Sentenza n. 79 del 2014

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SENTENZA N. 79

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                                 Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                 Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                           ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                          ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                   ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                 ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                      ”

-           Paolo                           GROSSI                                              ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                         ”

-           Aldo                            CAROSI                                              ”

-           Marta                           CARTABIA                                        ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                  ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                           ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                       ”

-           Giuliano                       AMATO                                              ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dalla Regione Lombardia con ricorso notificato il 13 ottobre 2012, depositato in cancelleria il 22 ottobre 2012 ed iscritto al n. 162 del registro ricorsi 2012.

            Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2014 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

            uditi l’avvocato Fabio Cintioli per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

            1.– Con ricorso notificato il 13 ottobre 2012, depositato il successivo 22 ottobre, la Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore, ha proposto questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 16, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli artt. 3, 5, 117 e 119 Cost.

            1.2.– La ricorrente premette che le censure sono rivolte ai commi 1 e 2 del citato art. 16, i quali stabiliscono il concorso delle Regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica anche mediante la riduzione delle spese per i consumi intermedi (comma 1).

            In vista del raggiungimento di tale obiettivo, le norme citate, in primo luogo, determinano l’ammontare complessivo del concorso finanziario delle Regioni agli obiettivi del patto di stabilità interno, con riferimento agli anni 2012, 2013, 2014 e «a decorrere dal 2015» (comma 2, primo periodo); poi, dispongono che la ripartizione di tale concorso fra le Regioni è determinata con delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, anche tenendo conto delle analisi della spesa effettuate dal commissario straordinario di cui all’art. 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica), convertito, modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 94, con delibera che è recepita da un apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze entro il 30 settembre 2012 (comma 2, secondo periodo); prevedono, altresì, che, in caso di mancata delibera della predetta Conferenza, il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze è comunque emanato entro il 15 ottobre 2012, «ripartendo la riduzione in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l’anno 2011, dal SIOPE» (comma 2, terzo periodo). Stabiliscono, inoltre, che, «con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuate le risorse a qualunque titolo dovute dallo Stato alle regioni a statuto ordinario, incluse le risorse destinate alla programmazione regionale del Fondo per le aree sottoutilizzate, ed escluse quelle destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale e del trasporto pubblico locale, che vengono ridotte, per ciascuna Regione, in misura corrispondente agli importi stabiliti ai sensi del primo, del secondo e del terzo periodo» (comma 2, quarto periodo). Prescrivono, infine, che «in caso di insufficienza delle predette risorse le regioni sono tenute a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue» (comma 2, ultimo periodo).

            1.3.– Le richiamate disposizioni sono censurate, anzitutto, per violazione degli artt. 3, 5, 117, commi primo, secondo, terzo e quarto, e 119 Cost., nella parte in cui suddividono la riduzione dei trasferimenti statali tra le Regioni in relazione ai consumi intermedi. Così disponendo, infatti, esse sarebbero, in primo luogo, irragionevoli e determinerebbero l’effetto di penalizzare le Regioni più virtuose nella gestione delle risorse. Secondo la ricorrente, infatti, ad essere maggiormente colpite sarebbero proprio quelle Regioni che abbiano mantenuto entro livelli ragionevolmente contenuti la propria dimensione organizzativa, favorendo l’outsourcing e ricercando all’esterno dell’apparato amministrativo regionale la migliore efficienza, impiegando le risorse conseguite a questo tipo di risparmi nell’incremento dei livelli del servizio pubblico: il che comprometterebbe il più corretto sviluppo delle autonomie e del decentramento, così come voluto dall’art. 5 Cost. Dette disposizioni condizionerebbero ed orienterebbero la gestione organizzativa ed amministrativa regionale per il futuro, comprimendone le competenze, in violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., ed oltretutto optando per un criterio organizzativo che non sarebbe affatto in armonia con gli obiettivi di risanamento finanziario e di contenimento della spesa pubblica i quali, a loro volta, corrispondono al fine dell’equilibrio dei bilanci regionali, nonché ai «vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea» (art. 117, primo comma, Cost.).

            Esse, inoltre, conterrebbero una disciplina che va ben al di là della determinazione dei principi di «coordinamento della finanza pubblica» e che sarebbe, quindi, lesiva dell’autonomia finanziaria regionale, considerato che gli stringenti limiti di spesa da esse introdotti, corrispondenti a “tagli tematici”, mirati su determinati capitoli, sarebbero calibrati in maniera tale da non lasciare alle Regioni medesime la facoltà di scegliere il modo in cui effettuare il risparmio di spesa, determinando un indebito condizionamento nelle scelte e nell’attività della Regione, senza peraltro  avere neppure carattere transitorio (riguardando gli anni 2012-2014 e quelli «a decorrere dall’anno 2015»).

            Ulteriori censure sono poi rivolte all’art. 16, commi 1 e 2, del d.l. n. 95 del 2012, con riferimento agli artt. 117 e 119, terzo e quinto comma, Cost. Le citate disposizioni, nella parte in cui prevedono che i tagli sui trasferimenti statali siano più elevati per le Regioni che abbiano consumi intermedi più alti, ritenuti una manifestazione di “ricchezza”, produrrebbero, infatti, una perequazione irragionevole e dannosa per il futuro e sganciata dagli obiettivi di solidarietà, e lesiva del terzo comma dell’art. 119 Cost. che àncora il funzionamento del fondo perequativo alla capacità fiscale delle medesime Regioni, nonché del quinto comma dello stesso art. 119 Cost., che prevede che gli oneri necessari per la rimozione degli squilibri economico–sociali e la promozione dello sviluppo economico delle Regioni meno avanzate debbano essere sostenuti dallo Stato e non dalle altre Regioni e devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per l’esercizio delle normali funzioni.

            2.– Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto, nell’atto di costituzione e nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, che il ricorso venga dichiarato inammissibile e comunque rigettato.

            2.1.– Ad avviso della difesa statale l’operato del legislatore sarebbe del tutto legittimo, posto che, con le disposizioni censurate, avrebbe perseguito obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, incidendo su una voce di spesa complessiva, quella relativa ai consumi intermedi, senza peraltro determinarne gli strumenti e le modalità, ma lasciando liberi gli enti di individuare le misure necessarie al fine del contenimento della spesa, nel rispetto dell’art. 117, terzo comma, Cost. e dell’art. 119, primo comma, Cost. Inoltre, la difesa statale precisa che il riferimento alle spese per i consumi intermedi, ai fini del riparto fra le Regioni dell’ammontare complessivo del concorso finanziario regionale alle spese, diviene esclusivo nella sola ipotesi, delineata al comma 2 del medesimo art. 16, nella quale non si abbia la deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ipotesi residuale.

            La questione proposta in riferimento all’art. 117, terzo comma, e 119, primo comma, Cost. sarebbe, prima ancora che infondata, inammissibile, non risultando la sussistenza di un vulnus diretto ed immediato alla finanza regionale, posto che la ricorrente non fornirebbe alcuna dimostrazione concreta che l’intervento statale «altera gravemente il rapporto tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte» (sentenze n. 246 del 2012 e n. 145 del 2008) e determina squilibri economico-finanziari e considerato che il riferimento operato dal legislatore alla voce generale “spese per consumi intermedi” non conterrebbe, né prefigurerebbe alcun vincolo puntuale e specifico per il successivo comportamento degli enti.

            Priva di fondamento sarebbe, poi, la censura di violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., per avere la legge statale violato la competenza legislativa regionale residuale in materia di «organizzazione dei pubblici uffici». La norma impugnata, infatti, si limiterebbe a prevedere la riduzione dei trasferimenti operati dallo Stato a vantaggio delle Regioni, senza imporre alcuna specifica modalità operativa circa gli strumenti con cui attuare il risparmio di spesa.

            Inammissibili sarebbero, infine, le censure di violazione degli artt. 3 e 5 Cost., in quanto riferite a parametri non attinenti al riparto delle competenze, senza che sia desunta la compressione di sfere di attribuzione regionale, nonché le censure proposte nei confronti dell’art. 119, terzo e quinto comma, Cost., in quanto volte ad ipotizzare l’esistenza di trattamenti disomogenei e di violazioni di precetti costituzionali senza definirne puntualmente essenza e consistenza.

            3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.– La Regione Lombardia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 16, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

Le citate disposizioni sono impugnate nella parte in cui: stabiliscono che le Regioni concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica anche mediante la riduzione delle spese per i consumi intermedi (comma 1); determinano l’ammontare complessivo di tale concorso con riferimento agli anni 2012, 2013, 2014 e «a decorrere dal 2015» (comma 2, primo periodo); dispongono che la ripartizione di tale concorso fra le Regioni è determinata con delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, anche tenendo conto delle analisi della spesa effettuate dal commissario straordinario di cui all’art. 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica), convertito, modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 94, delibera che è recepita da un apposito decreto del Ministero dell’economia e delle finanze entro il 30 settembre 2012 (comma 2, secondo periodo); prevedono che, in caso di mancata delibera della predetta Conferenza, il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze è comunque emanato entro il 15 ottobre 2012, «ripartendo la riduzione in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l’anno 2011, dal SIOPE» (comma 2, terzo periodo). Esse sono, inoltre, censurate là dove stabiliscono che «le risorse a qualunque titolo dovute dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario, incluse le risorse destinate alla programmazione regionale del Fondo per le aree sottoutilizzate, ed escluse quelle destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale e del trasporto pubblico locale», determinate con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente Stato-Regioni, «vengono ridotte, per ciascuna Regione, in misura corrispondente agli importi stabiliti ai sensi del primo, del secondo e del terzo periodo» (comma 2, quarto periodo) e che «in caso di insufficienza delle predette risorse le Regioni sono tenute a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue» (comma 2, ultimo periodo).

Secondo la ricorrente, i richiamati commi 1 e 2 dell’art. 16 del d.l. n. 95 del 2012, ripartendo tra le Regioni il concorso finanziario agli obiettivi del patto di stabilità in relazione alle spese per i consumi intermedi, violerebbero gli artt. 3, 5, 117, primo, secondo, terzo e quarto comma, e 119 Cost. Essi, infatti determinerebbero, irragionevolmente, l’effetto di penalizzare le Regioni più virtuose nella gestione delle risorse, e cioè quelle che abbiano contenuto la propria dimensione organizzativa, impiegando le risorse conseguite a questo tipo di risparmi per migliorare l’efficienza del servizio pubblico; condizionerebbero ed orienterebbero la gestione organizzativa ed amministrativa regionale per il futuro, comprimendo la relativa competenza regionale residuale, oltretutto in favore di un criterio organizzativo che non sarebbe affatto in armonia con gli obiettivi di risanamento finanziario e di contenimento della spesa pubblica imposti dall’ordinamento dell’Unione europea; infine, lederebbero l’autonomia finanziaria regionale, introducendo stringenti limiti di spesa, corrispondenti a “tagli tematici”, mirati su determinati capitoli, calibrati in maniera tale da non lasciare alle Regioni medesime alcuna facoltà di scegliere il modo in cui effettuare il risparmio di spesa e senza, peraltro, avere neppure carattere transitorio (riguardando gli anni 2012–2014 e quelli «a decorrere dall’anno 2015»).

Le medesime norme, nella parte in cui prevedono che i tagli sui trasferimenti statali siano più elevati per le Regioni che abbiano consumi intermedi più alti, ritenuti una manifestazione di “ricchezza”, sarebbero inoltre lesive degli artt. 117 e 119, terzo e quinto comma, Cost., sotto un altro profilo. Esse, infatti, produrrebbero una perequazione irragionevole e dannosa per il futuro e sganciata dagli obiettivi di solidarietà, lesiva del terzo comma dell’art. 119 Cost. che àncora il funzionamento del fondo perequativo alla capacità fiscale delle medesime Regioni, nonché del quinto comma dello stesso art. 119 Cost., che prevede che gli oneri necessari per la rimozione degli squilibri economico-sociali e la promozione dello sviluppo economico delle Regioni meno avanzate debbano essere sostenuti dallo Stato e non dalle altre Regioni e devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per l’esercizio delle normali funzioni.

2.– Occorre, preliminarmente, rilevare che l’impugnato comma 2 dell’art. 16 del d.l. n. 95 del 2012 è stato modificato dall’art. 1, commi 117, lettere a) e b), e 468, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2013), a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Le modifiche apportate alla disposizione impugnata sono costituite, essenzialmente: dall’aumento degli importi previsti a titolo di concorso delle Regioni alla realizzazione degli obiettivi del patto di stabilità interno delle Regioni («Gli obiettivi del patto di stabilità interno delle regioni a statuto ordinario sono rideterminati in modo tale da assicurare l’importo di 700 milioni di euro per l’anno 2012 e di 2.000 [nel testo precedente:1.000] milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 2.050 [nel testo precedente:1.050] milioni di euro a decorrere dall’anno 2015»: così il comma 2, primo periodo); dalla previsione che la delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, con la quale è determinato l’ammontare del concorso finanziario di ciascuna Regione, è recepita con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze che è emanato «entro il 15 febbraio di ciascun anno» e non più «entro il 15 ottobre 2012» (così il comma 2, secondo periodo); infine, dall’introduzione della previsione che le riduzioni delle risorse dovute a qualunque titolo dallo Stato alle Regioni sono determinate «per l’importo complessivo di 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 1.050 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015», per ciascuna Regione in misura «proporzionale» (e non più «corrispondente») agli importi stabiliti ai sensi del primo, del secondo e del terzo periodo» (così comma 2, quarto periodo).

Questa Corte ha costantemente affermato che, nell’ipotesi in cui le modifiche normative non siano satisfattive rispetto alle censure, la questione di costituzionalità deve essere trasferita sulla nuova disposizione, salvo che quest’ultima appaia dotata di un contenuto radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2013, n. 193 e n. 30 del 2012).

Nella specie, le modifiche di cui si è riferito non hanno mutato la portata precettiva della norma impugnata; anzi, per certi versi, hanno aggravato i contenuti asseritamente lesivi della stessa, con la conseguenza che la questione deve ritenersi trasferita sul testo oggi vigente dell’art. 16, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012.

            3.– Ancora in linea preliminare, occorre valutare l’eccezione, sollevata dalla difesa statale, di inammissibilità delle censure promosse nei confronti dell’art. 16, commi 1 e 2, del d.l. n. 95 del 2012, in riferimento agli artt. 3 e 5 Cost., in quanto sono relative a parametri non attinenti al riparto delle competenze e dalla loro pretesa violazione non sarebbe desunta la compressione di sfere di attribuzione regionale.

            3.1.– L’eccezione è fondata.

La ricorrente contesta l’irragionevolezza della disciplina impugnata senza dimostrare in che modo tale pretesa irragionevolezza della disciplina determinerebbe, anche in ipotesi, una lesione della competenza regionale e, per giunta, senza fornire argomenti atti a dimostrare per quale motivo detta disciplina finirebbe per penalizzare le Regioni più virtuose.

            Deve, pertanto, dichiararsi l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale proposta in relazione agli artt. 3 e 5 Cost., posto che, in riferimento ad essa, «il ricorso è generico quanto alla motivazione e carente […] quanto alla pretesa ridondanza della disposizione impugnata sulla lesione delle proprie competenze» (sentenza n. 246 del 2012).

            4.– Deve, altresì, essere dichiarata l’inammissibilità delle questioni proposte in relazione all’art. 117, primo e secondo comma, Cost.

            Infatti, con riferimento all’art. 117, secondo comma, Cost., il ricorrente non svolge alcuna motivazione,  limitandosi ad indicare solo numericamente tale parametro costituzionale, peraltro in maniera generica. Con riguardo, invece, all’art. 117, primo comma, Cost., la Regione, pur denunciando la violazione dei vincoli economici derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, non solo non specifica quali sarebbero le norme dell’Unione europea che sarebbero lese, ma non svolge neppure alcuna argomentazione atta a spiegare per quale ragione la prevista ripartizione tra le Regioni dell’ammontare del concorso finanziario al patto di stabilità in relazione ai consumi intermedi indurrebbe le Regioni medesime ad adottare un criterio di organizzazione non in armonia con i vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

            5.– La Regione Lombardia censura, inoltre, l’art. 16, commi 1 e 2, del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui, determinando l’ammontare del concorso finanziario di ciascuna Regione al patto di stabilità in relazione all’ammontare delle spese sostenute per i consumi intermedi, recherebbe una disciplina che va ben al di là della determinazione dei principi di «coordinamento della finanza pubblica», la quale sarebbe, quindi, lesiva dell’autonomia finanziaria regionale (artt. 117, terzo comma, e 119, primo comma, Cost.), tale, peraltro, da condizionare ed orientare la gestione organizzativa ed amministrativa regionale, in violazione anche dell’art. 117, quarto comma, Cost. Infatti, gli stringenti limiti di spesa da essa introdotti, riferiti a specifici capitoli, sarebbero determinati in maniera tale da non lasciare alla Regione medesima la facoltà di scegliere il modo in cui effettuare il risparmio di spesa, in tal modo condizionandone l’attività, senza peraltro avere neppure carattere transitorio, riguardando gli anni 2012-2014 e quelli «a decorrere dall’anno 2015».

            5.1.– In linea preliminare, occorre valutare l’eccezione di inammissibilità della predetta questione, sollevata dalla difesa statale sulla base dell’assunto che non  sarebbe adeguatamente dimostrata la sussistenza di un vulnus diretto ed immediato alla finanza regionale, in specie con riferimento alla circostanza che l’intervento statale altererebbe gravemente il rapporto tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte, né sarebbe adeguatamente motivata la pretesa determinazione di  vincolo puntuali e specifici all’autonomia di spesa ed organizzativa delle Regioni.

            5.1.1.– L’eccezione è priva di fondamento.

            Nella specie, la Regione ricorrente impugna le norme citate nella parte in cui, stabilendo che l’ammontare del concorso finanziario di ciascuna Regione al patto di stabilità è determinato in relazione all’ammontare delle spese sostenute dalle medesime per i consumi intermedi, conterrebbero disposizioni dettagliate non qualificabili quali principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. e quindi tali da comprimere oltre il consentito l’autonomia di spesa delle Regioni, tutelata dall’art. 119, primo comma, Cost., in quanto incidenti su uno specifico capitolo di spesa e non sulla spesa corrente complessivamente considerata. Posto che a nulla rileva, a tal proposito, la dimostrazione dell’esistenza di un vulnus diretto ed immediato alla finanza regionale, la valutazione circa la fondatezza di tali assunti rientra nel giudizio inerente al merito della questione.

            5.2.– Nel merito, la questione è fondata nei limiti di seguito precisati.

Questa Corte ha da tempo riconosciuto che la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali è «parte della finanza pubblica allargata» (sentenze n. 267 del 2006 e n. 425 del 2004). Pertanto, «il legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio – anche se questi ultimi, indirettamente, vengono ad incidere sull’autonomia regionale di spesa – per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare […] l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari» (sentenza n. 237 del 2009; nello stesso senso sentenze n. 52 del 2010 e n. 139 del 2009). Questi vincoli, tuttavia, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l’entità del disavanzo di parte corrente» oppure – ma solo «in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale – la crescita della spesa corrente» (sentenza n. 182 del 2011), in quanto, ove non contenuta, ineludibilmente destinata a produrre disavanzo e quindi a porre a rischio gli obiettivi di finanza pubblica e con essi, indirettamente, anche i vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

     Sulle richiamate indicazioni trovano fondamento le disposizioni censurate, nella parte in cui, «ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica» (comma 1) ed in vista della realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, determinano, in linea generale, gli obiettivi del patto di stabilità interno delle Regioni, strettamente strumentali ai primi. In coerenza con tale scopo, esse prescrivono che l’ammontare complessivo del concorso finanziario di ciascuna Regione al rispetto dei predetti obiettivi del patto di stabilità (comma 2) sia determinato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, la cui delibera, adottata anche tenendo conto delle analisi della spesa effettuate dal commissario straordinario di cui all’art. 2 del d.l. n. 52 del 2012, deve essere recepita con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno, sempre in considerazione della necessità di assicurare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica.

            Nel terzo periodo del comma 2, l’art. 16, tuttavia, stabilisce che, «in caso di mancata deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze è comunque emanato entro il 15 febbraio di ciascun anno» e che la determinazione del concorso finanziario di ciascuna regione è effettuata esclusivamente «in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi» e cioè a quei consumi che, secondo la definizione fornita dal Regolamento CE 25 giugno 1996, n. 2223 (Regolamento del Consiglio relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità), «rappresentano il valore dei beni e dei servizi consumati quali input in un processo di produzione».

            La richiamata disposizione è, pertanto, chiaramente finalizzata a sanzionare e quindi ad imporre alle Regioni il contenimento della spesa corrente, non complessivamente considerata, ma con specifico riguardo alla categoria dei suddetti consumi intermedi.

            A tal proposito occorre ricordare che questa Corte ha ripetutamente affermato che è consentito al legislatore statale imporre limiti alla spesa di enti pubblici regionali, che si configurano quali principi di «coordinamento della finanza pubblica», anche nel caso in cui gli «obiettivi di riequilibrio della medesima» tocchino singole voci di spesa a condizione che: tali obiettivi consistano in «un contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente», in quanto dette voci corrispondano ad un «importante aggregato della spesa di parte corrente», come nel caso delle spese per il personale (sentenze n. 287 del 2013 e n. 169 del 2007); il citato contenimento sia comunque «transitorio», in quanto necessario a fronteggiare una situazione contingente, e non siano previsti «in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenze n. 23 e n. 22 del 2014; n. 236, n. 229 e n. 205 del 2013; n. 193 del 2012; n. 169 del 2007).

            Orbene, la citata disposizione soddisfa solo alcuni dei richiamati requisiti, nella parte in cui stabilisce che le misure restrittive incidono sui consumi intermedi, i quali costituiscono «un rilevante aggregato della spesa di parte corrente» ed «una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico» (sentenza n. 289 del 2008), e non detta specifiche modalità operative circa gli strumenti con cui attuare il risparmio sulla spesa per i consumi intermedi, che restano, pertanto, almeno in parte, nella discrezionalità della Regione. Ma non soddisfa, viceversa, l’ulteriore condizione della necessaria “transitorietà” delle misure restrittive (fra le tante, sentenze n. 256, n. 229 e n. 205 del 2013), nella parte in cui stabilisce che dette misure, che si impongono all’autonomia di spesa ed organizzativa della Regione, sono adottate non per un periodo limitato, per fronteggiare una situazione contingente, ma a tempo indeterminato, disponendo l’adozione del decreto ministeriale «entro il 15 febbraio di ciascun anno». 

     Considerato che questa Corte non può stabilire a sua discrezione l’arco temporale di operatività delle norme in esame, così sostituendosi al legislatore,  occorre dedurre dalla trama normativa censurata un termine finale che consenta di assicurare la natura transitoria delle misure previste e, allo stesso tempo, di non stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione all’anno finanziario in corso (sentenza n. 193 del 2012). L’esame del primo e del quarto periodo del comma 2 dell’art. 16 in esame consente di individuare quale dies ad quem l’anno 2015, espressamente richiamato in entrambi i suddetti periodi là dove è determinato il concorso finanziario delle Regioni al patto di stabilità per gli anni 2012, 2013 e 2014 e «a decorrere dall’anno 2015».

            Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, Cost., del terzo periodo del comma 2 dell’art. 16 del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui non prevede che, in caso di mancata deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze «è comunque emanato entro il 15 febbraio di ciascun anno», «sino all’anno 2015».

            6.– I commi 1 e 2 (più precisamente il quarto ed il quinto periodo del comma 2) dell’art. 16 del d.l. n. 95 del 2012 sono, infine censurati dalla ricorrente per violazione dell’art. 119, terzo e quinto comma, Cost.

            Essi, nella parte in cui stabiliscono che le risorse a qualunque titolo dovute dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario siano ridotte in misura maggiore nei confronti delle Regioni che abbiano effettuato maggiori spese per i consumi intermedi, ritenute una manifestazione di “ricchezza”, fino al punto da imporre alle medesime Regioni la restituzione allo Stato delle risorse già trasferite, produrrebbero una perequazione lesiva del terzo comma dell’art. 119 Cost. che àncora il funzionamento del fondo perequativo alla capacità fiscale, nonché del quinto comma del medesimo art. 119 Cost., che prevede che gli oneri necessari per la rimozione degli squilibri economico-sociali e la promozione dello sviluppo economico delle Regioni meno avanzate debbano essere sostenuti dallo Stato e non dalle altre Regioni e devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per l’esercizio delle normali funzioni.

            6.1.– Preliminarmente, è stata eccepita l’inammissibilità della questione in quanto essa consisterebbe nella denuncia di trattamenti disomogenei e di violazioni di precetti costituzionali non assistita da adeguata argomentazione.

            6.1.1.– L’eccezione non è fondata.

            La ricorrente contesta che la previsione in base alla quale i trasferimenti statali sono maggiormente ridotti a carico delle Regioni che abbiano sostenuto maggiori spese per i consumi intermedi, intese quali manifestazioni di ricchezza, ed in specie la previsione che, nell’ipotesi in cui le predette spese siano molto elevate e le risorse statali da trasferire insufficienti, le medesime Regioni siano tenute a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue, darebbero forma ad una perequazione costituzionalmente illegittima in quanto non calibrata sulla capacità fiscale dei territori (art. 119, terzo comma, Cost.) e non realizzata a carico dello Stato ed in vista della necessità di garantire risorse aggiuntive, come imposto dal quinto comma dell’art. 119 Cost.

            La censura risulta, pertanto, adeguatamente motivata. La valutazione circa la fondatezza degli argomenti svolti a suo sostegno appartiene al sindacato di merito.

            6.2.– Nel merito, la questione è fondata nei termini di seguito precisati.

Sempre nell’ambito del concorso degli enti territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica (comma 1), il censurato art. 16 del d.l. n. 95 del 2012, dopo aver stabilito le modalità del concorso finanziario delle Regioni al conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno delle Regioni a statuto ordinario (comma 2, dal primo al terzo periodo), dispone anche la riduzione delle «risorse a qualunque titolo dovute dallo Stato alle regioni a statuto ordinario, incluse le risorse destinate alla programmazione regionale del Fondo per le aree sottoutilizzate ed escluse quelle destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale e del trasporto pubblico locale» (quarto periodo del comma 2).

            Tale riduzione è determinata, per ciascuna Regione, «in misura proporzionale», fra l’altro, anche alle spese sostenute per i consumi intermedi (quarto periodo del comma 2), al punto che «in caso di insufficienza delle predette risorse le regioni sono tenute a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue» (ultimo periodo del comma 2).

            Tali disposizioni, in altri termini, nell’imporre il taglio dei trasferimenti statali in favore delle Regioni ad autonomia ordinaria (taglio che, tuttavia, non tocca le risorse relative al servizio sanitario ed al trasporto pubblico locale), lo commisura all’ammontare delle spese sostenute dalle Regioni per i consumi intermedi, nel senso di imporre maggiori riduzioni a quelle Regioni che abbiano effettuato maggiori spese per i suddetti consumi intermedi, fino al punto di costringere quelle Regioni che abbiano effettuato spese molto elevate per i consumi intermedi, superiori ai trasferimenti statali dovuti, a restituire al bilancio dello Stato le somme residue.

            In tal modo esse realizzano un effetto perequativo implicito, ma evidente, che discende dal collegare la riduzione dei trasferimenti statali all’ammontare delle spese per i consumi intermedi, intese quali manifestazioni, pur indirette, di ricchezza delle Regioni.

            Una simile misura perequativa, tuttavia, contrasta con l’art. 119 Cost. in quanto non soddisfa i requisiti ivi prescritti, in particolare al terzo ed al quinto comma.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «gli interventi statali fondati sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali, devono seguire le modalità fissate dall’art. 119, quinto comma, Cost., senza alterare i vincoli generali di contenimento della spesa pubblica, che non possono che essere uniformi» (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284 del 2009) ed ha anche affermato che, ove le risorse acquisite siano destinate ad un apposito fondo perequativo, esse devono essere indirizzate ai soli «territori con minore capacità fiscale per abitante» (art. 119, terzo comma, Cost.).

            Infatti, «mentre il concorso agli obiettivi di finanza pubblica è un obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico allargato di cui anche le Regioni devono farsi carico attraverso un accollo proporzionato degli oneri complessivi conseguenti alle manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52 del 2010), la perequazione degli squilibri economici in ambito regionale deve rispettare le modalità previste dalla Costituzione, di modo che il loro impatto sui conti consolidati delle amministrazioni pubbliche possa essere fronteggiato ed eventualmente redistribuito attraverso la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti dal vigente ordinamento finanziario e contabile» (sentenza n. 176 del 2012). Conseguentemente, «gli interventi perequativi e solidali devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per l’esercizio delle normali funzioni»,  e provenienti dallo Stato (sentenza n. 176 del 2012), devono avere uno «specifico ambito territoriale di localizzazione», nonché «particolari categorie svantaggiate destinatarie» (sentenza n. 254 del 2013).

            Nella specie, nessuna delle suddette condizioni è soddisfatta, posto che le disposizioni censurate non contengono alcun indice da cui possa trarsi la conclusione che le risorse in tal modo acquisite siano destinate ad un fondo perequativo indirizzato ai soli «territori con minore capacità fiscale per abitante» (art. 119, terzo comma, Cost.), né che esse siano volte a fornire quelle «risorse aggiuntive», che lo Stato – dal quale, peraltro, dovrebbero provenire – destina esclusivamente a «determinate» Regioni per «scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, quinto comma, Cost.: ex plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005; n. 423, n. 320, n. 49 e n. 16 del 2004), con riferimento a specifici ambiti territoriali e/o a particolari categorie svantaggiate. Dal tenore delle disposizioni impugnate emerge esclusivamente che il maggiore sacrificio imposto alle Regioni per il solo fatto che hanno sostenuto maggiori spese per i consumi intermedi si risolve in una corrispondente maggiore riduzione dei trasferimenti statali, ove non addirittura nell’obbligo di restituzione di risorse già acquisite, che vengono assicurate all’entrata del bilancio dello Stato, senza alcuna indicazione circa la loro destinazione.

            Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, ultimo periodo, il quale impone alle Regioni che abbiano sostenuto spese molto elevate per i consumi intermedi, allorquando le risorse statali da trasferire non siano sufficienti a “coprire” quelle spese, di versare al bilancio dello Stato le somme residue; nonché del medesimo art. 16, comma 2, quarto periodo, nella parte in cui stabilisce che le risorse a qualunque titolo dovute dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario sono ridotte, per ciascuna Regione, in misura proporzionale agli importi stabiliti anche ai sensi «del terzo periodo» del medesimo comma e cioè in proporzione alle spese sostenute per i consumi intermedi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

            1) dichiara l’illegittimità costituzionale del terzo periodo del comma 2 dell’art. 16 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui non prevede che, in caso di mancata deliberazione della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze «è comunque emanato entro il 15 febbraio di ciascun anno», «sino all’anno 2015»;

            2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, ultimo periodo, del d.l. n. 95 del 2012;

            3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, quarto periodo, del d.l. n. 95 del 2012, limitatamente alle parole «e del terzo periodo»;

            4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, commi 1 e 2, del d.l. n. 95 del 2012, promosse, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 5 e 117, primo e secondo comma, della Costituzione.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'8 aprile 2014.