SENTENZA N. 60
ANNO 1966
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 19 settembre 1963, n. 28, promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1964 dalla Giunta provinciale amministrativa di Trento su ricorso di Lucchi Orlando, iscritta al n. 9 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 13 marzo 1965 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Trentino-Alto Adige n. 12 del 23 marzo 1965.
Visto l'atto di intervento del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige;
udita nell'udienza pubblica del 16 marzo 1966 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;
udito l'avv. Aldo Attardi, per il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige.
Ritenuto in fatto
1. - Il senatore Orlando Lucchi, eletto il 31 maggio 1964 consigliere comunale ad Arco (Provincia di Trento), venne dichiarato decaduto, in applicazione del disposto dell'art. 8 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 19 settembre 1963, n. 28, per non aver rassegnato le dimissioni dalla carica di senatore entro dieci giorni dall'elezione. L'interessato propose ricorso al Consiglio comunale e, in sede di impugnativa della decisione di rigetto, adì in sede giurisdizionale la Giunta provinciale amministrativa di Trento.
Con ordinanza del 18 dicembre 1964 la G.P.A., accogliendo l'eccezione sollevata dal ricorrente, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 8 della legge regionale 19 settembre 1963, n. 28, e di conseguenza ha sospeso il giudizio ed ha rimesso gli atti a questa Corte.
2. - Nell'ordinanza si osserva che la competenza attribuita alla Regione dall'art. 5, n. 1, dello Statuto (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5) deve essere esercitata in armonia con la Costituzione, la quale riserva alla legge sia la disciplina dei requisiti necessari per accedere, in condizione di eguaglianza, alle cariche elettive (art. 51), sia la determinazione dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di membro del Parlamento (art. 65); e tale riserva, come si deduce anche da precedenti decisioni di questa Corte (sentenza n. 4 del 1956 e n. 105 del 1957), deve intendersi riferita alla legge statale dal momento che si tratta di limitazioni ai diritti politici dei cittadini. Il giudice a quo rileva poi che lo Stato ha dettato norme in tema di elettorato comunale con la legge 22 febbraio 1952, n. 72, nella quale si rinvia, per quanto riguarda l'elettorato attivo e passivo, alle norme contenute nei capitoli secondo e terzo del titolo secondo nonché all'art. 98 del T.U. delle leggi per le elezioni comunali approvato con D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203, sicché si potrebbe perfino dubitare della legittimità costituzionale dell'intera legge regionale 6 aprile 1956, n. 5 e delle successive modifiche. Ad ogni modo, si osserva, anche ad ammettere la sussistenza di una competenza regionale, questa dovrebbe pur sempre rispettare i principi stabiliti nella legislazione statale, la quale si limita a sancire l'incompatibilità tra l'ufficio di deputato o di senatore e la carica di sindaco di comune con popolazione superiore ai ventimila abitanti (art. 7 del T.U. approvato con D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361).
L'ordinanza, ritualmente notificata alle parti e al Presidente della Giunta regionale e comunicata al Presidente del Consiglio regionale, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 13 marzo 1965 e nel Bollettino Ufficiale della Regione Trentino-Alto Adige n. 12 del 23 marzo 1965.
3. - Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente della Giunta regionale, rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Attardi.
Nell'atto di costituzione (depositato il 13 febbraio 1965) ed in una successiva memoria (depositata il 2 marzo 1966) la Regione contesta la fondatezza della questione, ed in particolare osserva:
1) L'art. 65, comma primo, della Costituzione dispone indubbiamente una riserva di legge statale, ma la materia alla quale la disposizione si riferisce attiene alle incompatibilità ordinate a garanzia delle funzioni parlamentari, mentre la norma regionale impugnata sancisce un'incompatibilità diretta a garantire esclusivamente il retto esercizio delle funzioni di consigliere comunale. Se, infatti, si guarda all'ufficio ad assicurare il cui funzionamento l'incompatibilità risulta statuita, si deve concludere che l'art. 8 della legge regionale 19 settembre 1963, n. 28 ha per oggetto non già un'incompatibilità parlamentare, ma un'incompatibilità comunale.
2) L'ambito della materia "ordinamento dei comuni e delle province", sulla quale la Regione può legiferare in forza dell'art. 5 n. 1 dello Statuto, comprende sia l'organizzazione che il funzionamento di tali enti, come si evince da numerose altre norme statutarie (artt. 7, 14, 54, 56, 69 e 70), e deve necessariamente ritenersi che l'ente competente a disciplinare il funzionamento dei Comuni é del pari competente ad assicurare che i consiglieri comunali non si trovino in condizioni tali da compromettere il corretto esercizio delle funzioni loro affidate. D'altra parte sarebbe assurdo ammettere che la legge regionale possa fissare i casi di ineleggibilità e nel contempo escludere che possa disciplinare il meno severo istituto dell'incompatibilità. L'art. 54 dello Statuto - che impone l'emanazione di norme atte ad assicurare la rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici nella costituzione degli organi degli enti pubblici locali - non significa affatto che alla Regione sia ivi conferita una specifica competenza in materia elettorale riguardante il solo territorio di Bolzano, giacché la norma chiaramente presuppone che altra norma statutaria attribuisce ad essa la più ampia competenza in materia di elettorato comunale in genere.
3) La riserva stabilita dall'art. 51 della Costituzione, come si evince dalla sentenza n. 105 del 1957 con la quale la Corte accertò la competenza della Regione siciliana a disciplinare le elezioni comunali, non si può considerare come riserva assoluta di legge statale nei confronti della competenza attribuita alla Regione dall'art. 5, n. 1 dello Statuto.
4) Per quanto riguarda l'eguaglianza di trattamento richiesta dallo stesso art. 51 si rileva che la statuizione di casi di incompatibilità non tocca minimamente la capacità del cittadino ad accedere alle cariche pubbliche, ma riguarda solo l'esercizio delle funzioni a queste inerenti. Come é dimostrato dall'esegesi di numerose norme costituzionali, l'incompatibilità é cosa ben diversa dall'ineleggibilità, perché la prima attiene alla posizione giuridica dell'eletto, la seconda, invece, all'esclusione dall'elettorato passivo. E nei casi in cui alcune norme statutarie - art. 17 Statuto sardo, art. 15 Statuto Friuli-Venezia Giulia - riservano allo Stato la disciplina e dell'ineleggibilità e delle incompatibilità, ciò non avviene perché si tratti di istituti di analogo contenuto. L'incompatibilità rientra nella materia elettorale perché regola la permanenza degli effetti dell'elezione e non costituisce limitazione di un diritto, ma onere di scelta: onere che, in conformità a quanto rilevato dalla Corte nella sentenza n. 42 del 1961, sarebbe pienamente legittimo anche se lo si volesse ritenere pertinente alla materia dell'elettorato passivo.
5) Circa il rispetto dei principi stabiliti dalla legge dello Stato, la Regione rileva anzitutto che l'art. 2 della legge n. 72 del 1952 non rinvia affatto a disposizioni statali che disciplinino le incompatibilità. Per quanto riguarda poi l'osservazione secondo la quale nella legislazione statale si rinvenirebbe solo la meno drastica norma sull'incompatibilità fra l'ufficio di membro del Parlamento e la carica di sindaco di comune con popolazione superiore ai ventimila abitanti, va considerato che la disposizione riguarda le elezioni parlamentari e che, comunque, la norma regionale impugnata non limita affatto l'accesso dei parlamentari alle cariche comunali. D'altra parte la specifica disposizione statale citata dal giudice a quo non può assurgere a principio che condizioni la potestà regionale, la quale non é tenuta a conformarsi sic et simpliciter a singole norme, ma deve rispettare, secondo quanto la stessa Corte ha affermato, i criteri generali ai quali si informa una determinata disciplina statale. E non solo va rilevato che alla legislazione, anche del passato, é ben nota la figura dell'incompatibilità, ma é anche da aggiungere che la preoccupazione di evitare nell'esercizio delle pubbliche funzioni la commissione di interessi di enti diversi é espressa nella stessa Costituzione, la quale dichiara la incompatibilità fra l'appartenenza ad un Consiglio regionale e l'appartenenza ad una Camera del Parlamento o ad altro Consiglio regionale (art. 122, comma secondo, della Costituzione), e ciò a garanzia dell'autonomia degli enti minori: autonomia che a maggior ragione va assicurata ai comuni.
4. - Nella discussione orale la difesa della Regione ha illustrato le tesi già svolte negli scritti difensivi ed ha concluso chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1. - L'art. 8 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 19 settembre 1963, n. 28, stabilisce l'incompatibilità della carica di consigliere comunale con quella di senatore, di deputato o di consigliere regionale; commina la decadenza dalla prima ove entro dieci giorni l'eletto non rassegni le dimissioni dalla seconda, e proibisce a quest'ultimo di partecipare alle sedute del Consiglio durante la pendenza del termine assegnato per l'opzione.
La disposizione, come chiaramente risulta dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione, é denunziata per la sola parte che riguarda il divieto di cumulo dell'ufficio di consigliere comunale con l'ufficio di senatore o di deputato.
2. - In linea di principio é da ritenere che nell'attribuzione di potestà legislativa sull'ordinamento di un ente sia compresa la competenza a dettar norme in tema di incompatibilità, giacché all'ordinamento si riferisce - secondo quanto la Corte (cfr. sentenza n. 13 del 1961) ebbe ad affermare ad altro proposito - ogni disciplina che attenga al funzionamento dell'ente: e tale é senza dubbio quella relativa al divieto del contemporaneo esercizio di due funzioni che possano fra loro in qualche modo interferire con la conseguente lesione degli interessi pubblici a tutela dei quali l'incompatibilità viene sancita. E pertanto - a prescindere dal più ampio problema se alla Regione Trentino-Alto Adige sia attribuita, ed in quali limiti, potestà legislativa in tema di elezioni comunali - la statuizione di casi di incompatibilità con l'ufficio di consigliere comunale rientra nella materia dell'"ordinamento dei comuni", devoluta alla Regione ai sensi dell'art. 5, n. 1, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5.
Ciò posto, é tuttavia da esaminare - ovviamente in via pregiudiziale rispetto all'esame dei limiti che la potestà regionale incontra nei principi stabiliti dalle leggi dello Stato - se la specifica incompatibilità introdotta dalla norma denunziata non sia sottratta alla competenza regionale dalle disposizioni costituzionali (art. 51 e art. 65: questo ultimo per evidente errore materiale indicato nell'ordinanza come art. 56), delle quali il giudice a quo prospetta la violazione.
3. - L'art. 51 della Costituzione, a garanzia di un fondamentale principio di democrazia, stabilisce che tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
La difesa della Regione sostiene che il precetto contenuto nella citata disposizione sarebbe stato richiamato a torto dall'ordinanza di rimessione, e ciò perché la statuizione di cause di incompatibilità in nessun modo riguarderebbe la regolamentazione dell'accesso alla carica di consigliere comunale.
Tale tesi non può essere seguita. Se é vero, infatti, che l'incompatibilità, a differenza dell'ineleggibilità, non incide sul rapporto di elettorato né spiega alcuna influenza sulla validità dell'elezione, ciò non significa che la sua disciplina non debba conformarsi alla norma contenuta nell'art. 51 della Costituzione, giacché per una evidente ragione logica non si può ritenere che la Costituzione abbia voluto imporre l'osservanza del principio di eguaglianza nel momento elettorale e lasciare poi all'arbitrio del legislatore la regolamentazione dei casi di decadenza dalla carica conseguita attraverso le elezioni. L'art. 51 in verità non ha altro significato che quello di ribadire con particolare vigore quel principio che già in forza dell'art. 3 deve informare l'intero ordinamento in tutte le sue manifestazioni, e perciò la norma non può non riguardare ogni vicenda relativa alla preposizione del cittadino ad una carica elettiva.
Risulta evidente a questo punto che al fine della delimitazione della competenza dello Stato e della competenza della Regione la riserva di legge disposta dall'art. 51 deve essere valutata in relazione al precetto sostantivo contenuto nella norma costituzionale: si deve, cioè, necessariamente concludere - conformemente a quanto già risulta dalla sentenza n. 105 del 1957 - che la riserva é da riferirsi alla legge statale tutte le volte in cui il riconoscimento di una potestà legislativa alla Regione, consentendo un regime differenziato per situazioni eguali, metterebbe in pericolo l'eguaglianza di tutti i cittadini. E tanto é a dirsi del caso oggetto del presente giudizio. Stabilire infatti se possa sussistere incompatibilità tra le funzioni di membro del Parlamento e le funzioni di consigliere comunale (e, cioè, di componente dell'organo rappresentativo di un ente che non é peculiare dell'ordinamento regionale, ma appartiene all'ordinamento generale) non può che rientrare, anche per i comuni siti nel territorio della Regione, nella competenza esclusiva dello Stato, perché ammettere una potestà regionale in materia significa - come la disposizione in esame dimostra - compromettere quel fondamentale principio di eguaglianza che l'art. 51 della Costituzione vuol salvaguardare e consentire la violazione dell'unità dello Stato che specialmente in tema di diritti politici é esigenza fondamentale dello stesso regime democratico (cfr. sentenza n. 26 del 1965).
4. - La norma impugnata é illegittima anche perché solo allo Stato spetta la competenza a stabilire casi di incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore.
La difesa della Regione non contesta che la riserva disposta dall'art. 65 della Costituzione sia una riserva di legge dello Stato, ma assume che la fattispecie disciplinata dalla legge regionale non corrisponderebbe a quella regolata dalla norma costituzionale: si fa osservare, infatti, che mentre l'art. 65 della Costituzione si riferisce ai casi di incompatibilità con la carica di senatore o di deputato, l'art. 8 della legge regionale 19 settembre 1963, n. 28, attiene invece all'incompatibilità con la carica di consigliere comunale.
É certamente esatto che per stabilire in quale direzione operi l'incompatibilità occorre aver riguardo all'ufficio rispetto al quale essa é preordinata; ed é del pari non contestabile che nel caso in esame il legislatore regionale ha voluto esclusivamente tutelare l'interesse ad un corretto esercizio delle funzioni connesse alla carica di consigliere comunale. Queste considerazioni non sono tuttavia decisive, perché in ogni caso la statuizione di una incompatibilità presuppone logicamente la posizione di un divieto di cumulo di due uffici ed implica, di conseguenza, una incidenza anche se indiretta, sulla disciplina dell'uno e dell'altro. L'art. 65 della Costituzione é da intendersi perciò nel senso che non é consentito che una fonte diversa dalla legge statale possa comunque vietare il cumulo di due cariche, delle quali una sia quella di membro del Parlamento: la legge regionale impugnata, elevando l'ufficio di deputato e di senatore a causa di incompatibilità con quello di consigliere comunale, finisce inevitabilmente con l'introdurre un effetto che si ricollega al primo e ciò facendo viola l'esclusiva competenza dello Stato. Né giova rilevare che l'opzione concessa dalla legge rimette in definitiva alla libera scelta dell'interessato la conservazione dell'una o dell'altra carica: va infatti considerato che in una disciplina siffatta non entra in gioco solo l'interesse e la posizione del singolo ma anche l'interesse dell'organo alla sua composizione, e deve essere osservato che, ove il deputato o il senatore opti per la carica di consigliere comunale, le sue dimissioni trovano il loro motivo unico e determinante nel precetto imposto dalla Regione. Il che conferma che la legge in esame viene a spiegare effetti in una materia che, estranea alla competenza regionale, non può essere disciplinata che dalla legge dello Stato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 19 settembre 1963, n. 28, contenente "modifiche alla legge regionale 6 aprile 1956, n. 5, sulla composizione ed elezione degli organi delle amministrazioni comunali", nella parte in cui stabilisce che la carica di consigliere comunale é incompatibile con quella di senatore e di deputato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1966.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO
Depositata in cancelleria il 10 giugno 1966.