SENTENZA N. 36
ANNO 2013
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Gaetano SILVESTRI Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli articoli 2, comma
3, 3, commi 4, 6 e 7, e 4, comma 48, della legge della Regione autonoma della
Sardegna 15 marzo 2012, n. 6 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale della Regione – legge finanziaria 2012), promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 15-17 maggio
2012, depositato in cancelleria il 22 maggio 2012 ed iscritto al n. 80 del
registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di
costituzione della Regione autonoma della Sardegna;
udito nell’udienza
pubblica del 12 febbraio 2013 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la
Regione autonoma della Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.— Il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato (reg. ric. n. 80 del 2012) ha impugnato gli articoli 2, comma 3, 3, commi
4, 6 e 7, e 4, comma 48, della legge della Regione 15 marzo 2012, n. 6 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2012), per
violazione degli articoli 3 e 117, secondo comma, lettere e), l) e m), e terzo comma, della Costituzione,
dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione), degli articoli 3, 4 e 5 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
e, come norma interposta, dell’articolo
6, comma 12, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia
di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122.
2.— Le disposizioni
impugnate dettano norme in materia di fondo sanitario regionale e di fondo per
la non autosufficienza, di trattativa privata avente per oggetto beni immobili
sdemanializzati, di limite di spesa per le missioni dei dipendenti pubblici, di
uso del mezzo proprio per dette missioni e di partecipazione agli appalti di
lavori pubblici da parte delle imprese sarde.
2.1.— L’art. 2, comma
3, della legge regionale n. 6 del 2012 prevede che l’Assessore competente in
materia di bilancio è autorizzato «nell’anno 2012, ad integrare, previo parere
della Commissione consiliare competente, mediante prelevamento dal fondo
sanitario regionale di cui all’UPB S05.01.001, sino all’importo di euro
10.000.000, la dotazione del Fondo per la non autosufficienza, qualora, a
seguito dell’istruttoria delle richieste pervenute la stessa risulti carente.
L’Amministrazione regionale è tenuta a controllare direttamente i piani che
presentano un punteggio da 0 a 5 della "scheda salute”».
2.2.— L’art. 3, comma
4, della legge della Regione Sardegna n. 6 del 2012 sostituisce l’articolo 1 della legge regionale 5 dicembre
1995, n. 35 (Alienazione dei beni patrimoniali). In particolare, il
comma 8, lettera d), del novellato
articolo 1 dispone che «Il ricorso alla trattativa diretta, ossia la facoltà
dell’amministrazione di negoziare la vendita direttamente con un unico soggetto»,
è ammesso «nel caso di beni immobili o di porzioni di fabbricati che su istanza
dei privati sono stati sdemanializzati e passati al patrimonio dello Stato e
successivamente della Regione e che siano detenuti da privati cittadini che
hanno già presentato istanza di sdemanializzazione e, quindi, non suscettibili
di diversa utilizzazione produttiva».
2.3.— L’art. 3, comma
6, della legge regionale n. 6 del 2012 dispone che «A decorrere dall’anno 2012
la spesa annua per missioni, anche all’estero, con esclusione di quelle
relative al Corpo forestale e di vigilanza ambientale, nonché di quelle
connesse alle attività di presidio del territorio e servizio di piena (Geni
civili) nonché di quelle connesse alle attività di espletamento del servizio
pubblico essenziale per la fornitura idrica svolte dall’ENAS, nonché di quelle
strettamente connesse all’attuazione di accordi nazionali ovvero indispensabili
per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi
internazionali o comunitari, non può essere superiore all’80 per cento della
spesa sostenuta nell’anno 2009. Il limite di spesa stabilito dal presente comma
può essere superato in casi eccezionali con deliberazione della Giunta
regionale da adottarsi su proposta dell’Assessore competente in materia di
personale».
2.4.— L’art. 3, comma
7, della legge regionale n. 6 del 2012 prevede che, per lo svolgimento di
missioni, il personale sia tenuto a utilizzare i mezzi di servizio ovvero i
mezzi pubblici; tuttavia, «qualora l’uso dei mezzi pubblici sia inconciliabile
con lo svolgimento della missione ovvero qualora l’uso del mezzo proprio
risulti economicamente più conveniente, può esserne autorizzato l’utilizzo».
2.5.— L’art. 4, comma 48, della legge regionale n.
6 del 2012 dispone che «Al fine di consentire alle imprese sarde iscritte
all’Albo regionale appaltatori di adeguare, per effetto della sentenza della
Corte costituzionale 7 dicembre 2011, n. 328, la propria qualificazione ai
pubblici appalti per categorie di opere generali e specializzate, il termine di
cui all’articolo 35, commi 1 e 3,
della legge regionale 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di
qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori
pubblici che si svolgono nell’ambito territoriale regionale), è prorogato al 31
dicembre 2012, e gli enti e le pubbliche amministrazioni che dispongono le
procedure di affidamento di lavori pubblici sono quelle indicate all’articolo 3 della legge regionale n. 5 del
2007».
3.— Ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 2, comma 3, della legge regionale
n. 6 del 2012 autorizzando l’assessore competente in materia di bilancio a
prelevare risorse fino a 10 milioni di euro dal fondo sanitario regionale, al
fine di integrare il Fondo per la non autosufficienza, qualora quest’ultimo
risulti carente, violerebbe, da un lato, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto inciderebbe sulla
competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, e, dall’altro, l’art. 4, lettera h), dello Statuto speciale, perché
eccederebbe la competenza legislativa concorrente in materia di assistenza
pubblica.
In secondo luogo, la
difesa dello Stato lamenta che l’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 6
del 2012, prevedendo il ricorso a trattativa diretta nel caso di immobili che
siano stati sdemanializzati su istanza dei privati, che siano passati al
patrimonio dello Stato e successivamente della Regione, e che «siano detenuti da privati cittadini
che hanno già presentato istanza di sdemanializzazione e, quindi, non
suscettibili di diversa utilizzazione produttiva», non consentirebbe di
comprendere se oggetto della trattativa sia «il diritto di proprietà ovvero il
diritto reale d’uso del bene», ma che, in ogni caso, privilegiando
«irragionevolmente ai fini dell’acquisto i cittadini "detentori” dei beni in
questione rispetto agli altri possibili interessati», violerebbe il principio
di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., e l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva allo Stato la
tutela della concorrenza.
In terzo luogo, il
Presidente del Consiglio dei ministri osserva che l’art. 3, comma 6, della
legge regionale n. 6 del 2012, nello stabilire che a partire dal 2012 la spesa
annua per le missioni non possa essere superiore all’80 per cento della spesa
sostenuta nell’anno 2009, anziché al 50 per cento di dette spese, come previsto
dall’articolo 6, comma 12, del decreto-legge n. 78 del 2010, esorbiterebbe «dai
limiti della competenza legislativa concorrente in materia di coordinamento
della finanza pubblica, prevista per le Regioni ordinarie dall’art. 117, terzo
comma, Cost., ed estesa, ex art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001,
alla Regione Sardegna quale forma di autonomia più ampia».
In quarto luogo, la
difesa statale rileva che l’art. 3, comma 7, della legge regionale n. 6 del
2012, prevedendo che il personale pubblico possa essere autorizzato all’uso del
mezzo proprio per lo svolgimento di missioni, sarebbe in contrasto con
l’articolo 6, comma 12, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui
prevede che al personale contrattualizzato non si applichino le disposizioni
relative al trattamento economico di missione contenute nell’art. 15 della legge 18 dicembre 1973, n. 836
(Trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali),
che autorizza l’uso del mezzo proprio per lo svolgimento di missioni ispettive,
e nell’art. 8 della legge 26 luglio
1978, n. 417 (Adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento
dei dipendenti statali), che disciplina l’indennità chilometrica. In ragione di
tale contrasto, la disposizione impugnata violerebbe: il principio di
eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché, attribuendo ai dipendenti della
Regione autonoma della Sardegna un diritto non riconosciuto agli altri
dipendenti pubblici, determinerebbe una disparità di trattamento; l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza statale la
materia dell’ordinamento civile; l’art. 117, terzo comma, Cost., perché derogherebbe al
principio in materia di coordinamento della finanza pubblica contenuto
nell’articolo 6, comma 12, del decreto-legge n. 78 del 2010; l’art. 3, lettera a), dello Statuto speciale per la Sardegna,
perché esorbiterebbe «dai limiti della competenza legislativa primaria in
materia di ordinamento del personale».
In quinto luogo, il
Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 4, comma 48, della legge
regionale n. 6 del 2012, che dispone la proroga del termine per partecipare
alle procedure di affidamento di lavori pubblici che si svolgono in ambito
regionale, a favore delle imprese sarde iscritte all’Albo regionale
appaltatori, anche laddove non siano in possesso della qualificazione attestata
prevista dalla legge 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di
qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori
pubblici che si svolgono nell’ambito territoriale regionale), i cui articoli 1
e 2 sono stati dichiarati illegittimi con la sentenza della
Corte costituzionale n. 328 del 2011. Ad avviso della difesa statale, la
disposizione impugnata violerebbe la competenza esclusiva statale in materia di
concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ed eccederebbe la competenza legislativa primaria in
materia di lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione, di cui
all’art. 3, lettera e), dello Statuto
speciale.
4.— Si è costituita in
giudizio la Regione autonoma della Sardegna,
chiedendo che le censure prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri
siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate.
4.1.— La difesa regionale sostiene, innanzitutto,
l’inammissibilità della censura relativa all’art. 2, comma 3, della legge
regionale n. 6 del 2012, poiché la difesa statale non si curerebbe di
dimostrare in che modo tale disposizione, riguardante le risorse da destinarsi
ai progetti socio-assistenziali, impedirebbe «ai cittadini residenti (o
temporaneamente presenti) in Sardegna di fruire dei servizi essenziali afferenti
al diritto alla salute». La censura sarebbe, poi, in ogni caso non fondata, in
quanto la disposizione impugnata non inciderebbe sui livelli essenziali delle
prestazioni sanitarie o socio-assistenziali, «dato che non si rinviene, nella
disposizione censurata, alcun limite diretto o indiretto alla fruizione delle
prestazioni previste dal d.P.C.M. 29 novembre 2001,
che, ai sensi dell’art. 54 della l. n. 289 del 2002, costituiscono, appunto, i
c.d. LEA», né «a qualsivoglia altra disposizione recante la qualificazione di
una prestazione come rientrante nei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali». Infine, la difesa regionale osserva
che la Regione autonoma della
Sardegna, sulla base dell’art. 1, comma 836, della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato - legge finanziaria 2007), provvede autonomamente al fabbisogno del
Servizio sanitario nazionale sul proprio territorio, senza alcun apporto a
carico del bilancio dello Stato, e che di conseguenza essa, «nel finanziare il
sistema sanitario regionale, può modulare il bilancio regionale anche nelle
forme di cui alla disposizione impugnata».
4.2.— In secondo luogo, secondo la difesa della
Regione autonoma della Sardegna, la
censura riferita all’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 6 del 2012 – in
base alla quale tale disposizione non consentirebbe di comprendere se oggetto
della trattativa privata di immobili sdemanializzati su istanza dei privati e
successivamente assegnati al patrimonio della Regione sia «il diritto di
proprietà ovvero il diritto reale d’uso del bene» – sarebbe inammissibile,
perché non sarebbe «invocato alcun parametro di legittimità cui commisurare la
censura», e perché «la questione è puramente ipotetica, perplessa ed eventuale,
in quanto non è dato comprendere se la disposizione sarebbe incostituzionale
nel caso in cui prevedesse la vendita della proprietà o nel caso in cui
prevedesse la vendita dell’uso o, infine, nel caso in cui fossero previste
entrambe le fattispecie». Parimenti inammissibile sarebbe la censura secondo
cui l’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 6 del 2012 violerebbe gli artt.
3 e 117, secondo comma, lettera e),
Cost., perché – osserva la difesa regionale – il ricorrente non considererebbe
«la specifica competenza attribuita alla Regione dall’art. 8, comma 1, lettera i), dello Statuto, ai sensi del quale le
entrate della Regione sono costituite "dai redditi derivanti dal proprio
patrimonio e dal proprio demanio”; circostanza che implica necessariamente la
facoltà, per il legislatore regionale, di disciplinare le modalità di
valorizzazione e alienazione del proprio patrimonio e del proprio demanio». Nel
merito, ad avviso della difesa regionale, la disposizione impugnata non
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la disciplina in esame non avrebbe «alcun
riferimento alla produzione e all’offerta sul mercato di beni e di servizi» perché
«al fondamento dell’istanza di sdemanializzazione» vi sarebbe «l’impossibilità
di una diversa "utilizzazione produttiva” del bene» e si sarebbe quindi «al di
fuori dell’ambito riservato allo Stato dalla materia "tutela della
concorrenza”». Secondo la difesa regionale, anche la censura relativa alla
violazione dell’art. 3 Cost. sarebbe infondata, perché le norme
sull’alienazione del patrimonio immobiliare pubblico «presentano una pluralità
di ipotesi in cui alla procedura di evidenza pubblica è preferita una modalità
diversa di selezione del contraente», come ad esempio l’alienazione «del
patrimonio di edilizia popolare pubblica, disciplinata dall’art. 1, comma 6,
della l. n. 560 del 1993, riservata in favore degli inquilini», per cui non vi
sarebbe alcuna irragionevolezza nel prevedere una forma di trattativa diretta
con il soggetto già detentore del bene che abbia presentato apposita istanza di
sdemanializzazione.
4.3.— La Regione autonoma della Sardegna ritiene, poi, che anche la censura
relativa all’art. 3, comma 6, della legge regionale n. 6 del 2012 sia
infondata, dato che l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilirebbe,
conformemente alla giurisprudenza costituzionale, «"un limite complessivo, che
lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa” (così la sent. n. 139 del
2012)», non vincolante quale disposizione di dettaglio.
4.4.— In relazione all’art. 3, comma 7, della legge
regionale n. 6 del 2012, la difesa regionale sostiene, innanzitutto, che le
censure relative agli artt. 3 e 117,
secondo comma, lettera l), Cost., sarebbero inammissibili per la
loro genericità e perché la difesa dello Stato non avrebbe sufficientemente
argomentato in che modo il legislatore regionale esorbiterebbe dalla competenza
esclusiva statale in materia di "ordinamento degli uffici”. Nel merito, la
Regione autonoma della Sardegna afferma
che la disposizione impugnata non
violerebbe il principio in materia di coordinamento della finanza pubblica di
cui all’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, perché l’uso del mezzo
proprio è consentito solo qualora risulti economicamente più conveniente; né
inciderebbe sulla competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento
civile» di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., dato che ricadrebbe, piuttosto, «nell’ambito
materiale di competenza esclusiva regionale "ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del
personale”»; né sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto non
rileverebbe «il fatto che la disciplina dettata per i dipendenti sardi sarebbe
(oltretutto solo parzialmente) diversa da quella praticata ad altri, visto che
questa non è che la conseguenza naturale dell’autonomia regionale».
4.5.— Infine, la difesa regionale sostiene
l’infondatezza della questione relativa all’art. 4, comma 48, della legge
regionale n. 6 del 2012 in ragione del carattere transitorio di tale norma:
essa, infatti, non avrebbe «prorogato la vigenza del sistema di qualificazione
regionale» delle imprese appaltatrici previsto dalla legge della Regione
Sardegna n. 14 del 2002, e già dichiarato illegittimo dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 328 del
2011, ma avrebbe «esteso per un brevissimo arco di tempo (fino alla fine
del 2012) il regime transitorio già introdotto» con tale legge, che non era
stato oggetto della pronuncia della Corte.
5.— In data 22 gennaio
2013 la Regione autonoma della Sardegna
ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ha ribadito
l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso.
5.1.— Innanzitutto, l’art. 2, comma 3, della legge
regionale n. 6 del 2012 non limiterebbe le prestazioni garantite tra i livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali: poiché il d.P.C.M. del 21 marzo 2008 – che, secondo la difesa
regionale avrebbe modificato il d.P.C.M. 29 novembre
2001 –, prevede che «il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone
non autosufficienti e in condizioni di fragilità, con patologie in atto o esiti
delle stesse, percorsi assistenziali a domicilio», la disciplina del fondo regionale per le persone non
autosufficienti altro non sarebbe «se non il modo in cui la Regione dà
attuazione alla determinazione dei LEA effettuata dallo Stato». Inoltre,
fondamento della disposizione censurata non sarebbe la sola competenza
legislativa concorrente in materia di assistenza pubblica (art. 4, comma 1,
lettera h, dello Statuto). Nel
disciplinare le risorse da destinarsi a progetti socio-assistenziali e
socio-sanitari, la Regione avrebbe, infatti, esercitato «le proprie
attribuzioni costituzionali relative all’autonomia economico finanziaria,
tutelate dagli artt. 7 e seguenti dello Statuto e 117 e 119 Cost.», nonché «la
propria competenza legislativa esclusiva prevista dall’art. 3, comma 1, lettera
a), dello Statuto in materia di
«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione».
5.2.— Inoltre, la difesa della Regione autonoma
della Sardegna ha ribadito che la
questione riferita all’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 6 del 2012
sarebbe inammissibile, in quanto «formulata in maniera assolutamente perplessa
e meramente ipotetica», e, nel merito, infondata, perché «la sdemanializzazione
del bene è conseguenza dell’impossibilità di una diversa "utilizzazione
produttiva” dello stesso, cosa che per definizione pone la questione al di
fuori dell’ambito materiale della "tutela della concorrenza”». Non sarebbe,
comunque, irragionevole prevedere una trattativa diretta a favore del soggetto
già detentore del bene che abbia presentato apposita istanza di
sdemanializzazione, dato che non mancano norme in materia di alienazione del
patrimonio immobiliare pubblico che prevedono modalità di selezione del
contraente differenti dalle procedure ad evidenza pubblica e, in particolare,
«la trattativa privata a beneficio dei soggetti locatori degli alloggi di
edilizia residenziale pubblica», che sarebbe «la regola nella legislazione
regionale» - come attesterebbero le leggi della Regione Friuli-Venezia Giulia
25 luglio 2012, n. 14 (Assestamento del bilancio 2012 e del
bilancio pluriennale per gli anni 2012-2014 ai sensi dell’articolo 34 della
legge regionale n. 21/2007), della Regione Veneto 18 marzo 2011, n. 7
(Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2011) e della Regione Lazio 29
agosto 1991, n. 42 (Disciplina per la cessione in proprietà degli alloggi degli
Istituti autonomi case popolari del Lazio costruiti senza il contributo o il
concorso dello Stato), e, nella legislazione statale, il decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito dalla legge 24
novembre 2003, n. 326, il decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143 (Disposizioni
urgenti in tema di versamento e riscossione di tributi, di Fondazioni bancarie
e di gare indette dalla Consip S.p.a. nonché di
alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato),
convertito dalla legge 1 agosto 2003,
n. 212, e il decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in
materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico
e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito dalla
legge 23 novembre 2001, n. 410.
5.3.— Anche la censura relativa all’art. 3, comma
6, della legge regionale n. 6 del 2012 sarebbe inammissibile, perché la
Presidenza del Consiglio avrebbe fatto «esclusivo riferimento al Titolo V della
seconda Parte della Costituzione, senza evocare a parametro le corrispondenti
disposizioni statutarie». Nel merito – sempre ad avviso della Regione autonoma
della Sardegna – la censura sarebbe
infondata, dato che l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce,
secondo quanto chiarito dalla sentenza n. 139 del
2012 della Corte costituzionale, «un limite complessivo, nell’ambito del
quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e
obiettivi di spesa», e che a tale principio, così interpretato, la Regione
avrebbe dato attuazione con il successivo comma 9 dell’art. 3, della legge
regionale n. 6 del 2012, non impugnato, ai sensi del quale, «[a]l fine di
partecipare agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, la Giunta
regionale, sulla base delle spese risultanti dal rendiconto per l’anno 2011,
determina con propria deliberazione, l’ammontare complessivo della riduzione
delle proprie spese di funzionamento» indicate dall’art. 6 del decreto-legge n.
78 del 2010 e tale ammontare sarebbe assicurato «anche mediante una modulazione
delle percentuali di risparmio in misura diversa rispetto a quanto disposto
dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 78 del 2010».
5.4.— Secondo la difesa
della Regione autonoma della Sardegna, le censure relative all’art. 3, comma 7,
della legge regionale n. 6 del 2012 sarebbero anch’esse inammissibili e,
comunque, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nella memoria di
costituzione.
5.5.— Infine, la difesa regionale sostiene che
anche la censura relativa all’art. 4, comma 48, della legge regionale n. 6 del
2012 sarebbe non fondata, in considerazione del carattere transitorio della
disposizione stessa e del fatto che la Regione avrebbe ivi previsto «una
proroga così ristretta nel tempo – 31 dicembre 2012 – da essere ormai già
spirata».
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato gli articoli 2, comma 3, 3, commi 4, 6 e 7,
e 4, comma 48, della legge della Regione Sardegna 15 marzo 2012, n. 6 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale della Regione – legge finanziaria 2012), per
violazione degli articoli 3 e 117, secondo comma, lettere e), l) e m), e terzo comma, della Costituzione,
dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione), degli articoli 3, 4 e 5 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
e, come norma interposta, dell’articolo 6, comma 12, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e
di competitività economica), convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
2.— Preliminarmente,
vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità prospettate dalla Regione autonoma
della Sardegna.
2.1.— Innanzitutto,
devono essere respinte le eccezioni basate sulla genericità delle censure relative sia all’art. 2, comma 3,
della legge regionale n. 6 del 2012, per violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost., sia all’art.
3, comma 7, della medesima legge regionale, per violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l),
Cost., nonchè dell’art. 3, lettera a), dello Statuto speciale per la Sardegna.
Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha chiarito i motivi di gravame e ha illustrato, seppur
sinteticamente, le ragioni per le quali le disposizioni impugnate violerebbero
i parametri costituzionali invocati. In primo luogo, l’art. 2, comma 3, della
legge regionale n. 6 del 2012,
riducendo l’ammontare del fondo sanitario regionale – destinato
all’erogazione di livelli essenziali delle prestazioni sanitarie – lederebbe la
competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). In secondo luogo, l’art. 3,
comma 7, della legge impugnata,
autorizzando i dipendenti regionali all’uso del mezzo proprio per lo
svolgimento di missioni, determinerebbe una disparità di trattamento
rispetto ai dipendenti pubblici di altre regioni, in violazione dell’art. 3
Cost. e della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile
(art. 117, secondo comma, lettera l,
Cost.), ed esorbiterebbe dalla competenza legislativa primaria della Regione
Sardegna in materia di «ordinamento del personale». Le censure prospettate,
quindi, sono adeguatamente motivate (da ultimo, sentenze n. 74 del 2012
e n. 114 del
2011).
2.2.— Parimenti non
fondata è l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione autonoma della
Sardegna con riguardo alla censura
riferita all’art. 3, comma 4, della legge impugnata, sotto il profilo che non
sarebbe «invocato alcun parametro di legittimità cui commisurare la censura», e
che, comunque, la questione sarebbe «puramente ipotetica, perplessa ed
eventuale, in quanto non è dato comprendere se la disposizione sarebbe
incostituzionale nel caso in cui prevedesse la vendita della proprietà o nel
caso in cui prevedesse la vendita dell’uso o, infine, nel caso in cui fossero
previste entrambe le fattispecie».
Il Presidente del
Consiglio dei ministri lamenta che l’art. 3, comma 4, della legge regionale n.
6 del 2012, prevedendo il ricorso a trattativa diretta nel caso di immobili già
sdemanializzati «detenuti da privati cittadini che hanno già presentato istanza
di sdemanializzazione e, quindi, non suscettibili di diversa utilizzazione
produttiva», non consentirebbe di comprendere se oggetto della trattativa sia
«il diritto di proprietà ovvero il diritto reale d’uso del bene», e, in ogni
caso, privilegiando «irragionevolmente ai fini dell’acquisto i cittadini
"detentori” dei beni in questione rispetto agli altri possibili interessati»,
violerebbe il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., e l’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., in
materia di tutela della concorrenza.
Il Presidente del
Consiglio dei ministri, in primo luogo, identifica la questione relativa
all’art. 3, comma 4, della legge impugnata con riferimento ai due parametri
esplicitamente invocati (gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera e, Cost.), e, in secondo luogo, ritiene
tale questione rilevante sia ove la disposizione censurata venga interpretata
nel senso che la trattativa diretta abbia per oggetto la vendita della
proprietà, sia nel caso in cui la trattativa diretta riguardi il diritto reale
d’uso. La questione non è, quindi, inammissibile perché il ricorrente non
solleva «due questioni di legittimità costituzionale alternative, frutto di due
percorsi interpretativi opposti, senza minimamente optare per alcuno dei due» (ex plurimis, sentenza n. 328 del
2011).
2.3.— Ancora in via
preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa
regionale avverso la censura relativa all’art. 3, comma 4, della legge
impugnata, in materia di limite alla spesa annua per le missioni, perché il
ricorrente avrebbe fatto «esclusivo riferimento al Titolo V della seconda Parte
della Costituzione, senza evocare a parametro le corrispondenti disposizioni»
dello Statuto speciale.
Ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione impugnata esorbiterebbe
«dagli inderogabili limiti della competenza legislativa concorrente in materia
di coordinamento di finanza pubblica, prevista per le Regioni ordinarie
dall’art. 117, terzo comma, Cost., ed estesa, ex art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, alla Regione
Sardegna quale forma di autonomia più ampia». Il ricorrente ha ritenuto,
applicando l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, che l’art. 117,
terzo comma, Cost., assicuri alla Regione Sardegna, in materia di coordinamento
della finanza pubblica, una forma di autonomia più ampia di quella prevista
dallo Statuto speciale. Tale motivazione giustifica l’invocazione del parametro
contenuto nel Titolo V della Parte II della Costituzione, anziché delle norme
statutarie (sentenze n. 254 e n. 101 del 2010;
sentenza n. 391
del 2006).
2.4.— Infine, è da
rigettare la eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa regionale
relativamente all’impugnazione dell’art. 3, comma 4, della legge della Regione
Sardegna n. 6 del 2012, perché il ricorrente non avrebbe considerato «la
specifica competenza attribuita alla Regione dall’art. 8, comma 1, lettera i), dello Statuto, ai sensi del quale le
entrate della Regione sono costituite "dai redditi derivanti dal proprio
patrimonio e dal proprio demanio”». Tale eccezione infatti si risolve nella questione di
merito se la disposizione impugnata, in materia di dismissione di beni immobili
sdemanializzati, ricada nell’ambito di applicazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., ovvero in
quello dell’art. 8, comma 1, lettera i),
dello Statuto speciale, e pertanto viene svolta nel prosieguo.
3.— Ciò premesso, ai
fini dell’ordine della loro trattazione, le censure proposte dal Presidente del
Consiglio dei ministri nei confronti della legge della Regione Sardegna n. 6
del 2012 vanno suddivise in cinque gruppi, corrispondenti ad altrettante
questioni e riguardanti, rispettivamente: l’articolo 2, comma 3, in materia di fondo sanitario regionale e di
fondo per la non autosufficienza; l’articolo 3, comma 4, che ha per
oggetto la dismissione di immobili
sdemanializzati; l’articolo 3, comma 6,
relativo al limite di costo per le missioni dei dipendenti regionali; l’articolo 3, comma 7, che
riguarda l’uso del mezzo proprio per dette missioni; l’articolo 4, comma 48, in materia di lavori pubblici.
4.— Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato l’articolo 2, comma 3, della legge
regionale n. 6 del 2012 perché tale disposizione, autorizzando l’assessore
competente in materia di bilancio a integrare il fondo per la non
autosufficienza, prelevando risorse fino 10 milioni di euro dal fondo sanitario
regionale, violerebbe, da un lato, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto inciderebbe sulla
competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, e, dall’altro, l’art. 4, lettera h), dello Statuto speciale, perché
eccederebbe la competenza legislativa concorrente in materia di assistenza
pubblica.
La questione non è
fondata.
4.1.— Innanzitutto, il
titolo di legittimazione dell’intervento statale riferito alla determinazione
degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni «è invocabile in
relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca
il livello essenziale di erogazione» (ex plurimis, sentenze n. 296 e n. 203 del 2012,
n. 322 del 2009,
n. 168 e n. 50 del 2008),
prestazioni che, nel caso in esame, il ricorrente non ha individuato.
Inoltre, non vi è un rapporto
automatico tra ammontare del fondo sanitario regionale e rispetto dei livelli
essenziali di assistenza: il soddisfacimento di tali livelli non dipende solo
dallo stanziamento di risorse, ma anche dalla loro allocazione e utilizzazione.
Infine, la disposizione
impugnata, prevedendo che parte dei finanziamenti provenienti dal fondo
sanitario siano destinati al fondo per la non autosufficienza, non determina
una lesione dei livelli essenziali delle prestazioni, ma, al contrario, è
funzionale alla loro attuazione. Il
fondo per la non autosufficienza della Regione autonoma
della
Sardegna è stato istituito dall’art. 34 della legge regionale 29 maggio 2007,
n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione - legge finanziaria 2007), al fine di sostenere le persone non
autosufficienti, definite come persone anziane o disabili che non possono
«provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di
relazione senza l’aiuto determinante di altri». L’attività sanitaria e sociosanitaria a favore di anziani non
autosufficienti è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria dal
d.P.C.M. 29 novembre 2001 (che non risulta sostituito
dal d.P.C.M. 21 marzo 2008, poiché quest’ultimo è
stato oggetto di rilievi della Corte dei Conti circa l’assenza di copertura
finanziaria). Il fondo regionale per la non autosufficienza, quindi, così come
quello nazionale istituito dall’art. 1,
comma 1264, della legge 27
dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), concorre ad
assicurare l’attuazione dei livelli essenziali di assistenza con riguardo agli
anziani non autosufficienti.
Ne discende la non
fondatezza della censura relativa alla
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
4.2.— Parimenti non
fondata è la censura riferita all’art.
4, lettera h), dello Statuto
speciale, secondo la quale la disposizione impugnata eccederebbe la
competenza legislativa concorrente in materia di assistenza pubblica. Infatti, dopo la riforma di cui alla legge
costituzionale n. 3 del 2001, l’ambito materiale dell’assistenza e dei servizi
sociali, fatta salva la potestà legislativa esclusiva statale nel determinarne
i livelli essenziali, rientra nella competenza residuale delle Regioni (da
ultimo, sentenza
n. 296 del 2012; in precedenza, ex multis, sentenza n. 10 del
2010). In applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001, in base al quale «[s]ino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le
disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle
Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per
le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già
attribuite», la competenza in materia di assistenza sociale della Regione autonoma
della Sardegna
è ora residuale e non concorrente.
5.— Il Presidente del
Consiglio dei ministri impugna l’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 6
del 2012, che prevede il ricorso a trattativa diretta nel caso di immobili che
siano stati sdemanializzati e che siano
detenuti da privati cittadini i quali abbiano presentato istanza di
sdemanializzazione, perchè violerebbe il principio di
eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., e l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva allo Stato la
tutela della concorrenza.
La questione è fondata.
L’art. 3, comma 4,
della legge impugnata sostituisce l’art. 1 della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 1995, n. 35 (Alienazione
dei beni patrimoniali).
Premesso che le norme
poste a tutela della concorrenza vincolano anche le Regioni a statuto speciale,
inclusa la Regione Sardegna, semprechè, beninteso,
non contrastino con specifiche previsioni statutarie (ex multis, sentenza n. 144 e n. 184 del 2011;
sentenza n. 45
del 2010), va innanzitutto osservato che i beni oggetto della disposizione
impugnata sono sdemanializzati e, quindi, commerciabili e alienabili. In base
all’art. 1, commi 1 e 4, della legge regionale n. 35 del 1995, essi non sono
funzionalmente utilizzabili dalla Regione o da suoi enti strumentali, non hanno
interesse ambientale o culturale e non sono adibiti ad abitazione.
L’impugnato art. 3,
comma 4, prevedendo la trattativa diretta a beneficio di coloro che detengano
il bene – peraltro senza che la legge regionale precisi a quale titolo – e che
abbiano presentato istanza di sdemanializzazione, attribuisce un privilegio
irragionevole a tali soggetti, con riferimento a beni che, pur dichiarati dalla
norma «non suscettibili di diversa utilizzazione produttiva» (art. 1, comma 8,
lettera d, della legge regionale n. 35 del 1995),
possono comunque costituire oggetto di un mercato competitivo. Questa ipotesi
di trattativa diretta, dunque, restringe la concorrenza sul mercato dei beni
immobili non funzionalmente utilizzabili dalla Regione e non adibiti ad
abitazione, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ex multis, sentenza
n. 325 del 2010).
Alla stessa conclusione di fondatezza della questione si
perviene in relazione alla censura relativa alla violazione del principio di
eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost.
Il soggetto che detenga
il bene e che abbia presentato istanza di sdemanializzazione non è, infatti,
portatore di un interesse qualificato, meritevole di una tutela rafforzata, che
valga a giustificare un trattamento privilegiato rispetto alla generalità dei
potenziali acquirenti dell’immobile, diversamente dal soggetto locatario
dell’immobile adibito ad uso abitativo, stante la rilevanza costituzionale del
diritto all’abitazione. Quest’ultima ipotesi è appositamente disciplinata da
altra disposizione – art. 1, comma 4 – della medesima legge della Regione
Sardegna n. 35 del 1995, la quale prevede che «l’amministrazione […] prima di
avviare ogni altra procedura di dismissione propone la cessione del diritto di
proprietà al detentore del bene per l’esercizio della prelazione».
6.— Il Presidente del
Consiglio dei ministri censura l’art. 3, comma 6, secondo cui, a partire dal
2012, la spesa annua per le missioni non può essere superiore all’80 per cento
della spesa sostenuta nell’anno 2009. Tale disposizione violerebbe l’art. 117,
terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica, in
quanto in contrasto con l’articolo 6, comma 12, del decreto-legge n. 78 del
2010, che prevede una riduzione del 50 per cento di dette spese.
La questione non è fondata.
Come questa Corte ha
avuto modo di chiarire, l’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 detta
«puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa», ma
ciò «non esclude che da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito
del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti
e obiettivi di spesa» (sentenza n. 139 del
2012).
L’art. 6 del
decreto-legge n. 78 del 2010 può considerarsi espressione di un principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica «nel senso di limite
globale, complessivo, al punto che ciascuna Regione deve ritenersi libera di
darvi attuazione, nelle varie leggi di spesa, relativamente ai diversi
comparti, in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia
pari a quello indicato nella legge statale» (sentenza n. 211 del
2012). A tale principio, così interpretato, la Regione autonoma della
Sardegna si è uniformata: il comma 9 dell’art. 3 della legge regionale n. 6 del
2012 prevede che «[a]l fine di partecipare agli obiettivi di contenimento della
spesa pubblica, la Giunta regionale, sulla base delle spese risultanti dal
rendiconto per l’anno 2011, determina con propria deliberazione, l’ammontare
complessivo della riduzione delle proprie spese di funzionamento» indicate
dall’articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 e che tale ammontare è
assicurato dalla Giunta regionale «anche mediante una modulazione delle
percentuali di risparmio in misura diversa» rispetto a quanto disposto dal
medesimo articolo 6.
7.— Il Presidente del
Consiglio dei ministri censura l’art. 3, comma 7, della legge della Regione
Sardegna n. 6 del 2012, che consente di autorizzare il personale regionale
all’uso del mezzo proprio per lo svolgimento di missioni. Tale norma sarebbe in
contrasto con l’art. 6, comma 12, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte
in cui prevede che al personale contrattualizzato non trovino applicazione le
disposizioni in materia di trattamento economico di missione di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 836
(Trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali) e
alla legge 26 luglio 1978, n. 417
(Adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento dei
dipendenti statali). Sarebbero, così, violati gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), e terzo
comma, Cost., nonché l’art. 3,
lettera a), dello Statuto speciale per la Sardegna, in materia di
«ordinamento del personale».
La questione è fondata.
Il trattamento economico dei dipendenti pubblici, il cui rapporto di
impiego sia stato privatizzato e disciplinato dalla contrattazione collettiva
secondo quanto previsto dal decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), rientra nella competenza legislativa esclusiva
statale in materia di ordinamento civile (sentenze n. 290 del 2012
e n. 77 del 2011).
A tale ambito materiale va ricondotta la disposizione in esame che,
autorizzando il personale della Regione all’uso del mezzo proprio per lo
svolgimento di missioni, «afferisce ad uno specifico profilo del trattamento
economico del dipendente pubblico regionale» (sentenza n. 19 del
2013).
Rimangono assorbiti gli
ulteriori profili di censura.
8.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri, infine, impugna l’art. 4, comma 48, della legge impugnata, che
proroga i termini dell’art. 35 della legge
della Regione Sardegna 9 agosto 2002, n. 14 (Nuove norme in materia di
qualificazione delle imprese per la partecipazione agli appalti di lavori
pubblici che si svolgono nell’ambito territoriale regionale) e consente alle
imprese regionali di partecipare ai lavori pubblici «pur non essendo in
possesso della prescritta qualificazione attestata in conformità alla
disciplina nazionale vigente in materia». La norma violerebbe la competenza
esclusiva statale in materia di concorrenza, di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., ed
eccederebbe la competenza legislativa primaria in materia di «lavori pubblici
di esclusivo interesse della Regione» di cui all’art. 3, lettera e), dello Statuto speciale.
La questione è fondata.
8.1.— L’art. 4, comma 48, della legge
impugnata proroga al 31 dicembre 2012 il termine di vigenza del regime
transitorio previsto dall’art. 35 della legge regionale n. 14 del 2002,
inizialmente fissato al 30 giugno 2003 e già in precedenza prorogato al 30
giugno 2004. In base a tale disposizione, possono partecipare alle procedure di
affidamento di lavori pubblici che si eseguono nel territorio della Regione
Sardegna anche le imprese che non dispongano della qualificazione attestata in
conformità alla legge regionale n. 14 del 2002 stessa, a condizione di possedere
alcuni requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi elencati dal
medesimo articolo 35.
Con la sentenza n. 328 del
2011, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt.
1 e 2 della legge della Regione Sardegna n. 14 del 2002, perché tali norme
hanno dettato una «disciplina dei sistemi di qualificazione delle imprese per
la partecipazione alle gare per gli appalti di lavori pubblici di interesse
regionale difforme da quella nazionale» – prevista dal decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce) – «alla quale
avrebbero invece dovuto adeguarsi», così incidendo «sul livello della
concorrenza, garantito dalla normativa statale, strumentale a consentire la
piena apertura del mercato nel settore degli appalti (sentenza n. 114 del
2011)».
Come gli artt. 1 e 2 della legge
regionale n. 14 del 2002, dichiarati illegittimi da questa Corte, anche
l’ulteriore proroga della disciplina transitoria prevista dal citato art. 35,
che, dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 163 del
2006, consente alle imprese – seppure in via provvisoria – di partecipare ad
appalti di lavori pubblici effettuati nel territorio della Regione Sardegna in
assenza dei requisiti di qualificazione previsti dalla disciplina nazionale,
interferisce con la tutela della concorrenza, in violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
8.2.— L’art. 3, lettera e), dello Statuto speciale attribuisce
alla Regione la competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici
di esclusivo interesse regionale. Tale tipo di competenza deve essere
esercitato «in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento
giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali […],
nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali» (art. 3 dello
Statuto speciale di autonomia). Per costante giurisprudenza costituzionale, «le
disposizioni del Codice degli appalti» – d.lgs. n. 163 del 2006 – «per la parte
in cui sono correlate all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ed alla materia "tutela della concorrenza”, vanno […]
"ascritte, per il loro stesso contenuto d’ordine generale, all’area delle norme
fondamentali di riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo
Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla
partecipazione dell’Italia all’Unione europea” (sentenza n. 144 del
2011), che costituiscono limite alla potestà legislativa primaria della
Regione» (sentenza
n. 184 del 2011). La disposizione in esame, discostandosi da quanto
previsto dal d.lgs. n. 163 del 2006 circa i requisiti di qualificazione delle
imprese, non rispetta i limiti posti dallo Statuto speciale all’esercizio della
competenza legislativa primaria della Regione autonoma.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale degli articoli 3, comma 7, e 4, comma
48, della legge della Regione autonoma della Sardegna 15 marzo 2012, n. 6
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione – legge finanziaria 2012), nonché dell’art. 1, comma 8, lettera d), della legge della Regione autonoma
della Sardegna 5 dicembre 1995, n. 35 (Alienazione dei beni patrimoniali),
quale sostituito dall’art. 3, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 6 del 2012;
2) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 3, della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 6 del 2012,
promossa, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e all’art. 4,
lettera h), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3
(Statuto speciale per la Sardegna), dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 6, della legge della Regione autonoma della Sardegna n. 6
del 2012, promossa, in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27
febbraio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2013.