto su quali basi
La norma in questione è impugnata dal
Governo per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in quanto, ponendosi in contrasto con quanto stabilito dall’art. 18 della legge
11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio), sarebbe invasiva della competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente.
10.1. — La questione è fondata.
La difesa statale, pur riconoscendo che
i termini di cui al comma 1 del citato art. 18 della legge n. 157 del 1992
possono essere modificati per determinate specie in relazione alle situazioni
ambientali delle diverse realtà territoriali (art. 18, comma 2, della stessa legge),
si duole del fatto che
Nella norma regionale impugnata il
parere di cui sopra non è previsto. Ne consegue la violazione delle norme
statali interposte, che stabiliscono standard
minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale. Tale
violazione si traduce, a sua volta, nella violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., secondo la giurisprudenza consolidata di
questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 191 del
2011, n. 315
del 2010).
per questi motivi
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 14, comma 1, 15, 16, commi
1 e 5, 18, 29, 46 e 50 della legge della Regione Calabria 29 dicembre 2010, n.
34 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale –
Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2011. Articolo 3, comma
4, della legge regionale n. 8 del 2002);
2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 11, comma 1, e 49 della legge reg. Calabria n. 34
del 2010, promosse, in riferimento agli artt. 117, primo, secondo comma,
lettere e), g) e s), e terzo comma, della Costituzione,
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21
novembre 2011.
F.to:
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