SENTENZA N. 199
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, e degli artt. 4, 6, comma 1, lettera c), e 8, comma 5, della legge della Regione Calabria 23 aprile 2009, n. 15 (Norme per l’esercizio delle attività di pescaturismo e ittiturismo), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 7-10 luglio 2009, depositato in cancelleria il 14 luglio 2009 ed iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2009.
Visto l’atto di costituzione della Regione Calabria;
udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Graziano Pungì per la Regione Calabria.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 7-10 luglio 2009 e depositato il 14 luglio 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) e s), e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, e degli artt. 4, 6, comma 1, lettera c), e 8, comma 5, della legge della Regione Calabria 30 (recte: 23) aprile 2009, n. 15 (Norme per l’esercizio delle attività di pescaturismo e ittiturismo).
In particolare, l’Avvocatura ritiene che l’art. 3, comma 4, nell’estendere la «disciplina di semplificazione dei procedimenti autorizzativi per l’esercizio» delle attività di pescaturismo e di ittiturismo alle imprese di acquacoltura, «senza prevedere norme di salvaguardia in materia di valutazione di impatto ambientale», introdurrebbe una deroga non prevista dalla normativa statale a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, determinando in questo modo una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Sul punto il ricorrente precisa che, sebbene la legge regionale non contempli una definizione di acquacoltura, ad essa «è certamente riconducibile l’attività di piscicoltura per la quale» il combinato disposto dell’art. 7, comma 4, e dell’art. 1, lettera e), dell’allegato IV al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) prevede «procedure di impatto ambientale limitatamente ai progetti che abbiano una superficie complessiva eccedente i 5 ettari».
Ad avviso della difesa dello Stato, anche gli artt. 4, 6, comma 1, lettera c), e 8, comma 5, dell’indicata legge della Regione Calabria, nella parte in cui «subordinano l’esercizio delle attività di pescaturismo e di ittiturismo alla iscrizione in appositi elenchi regionali», previa «presenza di un attestato di frequenza con esito positivo di corsi formativi organizzati dalla Regione», violerebbero l’art. 117, terzo comma, della Costituzione che attribuisce alla competenza legislativa concorrente Stato-Regioni la materia «professioni».
Osserva, infatti, il ricorrente che, sebbene le Regioni abbiano competenza legislativa residuale in materia di «turismo», il settore delle professioni turistiche ricade nella materia «professioni» e, pertanto, sulla base della consolidata giurisprudenza costituzionale, spetta allo Stato l’individuazione dei titoli necessari per l’esercizio di una determinata attività professionale turistica, nonché l’istituzione dei relativi albi ed elenchi.
Infine, le disposizioni regionali da ultimo indicate, sempre a giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri, violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, poiché, introducendo limitazioni «al libero svolgimento dell’attività di pescaturismo e di ittiturismo, si risolvono […] in una lesione del principio della libera prestazione dei servizi, nonché della libera concorrenza».
2. – Con atto depositato in data 3 agosto 2009 si è costituita in giudizio la Regione Calabriaconcludendo per la declaratoria di inammissibilità e di infondatezza delle questioni.
Con riferimento alla censura riguardante l’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 15 del 2009, la resistente ritiene che il ricorrente sia incorso in un’erronea interpretazione della disposizione impugnata; il legislatore regionale si sarebbe, infatti, limitato ad «estendere alle imprese di acquacoltura la possibilità di svolgere le attività di pescaturismo e ittiturismo», senza tuttavia far venire meno gli obblighi previsti dalla legislazione statale riguardo all’acquacoltura, ivi compresa la previa acquisizione della VIA (valutazione di impatto ambientale).
Anche la seconda censura, relativa all’art. 4 ed agli artt. 6, comma 1, lettera c), e 8, comma 5, ad avviso della difesa regionale, sarebbe frutto di una «non corretta percezione del dato normativo». Secondo la Regione il ricorrente avrebbe erroneamente considerato le suddette disposizioni regionali come norme dirette a disciplinare le professioni turistiche. In realtà, premesso che ai sensi dell’art. 12 della legge 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell’agriturismo) l’attività di agriturismo è assimilata a quella di pescaturismo, la legge regionale impugnata si sarebbe limitata a dare attuazione alle disposizioni previste dalla citata legge statale in materia di agriturismo.
In particolare, la difesa regionale precisa che il certificato di abilitazione all’esercizio dell’attività di ittiturismo, di cui all’art. 4, comma 2, della legge regionale n. 15 del 2009, coinciderebbe con il certificato di abilitazione all’esercizio dell’attività di agriturismo di cui all’art. 7, comma 1, della citata legge statale n. 96 del 2006 che, tra l’altro, attribuirebbe alle Regioni il compito di disciplinarne le modalità di rilascio.
Allo stesso modo i corsi di formazione organizzati dalla Regione, ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge regionale n. 15 del 2009, e finalizzati al rilascio del succitato certificato di abilitazione, coinciderebbero con i corsi di preparazione di cui all’art. 7, comma 1, della menzionata legge statale n. 96 del 2006.
Pertanto, conclude la resistente, le norme regionali impugnate non avrebbero ad oggetto, come erroneamente ritenuto dal ricorrente, la disciplina di figure professionali nel settore turistico, bensì di attività economiche di tipo imprenditoriale.
Infine, quanto alla terza censura prospettata dal ricorrente e riferita all’asserito contrasto delle norme regionali da ultimo indicate con l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, la Regione resistente ne deduce l’inammissibilità per genericità.
3. – Con atto depositato il 23 marzo 2010, tenuto conto della delibera del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha dichiarato di rinunciare al ricorso, in quanto la Regione Calabria, con la legge regionale 28 dicembre 2009, n. 56 (Modifiche ed integrazioni alla Legge regionale 23 aprile 2009, n. 15 «Norme per l’esercizio di pescaturismo e ittiturismo»), ha in parte modificato e in parte abrogato le disposizioni impugnate.
4. – In prossimità dell’udienza, la Regione resistente ha depositato un atto con il quale ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, e degli artt. 4, 6, comma 1, lettera c), e 8, comma 5, della legge della Regione Calabria 30 (recte: 23) aprile 2009, n. 15 (Norme per l’esercizio delle attività di pescaturismo e ittiturismo).
L’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 15 del 2009 è impugnato per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nella parte in cui non prevede la valutazione d’impatto ambientale (VIA) per le imprese di acquacoltura. Ad avviso del ricorrente, infatti, l’attività di acquacoltura, essendo riconducibile a quella di piscicoltura, sarebbe sottoposta alla procedura di impatto ambientale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 7, comma 4, e 1, lettera e), dell’Allegato IV al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, poi, gli artt. 4, 6, comma 1, lettera c), e 8, comma 5, della medesima legge regionale, nella parte in cui stabiliscono, da un lato, che l’esercizio delle attività di pescaturismo e di ittiturismo sia subordinato alla iscrizione in appositi elenchi regionali; e dall’altro, che detta iscrizione sia possibile previo rilascio di un attestato di frequenza con esito positivo di corsi formativi organizzati dalla Regione. Le citate disposizioni contrasterebbero con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto, secondo costante giurisprudenza costituzionale, spetta allo Stato l’individuazione dei titoli per lo svolgimento delle attività professionali, nonché l’istituzione dei relativi albi.
Le norme regionali da ultimo indicate, prevedendo limitazioni all’esercizio delle attività di pescaturismo e di ittiturismo, risulterebbero, ad avviso del ricorrente, anche in contrasto con i principi della libera prestazione dei servizi e della libera concorrenza.
2. – Successivamente alla proposizione del ricorso col quale sono state sollevate le presenti questioni di legittimità costituzionale, la Regione Calabria, con legge regionale 28 dicembre 2009, n. 56 (Modifiche ed integrazioni alla Legge regionale 23 aprile 2009, n. 15 «Norme per l’esercizio di pescaturismo e ittiturismo»), ha in parte modificato e in parte abrogato le disposizioni impugnate.
3. – A seguito del citato jus superveniens, con atto depositato il 23 marzo 2010 e conforme alla deliberazione governativa del 12 marzo 2010 l’Avvocatura generale dello Stato, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, ha dichiarato di rinunciare al ricorso, in quanto l’intervenuto mutamento normativo ha fatto venire meno le ragioni della proposizione dello stesso.
4. – Alla predetta rinuncia non è, tuttavia, seguita una formale accettazione da parte della Regione Calabria.
Quest’ultima, con atto depositato in data 1° aprile 2010, ha chiesto infatti una declaratoria di cessazione della materia del contendere.
Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la rinuncia non regolarmente accettata, pur non determinando l’estinzione del processo, può fondare, unitamente ad altri elementi, una dichiarazione di cessazione della materia del contendere per carenza di interesse del ricorrente (da ultimo, ex plurimis, ordinanze nn. 126 e 117 del 2010).
Nel caso in esame, tenuto conto che le norme censurate non hanno avuto medio tempore attuazione – come affermato nell’atto depositato dalla resistente in prossimità dell’udienza – e che il succitato intervento normativo può ritenersi satisfattivo delle pretesa avanzata col ricorso, anche alla luce del contenuto dell’atto di rinuncia, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara cessata la materia del contendere.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2010.