Sentenza n.130 del 1987

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SENTENZA N. 130

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

        ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 19 del disegno di legge n. 999, approvato il 13 marzo 1986 dall'Assemblea regionale siciliana recante "Nuove norme in materia sanitaria e disposizioni per le unità sanitarie locali. Modifica alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 e successive modifiche", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Sicilia, notificato il 20 marzo 1986, depositato in cancelleria il 28 successivo ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 1986;

Visto l'atto di costituzione della Regione Sicilia;

Udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1986 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

Uditi l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'avvocato Silvio De Fina per la Regione.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato il 20 marzo 1986 il Commissario dello Stato per la Regione Sicilia ha impugnato l'art. 19, in riferimento all'art. 51, primo comma, Cost., della legge approvata dall'Assemblea regionale nella seduta del 13 marzo 1986 (promulgata con il n. 20 in data 22 aprile 1986 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale regionale) recante "Nuove norme in materia sanitaria e disposizioni per le unità sanitarie locali. Modifica alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, e successive modifiche", nella parte in cui, sostituendo il n. 4 dell'art. 8 della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, nel testo modificato dall'art. 1 della legge regionale 18 febbraio 1958, n. 6, prevede l'ineleggibilità a (anziché l'incompatibilità con la carica di) deputati regionali degli assessori di comuni con popolazione superiore a quarantamila abitanti e che siano capoluoghi di provincia regionale o sedi delle attuali amministrazioni straordinarie delle province, salvo che non sia intervenuta cessazione dalle funzioni almeno centottanta giorni prima del compimento di un quinquennio dalla data delle precedenti elezioni.

Premesso che la norma é stata dettata nell'esercizio della potestà legislativa primaria riconosciuta alla regione Sicilia dall'art. 3, primo comma, (ma, rectius, art. 14, lett. o) dello Statuto speciale d'autonomia, si assume in ricorso che essa comunque supera i limiti che, in materia di diritto elettorale passivo, sono stati individuati dalla Corte costituzionale con sentenza n. 171 del 1984. Anche il legislatore statale, del resto, con legge n. 154 del 1981, ha adottato criteri ampliativi in tema di elettorato passivo, contenendo le ipotesi di ineleggibilità e correlativamente estendendo quelle di incompatibilità, tra le quali ultime si annovera appunto, all'art. 4, quella invece prevista come causa di ineleggibilità dalla disposizione impugnata. E, nella specie, la deroga al criterio adottato dal legislatore statale non sarebbe giustificata da situazioni concernenti categorie di soggetti che, per la Sicilia, presentino aspetti tali da considerarsi particolari ed esclusive, se raffrontate a quelle che si riscontrano nelle altre regioni.

2. - La Regione siciliana, costituitasi in giudizio in persona del Presidente, ha contestato la fondatezza del ricorso, in primo luogo rilevando che l'accesso alla carica elettiva é incondizionatamente garantito dalla pura e semplice dismissione della carica di provenienza entro un tempo predeterminato; in secondo luogo rappresentando che l'unico interesse che l'opzione dell'ineleggibilità in realtà sacrifica é quello connesso col fatto che la preventiva dismissione della carica di provenienza comporta (oltre al rischio di non averne più nessuna in caso di mancata elezione) la sua perdita durante la frazione di tempo che ancora manca alla naturale scadenza del mandato; in terzo luogo evidenziando che l'Assemblea regionale "si é determinata a por mano allo strumento dell'ineleggibilità in quanto ha considerato rischioso, per la libertà e la genuinità delle elezioni in Sicilia, il lasciare in carica per sei mesi amministratori comunali e provinciali impegnati ad assicurarsi il seggio di deputato regionale".

Il legislatore statale (che, peraltro, sino alla emanazione della legge n. 154 del 1981 aveva adottato la scelta ora fatta propria dalla Regione) e quello regionale si sono insomma divisi non sul rispetto o la violazione dell'interesse sotteso nell'art. 51 Cost., ma sulla necessità o non necessità "ambientale" di dar corso e protezione ad un interesse costituzionale poziore, qual é quello inteso a garantire iure loci, la libertà e genuinità di un'elezione politica e del suo risultato. Il realistico apprezzamento dello specifico ambiente in cui le elezioni regionali siciliane sono destinate a svolgersi - conclude la memoria - ha indotto insomma il legislatore regionale "a non abdicare al buon senso" e ad imporre, quindi, "la dismissione anticipata della carica ad amministratori di enti in cui si coagula un potere utilizzato tradizionalmente come macchina da voti".

Considerato in diritto

1. - Nell'esercizio del potere, riconosciutole dallo Statuto, di dettare la normativa elettorale relativamente agli enti territoriali, l'Assemblea regionale siciliana ha compiutamente disciplinato l'elezione dei propri componenti. Per quanto attiene specificamente alle cause di ineleggibilità, dopo avere, fra l'altro, dichiarato ineleggibili nel 1951 (art. 8, primo comma, n. 4 legge 30 marzo, n. 29) "i Sindaci dei Comuni capoluoghi di circoscrizione elettorale e con popolazione superiore a 40.000 abitanti" e nel 1958 (art. 1, secondo comma, legge 18 febbraio, n. 6) anche i Presidenti "delle amministrazioni straordinarie dei soppressi enti autarchici provinciali", ha successivamente - con l'art. 19, primo comma, della legge 22 aprile 1986, n. 20 - esteso la suddetta ineleggibilità agli "Assessori" dei suddetti Comuni e delle suddette "amministrazioni straordinarie delle province".

1.1. - Avverso tale ultima innovazione ha proposto tempestivo ricorso il Commissario dello Stato per la regione siciliana, denunciando l'illegittimità costituzionale del precitato art. 19, primo comma, l.r. n. 20 del 1986 in riferimento all'art. 51, primo comma, Cost. Assumendo, infatti, come tertium comparationis la legge statale 23 aprile 1981, n. 154 - e precisamente l'art. 4, primo comma, che considera quanti rivestono le cariche di Sindaco, Presidente ed Assessore di amministrazioni comunali e provinciali non più ineleggibili, ma semplicemente incompatibili con la carica di Consigliere regionale -, lamenta che, mentre l'art. 51 Cost. "garantisce a tutti i cittadini l'accesso ai pubblici uffici ed alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza", il legislatore regionale siciliano riserva ai suddetti amministratori locali un trattamento diverso e deteriore, ai fini dell'elettorato passivo, rispetto a quello che il legislatore statale riconosce agli omologhi amministratori delle altre regioni. Invero - osserva il ricorrente - per costante giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 171 del 1984, ma, prima ancora, sentenze nn. 129 del 1975, 45 e 129 del 1977) la potestà legislativa della regione siciliana in materia elettorale deve rispettare i princìpi deducibili dalla legislazione statale, cui può derogarsi solo "in presenza di situazioni..." che siano esclusive per la Sicilia o di "motivi adeguati e ragionevoli finalizzati alla tutela di un interesse generale". E poiché in conseguenza della summenzionata legge statale - così conclude il Commissario dello Stato - "di quanto si é ridotta la sfera della ineleggibilità di tanto si é dilatata quella della incompatibilità", "la disposizione de qua" "si discosta, dunque, sostanzialmente dalla richiamata disciplina statuale senza che ciò sia giustificato dalla sussistenza dei richiamati presupposti obiettivi indicati" dalla Corte nelle ricordate sentenze.

1.2. - Al ricorso in esame ha resistito la regione siciliana, la quale ha contestato la fondatezza delle ragioni ivi addotte, ponendo preliminarmente in evidenza che ineleggibilità ed incompatibilità non sacrificano il diritto costituzionale di libero accesso alle cariche pubbliche, in quanto tale diritto é "incondizionatamente garantito dalla dismissione della carica di provenienza" e che sino al 1981 legislazioni statale e regionale coincidevano sul punto. Dopo di che, ha testualmente ed energicamente sottolineato, sia nelle deduzioni scritte, sia alla pubblica udienza, che il legislatore regionale non ha anch'esso convertito la denunciata ineleggibilità in incompatibilità, non certo per "discostarsi dai principi cui si informa" il legislatore statale, ma perché, in base al "realistico apprezzamento dello specifico ambiente" "in cui le elezioni si celebrano" e delle "peculiarità storiche, culturali, di tradizione e di costume" di quell'ambiente, "ha considerato rischioso, per la libertà e la genuinità delle elezioni in Sicilia" "lasciare in carica... amministratori comunali e provinciali", "quando... fossero impegnati, nell'esercizio delle cariche, ad assicurarsi il favore degli elettori" per conseguire "il seggio di deputato regionale".

2. - Questa Corte ha di recente avuto occasione di pronunciarsi su questione sostanzialmente identica, anche se proposta, pur sempre in riferimento al solo art. 51 Cost., ma a riguardo di altra disposizione - art. 24, primo comma, legge regionale siciliana 14 settembre 1979, n. 212 - la quale prevede l'ineleggibilità degli amministratori, dei sindaci e dei revisori di conti degli enti pubblici siciliani. Con pronuncia n. 127 del 1987, infatti, essa ha già statuito che le sentenze indicate sub 1.1. - non precludono alla regione siciliana di stabilire - o, come nella specie, di conservare - cause di ineleggibilità non previste - o non più previste - dalla legislazione statale, quando trovino giustificazione in condizioni ambientali di tale peculiarità e rilevanza, da indurre il legislatore statale ad adottare esclusivamente per essa misure volte ad incidere in quelle condizioni. É questa la corretta interpretazione dell'anteriore giurisprudenza di questa Corte sul punto: ed invero, ritenere che il potere di legiferazione del legislatore siciliano in materia elettorale possa esplicarsi solo mediante il fedele e puntuale ricalco di ogni singola disposizione legislativa statale - quando, invece, esso é tenuto più propriamente ad attenersi ai princìpi della disciplina - equivale a svuotare tale potere della sua stessa ragione d'essere. E l'eventuale obiezione che la denunciata ineleggibilità contraddirebbe comunque allo spirito che ha animato il legislatore statale, allorché (con la legge n. 154 del 1981) ne ha operato la conversione in incompatibilità, ha resistito dalla argomentazione che, in fondo, fermo restando il comune ed accomunante principio del divieto del cumulo di cariche pubbliche, il legislatore regionale si discosta da quello statale per il fatto che l'uno considera quel principio causa ostativa alla candidatura - ma pur sempre rimuovibile con le tempestive dimissioni -, l'altro lo considera causa ostativa all'investitura.

Nella specie, poi, é la stessa Regione a segnalare, nella prospettazione più sopra testualmente trascritta, la "presenza di situazioni.... esclusive per la Sicilia" e di "motivi.... finalizzati alla tutela di un interesse generale". Le argomentazioni ivi allegate appaiono tanto inconfutabili e convincenti, da destituire di fondamento la censura formulata dal Commissario dello Stato. Poggiate come sono sulle particolari condizioni dell'ambiente - ma anche del momento - e sulle particolari iniziative che conseguentemente a loro riguardo il potere centrale ha determinato di assumere, esse offrono una motivazione, che l'esperienza impedisce di disattendere, inducendo a negare che sussista la dedotta illegittimità. Ma vale aggiungere altresì che le suesposte rilevazioni danno evidenza all'unilateralità dell'impugnazione: si denuncia, infatti, l'ineguaglianza degli amministratori locali della regione siciliana rispetto a quelli delle altre regioni e si ignora, viceversa, l'ineguaglianza, ben più concreta, fra i primi e gli altri candidati all'Assemblea regionale. Ed a ben vedere, la disposizione asseritamente viziata di illegittimità costituzionale, mirando a porre in condizioni di eguaglianza tutti gli aspiranti alla carica elettiva di deputato regionale, appare, non già stridere, ma pienamente armonizzarsi con l'art. 51 Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, della legge regionale siciliana 22 aprile 1986, n. 20, ("Nuove norme in materia sanitaria e disposizioni per le unità sanitarie locali. Modifica alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 e successive modifiche") proposta in riferimento all'art. 51, primo comma, Cost., dal Commissario dello Stato per la regione siciliana con ricorso notificato il 20 marzo 1986.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: FERRARI

Depositata in cancelleria il 15 aprile 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI