Sentenza n. 277 del 2011

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SENTENZA N. 277

ANNO 2011

 

 

Commenti alla decisione di

 

I. Federica Fabrizzi, La Corte costituzionale ed il cumulo dei mandati. Prime osservazioni su di una pronuncia (apparentemente?) risolutiva ma (volutamente?) 'zoppa', per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it

 

II. Nicola Durante, L’incompatibilità tra le cariche di parlamentare e di sindaco introdotta dalla Corte costituzionale: problematiche applicative, nella Rubrica “Studi e Commenti” di Consulta OnLine

 

III. Giulio Enea Vigevani, Il tramonto del parlamentare-sindaco, tra intervento a effetto differito del legislatore e pronuncia additiva della Corte, per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Alfio                            FINOCCHIARO                               Giudice

-           Franco                         GALLO                                                     "

-           Luigi                            MAZZELLA                                             "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                              "

-           Giuseppe                     TESAURO                                                "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                                        "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                      "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                           "

-           Paolo                           GROSSI                                                    "

-           Giorgio                        LATTANZI                                               "

-           Aldo                            CAROSI                                                    "

-           Marta                           CARTABIA                                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari); della legge della Regione siciliana 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l’applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere); della legge della Regione siciliana 26 agosto 1992, n. 7 (Norme per l’elezione con suffragio popolare del Sindaco. Nuove norme per l’elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l’introduzione della preferenza unica) e della legge della Regione siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per la elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale), promosso dal Tribunale civile di Catania nel procedimento vertente tra Salvatore Battaglia e Raffaele Stancanelli ed altri, con ordinanza del 10 dicembre 2010, iscritta al n. 46 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti l’atto di costituzione di Salvatore Battaglia nonché gli atti di intervento della Regione siciliana e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi gli avvocati Antonio Catalioto per Salvatore Battaglia, Paolo Chiapparrone per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un giudizio – promosso da un cittadino elettore nei confronti (tra l’altro) del sindaco del Comune di Catania, per accertare in capo al convenuto la sussistenza della causa di incompatibilità tra tale carica e quella di senatore della Repubblica Italiana, e conseguentemente dichiararne la decadenza dalla prima in mancanza di esercizio del diritto di opzione – il Tribunale civile di Catania, con ordinanza emessa il 10 dicembre 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale: a) degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, in presenza delle condizioni di cui all’art. 7, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), in combinato disposto con l’art. 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), che estende la disciplina delle ineleggibilità per la Camera dei deputati alle elezioni per il Senato della Repubblica; b) della legge Regione siciliana 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l’applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere), della legge Regione siciliana 26 agosto 1992, n. 7 (Norme per l’elezione con suffragio popolare del Sindaco. Nuove norme per l’elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l’introduzione della preferenza unica), e della legge Regione siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per la elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare nazionale e di sindaco di Comune con popolazione superiore ai ventimila abitanti e viceversa.

Il rimettente premette, in fatto, che il resistente (eletto sindaco del Comune di Catania, che ha una popolazione superiore ai 20.000 abitanti, nelle elezioni amministrative del 15 e 16 giugno 2008, successivamente quindi alla elezione del medesimo alla carica di senatore della Repubblica Italiana, all’esito delle elezioni politiche tenutesi in data 13 e 14 aprile 2008) ricopre entrambe le cariche senza avere esercitato l’opzione, in quanto la Giunta elettorale per il Senato nella seduta del 3 novembre 2009 ha dichiarato valida l’elezione di tutti i senatori eletti in Sicilia ed il Comitato per l’esame delle cariche rivestite dai senatori ha proposto all’assemblea di dichiarare compatibile con il mandato parlamentare la carica di sindaco del Comune di Catania. Dopodiché egli dà atto della infondatezza delle eccezioni di difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere dell’azione popolare proposta dal ricorrente (che non verte in materia coperta dalla riserva di autodichia di cui all’art. 66 Cost., giacché la qualità di deputato o senatore del soggetto che cumula le due cariche resta del tutto intangibile ed estranea alla specifica pronunzia invocata e viene in rilievo unicamente alla stregua di un presupposto esterno di applicazione della normativa in materia di incompatibilità dell’amministratore dell’ente locale, ferme ed impregiudicate restando tutte le prerogative costituzionali e sovrane del Parlamento garantite dalla Costituzione) e di improcedibilità del ricorso per tardività rispetto al termine previsto dall’art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), in quanto l’azione elettorale si colloca su un piano di assoluta autonomia rispetto alla delibera consiliare di convalida dell’elezione.

Il giudice a quo deduce, quindi, la rilevanza della questione sull’assunto che – sebbene la competenza normativa della Regione siciliana, in materia di cause di ineleggibilità e incompatibilità, costituisca espressione di una potestà normativa primaria, ai sensi degli artt. 14 e 15 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto delle Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, non potendo trovare applicazione la normativa statale relativa alle Regioni a statuto ordinario di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), né quella dettata con riferimento sempre alle Regioni a statuto ordinario dalla legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione) – tuttavia, nel caso di incompatibilità tra le predette cariche degli enti locali e la carica di parlamentare nazionale, la legislazione regionale siciliana non può operare, perché sussiste una riserva di legge statale, che l’art. 65 Cost. contempla espressamente al fine di assicurare una disciplina omogenea che rispetti e tuteli sia il principio di eguaglianza dei cittadini in tema di diritti politici che quello di unità dello Stato. Ne deriva quindi, secondo il rimettente, che le norme applicabili per la definizione della controversia in esame sono, anche nella Regione siciliana, in primo luogo quelle contenute nella legge statale censurata (che, come detto, prevede espressamente che non sono eleggibili alla carica di parlamentare nazionale i presidenti delle Province ed i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai ventimila abitanti, senza disciplinare l’ipotesi inversa di sopravvenienza della carica di sindaco rispetto a quella di membro del Parlamento) e poi quelle regionali, stante la doverosa e necessitata uniformità della previsione tassativa della cause di ineleggibilità ed incompatibilità in materia elettorale su tutto il territorio nazionale, che non consente alcuna discrezionalità in capo al legislatore regionale.

Preso atto, poi, del “diritto vivente” consolidatosi, a partire dal 2002, sulla base della prassi (peraltro ritenuta insindacabile ex art. 66 Cost.) seguita dalle Giunte per le elezioni di Camera e Senato – le quali (pur nella consapevolezza dell’esistenza di una lacuna legislativa dovuta alla mancata disciplina, nelle norme statali, della ipotesi di incompatibilità in esame) ritengono di non poterla colmare in via interpretativa, attraverso l’applicazione analogica delle disposizioni concernenti l’ineleggibilità, ostandovi il principio di tassatività delle cause d’ineleggibilità e incompatibilità e la considerazione che l’elettorato passivo rientra tra i diritti politici fondamentali del cittadino –, il rimettente rileva tuttavia che, dalla giurisprudenza anche risalente della Corte costituzionale, emerge la costante valorizzazione del principio cosiddetto di conversione delle cause di ineleggibilità sopravvenute in cause d’incompatibilità, onde colmare le eventuali lacune legislative (come da ultimo affermato nella sentenza n. 143 del 2010 proprio in tema di incompatibilità tra cariche elettive nella Regione Sicilia).

Pertanto, il giudice a quo deduce in primo luogo il contrasto delle disposizioni statali e regionali censurate con gli artt. 3 e 51 Cost. – espressivi della fondamentale esigenza, che non degrada la potestà legislativa regionale esclusiva a competenza concorrente, ma la limita e la impegna al rispetto del principio costituzionale che esige l’uniforme garanzia per tutti i cittadini, in ogni parte del territorio nazionale, del diritto fondamentale di elettorato attivo e passivo – giacché la mancata previsione del divieto di cumulo può comportare una disparità di trattamento tra la posizione di coloro che sono già parlamentari ed intendono candidarsi alla carica locale, sui quali non grava alcun obbligo, e coloro che, invece, sono titolari di un ufficio pubblico locale e intendono partecipare alla competizione elettorale per uno dei rami del Parlamento, sui quali grava l’obbligo di dimettersi preventivamente. Ciò, con lesione anche del principio di ragionevolezza, in quanto un soggetto non può assumere durante il proprio mandato uffici o cariche che gli avrebbero precluso l’eleggibilità rispetto a quello ricoperto per primo.

Inoltre, il rimettente denuncia la lesione dell’art. 67 Cost., in ragione della possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali (e segnatamente tra Comuni aventi una rilevante popolazione) ed organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del principio di libertà di mandato, per possibile conflitto di interessi tra l’impegno del deputato e quello di sindaco; nonché dell’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli uffici di sindaco di un Comune con rilevante popolazione e di parlamentare nazionale può ripercuotersi negativamente sull’efficienza e imparzialità delle funzioni cumulativamente esercitate.

2. – Si è costituito il cittadino elettore, ricorrente nel giudizio a quo, che – alla stregua di argomentazioni analoghe a quelle svolte nell’ordinanza di rimessione – ha concluso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme censurate, eventualmente da estendersi in via consequenziale alle medesime leggi nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità anche tra la carica di parlamentare e quella di presidente della Giunta provinciale.

3. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, in primo luogo, una declaratoria di inammissibilità della sollevata questione, in ragione del fatto che il rimettente richiede alla Corte una pronuncia additiva in materia coperta da riserva di legge, indicando una soluzione per nulla obbligata e comunque non scevra da implicazioni discrezionali (come dimostrato dai numerosi e differenti disegni di legge presentati in Parlamento).

Nel merito, l’Avvocatura deduce la non fondatezza della questione medesima, in quanto – esclusa la sussistenza di un principio costituzionale di “necessario parallelismo” tra cause originarie di ineleggibilità e cause sopravvenute di incompatibilità – nella specie neppure si riscontrerebbe la lamentata lesione delle esigenze di uniformità di disciplina in materia, in quanto la censurata normativa vige su tutto il territorio dello Stato. Peraltro, la difesa erariale rileva che il rimettente non ha tenuto conto della diversità del fondamento della previsione della ineleggibilità in Parlamento dei sindaci dei Comuni con più di ventimila abitanti (che si basa sulla tutela della libertà di voto e del corretto svolgimento della competizione elettorale nella “parità delle armi” dei contendenti, con esclusione di indebiti vantaggi, in termini di metus publicae potestatis ovvero di captatio benevolentiae, che possono derivare dalla carica rivestita nell’ente locale) rispetto al caso inverso del parlamentare che concorra all’elezione a sindaco, in cui indubbiamente si attenuano i pericoli di violazione del principio di imparzialità, per insorgenza di conflitti di interessi ed inefficienze tali da imporre, a livello costituzionale, la necessità di una previsione legislativa di incompatibilità.

4. – È intervenuta, altresì, la Regione siciliana, in persona del Presidente pro-tempore, deducendo, con specifico riguardo alle sole norme regionali impugnate, l’inammissibilità della questione: a) per difetto di pregiudizialità in punto di rilevanza, poiché i dubbi sollevati dal rimettente si riferiscono alla normativa statale che egli deve applicare; b) perché posta in modo perplesso, in quanto lo stesso rimettente dubita dell’applicabilità delle norme regionali, affermando la necessità di disciplinare la materia in maniera uniforme a livello nazionale; c) per omessa indicazione dei parametri statutari che sarebbero stati violati; d) per difetto di motivazione, in quanto le censure si riferiscono alla normativa statale e solo apoditticamente e senza specifica motivazione anche a quella regionale.

Nel merito la Regione conclude per la non fondatezza della questione non avendo essa competenza legislativa in materia di incompatibilità fra la carica di parlamentare nazionale e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai ventimila abitanti.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale civile di Catania censura – in riferimento agli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione – gli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, in presenza delle condizioni di cui all’art. 7, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), in combinato disposto con l’art. 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), che estende la disciplina delle ineleggibilità per la Camera dei deputati alle elezioni per il Senato della Repubblica.

Il medesimo Tribunale – stante la «doverosa e necessitata uniformità della previsione tassativa delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità in materia elettorale su tutto il territorio nazionale» – censura altresì la legge della Regione siciliana 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l’applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere), la legge della Regione siciliana 26 agosto 1992, n. 7 (Norme per l’elezione con suffragio popolare del Sindaco. Nuove norme per l’elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l’introduzione della preferenza unica), e la legge della Regione siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per la elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale), sempre nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare nazionale e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti e viceversa.

2. – Con riferimento ai medesimi parametri, il rimettente impugna quindi contestualmente (nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti) norme della legge statale sulle incompatibilità dei parlamentari e norme di leggi regionali in materia di elezioni amministrative.

In particolare, onde giustificare l’estensione delle censure anche a queste ultime leggi, il giudice a quo muove dall’assunto che – sebbene la competenza normativa della Regione siciliana, in materia di cause di ineleggibilità e incompatibilità, costituisca espressione di una potestà normativa primaria, ai sensi degli artt. 14 e 15 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto delle Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, non potendo trovare applicazione la normativa statale relativa alle Regioni a statuto ordinario di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), né quella dettata con riferimento sempre alle Regioni a statuto ordinario dalla legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione) – tuttavia, nel caso di incompatibilità tra le predette cariche degli enti locali e la carica di parlamentare nazionale, la legislazione regionale siciliana non può operare, perché sussiste una riserva di legge statale, che l’art. 65 Cost. contempla espressamente al fine di assicurare una disciplina omogenea che rispetti e tuteli sia il principio di eguaglianza dei cittadini in tema di diritti politici che quello di unità dello Stato. Ciò premesso, il rimettente ritiene che la questione di costituzionalità debba investire «innanzitutto» le norme della legge statale (che, come detto, prevede espressamente che non sono eleggibili alla carica di parlamentare nazionale i presidenti delle Province ed i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai ventimila abitanti, senza disciplinare l’ipotesi inversa di sopravvenienza della carica di sindaco rispetto a quella di membro del Parlamento) e poi anche quelle delle tre leggi regionali (in quanto affette dalla medesima lacuna): e queste ultime «sia laddove volesse ritenersi sussistente la competenza normativa regionale primaria, anche nella materia delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità degli amministratori degli enti locali che siano anche parlamentari nazionali», «sia in ragione della doverosa e necessitata uniformità della previsione tassativa della cause di ineleggibilità ed incompatibilità in materia elettorale su tutto il territorio nazionale».

2.1. – La difesa della Regione siciliana ha eccepito l’inammissibilità della questione riferita alle leggi regionali, sia per difetto di pregiudizialità in punto di rilevanza, in quanto i dubbi sollevati dal rimettente si riferiscono esclusivamente alla normativa statale; sia perché posta in modo perplesso, giacché è lo stesso giudice a quo a dubitare dell’applicabilità delle norme regionali, affermando tuttavia la necessità di disciplinare la materia in maniera uniforme a livello nazionale.

2.2. – Tali eccezioni sono fondate.

2.3. – Come sottolineato dal rimettente, questa Corte ha ripetutamente affermato che, in materia elettorale, la potestà legislativa della Regione siciliana differisce da quella delle Regioni ordinarie, dal momento che essa, ai sensi dell’art. 3, primo comma, e dell’art. 9, terzo comma, dello statuto speciale (sostituiti ad opera dell’art. 1 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2), è titolare di potestà legislativa di tipo primario, la quale deve peraltro svolgersi in armonia con la Costituzione e i princípi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché delle altre disposizioni dello statuto (da ultimo, sentenza n. 143 del 2010). Di modo che l’esercizio del potere legislativo anche da parte delle Regioni a statuto speciale in ámbiti, pur ad esse affidati in via primaria, che concernano la ineleggibilità e la incompatibilità alle cariche elettive, incontra necessariamente il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost. E che, di conseguenza (con specifico riferimento alla potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana in tema di ineleggibilità ed incompatibilità dei consiglieri degli enti locali, di cui agli artt. 14, lettera o, e 15, terzo comma, dello statuto speciale), la disciplina regionale d’accesso alle cariche elettive deve essere conforme ai princípi della legislazione statale, a causa della esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale, quale che sia la Regione di appartenenza (sentenza n. 288 del 2007), giacché proprio il principio di cui all’art. 51 Cost. svolge il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (ex art. 2 Cost.: sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990).

Questa Corte ha altresì affermato che – poiché l’art. 65 Cost., stabilendo che «la legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore», pone una precisa riserva di legge statale, essendo quindi precluso al legislatore regionale, anche se fornito come nel caso di specie di potestà legislativa primaria, di determinare le cause di incompatibilità (oltre che di ineleggibilità) con l’ufficio di deputato o di senatore – spetta solo allo Stato la competenza di stabilire i casi di incompatibilità con siffatte cariche (sentenze n. 456 del 2005, n. 127 del 1987 e n. 60 del 1966); ciò in quanto la statuizione di una incompatibilità presuppone logicamente la posizione di un divieto di cumulo di due uffici ed implica, di conseguenza, una incidenza anche se indiretta, sulla disciplina dell’uno e dell’altro, finendo inevitabilmente con il produrre un effetto che determina la violazione della competenza esclusiva dello Stato.

Orbene, nei termini in cui viene argomentata, la conclusione cui perviene il rimettente in ordine alla estensione del dubbio di costituzionalità anche alle leggi regionali risulta viziata sotto il duplice profilo della formulazione perplessa dell’assunto (svolto oltretutto in termini contraddittori rispetto alla riconosciuta sussistenza della riserva di legge statale) relativo alla possibile configurabilità di una competenza normativa regionale primaria in materia anche quando vengano coinvolte le cariche parlamentari nazionali; e della carente motivazione in ordine alla concreta necessità di applicare anche la normativa regionale per la definizione del giudizio a quo (laddove, evidentemente, il mero rilievo dato alla esigenza di uniformare sul territorio nazionale, incidendo anche sulla fonte regionale, la previsione delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità – oltre che nuovamente contraddire la premessa circa l’applicabilità, nella fattispecie, della sola norma statale – non è comunque argomento di per sé idoneo a sottrarre il giudice dal dovere di argomentare in ordine alla effettiva rilevanza di tale specifica questione nel giudizio a quo: sentenze n. 360, n. 294 e n. 281 del 2010).

3. – Il thema decidendum va dunque limitato al solo scrutinio degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 60 del 1953, censurati nella parte in cui non prevedono «l’incompatibilità tra la carica di Parlamentare e quella di Sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, in presenza delle condizioni di cui all’art. 7, lettera c), del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, in combinato disposto con l’art. 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, che estende la disciplina delle ineleggibilità per la Camera dei Deputati alle elezioni per il Senato della Repubblica».

3.1. – Il rimettente prende atto del “diritto vivente” consolidatosi, a partire dal 2002, sulla base della nuova prassi seguita dalle Giunte per le elezioni di Camera e Senato, le quali – pur nella consapevolezza dell’esistenza di una lacuna legislativa dovuta alla mancata disciplina, nelle norme statali, della ipotesi di incompatibilità in esame – affermano di non poterla colmare in via interpretativa (come in precedenza ritenuto da entrambe le Giunte parlamentari, con giurisprudenza costante risalente alla Prima legislatura), attraverso l’applicazione analogica delle disposizioni concernenti l’ineleggibilità, ostandovi il principio di tassatività delle cause d’ineleggibilità e incompatibilità e la considerazione che l’elettorato passivo rientra tra i diritti politici fondamentali del cittadino. Nel contempo, però, egli rileva che, dalla giurisprudenza anche risalente di questa Corte, emerge la costante valorizzazione del principio di parallelismo tra le cause di ineleggibilità sopravvenute e quelle d’incompatibilità, il quale di recente ha trovato affermazione, proprio in tema di incompatibilità tra cariche elettive nella Regione siciliana, nella sentenza n. 143 del 2010.

Secondo il rimettente, dunque, le disposizioni della censurata legge statale contrasterebbero in parte qua: a) con gli artt. 3 e 51 Cost., per violazione del principio costituzionale che esige l’uniforme garanzia per tutti i cittadini, in ogni parte del territorio nazionale, del diritto fondamentale di elettorato attivo e passivo, giacché la mancata previsione del divieto di cumulo può comportare una disparità di trattamento tra la posizione di coloro che sono già parlamentari ed intendono candidarsi alla carica locale, sui quali non grava alcun obbligo, e coloro che, invece, sono titolari di un ufficio pubblico locale e intendono partecipare alla competizione elettorale per uno dei rami del Parlamento, sui quali grava l’obbligo di dimettersi preventivamente; nonché per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto un soggetto non può assumere durante il proprio mandato uffici o cariche che gli avrebbero precluso l’eleggibilità rispetto a quello ricoperto per primo; b) con l’art. 67 Cost., in ragione della possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali (e segnatamente tra Comuni aventi una rilevante popolazione) ed organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del principio di libertà di mandato, per possibile conflitto di interessi tra l’impegno del deputato e quello di sindaco; c) con l’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli uffici di sindaco di un Comune con rilevante popolazione e di parlamentare nazionale può ripercuotersi negativamente sull’efficienza e imparzialità delle funzioni cumulativamente esercitate.

3.2. – L’Avvocatura dello Stato eccepisce l’inammissibilità della sollevata questione in ragione del fatto che il rimettente vorrebbe dalla Corte una pronuncia additiva in una materia coperta da riserva di legge, indicando una soluzione non obbligata e comunque non scevra da implicazioni discrezionali, come dimostrato dai numerosi disegni di legge presentati in questa legislatura in entrambi i rami del Parlamento.

L’eccezione non è fondata.

Invero, nel formulare la questione il rimettente si limita a richiedere l’adozione di una pronuncia additiva capace di eliminare il vulnus derivante dalla evidenziata lacuna normativa attraverso la trasposizione speculare della causa in esame (direttamente ricavata dal sistema delle ineleggibilità dei parlamentari) nell’ámbito delle altre cause di incompatibilità con tale carica elettiva indicate nei censurati articoli della legge n. 60 del 1953. Pertanto, la pronuncia richiesta a questa Corte non incide sul diverso profilo della operatività della nuova causa di incompatibilità, regolata come tutte le altre secondo le norme vigenti.

3.3. – Sotto altro profilo, va anche rilevato che l’art. 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari), prevede ora che: «fermo restando quanto previsto dalla legge 20 luglio 2004, n. 215, e successive modificazioni, le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo di cui all’articolo 1, comma 2, della citata legge n. 215 del 2004, sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, fermo restando quanto previsto dall’articolo 62 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Le incompatibilità di cui al primo periodo si applicano a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto. […]».

La espressa posticipazione alla prossima legislatura della operatività della nuova previsione di incompatibilità del parlamentare successivamente eletto sindaco rende lo ius superveniens privo di incidenza, ratione temporis, sulla sollevata questione. È tuttavia del pari evidente come la novellazione legislativa indichi una palese opzione per la introduzione di una simmetrica e corrispondente operatività fra condizioni di ineleggibilità e di incompatibilità, intesa a soddisfare proprio quella esigenza di “riequilibrio” atta a colmare quelle lacune legislative (segnalate anche dalle “prassi” adottate dalle Giunte per le elezioni di Camera e Senato di cui s’è fatto cenno) che il giudice a quo ha posto a fulcro delle proprie doglianze.

3.4. – Nel merito la questione è fondata.

L’art. 7, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 361 del 1957, recante il testo unico per l’elezione della Camera dei deputati, sancisce che: «Non sono eleggibili: […] c) i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti». A sua volta, l’art. 5 del decreto legislativo n. 533 del 1991, recante il testo unico per l’elezione del Senato della Repubblica, dispone che: «Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361».

Gli articoli da 1 a 4 della legge n. 60 del 1953 sulle incompatibilità parlamentari vengono censurati in quanto nulla prevedono, in termini di incompatibilità, per il caso in cui la identica causa di ineleggibilità sia sopravvenuta rispetto alla elezione a parlamentare. Ed a sostegno delle doglianze il rimettente richiama la sentenza n. 143 del 2010, nella quale questa Corte ha sottolineato (seppure in riferimento ad un differente contesto normativo e fattuale) come dalla legislazione statale in materia elettorale emerga la «previsione di un parallelismo tra le cause di incompatibilità e le cause di ineleggibilità sopravvenute, con riguardo all’esigenza, indicata dalla legge, di preservare la libertà nell’esercizio della carica» attraverso una tendenziale esclusione del co-esercizio con altra carica elettiva.

Si tratta dunque di verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore (che evidentemente produce in sé una indubbia incidenza sul libero esercizio del diritto di elettorato passivo) di escludere l’eleggibilità alla Camera o al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale.

La odierna valutazione della mancata previsione della causa di incompatibilità in oggetto deve quindi muoversi non solo sul versante ontologico riferito alla individuazione della diversità di ratio e di elementi distintivi proprî, per causa ed effetti, delle cause di ineleggibilità (e della conseguente limitazione dello jus ad officium, onde evitare lo strumentale insorgere di fenomeni di captatio benevolentiae e di metus publicae potestatis) rispetto a quelle di incompatibilità – incidenti sullo jus in officio, per scongiurare l’insorgere di conflitti di interessi – (sentenze n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988). L’analisi va viceversa condotta – in ossequio alla esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalità intrinseca altrimenti lesa – alla stregua di un criterio più propriamente teleologico, nel cui contesto va evidenziato «il naturale carattere bilaterale dell’ineleggibilità», il quale inevitabilmente «finisce con il tutelare, attraverso il divieto a candidarsi in determinate condizioni, non solo la carica per la quale l’elezione è disposta, ma anche la carica il cui esercizio è ritenuto incompatibile con la candidatura in questione» (sentenza n. 276 del 1997).

Tale profilo finalistico non può trovare attuazione se non attraverso l’affermazione della necessità che il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n. 201 del 2003). Poiché in ultima analisi le cause di ineleggibilità e di incompatibilità si pongono quali strumenti di protezione non soltanto del mandato elettivo, ma anche del pubblico ufficio che viene ritenuto causa di impedimento del corretto esercizio della funzione rappresentativa, il potere discrezionale del legislatore di introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione di cumulo tra le due cariche «trova un limite nella necessità di assicurare il rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la conseguente incostituzionalità di previsioni che ne rappresentino una sostanziale elusione» (sentenza n. 143 del 2010).

In assenza di una causa normativa (enucleabile all’interno della legge impugnata ovvero dal più ampio sistema in cui la previsione opera) idonea ad attribuirne ragionevole giustificazione, la previsione della non compatibilità di un munus pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione. Tanto più che la regola della esclusione “unidirezionale” viene in concreto fatta dipendere, quanto alla sua effettiva operatività, dalla circostanza – meramente casuale – connessa alla cadenza temporale delle relative tornate elettorali ed alla priorità o meno della assunzione della carica elettiva “pregiudicante” a tutto vantaggio della posizione del parlamentare; da ciò la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza ma anche della stessa libertà di elettorato attivo e passivo.

3.5. – Pertanto, gli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 60 del 1953 devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.

3.6. – Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura formulati dal rimettente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l’applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere); della legge della Regione siciliana 26 agosto 1992, n. 7 (Norme per l’elezione con suffragio popolare del Sindaco. Nuove norme per l’elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l’introduzione della preferenza unica) e della legge della Regione siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per la elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale), sollevata – in riferimento agli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione – dal Tribunale civile di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2011.