SENTENZA N.539
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO, Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, del disegno di legge approvato in data 28 luglio 1990 dall'Assemblea regionale siciliana, avente per oggetto: < Norme modificative ed integrative della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e delle leggi regionali 23 gennaio 1957, n. 2; 27 dicembre 1969, n. 52 e 5 marzo 1979 n. 18, in materia di disciplina del collocamento o di organizzazione del mercato del lavoro. Norme integrative dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, concernente attività di utilità collettiva in favore dei giovani>, promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Sicilia, notificato il 3 agosto 1990, depositato in cancelleria il 10 agosto successivo ed iscritto al n. 58 del registro ricorsi 1990.
Visto l'atto di costituzione della Regione Sicilia;
udito nell'udienza pubblica del 27 novembre 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo;
uditi l'Avvocato dello Stato Sergio La Porta, per il ricorrente, e l'avv. Enzo Silvestri per la Regione.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso, notificato il 3 agosto 1990, il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana impugnava l'art. 18, secondo comma, del disegno di legge recante "Norme modificative ed integrative della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e delle leggi regionali 23 gennaio 1957, n. 2, 27 dicembre 1969, n. 52 e 5 marzo 1979, n. 18, in materia di disciplina dei collocamento e di organizzazione del mercato del lavoro, (nonchè) Norme integrative dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, concernente attività di utilità collettiva in favore dei giovani" (disegno approvato dall'Assemblea Regionale il 28 luglio 1990) per violazione dell'art. 51 della Costituzione (correlato all'art. 48) e della legge 23 aprile 1981, n. 154, nonchè dell'art. 3 della Costituzione.
Osserva il ricorrente che il legislatore regionale, nell'esercizio della potestà legislativa concorrente, riconosciutagli dall'art. 17, lett. f) dello Statuto speciale, pur recependo quasi integralmente la recente riforma relativa all'organizzazione del mercato del lavoro, di cui alla legge 28 febbraio 1987, n. 56, introduce, però, una norma in materia di ineleggibilità alle cariche elettive nei Comuni e nelle Province regionali dell'Isola, sconosciuta alla legge statale.
Il secondo comma dell'art. 18 recita, infatti, testualmente: "Il personale che riveste funzioni direttive negli Uffici o nelle sezioni circoscrizionali di collocamento non può essere candidato per le elezioni dei consigli comunali e provinciali della Sicilia". Verrebbe così introdotta - sostiene il ricorrente - una limitazione al godimento dei diritto politico all'elettorato passivo.
Senonchè i limiti della potestà legislativa della Regione Siciliana sul punto (art. 14 lett. c dello Statuto speciale), sarebbero stati precisati dalla Corte con sentenza n. 108 del 16 giugno 1969. Secondo tale decisione, la Regione Siciliana deve rispettare il principio di eguaglianza in tema di accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive, sancito dall'art. 51, primo comma, della Costituzione e perciò "non é in condizioni di prevedere nuove e diverse cause d'ineleggibilità a Consigliere Provinciale e a Consigliere Comunale se non in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti esclusive per la Sicilia ovvero diverse, rispetto alle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale; e, in ogni caso, per motivi adeguati o ragionevoli, finalizzati alla tutela di interessi generali".
Al contrario - secondo il ricorrente - la causa di ineleggibilità, introdotta dalla Regione, non risponderebbe ad alcuno dei detti requisiti. Intanto, essa riguarda determinate funzioni direttive impiegatizie che, per la loro caratterizzazione intrinseca, non si differenziano rispetto a quelle del restante territorio nazionale; e la legge 28 febbraio 1987, n. 56, che prevede le corrispondenti figure, non contempla alcuna causa di incompatibilità, e tanto meno di ineleggibilità. Nè la causa di ineleggibilità in parola può ricondursi ad alcuna di quelle esplicitamente e tassativamente enumerate dalla legge n. 154 del 1981.
D'altra parte, sia la Relazioneche i lavori preparatori del Disegno, non contengono alcuna giustificazione alla compressione di un diritto costituzionalmente riconosciuto, quale l'elettorato passivo, che é tra i fondamentali di uno Stato democratico.
Non si comprende, perciò, in che modo quelle categorie si atteggerebbero autonomamente o diversamente, nell'ambito della Regione Siciliana, rispetto a quelle delle altre regioni dell'Italia meridionale (alto tasso di disoccupazione, interferenze nella P.A. di associazioni di tipo mafioso ecc.).
In conclusione, l'eventuale e non esplicitata esigenza di pubblico interesse, posta a base della norma, non potendo essere considerata nè esclusiva nè specifica della Regione Siciliana, non é tale da legittimare il legislatore regionale nella previsione di cause di ineleggibilità. Semmai essa potrebbe essere valutata dal legislatore statuale nella prospettiva di una disciplina univoca ed omogenea sul Piano nazionale.
Sotto altro aspetto, poi, la detta ineleggibilità sarebbe del tutto ingiustificata anche per l'ampiezza e la genericità della previsione normativa che non fissa alcun limite di operatività, almeno in relazione al rapporto intercorrente fra l'ambito territoriale in cui é svolta l'attività istituzionale e quello del consiglio comunale o provinciale eligendo.
2.- Si é costituito innanzi a questa Corte il Presidente della Regione Siciliana, rappresentato e difeso dal prof. avv. Enzo Silvestri, che ha chiesto la reiezione del ricorso.
Secondo la Regione non vi sarebbe dubbio che la questione oggetto del giudizio é sostanzialmente identica a quella risolta con le sentenze di questa Corte nn. 171 del 1984, 127 e 130 del 1987.
Sono ben noti, infatti, i problemi del mercato del lavoro e del collocamento nella Regione Siciliana, che si propongono sulla crescente disoccupazione e sullo stato di prostrazione e di disagio di quanti aspirano a un posto di lavoro.
In siffatta situazione é agevole rendersi conto che i funzionari che operano nel settore del collocamento, esercitando poteri di accertamento, di controllo e di natura decisionale, non privi spesso di un ambito di ampia discrezionalità, sono in grado di influire notevolmente sulle determinazioni degli elettori.
Tanto più che spesso i detti poteri, già di per sè rilevanti, nel contesto di una distorta ma purtroppo diffusa mentalità, specie nelle piccole comunità, vengono considerati quali fonti di benefici e di rapporti vassallatici. Sicchè gli elettori aspiranti ad un lavoro, e i loro familiari, sono indotti ad esaltare i poteri del collocatore, quasi fosse un esclusivo dispensatore di posti e di altri vantaggi inerenti.
Le cause di ineleggibilità, del resto, trovano la loro ragione proprio nell'intento di evitare indebite pressioni che i titolari di alcuni uffici potrebbero esercitare sull'elettorato.
Nè si vede, poi, in qual modo potrebbe da ciò restare offeso il principio di cui all'art. 3 della Costituzione.
Per costante giurisprudenza di questa Corte - rileva la Regione il principio di eguaglianza non postula uniformità assoluta nel trattamento dei cittadini; ma soltanto che quel trattamento sia eguale a parità di condizioni, quando cioé manchi un supporto logico-politico a giustificazione della disparità. Nella specie nessuno potrebbe negare che ben diversa é la posizione di un collocatore di una regione nella quale non esistono problemi di disoccupazione rispetto a quella di un collocatore della Regione Siciliana in cui dilaga quella disoccupazione, e quella conseguente alta tensione sociale, che ha indotto anche il legislatore nazionale ad adottare misure eccezionali. Mentre il Primo é un modesto impiegato del quale nessuno si accorge, il secondo gode certamente di ben altro ascendente e in astratto può utilizzare strumentalmente la carica per la formazione di clientele elettorali. Come recita la sentenza n. 127 del 1987, si tratta di una di quelle "cariche che si prestano di per sè - e nella esperienza concreta si sono prestate - a divenire centri di potere e, quindi, di raccolta di voti".
Quanto infine ai limiti di operatività della norma impugnata, osserva la Regione che nella specie si é in presenza di una causa di ineleggibilità relativa.
Sarebbe infatti di tutta evidenza che l'ineleggibilità opera soltanto nei confronti di quel personale direttivo che esercita le funzioni di collocamento nell'ambito della circoscrizione nella quale aspira ad essere eletto.
Considerato in diritto
1.1.-La doglianza del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana è rivolta al secondo comma dell'art. 18 di un Disegno di legge concernente la disciplina del collocamento e l'organizzazione del mercato del lavoro, approvato dall'Assemblea Regionale il 28 luglio 1990. Il detto comma, infatti, escludendo la candidatura alle elezioni dei Consigli comunali e provinciali del personale che riveste funzioni direttive negli uffici o nelle Sezioni circoscrizionali di collocamento, si porrebbe in contrasto con gli artt. 51 e 3 della Costituzione, oltre che della legge statale 23 aprile 1981, n. 154 che ignora siffatta ineleggibilità.
Secondo il ricorrente Commissario, questa Corte avrebbe ben precisato, con la sentenza 16 giugno 1969, n. 108, i limiti della concorrente potestà legislativa della Regione, che non può prevedere, in forza dell'art. 51 della Costituzione, nuove e diverse cause d'ineleggibilità, se non in presenza di situazioni che rivestano carattere di esclusività ovvero di diversità rispetto alle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale: ferma la loro finalizzazione alla tutela d'interessi generali.
Altrimenti è lo stesso principio di eguaglianza che resta vulnerato, oltre a quello di cui all'art. 51 della Costituzione, che sancisce il diritto di tutti i cittadini all'elettorato attivo e passivo.
Nella specie, nè il Disegno di legge nè i lavori preparatori o la Relazionespendono parola per spiegare l'eventuale esclusività o diversità delle situazioni concernenti i dirigenti del collocamento in Sicilia, nè la disposta causa d'ineleggibilità è riconducibile ad alcuna di quelle tassativamente enumerate dalla citata legge n. 154 del 1981. Peraltro, esclusività o diversità non sarebbero comunque rilevabili sul piano oggettivo.
Sotto altro aspetto, la disposta causa d'ineleggibilità sarebbe anche inaccettabile per l'ampiezza e la genericità della previsione normativa, che non tiene nemmeno conto del rapporto intercorrente fra l'ambito territoriale in cui si svolge l'attività istituzionale e quello cui si riferisce il Consiglio comunale o provinciale eligendo.
1.2.-Anche la Regione, però, faceva riferimento alla giurisprudenza di questa Corte, per rilevare che sicuramente esclusive, e comunque diverse da quelle nelle quali operano le stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale, sono le situazioni nelle quali svolgono le loro funzioni i dirigenti del collocamento del lavoro della Regione Sicilia.
Secondo la Regione si tratta di problemi ben noti che si propongono su di una crescente disoccupazione e su di uno stato di prostrazione e di disagio di quanti aspirano ad un posto di lavoro: cui corrisponde una funzione del collocamento, che si svolge in un ambito di notevole discrezionalità, nell'esercizio di un potere di accertamento, di controllo e anche decisionale.
D'altra parte, insiste la Regione nel sottolineare che tali condizioni non si verificano per i collocatori del restante territorio nazionale, dove non esisterebbe una tensione sociale così alta da indurre il legislatore nazionale ad adottare misure eccezionali.
Quanto, infine, ai limiti di operatività della norma impugnata, osserva la Regione che ovviamente si tratta di una causa di ineleggibilità relativa, chiaramente inapplicabile per il personale direttivo del collocamento che opera fuori della circoscrizione nella quale aspira ad essere eletto.
2. - Va chiarito innanzitutto che, contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente, la competenza normativa della Regione in subiecta materia non è concorrente ma primaria, come si evince ex art. 15 dello Statuto.
Ciò nonostante la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente messo in luce che la disciplina regionale sui requisiti d'accesso alle cariche elettive dev'essere strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa dell'esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale discendente dall'identità di interessi che Comuni e Province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia la regione di appartenenza (sentenze n. 105 del 1957, 26 del 1965, 171 del 1984, 20 del 1985 e 235 del 1988). In realtà, è proprio il principio di cui all'art. 51 della Costituzione a svolgere il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell'inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione): sicchè il principio si propone come riserva di legge rinforzata che obbliga il legislatore statale ad assicurarne il godimento < in condizioni di eguaglianza>. Come poi la giurisprudenza della Corte ha più di recente precisato (cfr. in particolare sentenza n. 235 del 1988), < è proprio dei diritti inviolabili di essere automaticamente incorporati, quantomeno nel loro contenuto essenziale, anche negli ordinamenti giuridici autonomi, speciali, o comunque diversi da quello statale>. Il che non degrada la competenza regionale esclusiva a competenza concorrente, ma la limita, proprio a causa dell'ideale incorporazione, nella disciplina dell'elettorato passivo, impegnandola al rispetto del principio costituzionale che esige l'uniforme garanzia a tutti i cittadini, in ogni parte del territorio nazionale, del diritto fondamentale di elettorato attivo e passivo.
Tutto ciò precisato e ribadito, è esatto, tuttavia, che la stessa giurisprudenza ha riconosciuto alla Regione Siciliana il potere di stabilire anche cause d'ineleggibilità non previste dalla legislazione statale, quando esse trovino giustificazione in condizioni locali del tutto peculiari o eccezionali.
Dall'analisi delle sentenze pronunziate dalla Corte sul punto si evince che la caratterizzazione dominante delle condizioni che possono giustificare la deroga da parte del legislatore della Regione speciale è rappresentata dalla loro assoluta particolarità riferibile esclusivamente alla Regione che se ne avvale: e ciò per l'ovvia considerazione che, se quella stessa peculiarità o eccezionalità fosse generalizzata in modo da estendersi a più regioni, non potrebbe negarsi la competenza a provvedere da parte del legislatore statale.
3.-Tutto questo, però, non va inteso < nel senso che comporti tale limitazione al legislatore siciliano da interdirgli ogni discrezionalità per quanto attiene all'apprezzamento delle condizioni ambientali> (sentenza 8 aprile 1987 n. 127).
É vero che nei lavori dell'Assemblea non si ritrova alcuna spiegazione dell'emendamento, proposto come secondo comma dell'art. 18 del Disegno di legge, ma deve considerarsi che ai deputati regionali quelle condizioni erano purtroppo così presenti e notorie da averle per pacifiche quale ovvio presupposto dell'emendamento. Ed infatti nessuno dei deputati regionali votanti chiede chiarimenti, e l'emendamento, benchè con il più rigoroso sistema dello scrutinio segreto, espressamente richiesto, viene approvato a larga maggioranza (Seduta pubblica n. 300 del 27 luglio 1990); e successivamente il Disegno di legge nel suo complesso, nella votazione finale per scrutinio nominale, viene approvato all'unanimità salvo tre astenuti (Seduta pubblica n. 301 del 28 luglio 1990).
Le ragioni trovano poi la via dell'esternazione quando, a seguito della contestazione del Commissario dello Stato, la Regione è indotta a renderle note fuor dell'ambito assembleare.
Nella memoria difensiva, mediante cui la Regione si è costituita innanzi a questa Corte, vengono richiamati problemi del mercato del lavoro e del collocamento nella Regione Siciliana, la crescente disoccupazione e il grave stato di tensione sociale determinato dal modo particolare come disoccupazione e problemi del lavoro interagiscono nel contesto dell'ambiente locale. Ed è in tale ambiente che i dirigenti del collocamento esercitano poteri di accertamento, di controllo e di ampia discrezionalità decisionale, già di per sè rilevanti. A ciò s'aggiunge che, a causa di una distorta ma purtroppo diffusa mentalità, specie nelle piccole comunità, quei poteri vengono riguardati come fonti di benefici e di rapporti di dipendenza, per i quali il collocatore appare come dispensatore di posti di lavoro, e degli inerenti vantaggi, in posizione di assoluta discrezionalità. Non è difficile immaginare come, sulla base di tali premesse, quelle funzioni possano agevolmente degenerare < in una vera e propria fabbrica di voti> (pagg. 10 e 11 della memoria).
Ora, a tale proposito, questa Corte aveva già rilevato che allorquando < l'ineleggibilità è disposta al fine di impedire la formazione di clientele elettorali attraverso l'uso strumentale delle suddette cariche>, in quanto < tali cariche si prestino di per sè... a divenire centri di potere e, quindi, di raccolta di voti>, e ponendo mente < per altro verso, alle particolari misure adottate dal legislatore statale in vari campi nel territorio della regione, la disposta ineleggibilità appare amalgamarsi con queste e, quindi, appare sorretta da adeguata giustificazione> (sent. 8 aprile 1987, n. 127).
D'altra parte (come bene soggiunge la Regione interpretando precedenti interventi di questa Corte) la peculiare situazione della Sicilia ha richiesto eccezionali misure legislative e amministrative da parte del legislatore statale, a dimostrazione della gravità del fenomeno di abusi di potere da parte di pubblici amministratori, a causa anche delle rilevate connessioni fra criminalità di tipo mafioso e ambiente politico, sicchè indispensabile appare l'uso di un maggior rigore nella disciplina del diritto di elettorato passivo, a prevenire il rischio di indebite pressioni sul corpo elettorale Certo, non soltanto in Sicilia il fenomeno di tipo mafioso esercita la sua perniciosa influenza mediante intimidazioni, estorsioni e corruzioni spesso, addirittura, tramite le adombrate connessioni e infiltrazioni nella pubblica amministrazione. Ma ciò che rende esclusivo il fenomeno allo specifico ambiente della Sicilia sono i tratti peculiari con i quali, per ragioni storiche ed economiche, si è sviluppato in quell'ambiente il mercato del lavoro; in guisa da doversi considerare rischioso, per la libertà e la genuinità delle elezioni, permettere che i responsabili del collocamento possano assicurarsi il favore degli elettori per conseguire un seggio nei Consigli comunali o provinciali della zona in cui esercitano le loro funzioni.
Quest'ultima notazione risponde anche alla preoccupazione del ricorrente in ordine all'ampiezza territoriale della causa d'ineleggibilità, che effettivamente la norma non precisa nella sua effettiva dimensione.
Ma, come la Regione stessa ha riconosciuto, si tratta di causa d'ineleggibilità, che si riferisce esclusivamente a quei dirigenti del collocamento che esercitano le loro funzioni nell'ambito del Comune o della Provincia, al cui Consiglio aspirano ad essere eletti: e come tale, in effetti, dev'essere interpretata.
La violazione dei parametri invocati è perciò esclusa anche sotto questo riflesso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, secondo comma, del Disegno di legge recante < Norme modificative ed integrative della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e delle leggi regionali 23 gennaio 1957, n. 2, 27 dicembre 1969, n. 52, e 5 marzo 1979, n. 18, in materia di disciplina del collocamento e di organizzazione del mercato del lavoro>, approvato dall'Assemblea regionale siciliana il 28 luglio 1990, in riferimento agli artt. 51 e 3 della Costituzione, nonchè della legge statale 23 aprile 1981, n. 154.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/12/90.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Ettore GALLO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 14/12/90.