SENTENZA N. 26
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione del Trentino-Alto Adige, concernente "Modifiche alla legge regionale 20 agosto 1952, n. 24, sulla elezione del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige", riapprovata dal Consiglio regionale il 7 ottobre 1964, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 28 ottobre 1964, depositato nella Cancelleria della Corte costituzionale il 31 successivo ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1964.
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige;
udita nell'udienza pubblica del 3 febbraio 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l'avv. Giorgio Franco, per il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 28 ottobre 1964 il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato il disegno di legge concernente "Modifiche alla legge regionale 20 agosto 1952, n. 24, sulla elezione del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige", riapprovato, ai sensi dell'art. 49 dello Statuto speciale della detta Regione, dal Consiglio regionale il 7 ottobre 1964 e comunicato al Commissario del Governo il 13 ottobre successivo.
Il disegno di legge impugnato con l'art. 1 stabilisce che sono elettori per l'elezione del Consiglio regionale i cittadini italiani i quali, essendo iscritti nelle liste elettorali di un Comune delle due provincie di Trento o Bolzano, compilate a norma della legge regionale 20 agosto 1952, n. 24, risiedano, nel giorno della votazione, da almeno tre anni ininterrottamente nel territorio della Regione.
Con l'art. 2 stabilisce che il sindaco, entro dieci giorni dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del decreto di convocazione dei comizi elettorali, deve compilare un elenco di coloro che, pur essendo iscritti nelle liste elettorali, non possono raggiungere il requisito della residenza ininterrotta ai sensi dell'articolo precedente, e prevede la trasmissione entro i cinque giorni successivi dell'elenco stesso, in duplice copia, alla Commissione elettorale comunale, la quale, dopo operata la revisione di sua competenza, trasmette una copia dell'elenco alla Commissione elettorale mandamentale e l'altra al sindaco, che deve curarne la pubblicazione mediante avviso del deposito dell'elenco medesimo per otto giorni nella segreteria comunale.
Avverso l'iscrizione nell'elenco é ammesso reclamo alle Commissioni elettorali da parte di ogni elettore, nel termine di pubblicazione. La Commissione mandamentale, poi, sulla scorta dell'elenco approvato dalla Commissione comunale, ed in base alle decisioni adottate sui ricorsi pervenuti, depenna in via definitiva dalla copia delle liste sezionali destinate alla votazione i nominativi degli elettori rimasti ancora compresi nell'elenco.
Con l'art. 3, infine, la legge impugnata, completando la descritta disciplina elettorale, stabilisce che il sindaco, nelle prime ore del giorno fissato per la votazione, e comunque prima dell'inizio delle operazioni di voto, consegna al presidente dell'ufficio elettorale un elenco degli elettori che, essendo iscritti nelle liste della Sezione, revisionate dalla Commissione elettorale mandamentale, hanno tuttavia trasferito la loro residenza fuori del territorio della Regione nel periodo compreso fra la data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali ed il giorno della votazione.
2. - Rileva nel ricorso l'Avvocatura che l'art. 19 dello Statuto Trentino-Alto Adige, dopo avere stabilito sia il sistema elettorale da seguire nella Regione - proporzionale a suffragio universale diretto e segreto - sia il numero dei consiglieri da eleggere e la ripartizione territoriale dei collegi, autorizza eccezionalmente la Regione a fissare con propria legge le ulteriori modalità delle elezioni, prevedendo - in deroga all'art. 48, sesto comma, della Costituzione, secondo cui il diritto di elettorato attivo può essere limitato solo con legge dello Stato e per determinati motivi - che possa stabilirsi il requisito "della residenza nel territorio della Regione per un periodo ininterrotto non superiore ai tre anni".
Trattandosi di limitazione eccezionale che, come tale, postula una interpretazione restrittiva, e versandosi in materia non compresa fra quelle elencate nell'art. 4 dello Statuto, la potestà così attribuita alla Regione dovrebbe, secondo l'Avvocatura, considerarsi solo secondaria e, come tale, da esercitarsi nei limiti dei principi stabiliti dalle singole leggi dello Stato. Di conseguenza la Regione avrebbe potuto soltanto determinare, a norma del richiamato art. 19 dello Statuto, il periodo di residenza necessario per esercitare l'elettorato attivo nelle elezioni regionali, e non, come invece ha fatto con l'art. 1 dell'impugnato disegno di legge, apportare modificazioni o aggiunte, tra le quali appunto sarebbe da inquadrare il requisito della residenza anche nel giorno della votazione. Con ciò la Regione avrebbe derogato ai principi di cui agli artt. 10 e 11 della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, privando i cittadini italiani nati o residenti nella Regione delle potestà opzionali riconosciute a tutti dall'ordinamento giuridico nazionale. Cosicché l'art. 1 in definitiva sarebbe, secondo l'Avvocatura, in contrasto con gli artt. 3 della Costituzione e 4 e 19 dello Statuto Trentino-Alto Adige, oltre che con le citate disposizioni della legge n. 1058 del 1947.
Quanto all'art. 2, osserva l'Avvocatura che, mentre il primo e il secondo comma, disciplinando l'aggiornamento delle liste in relazione al periodo triennale di residenza, come sopra stabilito dall'art. 1, incorrono nei vizi di illegittimità costituzionale già lamentati, il terzo ed il quarto comma violerebbero i principi della citata legge 7 ottobre 1947, n. 1058, sotto il duplice profilo della previsione di due organi diversi per la decisione dei ricorsi contro l'inclusione negli elenchi degli esclusi dal voto, e della esclusione dell'azione popolare, ammessa invece per principio generale, informativo di tutto il contenzioso in materia elettorale.
L'art. 3, infine, sarebbe affetto da analoghi vizi e violerebbe inoltre l'art. 25 della medesima legge n. 1058 del 1947, conferendo al sindaco l'anomalo potere di modificare le liste approvate dalle Commissioni elettorali.
Conclude il ricorso per la dichiarazione di illegittimità costituzionale e il conseguente annullamento dell'impugnato disegno di legge.
3. - La Regione, previa delibera del Consiglio regionale in data 29 ottobre 1964, si é costituita in giudizio, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Feliciano Benvenuti e Giorgio Franco, i quali hanno depositato nella cancelleria della Corte, il 17 novembre 1964, le proprie deduzioni, notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri il precedente giorno 13.
Osserva anzitutto la difesa della Regione che la Regione stessa ha competenza legislativa esclusiva in materia elettorale, data la relativa completezza ed autonomia del sistema adottato nello Statuto speciale.
Comunque, il carattere esclusivo della competenza legislativa in materia elettorale deriverebbe anche dall'art. 4 dello Statuto speciale, giacché tale articolo attribuisce alla Regione la potestà di emanare norme legislative in materia di ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto. Ciò comprenderebbe anche la materia elettorale in considerazione del fatto che i Consigli regionali sarebbero appunto uffici della Regione, e la relativa potestà legislativa rientrerebbe nella più generale potestà organizzatoria della Regione. La potestà legislativa regionale in materia elettorale non potrebbe quindi trovare altro limite se non quello della conformità ai principi costituzionali, di cui appunto all'art. 4 dello Statuto speciale. Verrebbe perciò meno il presupposto di diritto su cui si articola l'impugnativa del disegno di legge in esame.
Passando ad esaminare i singoli motivi di doglianza, osserva la difesa della Regione che, se l'art. 1 della legge regionale ha imposto il requisito della residenza nel territorio regionale nel giorno della votazione, ciò ha fatto in puntuale attuazione di quanto é disposto dall'art. 19, ultimo comma, dello Statuto. Infatti la residenza ininterrotta ivi richiesta avrebbe la sua ragion d'essere nell'intento di far partecipare alla vita dell'amministrazione regionale coloro che possono vantare una certa stabilità di rapporti ed un certo attuale inserimento nella vita della Regione, requisiti che ovviamente non potrebbero sussistere in chi, pur avendo risieduto a lungo nella Regione, da essa si trasferisce proprio nell'imminenza della votazione. Non potrebbe parlarsi, quindi, di violazione degli artt. 10 e il della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, perché i relativi principi sarebbero già stati derogati dall'art. 19, ultimo comma, dello Statuto.
La impugnativa contro i primi due commi dell'art. 2 del disegno di legge in esame, correlativi all'art. 1, sarebbe resistita poi dalle argomentazioni come sopra svolte per sostenere l'infondatezza delle doglianze mosse contro l'art. 1 medesimo; mentre i vizi attribuiti nel ricorso al terzo e quarto comma sarebbero pure infondati, giacché la pretesa forma anomala dei ricorsi troverebbe la sua giustificazione nel carattere esclusivo della competenza legislativa regionale in materia elettorale, che soffrirebbe soltanto i limiti dei precetti costituzionali e dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, coi quali ovviamente non contrasterebbe la specifica disciplina prevista nei citati commi terzo e quarto dell'art. 2.
Riguardo alla disciplina dell'azione popolare sostiene la difesa della Regione che, poiché essa rientra indubbiamente nella materia elettorale, si sarebbe in presenza di un oggetto che la legge ben poteva regolare con i limiti derivanti dall'art. 19 e dall'art. 4, n. 1, dello Statuto.
Le considerazioni che precedono, secondo la stessa difesa, varrebbero altresì a destituire di fondamento gli addebiti mossi all'art. 3, che, oltre tutto, si presenterebbe come necessario completamento della disciplina sancita dall'art. 1, al fine di garantirne l'integrale applicazione.
Conclude la difesa della Regione chiedendo che il ricorso sia respinto.
4. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa con cui insiste nelle tesi già prospettate e, in particolare, riafferma il carattere concorrente della potestà legislativa della Regione Trentino-Alto Adige in materia elettorale, attraverso una disamina sistematica delle disposizioni della Costituzione (artt. 117 e 122) e degli altri Statuti speciali regionali, dalla quale disamina emergerebbe che a nessuna Regione a Statuto ordinario o speciale é riconosciuta potestà legislativa primaria o esclusiva in materia di elezioni del Consiglio regionale e soprattutto di elettorato attivo o passivo.
Inoltre l'Avvocatura esclude che - come vorrebbe invece la difesa della Regione - possa comprendersi anche la materia elettorale nella potestà organizzatoria attribuita alla competenza legislativa regionale dall'art. 4, n. 1, dello Statuto speciale. Osserva che il Consiglio regionale - come il Presidente e la Giunta - é organo di rilevanza costituzionale e non ufficio della Regione, e che questa distinzione trova fondamento negli artt. 97, 55, 83 e 92 della Costituzione, che distinguono appunto gli uffici della pubblica Amministrazione dagli organi dello Stato.
Anche dal raffronto fra le disposizioni di cui agli artt. 117 e 122 della Costituzione e fra le disposizioni di vari articoli degli Statuti speciali, che disciplinano separatamente e distintamente, da un lato, il potere legislativo regionale in materia di ordinamento degli uffici, e, dall'altro la stessa potestà in materia elettorale, emergerebbe la infondatezza della tesi regionale in esame, la quale, invece, tenderebbe ad identificare, nella sostanza, le due potestà. Senza dire che se l'ordinamento degli uffici regionali previsto dall'art. 4, n. 1, dello Statuto Trentino-Alto Adige comprendesse anche la materia delle elezioni, non avrebbero più senso gli artt. 19 e 42 dello Statuto stesso, che appunto tale materia espressamente disciplinano.
Un ulteriore aspetto di illegittimità costituzionale infine l'Avvocatura prospetta, osservando che il requisito della residenza da almeno un triennio nel territorio regionale nel giorno della votazione colpisce quegli elettori che si siano trasferiti temporaneamente a causa di lavoro o per altri ragionevoli motivi; onde sussisterebbe la violazione del principio di eguaglianza, anche per non avere la legge regionale tenuto conto dei detti motivi, e non avere così differenziato, nel trattamento, ipotesi indubbiamente differenziate nella sostanza.
5. - Nell'udienza del 3 febbraio 1965 le difese delle parti hanno illustrato le rispettive tesi ed hanno insistito nelle prese conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Per risolvere la controversia in esame deve decidersi, anzitutto, la questione concernente la portata e i limiti della potestà legislativa della Regione Trentino-Alto Adige in materia elettorale.
Mentre il ricorso, infatti, si fonda essenzialmente sull'affermazione che tale potestà, non rientrando nell'ambito dell'art. 4 dello Statuto speciale, dovrebbe necessariamente configurarsi come potestà legislativa "secondaria", soggetta quindi ai limiti dei principi delle leggi dello Stato a norma dell'art. 5 dello Statuto, la difesa della Regione ritiene, invece, che si tratterebbe di competenza legislativa piena, come tale soggetta, ai sensi dell'art. 4, ai principi costituzionali e dell'ordinamento giuridico. Sostiene, anzi, che la potestà in esame potrebbe ritenersi compresa nella norma del n. 1 dell'art. 4, che stabilisce la competenza della Regione per l'ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto.
2. - Sembra opportuno sgombrare subito il terreno da quest'ultimo assunto.
L'ordinamento degli uffici della Regione, di cui al n. 1 dell'art. 4, e del personale addetto, non può riguardare il Consiglio, il Presidente e la Giunta, che sono organi della Regione, ed organi di rilevanza costituzionale, e non uffici, come agevolmente può argomentarsi anche dalla Costituzione che distingue gli organi dello Stato (artt. 55, 83 e 92) dagli uffici della pubblica Amministrazione (art. 97), e come in tal senso e in via generale risulta da vari articoli degli Statuti speciali (artt. 3, lett. a, e 17 dello Statuto sardo; 24, lett. p. e 3 dello Statuto siciliano; 2, lett. a, e 16 dello Statuto Valle d'Aosta; 4, n. 1, e 5, n. 1, dello Statuto Friuli-Venezia Giulia).
3. - Per risolvere la questione non sembra che essa possa essere posta con riferimento all'art. 5 o all'art. 4 dello Statuto speciale, così come fanno, dai rispettivi punti di vista, le parti in causa.
Invero, come l'ambito della potestà legislativa regionale non é desumibile soltanto dagli articoli degli Statuti che espressamente elencano le materie affidate alla competenza regionale, non si esaurisce cioè nelle materie ivi indicate, ma si estende ad altre previste da diverse disposizioni statutarie (ad es. la materia tributaria, di bilancio, di referendum, di controllo sugli enti locali); così, in particolare, per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige, la competenza legislativa regionale non risulta esclusivamente dagli artt. 4 e 5 dello Statuto, ma viene completata dalle disposizioni di vari articoli dello Statuto medesimo (ad es. 7, 53, 56, 64, 65, 69 e 81) e, in particolare dell'art. 19, che aggiunge appunto la materia elettorale.
Onde la ricerca dei limiti di tale potestà legislativa non va tanto effettuata tenendo presenti quelli previsti dagli artt. 4 e 5 dello Statuto, e discutendo sulla loro estensibilità alla materia elettorale, bensì va orientata verso il riconoscimento e la determinazione di quei limiti che, comunque vogliano essere definiti, emergono necessariamente dalla peculiarità della materia singola, rapportata alle esigenze fondamentali che informano la vita dello Stato, nel cui ambito le autonomie regionali si muovono, purché resti salva l'unità politica dello Stato consacrata dall'art. 5 della Costituzione. Questo precetto più spiccatamente, e necessariamente, si concreta nella unitarietà dei principi ispiratori dell'attività pubblica, che tende al conseguimento dei fini essenziali per la conservazione e lo sviluppo del gruppo espresso dallo Stato. In relazione a questi concetti la Corte costituzionale ha rilevato che, per una esigenza logica, prima che giuridica, il regolamento dell'esercizio dei diritti politici deve risultare da leggi dello Stato, in quanto é lo Stato che presiede all'equilibrio generale degli interessi dei cittadini (sentenza n. 105 del 1957). Si spiega perciò come lo Statuto in esame doveva contenere apposita norma per regolare il diritto elettorale per la Regione, e in relazione appunto a quei fini unitari va stabilita la portata della norma medesima e vanno intesi i limiti della potestà legislativa della Regione in materia elettorale.
Bene pertanto é stato in proposito dalla prevalente dottrina osservato che i principi stabiliti dalle norme che regolano l'elettorato sia attivo che passivo, attenendo all'attuazione del principio democratico, su cui si fonda la vita dello Stato, non possono essere derogati dalle leggi regionali, specie nel caso in cui queste, apportando modifiche ai principi medesimi, vengano a comprimere i modi di attuazione della democrazia.
Né é possibile, secondo la tesi sostenuta dalla difesa della Regione, restringere la sostanza dei limiti della potestà legislativa regionale in materia elettorale solo ai principi costituzionali, con esclusione degli altri principi stabiliti al riguardo dalle leggi statali, assumendosi che, in tal modo, non verrebbe toccata l'unità politica dello Stato, sufficientemente garantita dall'osservanza dei principi costituzionali. Giova in contrario osservare che le leggi statali in materia di diritti politici, e particolarmente in materia elettorale, sono leggi di attuazione della Costituzione, la quale al riguardo si limita ad enunciare soltanto criteri di massima, non compiutamente definiti; e pertanto non si vede come potrebbe ritenersi salvaguardata l'unità politica dello Stato in presenza di leggi regionali regolanti, in modo diverso da quanto il legislatore statale ha stabilito, una materia che, come si é affermato incide sulla garanzia della libertà democratica del Paese.
4. - Quanto si é detto spiana la via per l'esame della legittimità della legge impugnata.
Secondo la legge dello Stato (7 ottobre 1947, n. 1058) l'elettore può essere ammesso ad esercitare il diritto di voto nel domicilio elettorale anche se abbia trasferito la sua residenza prima del giorno della votazione. Ciò si evince chiaramente dal disposto degli artt. 10 e 11 della citata legge n. 1058, che riconoscono appunto tale facoltà e ne disciplinano l'esercizio. L'art. 1 del disegno di legge impugnato pone invece, inderogabilmente, il requisito della residenza nel territorio regionale "nel giorno della votazione"; si costituisce così una disciplina restrittiva dell'esercizio del diritto di voto rispetto a quella risultante dalle leggi dello Stato, e si incide in modo sostanziale sulla consistenza dell'elettorato attivo, toccando quindi uno dei punti essenziali della disciplina stessa. D'altra parte affermare, come fa la difesa della Regione, che questa restrizione sarebbe conseguenza necessaria della ratio della norma statutaria di cui all'ultimo comma dell'art. 19, che prevede il requisito di un periodo minimo di residenza nella Regione per poter votare, e vorrebbe con ciò far partecipare alla vita della Regione solo chi può vantare una certa stabilità ed attualità di rapporto con essa, ma fino all'ultimo giorno, significa restringere arbitrariamente il contenuto della norma, che pur si ispira a motivi analoghi a quelli in base ai quali trova la sua giustificazione la facoltà di opzione prevista dalla ricordata legge statale n. 1058 del 1947.
L'art. 1 impugnato, contrastando pertanto, con la riferita restrizione, con i principi della legge dello Stato, é da ritenere costituzionalmente illegittimo.
5. - Per quanto concerne il primo ed il secondo comma dell'art. 2 del disegno di legge impugnato, poiché essi costituiscono una disciplina strettamente collegata e conseguenziale alla restrizione ora rilevata, incorrono indubbiamente nello stesso vizio.
6. - Altrettanto può dirsi per il terzo e quarto comma, i quali prevedono la facoltà di ricorso contro gli elenchi degli esclusi dal voto in base al requisito della residenza così come previsto dall'art. 1.
Può però aggiungersi che é fondato anche l'altro motivo di doglianza sollevato in proposito dal Presidente del Consiglio, col porre in rilievo l'anomalia della disciplina dei ricorsi ivi disposta.
Stabiliscono le norme in esame che l'elettore, entro un certo termine "può produrre tanto alla Commissione elettorale comunale quanto alla Commissione elettorale mandamentale documentato reclamo per ottenere la eventuale cancellazione dall'elenco. La Commissione mandamentale, sulla scorta dell'elenco approvato dalla Commissione comunale, ed in base alle decisioni adottate sui reclami eventualmente pervenuti, depenna i nominativi degli elettori rimasti ancora compresi nelle liste sezionali". Esattamente osserva l'Avvocatura che si é così introdotta la competenza di due organi diversi per la decisione dei ricorsi, in contrasto con quanto prescrive, in materia, la legge elettorale statale. La stessa difesa della Regione, che si limita, anche su questo punto, a ribadire la propria interpretazione della portata della potestà legislativa regionale nel campo elettorale, che già si é più sopra dimostrata infondata, non nega il contrasto.
In realtà la menzionata norma regionale, forse a cagione della sua non perfettamente chiara formulazione, si presta alla interpretazione prospettata dall'Avvocatura, specie in considerazione della mancanza di ogni indicazione relativa all'organo decidente dei ricorsi, la cui produzione é invece prevista in modo alternativo all'una o all'altra delle Commissioni elettorali.
Si profila così una ulteriore causa di illegittimità costituzionale della norma in esame, che si discosta dal regime statale delle impugnative in materia elettorale.
7. - Infine é illegittimo anche l'art. 3, impugnato, che rappresenta l'integrazione della disciplina degli iscritti nelle liste elettorali che abbiano trasferito la residenza fuori del territorio della Regione nel periodo compreso fra la data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del decreto di convocazione dei comizi elettorali ed il giorno di votazione.
E ciò anche prescindendo dalla considerazione che il potere affidato da quella norma al Sindaco di procedere all'aggiornamento delle liste secondo i criteri già descritti, escludendo i cittadini che egli affermi trasferiti nel giorno della votazione, costituisce una sostanziale deroga a quanto stabilisce in materia la legge elettorale statale, in base alla quale sono riservate alle Commissioni elettorali le attribuzioni di maggior rilievo, e comunque quelle che comportano apprezzamenti e decisioni di merito, restando affidati al Sindaco i compiti di ridotta importanza e di carattere prevalentemente esecutivo, quali la pubblicazione di manifesti, la trasmissione di atti, le notificazioni ecc. (vedi artt. 15 e 16 della legge elettorale).
Con il che emerge, anche sotto questo profilo, il contrasto dell'art. 3 impugnato con la legislazione statale.
8. - Quanto precede dimostra la illegittimità dell'intera legge, e pertanto non é necessario passare all'esame degli altri motivi dedotti col ricorso, e cioé il contrasto col principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, e il mancato inserimento, nella legge stessa, dell'azione popolare.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale della legge della Regione del Trentino-Alto Adige concernente "Modifiche alla legge regionale 20 agosto 1952, n. 24, sulla elezione del Consiglio regionale del Trentino - Alto Adige", riapprovata dal Consiglio regionale il 7 ottobre 1964.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 6 aprile 1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 14 aprile 1965.