Sentenza n. 246 del 2012

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SENTENZA N. 246

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                         QUARANTA                                    Presidente

-           Franco                           GALLO                                                Giudice

-           Luigi                             MAZZELLA                                               "

-           Gaetano                        SILVESTRI                                                "

-           Sabino                           CASSESE                                                   "

-           Giuseppe                       TESAURO                                                  "

-           Paolo Maria                   NAPOLITANO                                          "

-           Giuseppe                       FRIGO                                                        "

-           Alessandro                    CRISCUOLO                                             "

-           Paolo                             GROSSI                                                      "

-           Giorgio                          LATTANZI                                                 "

-           Aldo                              CAROSI                                                      "

-           Marta                            CARTABIA                                                "

-           Sergio                            MATTARELLA                                          "

-           Mario Rosario               MORELLI                                                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della Tabella n. 2 (Stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze), unità di voto 2.4 (Concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria), prevista dall’art. 2, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 184 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014), promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 13 gennaio 2012, depositato in cancelleria il 19 gennaio 2012 ed iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 ottobre 2012 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. — La Regione siciliana ha promosso questione di legittimità costituzionale della Tabella n. 2 (Stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze), unità di voto 2.4 (Concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria), prevista dall’art. 2, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 184 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014), pubblicata nel supplemento ordinario n. 234/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 265 del 14 novembre 2011 (pag.173), denunciandone il contrasto con gli articoli 36 e 37 dello statuto siciliano (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana») e delle relative norme attuative, adottate con decreto legislativo 3 novembre 2005, n. 241 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana, recanti attuazione dell’articolo 37 dello Statuto e simmetrico trasferimento di competenze), nonché con gli articoli 81 e 119, quarto comma, della Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ed altresì in violazione del principio di leale collaborazione, che deve informare tutti i rapporti fra Stato e Regioni. La Tabella n. 2 prevede per il 2012 uno stanziamento pari a 8.833.324.987,00 euro a titolo di concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria di tutte le Regioni. Diversamente, osserva la ricorrente, il corrispondente stanziamento per tutte indistintamente le Regioni, iscritto nell’anno finanziario 2011, ammontava ad 11.599.324.987,00 euro, con un decremento, quindi, pari a 2.766.000.000,00 euro rispetto all’anno precedente.

Secondo la Regione siciliana, tale riduzione, disposta per di più in mancanza di qualunque clausola posta a salvaguardia delle prerogative garantite alla Regione dallo statuto di autonomia, risulterebbe costituzionalmente illegittima in quanto lesiva delle attribuzioni della Regione siciliana in materia finanziaria e del principio di leale collaborazione.

Espone la ricorrente che la quantificazione nello stato di previsione della spesa del Ministro dell’Economia e delle Finanze, all’unità di voto 2.4 di cui sopra sarebbe stata così determinata nei minori importi rispetto allo stanziamento previsto per l’anno 2011 perché lo Stato continuerebbe ad omettere di dare integrale copertura agli oneri al medesimo spettanti e relativi alla compartecipazione alla spesa sanitaria della Regione siciliana. Infatti, per effetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 143, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), lo stanziamento dell’unità di voto 2.4 previsto nel Bilancio dello Stato per l’esercizio finanziario 2012 avrebbe dovuto registrare un incremento stimato in circa 600 milioni di euro.

Tale cifra, prosegue la Regione siciliana, corrisponderebbe all’importo che, nell’anno 2011, aveva trovato copertura finanziaria, a seguito d’intesa con lo Stato, a carico del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS – poi divenuto Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale).

La ricorrente evidenzia difatti che l’art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996, aveva disposto che «a decorrere dall’anno 1997 la misura del concorso della Regione siciliana al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, è elevata al 42,5 per cento».

Con la successiva legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), all’art. 1, comma 830, si prevedeva che «al fine di addivenire al completo trasferimento della spesa sanitaria a carico del bilancio della Regione siciliana, la misura del concorso della Regione a tale spesa è pari al 44,85 per cento per l’anno 2007, al 47,05 per cento per l’anno 2008 e al 49,11 per cento per l’anno 2009».

I successivi commi 831 ed 832 del medesimo articolo, a loro volta, avevano rispettivamente previsto:

– la sospensione delle riportate disposizioni fino alla data del 30 aprile 2007, data entro la quale si auspicava il raggiungimento di un’intesa finalizzata all’emanazione di nuove norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia sanitaria, alla cui mancata concretizzazione si correlava la fissazione, per l’anno 2007, del concorso della Regione alla suddetta spesa sanitaria nella misura del 44,09 per cento (inferiore quindi dello 0,76 per cento rispetto alla percentuale destinata ad applicarsi in caso di acquisizione della prefigurata intesa);

– la retrocessione alla Regione siciliana, da disporsi in sede di definizione delle norme di attuazione statutaria richiamate dal precedente comma 831, di una percentuale non inferiore al 20 per cento e non superiore al 50 per cento del gettito delle accise sui prodotti petroliferi immessi in consumo sul territorio regionale; detta retrocessione, secondo quanto testualmente sancito dalla citata norma, «aumenta simmetricamente, fino a concorrenza, la misura percentuale del concorso della Regione alla spesa sanitaria, come disposto dal comma 830».

Secondo la Regione siciliana la semplice lettura delle suddette disposizioni evidenzierebbe che la disciplina del 1996 costituisca norma a regime, destinata ad operare per un periodo di tempo indefinito, a meno che nuove disposizioni, temporanee o con effetti permanenti, non dispongano diversamente. Diversamente, prosegue la ricorrente, la norma contenuta nella legge finanziaria per il 2007, stante il testuale dettato, dovrebbe ritenersi un’eccezione, temporaneamente limitata, rispetto a quanto in via ordinaria disposto in materia di co-finanziamento regionale della spesa sanitaria, e destinata a trovare applicazione per il solo tempo dalla medesima specificamente individuato. Non sarebbe quindi possibile, se non contravvenendo ai fondamentali canoni di ermeneutica giuridica, ritenere che la disposizione che aumentava la compartecipazione della Regione siciliana al 49,11 per cento dovesse trovare applicazione non soltanto per l’anno 2009, come letteralmente era sancito, ma anche per gli anni a venire.

Né, lamenta la Regione ricorrente, al fine di poter individuare una giustificazione per tale minore allocazione di risorse nella voce di bilancio impugnata, la legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2012), ha correlativamente disposto la retrocessione alla Regione siciliana di una percentuale del gettito delle accise sui prodotti petroliferi immessi in consumo nel territorio regionale, come era invece previsto dai commi 831 e 832 del menzionato art. 1 della legge n. 296 del 2006.

Una simile situazione ha determinato l’effetto di sottrarre parte del gettito tributario che sarebbe spettato alla Regione in base all’art. 36 dello statuto regionale.

Quanto affermato, secondo la ricorrente, si desumerebbe agevolmente dalla comparazione fra le due tabelle relative, rispettivamente, all’anno finanziario 2012 ed all’anno finanziario 2011. Nella prima di esse il concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria del «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014», ammonta ad 8.833.324.987,00 euro, mentre il corrispondente stanziamento, iscritto nell’anno finanziario 2011, ammontava ad 11.599.324.987,00 euro, con un decremento, quindi, pari a 2.766.000.000,00 euro.

Dall’esame delle suddette tabelle, prosegue la ricorrente, si ricaverebbe quindi la quantificazione del vulnus arrecato anche alla Regione siciliana, la quale è invece «già titolare di tutto il gettito dei cespiti tributari secondo il sistema delineato dalle disposizioni statutarie richiamate», ma si troverebbe così costretta a destinare parte di tale gettito per alimentare anche la compartecipazione alla spesa sanitaria che sarebbe stata invece di spettanza dello Stato. Il maggior onere conseguentemente posto a carico della Regione risulterebbe per quanto sopra esposto illegittimo, poiché pregiudicherebbe la possibilità per la Regione di esercitare le proprie funzioni per carenza di adeguate risorse finanziarie.

In tal modo, secondo la ricorrente, si determinerebbe «un grave squilibrio finanziario» a carico del bilancio regionale, creando un’alterazione del rapporto tra complessivi bisogni regionali e l’insieme dei mezzi finanziari disponibili per farvi fronte, come risulterebbe dall’esame comparato delle tabelle dei bilanci di previsione statale e regionale. E, parimenti, sarebbe possibile quantificare il grave vulnus alle finanze della Regione, da determinarsi in misura proporzionale alla diminuita partecipazione della stessa alla ripartizione del fondo, seppure questo sia indicato complessivamente per tutte le Regioni. In tal modo assumerebbe concretezza la violazione dei parametri evocati, in accordo ai principi già affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con la sentenza n. 145 del 2008.

La Tabella in questione, secondo la Regione siciliana, sarebbe altresì lesiva, per le stesse ragioni già enunciate, degli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost. in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, oltre che del principio di leale collaborazione. Tale art. 10 stabilisce, infatti, che «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» e, pertanto, l’art. 119 Cost. dovrebbe ritenersi applicabile anche alla Regione siciliana nella misura in cui a tale disposizione è correlato un onere di contribuzione dello Stato alle funzioni alla medesima attribuite. La riduzione dello stanziamento finanziario, che coinvolge la ricorrente, avrebbe quindi dovuto essere quantomeno determinato sentita la Regione interessata, nel rispetto quindi del principio di leale collaborazione che, secondo consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, deve ispirare i rapporti fra Stato e Regioni.

2. — Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza delle censure regionali.

La difesa erariale premette che la legge statale determina annualmente il fabbisogno sanitario, cioè il livello complessivo delle risorse del Servizio sanitario nazionale (SSN) al cui finanziamento concorre lo Stato. Tale fabbisogno – prosegue la difesa erariale – nella sua componente cosiddetta indistinta (una quota del finanziamento è vincolata al perseguimento di determinati obiettivi sanitari), è finanziato dalle seguenti fonti:

a) – entrate proprie degli enti del SSN in un importo definito e cristallizzato in seguito ad un’intesa fra lo Stato e le Regioni;

b) – imposta regionale sulle attività produttive – IRAP (nella componente di gettito destinata al finanziamento della sanità), nonché addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche – IRPEF, entrambe le imposte quantificate nella misura dei gettiti determinati dall’applicazione delle rispettive aliquote base nazionali, vale a dire non tenendo conto dei maggiori gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali eventualmente attivati dalle singole Regioni;

c) – compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano: tali enti compartecipano al finanziamento sanitario fino a concorrenza del fabbisogno non soddisfatto dalle fonti di cui ai precedenti punti a) e b), tranne la Regione siciliana, per la quale l’aliquota di compartecipazione è fissata dal 2009 nella misura del 49,11 per cento del suo fabbisogno sanitario;

d) – bilancio dello Stato: esso finanzia il fabbisogno sanitario non coperto dalle precedenti fonti di finanziamento attraverso la compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto – IVA (destinata alle Regioni a statuto ordinario) ed attraverso il Fondo sanitario nazionale (destinato alla Regione siciliana).

Annualmente, dunque, prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al livello del finanziamento del SSN stabilito per l’anno di riferimento, al livello delle entrate proprie, ai gettiti fiscali attesi e, per la Regione siciliana, al livello della compartecipazione regionale al finanziamento, è determinato, a saldo, il finanziamento a carico del bilancio statale nelle due componenti della compartecipazione IVA e del Fondo sanitario nazionale. La composizione del finanziamento del SSN nei termini suddetti è evidenziata nei cosiddetti “riparti” (assegnazione del fabbisogno alle singole Regioni ed individuazione delle fonti di finanziamento) proposti dal Ministero della Salute su i quali si raggiunge un’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni e che sono poi recepiti con propria delibera dal Comitato interministeriale per la programmazione economica – CIPE.

Inoltre, prosegue la difesa erariale, il livello del finanziamento sanitario (che è erogato alle Regioni in corso d’anno anche ricorrendo, ove necessario, ad anticipazioni di tesoreria, al fine di non condizionarlo all’andamento del ciclo economico e, in ultima analisi, all’andamento delle entrate fiscali) è garantito da un meccanismo di salvaguardia (ai sensi dell’art. 39, comma. 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, recante «Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali», dell’art. 13 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133» e dell’art. 1, comma 321, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge finanziaria 2006») grazie al quale il bilancio dello Stato (con apposito capitolo determinato annualmente nella tabella ‘C’ della legge di stabilità – Fondo di garanzia) provvede a compensare l’eventuale mancato gettito fiscale dell’IRAP (sanità) e dell’addizionale regionale all’IRPEF relativi agli esercizi precedenti, a seguito della loro definitiva quantificazione.

L’unità di voto impugnata dalla Regione sarebbe quindi, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, nella sua dimensione finanziaria complessiva, sostanzialmente riconducibile al Fondo sanitario nazionale ed al Fondo di garanzia (il quale comprende poi altresì importi residuali diretti ad altre finalità sanitarie). Per quanto sopra esposto, si prosegue, sarebbe di tutta evidenza come la variabilità degli stanziamenti di bilancio dell’unità di voto in questione dipenda tecnicamente dal livello del finanziamento sanitario da coprire e dall’andamento dei gettiti fiscali (attesi ed effettivi) che finanziano la sanità.

Ciò premesso, in ordine alla quota di Fondo sanitario nazionale che finanzia il fabbisogno della Regione siciliana (il Fondo sanitario complessivamente finanzia anche altre spese sanitarie vincolate a determinati obiettivi), sottolinea il Presidente del Consiglio dei ministri che, a decorrere dall’esercizio 2009, per la relativa determinazione si è sempre tenuto conto, ai sensi dei citati commi 830-832 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, di un’aliquota di compartecipazione regionale pari al 49,11 per cento; ed inoltre, prosegue la difesa erariale, su i riparti del fabbisogno e sulla determinazione delle relative fonti di finanziamento, per quanto attiene alla compartecipazione della Regione siciliana, per gli esercizi 2009, 2010 e 2011, è stata raggiunta la prevista intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Pertanto, in concreto, tenuto conto che il Fondo sanitario nazionale, nella componente che finanzia la Regione siciliana, è stato parametrato, in ciascuno degli esercizi 2009, 2010, 2011 e 2012, ad una compartecipazione regionale pari al 49,11 per cento del fabbisogno sanitario regionale dei medesimi anni, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri non troverebbe fondamento alcuno l’affermazione della ricorrente secondo la quale sarebbe il bilancio 2012 ad arrecare pregiudizio alla finanza regionale. Infatti, si prosegue, il differenziale che sussiste nella dimensione finanziaria complessiva dell’unità di voto in oggetto nei due esercizi osservati dalla Regione siciliana, al netto di variazioni residuali su altri capitoli, dipenderebbe esclusivamente dalla dimensione del citato Fondo di garanzia, che proprio nell’esercizio 2011 aveva assunto una consistenza ragguardevole (circa 6.000 milioni di euro nel 2011, rispetto ai 3.250 milioni di euro stanziati per il 2012).

Tutto ciò premesso, lo Stato eccepisce in via pregiudiziale l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale riferita alla Tabella n. 2 prevista dall’art. 2, comma 1, della legge n. 184 del 2011.

In particolare, si osserva che non sussisterebbe un vero e proprio interesse processuale a ricorrere. Difatti la ricorrente – sostiene il Presidente del Consiglio dei ministri – non potrebbe trarre alcun vantaggio immediato dalla dichiarazione di illegittimità dell’atto impugnato, tanto che solo un eventuale successivo atto, con cui si provvedesse ad imputare a carico del bilancio regionale una quota di finanziamento della spesa sanitaria regionale superiore a quella che la Regione siciliana ritiene in linea con le previsioni di legge, potrebbe determinare l’an ed il quantum del vulnus, rendendo concreta la lesione paventata. In sostanza, argomenta la resistente che la Tabella impugnata non determinerebbe la quota di partecipazione della Regione siciliana alla spesa sanitaria, rimanendo impregiudicata la possibilità per lo Stato, anche qualora fosse corretta la lettura del quadro normativo fornito dalla ricorrente, di fissare tale partecipazione nella misura pretesa dalla Regione.

La difesa erariale, dopo aver adombrato anche una violazione (indiretta) del principio del ne bis in idem in ragione della precedente sentenza di questa Corte n. 145 del 2008, nel merito contesta le considerazioni di diritto in base al quale la Regione ritiene che il concorso alla spesa sanitaria sia inequivocabilmente disposto a regime dall’art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996, in misura pari al 42,5 per cento, mentre dovrebbe ritenersi che la misura del 49,11 per cento, – secondo la lettura che la ricorrente offre dell’art. 1, commi 830, 831 e 832, della legge n. 296 del 2006 – avesse un carattere eccezionale e temporalmente limitato all’anno 2009.

In proposito, osserva la difesa erariale che se indubbiamente il citato comma 830 determina la misura del concorso della Regione siciliana alla spesa sanitaria nella misura del 44,85 per cento per l’anno 2007, del 47,05 per cento per l’anno 2008 e del 49,11 per cento per l’anno 2009 (e non “a decorrere dall’anno 2009”) e se è vero che, probabilmente, la norma in questione avrebbe potuto esplicitare in maniera incontrovertibile la propria efficacia di termine iniziale, tuttavia non si può ignorare che il medesimo comma 830 preliminarmente enuncia il fine perseguito dal legislatore con le disposizioni che immediatamente seguono («Al fine di addivenire al completo trasferimento della spesa sanitaria a carico del bilancio della Regione Siciliana»). Ed invero, prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri, tale enunciazione renderebbe effettivamente illogica l’interpretazione propugnata dalla ricorrente, stante che, evidentemente, tale finalità (consistente nel completo trasferimento della spesa sanitaria a carico del bilancio della Regione) non potrebbe certo ottenersi attraverso un regresso alla precedente aliquota di compartecipazione prevista dall’art. 1, comma 143, della legge n. 662 del 1996, , che era appunto pari al 42,5 per cento.

Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene poi che non potrebbe ricavarsi dalle considerazioni espresse dalla Regione ricorrente, stante la genericità delle censure e la loro collocazione in una sfera di mera eventualità, la dimostrazione da parte regionale che la Tabella impugnata determini effettivamente una «grave alterazione del rapporto tra insieme dei mezzi finanziari di cui la Regione può disporre e complessivi bisogni regionali», come richiesto dalla giurisprudenza costituzionale.

La Tabella impugnata – secondo la difesa erariale – non avrebbe la possibilità di incidere sulle risorse spettanti alla Regione siciliana in base al proprio ordinamento finanziario, ma determinerebbe solo il limite della disponibilità delle risorse che saranno utilizzate in coerenza con le disposizioni vigenti.

Neppure, peraltro, secondo l’Avvocatura dello Stato, sarebbe dato evincere dal ricorso quali siano i profili di incostituzionalità rispetto ai parametri contenuti negli artt. 36 e 37 dello statuto di autonomia e le relative norme attuative, nonché agli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost., in relazione all’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, oltre che al principio di leale collaborazione.

Con riguardo a tale principio, osserva il Presidente del Consiglio dei ministri che la funzione del complesso intervento legislativo in esame – collegato anche alle altre disposizioni urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica sopra menzionate – dovrebbe piuttosto indurre a ritenere che sia proprio l’atteggiamento di contrasto all’applicazione della normativa in oggetto, attuata dalla controparte, a produrre una lesione ai principi di leale collaborazione che dovrebbero essere rispettati da tutte le Istituzioni della Repubblica nell’attuale difficile contingenza, come già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 121 del 2010.

Considerato in diritto

1. — La Regione siciliana ha promosso questione di legittimità costituzionale della Tabella n. 2 (Stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze), unità di voto 2.4 (Concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria), prevista dall’art. 2, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 184 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014), in riferimento agli articoli 36 e 37 dello statuto siciliano (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) e delle relative norme attuative, adottate con decreto legislativo 3 novembre 2005, n. 241 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana, recanti attuazione dell’articolo 37 dello Statuto e simmetrico trasferimento di competenze), nonché agli articolo 81 e 119, quarto comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 10 della legge costituzionale 8 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), anche con riguardo al principio di leale collaborazione nelle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni.

La Tabella n. 2 del bilancio di previsione 2012, approvato con la legge precedentemente richiamata, determina il concorso dello Stato alla spesa sanitaria e prevede – per il suddetto esercizio – uno stanziamento pari a 8.833.324.987,00 euro a titolo di concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria delle Regioni. La partita di spesa oggetto di contestazione è di natura promiscua, essendovi allocate risorse destinate a più amministrazioni regionali e con diverse causali, comunque collegate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale.

Costituitosi in giudizio, il Presidente del Consiglio eccepisce che la Tabella, così sinteticamente compilata, riguarderebbe, nella sua dimensione finanziaria complessiva, il fondo sanitario nazionale e il fondo di garanzia, nonché “importi residuali diretti ad altre finalità sanitarie”, per cui “la variabilità degli stanziamenti di bilancio dell’unità di voto in questione [dipenderebbe] tecnicamente dal livello del finanziamento sanitario da coprire e dall’andamento dei gettiti fiscali attesi ed effettivi che finanziano la sanità”.

In assenza di contestazione di parte ricorrente, il fatto deve essere assunto per vero.

La Regione deduce che lo stanziamento della Tabella per l’anno finanziario 2011, anch’esso articolato in modo indistinto per tutte le Regioni beneficiarie del finanziamento, sarebbe stato pari ad 11.599.324.987,00 euro, superiore a quello impugnato per 2.766.000.000,00 euro.

In relazione al suddetto decremento, la ricorrente lamenta che – pur nell’ambito del complessivo stanziamento privo di specificazione sia con riguardo alle Regioni beneficiarie, che alle diverse causali – vi sarebbe per la Regione siciliana un pregiudizio derivante dall’applicazione di una percentuale superiore a quella fissata per legge nel concorso al finanziamento del servizio sanitario effettuato sul proprio territorio. Senza nessuna allegazione probatoria circa il calcolo e la misura di detto decremento individuale, essa ne sostiene la sussistenza per effetto della pretesa applicazione – da parte dello Stato – di un concorso regionale pari al 49,11 per cento, anziché del 42,5 per cento in forza dell’interpretazione del combinato disposto degli artt. 1, comma 143, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e 1, commi 830, 831 e 832, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007). Lo Stato non avrebbe, infatti, tenuto conto delle prescrizioni contenute nei commi 831 e 832 della legge n. 296 del 2006, in base alle quali sarebbe stato sospeso il processo di incremento del concorso regionale al Servizio sanitario nazionale in attesa della correlata e simmetrica retrocessione, non ancora avvenuta, a favore della Regione siciliana di una percentuale – non inferiore al 20 per cento e non superiore al 50 per cento – del gettito delle accise sui prodotti petroliferi immessi in consumo sul territorio regionale. Detta retrocessione dovrebbe aumentare, in base alla citata norma, «simmetricamente, fino a concorrenza, la misura percentuale del concorso della regione alla spesa sanitaria, come disposto dal comma 830» (art. 1, comma 832).

La perdurante assenza del procedimento compensativo conseguente alla mancata attribuzione alla Regione siciliana di una percentuale del gettito delle accise sui prodotti petroliferi immessi in consumo sul territorio regionale, unitamente alla concomitante riduzione dello stanziamento previsto nella Tabella n. 2, porrebbe in essere – secondo la ricorrente – una violazione dell’art. 81 Cost., sotto il profilo del prodotto squilibrio finanziario, dell’art. 119, quarto comma, Cost., per la conseguente insufficienza delle risorse destinate a finanziare integralmente le funzioni di competenza della Regione, degli artt. 36 e 37 dello Statuto, per la mancata attribuzione delle risorse di propria spettanza, dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto verrebbe riservato all’ente territoriale in questione un trattamento di disfavore rispetto alle altre Regioni a statuto ordinario. Viene infine lamentata anche la violazione del principio di leale collaborazione che dovrebbe ispirare le relazioni finanziarie tra lo Stato e le Regioni.

Il resistente, dopo una sintetica ricostruzione dei meccanismi inerenti al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, precisa che l’unità di voto impugnata dalla Regione è, nella sua dimensione finanziaria complessiva, sostanzialmente riconducibile al Fondo sanitario nazionale e al Fondo di garanzia (comprende poi capitoli di importi residuali diretti ad altre finalità sanitarie). L’indeterminatezza degli stanziamenti di bilancio dell’unità di voto in questione dipenderebbe tecnicamente dal livello del finanziamento sanitario da coprire e dall’andamento dei gettiti fiscali (attesi ed effettivi) che finanziano la sanità. Peraltro, in ordine alla quota di Fondo sanitario nazionale  destinato alla Regione siciliana, l’applicazione del 49,11 per cento non sarebbe una novità, bensì un criterio adottato già a decorrere dall’esercizio 2009 in sede di Conferenza Stato-Regioni e confermato nei successivi esercizi 2010, 2011 e 2012.

Sulla base di queste considerazioni, il resistente eccepisce in via pregiudiziale l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale rivolte alla Tabella n. 2 prevista dall’art. 2, comma 1, della legge n. 184 del 2011. Non sussisterebbe nel caso di specie un interesse a ricorrere, in quanto la Regione non potrebbe trarre alcun vantaggio immediato dalla dichiarazione di illegittimità della Tabella stessa. Infatti, solo “un eventuale successivo atto, con cui si provvedesse ad imputare a carico del bilancio regionale una quota di finanziamento della spesa sanitaria regionale superiore a quella che la Regione ritiene in linea con le previsioni di legge, potrebbe determinare l’an ed il quantum del vulnus rendendo concreta la lesione paventata”, dal momento che la Tabella impugnata “non determina la quota di partecipazione della Regione siciliana alla spesa sanitaria, rimanendo impregiudicata la possibilità per lo Stato, qualora fosse corretta (…) la lettura del quadro normativo fornito dalla ricorrente, di fissare tale partecipazione nella misura pretesa dalla Regione”.

Il resistente eccepisce comunque l’infondatezza del ricorso nel merito perché l’interpretazione proposta dalla Regione siciliana non sarebbe conforme agli elementari canoni ermeneutici che comproverebbero al contrario la soluzione interpretativa adottata nell’ultimo quadriennio, peraltro ben conosciuta dalla Regione stessa. Secondo il Presidente del Consiglio la formulazione del ricorso mirerebbe ad ottenere, per via indiretta, un pronunciamento in ordine alla questione già proposta e decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza di rigetto n. 145 del 2008. Sotto tale profilo vi sarebbe violazione del giudicato costituzionale.

2. — Le questioni proposte dalla Regione siciliana devono essere dichiarate inammissibili in riferimento ai parametri evocati.

Il ricorso è generico quanto alla motivazione e carente quanto al petitum e quanto alla pretesa ridondanza della disposizione impugnata sulla lesione delle proprie competenze.

In relazione al dedotto pregiudizio, la ricorrente si limita a prospettare una riduzione delle risorse a propria disposizione, meramente ipotizzata sulla base di considerazioni prive di sostegni documentali specificamente riferibili al suo finanziamento. Rispetto al precedente ricorso già esaminato da questa Corte (sentenza n. 145 del 2008), il presente è affetto non solo da analoga carenza dimostrativa in ordine al pregiudizio lamentato circa «il rapporto tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte» (sentenze n. 145 del 2008, n. 29 del 2004, n. 138 del 1999 e n. 222 del 1994), ma dalla ulteriore, e ben più grave, mancata indicazione, sia pure sommaria, del decremento finanziario delle proprie risorse derivante dalla norma contestata. La riduzione della quota di propria spettanza all’interno dell’indistinto stanziamento della Tabella n. 2 viene dedotta con percorso logico meramente indiziario e sicuramente controvertibile, soprattutto in ragione delle numerose variabili operanti nella suddetta posta di bilancio e del fatto che tali eterogenei fattori possono concretamente influire nei confronti della Regione stessa solo attraverso un eventuale successivo atto legislativo o amministrativo di parte statale, come ricordato dalla controparte.

La Regione non indica le risorse effettivamente incamerate nell’esercizio precedente e non tenta neppure di estrarre con criteri estimatori presuntivi la propria contestata quota di spettanza per l’esercizio 2012, facendo così contemporaneamente mancare entrambi i termini di riferimento della lesione dedotta in giudizio.

Peraltro, buona parte della prospettazione non appare diretta a supportare i vizi di legittimità lamentati bensì a sollecitare un avallo interpretativo della norma condizionante la redazione dell’impugnata Tabella, limitatamente alla parte inerente alla Regione siciliana, in modo da sorreggere il significato che la Regione stessa ritiene debba esserle attribuito. Ciò senza fornire alcuna dimostrazione circa la concreta incidenza della sollecitata interpretazione sui meccanismi di determinazione dello stanziamento finanziario presente nella Tabella.

Neppure la perdurante incertezza sullo stato delle relazioni finanziarie tra i due enti alla data del ricorso, ormai prossima alla chiusura dell’esercizio finanziario, può far superare i vizi della prospettazione e della definizione dell’oggetto del ricorso stesso. Ciò non in quanto l’indeterminatezza delle reciproche relazioni finanziarie non costituisca un potenziale vulnus ai principi del coordinamento della finanza pubblica e della salvaguardia degli equilibri di bilancio, i quali devono essere preservati nei rispettivi bilanci secondo modalità di leale collaborazione tra Stato e Regione, ma per il fatto che spetta a chi propone il ricorso farsi parte diligente nella definizione del petitum e nella produzione degli atti necessari a sorreggerlo.

È fuor di dubbio che nel settore della finanza pubblica allargata le partite creditorie e debitorie afferenti alle relazioni tra enti pubblici, ed in particolare tra Stato e Regione, debbano essere rappresentate nei rispettivi bilanci in modo preciso, simmetrico, speculare e tempestivo (non essendo compatibile con i principi di programmazione nell’impiego delle risorse e di tutela preventiva degli equilibri del bilancio che la specificazione della quota di finanziamento di funzioni importanti come quelle inerenti al servizio sanitario regionale sia determinata, nell’an e nel quantum, ad esercizio inoltrato ed addirittura in periodo vicino al termine dello stesso come nel caso di specie). Tuttavia, l’assenza di tali elementi e la negativa incidenza sulla sana gestione finanziaria non possono essere lamentate senza una puntuale individuazione delle componenti economiche e contabili assunte a riferimento della doglianza. Sotto questo profilo, è onere indefettibile del ricorrente allegare la precisa quantificazione del pregiudizio lamentato, i criteri utilizzati per la sua definizione e le partite dei rispettivi bilanci finanziari dalle quali si ricavano le relative censure. Fermo restando l’obbligo in capo allo stesso resistente di rendere ostensibili gli elementi finanziari e contabili di propria competenza, i quali non possono essere soltanto affermati bensì debbono essere puntualmente documentati, il ricorso non può limitarsi ad ipotizzare, attraverso elementi argomentativi astratti e non univoci, l’esistenza di squilibri economico-finanziari o di violazioni di precetti costituzionali, ma deve puntualmente definirne essenza e consistenza, se del caso richiedendo alla parte resistente, ove non altrimenti reperibili, i dati finanziari analitici correlati ai profili disfunzionali censurati.

3. — Per le evidenziate carenze nella formulazione della domanda il presente ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della Tabella n. 2 (Stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze), unità di voto 2.4 (Concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria), prevista dall’art. 2, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 184 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2012 e bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014), pubblicata nel supplemento ordinario n. 234/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 265 del 14 novembre 2011 (pag.173), promossa, in riferimento agli articoli 36 e 37 dello statuto della Regione siciliana, approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 e delle relative norme attuative, agli articoli 81 e 119, quarto comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché in violazione del principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2012.