SENTENZA N. 20
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Sicilia 29 dicembre 1975, n. 87 (Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, e successive modificazioni, concernente l'elezione dei deputati all'Assemblea regionale siciliana), promosso con ordinanza emessa il 28 aprile 1978 dal Tribunale di Palermo sui ricorsi elettorali proposti da Baglione Giuseppe contro Fede Antonio ed altro, iscritta al n. 348 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 278 dell'anno 1978.
Visti gli atti di costituzione di Baglione Giuseppe e di Fede Antonio nonché l'atto d’intervento del Presidente della Giunta della Regione Sicilia;
udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 1984 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente della Giunta della Regione Sicilia.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Palermo con ordinanza del 28 aprile 1978, sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dell'art. 7, recte 2, della legge della Regione siciliana 29 dicembre 1975, n. 87, nella parte in cui limita l'eleggibilità all'Assemblea Regionale siciliana ai cittadini iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della Regione.
Dubita il giudice a quo che tale disposizione violi il principio dell'uguaglianza fra tutti i cittadini della Repubblica in ordine all'esercizio dei diritti politici, determinando una deroga non giustificata e non razionale alla legislazione elettorale statale che, per l'elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario, riconosce l'elettorato passivo a tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali di un qualsiasi comune della Repubblica.
L'ordinanza richiama al riguardo la sentenza di questa Corte n. 108 del 26 giugno 1969.
Il processo a quo era stato originato dal ricorso con il quale Giuseppe Baglione aveva dedotto l'ineleggibilità a deputato dell'A.R.S. d’Antonio Fede, candidato nella lista n. 4 (M.S.I.-D.N.) per le elezioni regionali del 20-21 giugno 1976, in quanto non iscritto nelle liste elettorali di un Comune dell'Isola. L'Assemblea siciliana aveva nel frattempo convalidato l'elezione.
2. - É intervenuto in giudizio il Presidente della Giunta Regionale siciliana, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con atto del 20 ottobre 1978, assumendo l'infondatezza della questione sollevata, per essere l'ordinanza di rimessione basata su un'equivoca interpretazione delle norme regionali in materia d’elettorato passivo.
Il Tribunale di Palermo, infatti, ha interpretato la norma relativa all'elettorato passivo (art. 7 Legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, modif. dalla Legge regionale n. 87/1975) in connessione a quella che regola l'elettorato attivo (art. 4 stessa legge), nel senso di attribuire al termine "elettore" richiesto per l'eleggibilità lo stesso significato precisato dall'art. 4, che definisce elettori "tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della Regione...".
Secondo la difesa della Regione, invece, la qualifica di "elettore" contenuta nell'impugnato art. 7 va intesa in senso generale, cioé di titolare del diritto di elettorato attivo secondo l'ordinamento statale, in quanto manchino le cause di esclusione (incapacità civile, fallimento, ecc.) elencate dall'art. 5.
Tanto più appare evidente la volontà del legislatore siciliano di ampliare la cerchia dell'elettorato passivo rispetto a quello attivo - prosegue l'Avvocatura - alla luce delle innovazioni introdotte con la citata Legge 29 dicembre 1975, n. 87, che hanno modificato anche l'art. 7, abrogando i requisiti della nascita e della residenza quinquennale nell'Isola per estendere l’eleggibilità a tutti i cittadini italiani, iscritti nelle liste di qualsiasi comune della Repubblica.
Con la novellazione - argomenta la difesa della Regione - si é voluto adeguare la normativa elettorale regionale a quella statale per l'elezione dei consigli regionali nelle regioni a statuto ordinario nonché al principio generale di aprire le amministrazioni regionali al respiro degli interessi nazionali e al principio costituzionale contenuto negli artt. 3 e 51 Cost., secondo il quale la Regione, nell'esercizio della potestà legislativa primaria spettantele, non può dar vita a norme che comportino deroghe, non giustificate e non razionali, alla legislazione elettorale statale (ved. sent. di questa Corte n. 108/1969). Infine - conclude l'Avvocatura - quando il legislatore regionale ha voluto porre all'elettorato passivo un requisito così limitativo lo ha sempre fatto in modo espresso e inequivoco, come le Regioni Sardegna, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia.
3. - Si é costituito nel giudizio di legittimità Giuseppe Baglione, ricorrente nel processo de quo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Proff. Pietro Virga e Nazareno Saitta, assumendo l'infondatezza della questione sollevata con l'ordinanza di rimessione, per essere la norma impugnata perfettamente conforme al dettato costituzionale.
La difesa del Baglione premette innanzitutto che il rispetto del principio di uguaglianza si contempera con l'esigenza, anch'essa costituzionalmente garantita, di adeguamento dell'attività normativa regionale alle esigenze delle singole comunità, che é la caratteristica istituzionale delle fonti normative regionali; cosicché pienamente giustificata é la possibilità di regolamentazioni giuridiche non uniformi, specie in una materia riservata alla competenza normativa esclusiva, come quella che disciplina i titoli di accesso alle cariche elettive regionali.
Alla luce della vigente normativa - prosegue la difesa - emerge chiaramente come il congegno elettorale relativo ai consigli regionali delle regioni a statuto speciale sia ispirato al modello delle elezioni politiche, con la codificazione del principio della completa coincidenza tra elettorato attivo ed elettorato passivo (cfr. norme elettorali delle cinque regioni a statuto speciale). Viceversa per le elezioni dei consigli regionali delle regioni a statuto ordinario la legge elettorale statale ha adottato come modello le elezioni amministrative e, in conformità a tale sistema, ha ritenuto di poter prescindere dalla coincidenza dei requisiti tra elettorato attivo e passivo (vedi Paladin, Diritto regionale, 2 ediz., Padova, 1976, pag. 246).
Così nelle altre quattro regioni a statuto speciale l'eleggibilità al consiglio regionale richiede l'iscrizione nelle liste elettorali della Regione (art. 17 Statuto Sardo; art. l9 St. Trentino-Alto Adige e art. 5 d.P.R. 13 settembre 1948, n. 1155; art. 16 St. Valle d'Aosta; artt. 15 St. Friuli-Venezia Giulia e 7 L. 3 febbraio 1964, n. 3), a differenza di quanto avviene per le regioni a statuto ordinario.
Il contrasto denunciato riguarderebbe in sostanza non tanto le norme costituzionali quanto le norme statali sull'elezione dei consigli regionali, con la conseguenza paradossale - secondo il Baglione - che le norme regionali sarebbero state perfettamente costituzionali prima dell'entrata in vigore della predetta normativa statale (L. 17 febbraio 1968, n. 108) per diventare illegittime solo a seguito di essa.
Anche ammessa comunque l'esistenza di una vera questione di costituzionalità, mai si potrebbe dubitare - come fa il giudice a quo - che le "deroghe" alla legislazione elettorale statale siano nel caso di specie "non giustificate e non razionali". La particolarità dell'autonomia assicurata, per motivazioni storiche, geografiche od etniche, alle cinque regioni a statuto speciale (art. 116 Cost.), esclude di per sé qualsiasi possibilità di appiattimento di trattamento normativo ed anzi giustifica una diflerenziazione, soprattutto in materia di composizione degli organi regionali, essendo razionalmente irreprensibile un sistema elettorale che chiami a rappresentare la comunità regionale solo chi ne faccia parte, per un concreto legame all'ambiente comunitario. Negare la specialità di questo legame per le regioni a statuto speciale significherebbe voler ignorare i reali motivi ispiratori e gli effettivi intenti del legislatore costituente e vanificare concretamente la previsione costituzionale di quelle forme particolari di autonomia.
4. - Nel giudizio si é costituito anche Antonio Fede, di cui é contestata l'elezione all'A.R.S., rappresentato e difeso dall'Avv. Prof. Enzo Silvestri, sostenendo la medesima tesi dell'Avvocatura dello Stato.
Argomenta la parte che il legislatore siciliano della novella del 1976, dovendo scegliere tra due modelli: l'uno disciplinante le elezioni nazionali, che fa coincidere l'elettorato attivo e quello passivo richiedendo per il secondo gli stessi requisiti del primo; l'altro quelle delle Regioni a statuto ordinario; ha chiaramente preferito il secondo, eliminando per l'eleggibilità all'Assemblea Siciliana ogni criterio che si richiamasse alla c.d. "cittadinanza regionale", con l'abrogazione all'art. 7 dei requisiti alternativi della residenza quinquennale o della nascita nell'Isola.
Il principio costituzionale dell'unità ed indivisibilità della Repubblica - aggiunge il Fede - postula che ciascun cittadino possa liberamente e in condizioni di uguaglianza esercitare i diritti fondamentali, qual é quello elettorale, indipendentemente da qualsiasi distinzione regionale.
La difesa della parte conclude per l'infondatezza della questione perché basata su un’erronea interpretazione della norma impugnata e, in subordine, qualora si volessero seguire le argomentazioni del Tribunale remittente, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma stessa.
Considerato in diritto
1. - La questione sottoposta all'esame di questa Corte é se contrasti o meno con gli artt. 3 e 51 della Costituzione l'art. 7 della legge regionale siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (modificata con legge regionale 29 dicembre 1975, n. 87), nella parte in cui limita l'eleggibilità all'Assemblea Regionale siciliana ai cittadini iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della Regione.
La norma impugnata, nel testo attuale, recita infatti: "sono eleggibili a deputati regionali gli elettori che abbiano compiuto il ventunesimo anno di età entro il giorno dell'elezione". E l'art. 4, relativo all'elettorato attivo, definisce "elettori" tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni della Regione che non si trovino in alcuna delle condizioni previste dall'articolo seguente (privazione dei diritti civili).
Il testo originario dell'art. 7 della legge n. 29/1951, anteriore cioé alle modifiche introdotte con la legge n. 87 del 1975, prevedeva, oltre al diverso limite di età (25 anni), altri due requisiti alternativi per l'eleggibilità all'Assemblea Regionale e cioé: che gli elettori fossero nati nella Regione o vi fossero residenti da almeno cinque anni ininterrotti.
Il Tribunale di Palermo interpreta la normativa vigente nel senso che il termine "elettori" usato all'art. 7 non possa avere altro significato di quello precisato nel precedente art. 4, cioé di cittadini iscritti nelle liste elettorali di un comune della Sicilia e che, pertanto, le modifiche del 1975 non abbiano toccato tale requisito fondamentale, limitandosi solo ad anticipare il limite di età ed abolendo i due requisiti, supplementari e alternativi, della nascita nell'Isola o della residenza ultraquinquennale.
Interpretata in tal modo la norma sarebbe - secondo il giudice a quo - in contrasto con i principi sanciti dagli artt. 3 e 51 della Costituzione, perché realizzerebbe una disparità di trattamento ed una limitazione dei diritti politici rispetto alla legislazione nazionale, che, per l'elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario, attribuisce l'elettorato passivo ai cittadini iscritti nelle liste elettorali di un qualsiasi comune della Repubblica (come disponeva all'epoca dell'ordinanza l'art. 4, secondo comma, della Legge 17 febbraio 1968, n. 108, e come dispone oggi l'art. 1 della Legge 23 aprile 1981, n. 154).
2. - La questione prospettata nei termini sopra indicati é infondata.
Infatti, seguendo l'interpretazione del giudice a quo, cui compete peraltro l'esame ermeneutico delle norme che regolano la fattispecie, vi sarebbe un perfetto parallelismo tra elettorato attivo ed elettorato passivo per l'elezione dell'Assemblea Regionale siciliana, nel senso di attribuire l'uno e l'altro solo a quei cittadini che siano iscritti nelle liste di un comune dell'Isola.
La norma dell'attuale art. 7 della L. R. 29/1951, quale risulta dopo le modifiche apportate con la L. Regionale n. 87/1975, così interpretata in connessione a quanto disposto dal precedente art. 4, non contrasta tuttavia con i parametri costituzionali invocati. trovando una sua razionale giustificazione nel regime di autonomia delle regioni a statuto speciale ivi compresa la Regione siciliana.
Il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini della Repubblica nel godimento dei diritti politici non soffre, infatti, lesioni quando la disciplina dell'esercizio di tali diritti venga adeguata ad un altro principio costituzionalmente rilevante, quale quello del riconoscimento di una potestà legislativa primaria in materia elettorale alle regioni a statuto speciale.
Tale principio si ricollega a precise norme costituzionali, quali l'art. 116 della Costituzione e le norme in materia elettorale degli Statuti speciali (artt. 3, primo comma, 14, lett. O, e 15 dello Statuto per la Sicilia; art. 25, primo comma, dello Statuto per il Trentino-Alto Adige; art. 16, primo comma, Statuto per la Sardegna; art. 13, primo comma, Statuto per il Friuli-Venezia Giulia).
Né, vale richiamare - come fa il giudice a quo per sostenere la propria tesi - la sentenza di questa Corte n. 108 del 1969 con la quale venne dichiarata l’illegittimità costituzionale della Legge Regionale siciliana 30 aprile 1969, in materia di ineleggibilità a consigliere comunale e provinciale nel territorio della Regione siciliana. La questione infatti ora all'esame della Corte non ha ad oggetto le norme per l’elezione nei consigli comunali o provinciali (la cui esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale ben può discendere dall'identità di interessi che comuni e provincie rappresentano nei confronti delle rispettive comunità locali, quale che sia la regione di appartenenza), bensì quelle per l’elezione della assemblea regionale, dotata di un preciso rilievo politico e costituzionale. In questo caso l'applicazione stessa del principio affermato dalla Corte con la citata sentenza n. 108/1969 conduce al riconoscimento della legittimità della norma impugnata.
Non é ingiustificato, infatti, che gli interessi di una comunità regionale - cui lo stesso ordinamento costituzionale attribuisce carattere di specialità, collegato alle peculiari tradizioni storiche e culturali della Regione - siano rappresentati a livello politico regionale da cittadini che abbiano con la comunità stessa il collegamento personale costituito dall'iscrizione nelle liste elettorali dei comuni dell'Isola.
Del resto l'identità dei requisiti tra elettorato passivo ed elettorato attivo, sul modello della rappresentanza parlamentare nazionale, é caratteristica comune di tutte le Regioni a statuto speciale, cui la Repubblica ha riconosciuto un'autonomia più qualificata, rispetto a quella delle rimanenti Regioni.
Tutte le norme che regolano l'elettorato passivo nelle altre quattro Regioni a Statuto speciale esigono infatti tra l'altro come requisito minimo l'iscrizione nelle liste di un comune della Regione.
Tuttavia anche seguendo l'interpretazione che della norma impugnata dà l'Avvocatura dello Stato, a difesa della Regione Sicilia, la questione risulterebbe infondata. In tal caso, infatti, sarebbe stato lo stesso legislatore siciliano a rimuovere, in modo del tutto legittimo per le ragioni prima esposte, ogni limitazione all'esercizio dell'elettorato passivo, con l'intento di adeguare sul punto la legislazione regionale a quella statale prevista per le Regioni a statuto ordinario ed introdotta con la citata legge del 1968 (n. 108). L'uniformità della disciplina escluderebbe del tutto ogni lesione da parte della norma impugnata dei parametri costituzionali invocati nell'ordinanza di rimessione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge regionale siciliana 20 marzo 1951, n. 29, modificato dall'art. 2 della legge regionale 29 dicembre 1975, n. 87 (elezione dei deputati all'Assemblea regionale siciliana) sollevata, con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1985.
Leopoldo ELIA - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Depositata in cancelleria il 30 gennaio 1985.