SENTENZA N. 254
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 53, comma 1, lettera b), e 64, commi 1 e 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, promosso dalla Regione Veneto con ricorso consegnato per la notificazione in data 9 ottobre 2012, depositato in cancelleria il 16 ottobre 2012 ed iscritto al n. 146 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione di Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 settembre 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Enrico de Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso consegnato per la notificazione in data 9 ottobre 2012, la Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta regionale, ha promosso questione di legittimità costituzionale di diverse disposizioni facenti parte del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, deducendone il contrasto con numerosi parametri costituzionali.
1.1.− Fra le disposizioni oggetto di censura è l’articolo 53, comma 1, lettera b), del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, con il quale sono state apportate delle modifiche all’art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, che, a sua volta, era intervenuto dettando la nuova disciplina del servizi pubblici locali, precedentemente contenuta nell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, disposizione quest’ultima oggetto di referendum abrogativo svoltosi nel giugno 2011, i cui effetti sono stati formalizzati con il decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica).
Prosegue la Regione ricorrente rammentando che il legislatore, con l’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, aveva, in sostanza, reintrodotto la medesima disciplina oggetto della abrogazione referendaria, tanto che, impugnata la disposizione in tal modo sopravvenuta da varie Regioni, la Corte costituzionale, con sentenza n. 199 del 2012, ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale, ritenendo la norma, riproduttiva di una disciplina normativa abrogata per volontà popolare, in contrasto con l’art. 75 della Costituzione.
Aggiunge, a questo punto, la Regione ricorrente che con la disposizione legislativa ora denunziata sono state, tra l’altro, apportate numerose modifiche al ricordato art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, le quali − prosegue la parte ricorrente richiamando numerose precedenti sentenze di questa Corte − ledono la autonomia regionale, comprimendone le sfere di competenza esclusiva residuale in materia di servizi pubblici locali e concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.
Peraltro, prosegue la ricorrente, la disposizione censurata, apportando modifiche all’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 − a sua volta, come detto, riproduttivo dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 – reintrodurrebbe in sostanza una normativa già oggetto di referendum abrogativo, violando essa stessa l’art. 75 Cost. La surrettizia reiterazione di una norma dichiarata incostituzionale da questa Corte con la sentenza n. 199 del 2012, cioè il ricordato art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, violerebbe peraltro anche l’art.136 Cost.
2.− Oggetto di impugnazione sono, altresì, i commi 1 e 2 dell’art. 64 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012.
2.1.− Il comma 1 del citato art. 64 prevede l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un fondo − avente una dotazione per l’anno 2012 fino a 23 milioni di euro − per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva, finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti sportivi o alla ristrutturazione di quelli esistenti.
Il successivo comma 2 prevede, a sua volta, che i criteri per l’erogazione delle risorse finanziarie del fondo in questione siano definiti con decreto ministeriale, di natura non regolamentare, emanato dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, di concerto con quello dell’economia e delle finanze, sentiti il CONI e la Conferenza unificata Stato Regioni.
La ricorrente Regione, con riferimento al comma 1 del citato art. 64, si duole del fatto che sia stato istituito un fondo statale a destinazione vincolata in un ambito materiale riconducibile alla competenza regionale concorrente relativa all’«ordinamento sportivo» ed al «governo del territorio», così violando l’art. 119 Cost. che, nel sancire la autonomia finanziaria delle Regioni, non permette allo Stato di ingerirsi nel finanziamento delle funzioni pubbliche connesse alle materie rimesse alle competenze normative regionali.
Ricorda, infatti, la Regione Veneto che la previsione di fondi vincolati diverrebbe, secondo la giurisprudenza costituzionale, uno strumento di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione, relativamente agli indirizzi economico-finanziari legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti di propria competenza.
Riguardo al comma 2 dello stesso art. 64 la doglianza della ricorrente si appunta sul fatto che non sia prevista dalla norma alcuna forma di intesa con le Regioni, essendo i criteri per la erogazione delle risorse di cui al fondo in questione dettati con decreto ministeriale adottato non previa intesa con la Conferenza Stato Regioni, ma soltanto «sentita» quest’ultima.
In questo modo, ad avviso della ricorrente, sarebbe violato il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
La norma sarebbe, altresì, in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost. in quanto prevederebbe la emanazione da parte dello Stato di un atto avente, al di là della contraria autoqualificazione, certamente natura regolamentare in una materia relativa alla competenza legislativa concorrente.
3.− Si è costituito in giudizio, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri osservando, riguardo alla impugnazione dell’art. 53, comma 1, lettera b), del d.l. n. 83 del 2012, che deve ritenersi cessata la materia del contendere in quanto la Corte costituzionale, con sentenza n. 199 del 2012, ha già dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 così come modificato, da ultimo, per effetto della disposizione ora censurata.
Riguardo alla impugnazione avente ad oggetto i primi due commi dell’art 64 del d.l. n. 83 del 2012, l’Avvocatura dello Stato ne deduce la infondatezza. La disposizione, volta a rimediare alle carenze di infrastrutture sportive soprattutto nelle zone del meridione d’Italia, sarebbe, infatti, da inquadrare nella previsione di cui all’art. 119, quinto comma, Cost. che legittima gli interventi finanziari statali volti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale ed a rimuovere gli squilibri economici e sociali onde favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.
4.− In prossimità della data fissata per la discussione del presente ricorso la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa nella quale, con riferimento alla impugnazione dell’art. 53, comma 1, lettera b), del d.l. n. 83 del 2012, ha rilevato che, essendo stata la disposizione espressamente abrogata per effetto della entrata in vigore dell’art. 34, comma 24, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, la questione avrebbe cessato «di avere rilievo».
Con riferimento, invece, alla impugnazione dell’art. 64, commi 1 e 2, del d.l. n. 83 del 2012, la Regione ricorrente ha insistito nella richiesta di accoglimento della prospettata questione di legittimità costituzionale.
1.− La Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale di diverse disposizioni legislative contenute nel decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese); fra queste, ha, in particolare, censurato gli articoli 53, comma 1, lettera b), e 64, commi 1 e 2.
Riservata ad altra pronunzia la decisione in ordine alla impugnazione delle restanti disposizioni censurate, è ora oggetto di esame la prospettata questione di legittimità costituzionale delle norme testé richiamate.
1.1.− La Regione Veneto contesta la legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, lettera b), del d.l. n. 83 del 2012 − nella parte in cui esso introduce delle modifiche nel preesistente art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) − sotto un duplice profilo.
1.1.1.− Per un verso, rilevato che la norma censurata è andata a modificare una precedente disposizione legislativa, vale a dire il ricordato art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n. 199 del 2012, la Regione ricorrente ritiene che essa violi l’art. 136 Cost., dando nuovo vigore ad una disposizione già cancellata dall’ordinamento per effetto della ricordata sentenza.
1.1.2.− Per altro verso, prosegue la ricorrente, la medesima norma, sempre in ragione del fatto che essa ha inciso, modificandolo, sull’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, disposizione sostanzialmente riproduttiva dell’art. 23-bis del decreto-legge 25 gennaio 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, che, a sua volta, a seguito dell’esito di referendum popolare, è stato abrogato con decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), violerebbe il dettato dell’art. 75 Cost., ripristinando una disposizione già oggetto di referendum abrogativo.
2.− Ai fini della soluzione della presente questione di legittimità costituzionale svolge una funzione decisiva la circostanza che, successivamente alla proposizione da parte della Regione Veneto del presente ricorso, sia intervenuto il legislatore nazionale il quale, come riscontrato anche dalla ricorrente nella sua memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza, con l’art. 34, comma 24, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha espressamente abrogato la lettera b) dell’art. 53, comma 1, del d.l. n. 83 del 2012.
Ad oggi, pertanto, al netto dell’evidente anomalia riscontrabile nell’operato del legislatore statale che, con la disposizione impugnata, ha novellato una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima con precedente sentenza di questa Corte (al riguardo è significativo rilevare che la disposizione ora censurata, nella sua versione risultante a seguito di modifiche apportate in sede di conversione in legge del d.l. n. 83 del 2012, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica dell’11 agosto 2012, mentre la sentenza con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, depositata nella cancelleria di questa Corte in data 20 luglio 2012, era stata già pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica in data 25 luglio 2012), la presente questione di legittimità costituzionale, divenuta, successivamente alla proposizione del ricorso, priva di oggetto, stante l’abrogazione della norma censurata (della quale, dato il suo contenuto, può escludersi qualsivoglia forma di applicazione durante l’effimera vigenza), deve essere dichiarata inammissibile.
3.− La Regione Veneto contesta, altresì, la legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 64 del d.l. n. 83 del 2012, nella parte in cui, al comma 1, è prevista l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva, finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti o alla ristrutturazione di quelli già esistenti, e, al comma 2, è previsto che i criteri per l’erogazione delle risorse in questione siano definiti attraverso un decreto, avente dichiarata natura non regolamentare, adottato dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, di concerto con quello dell’economia e delle finanze, sentiti il CONI e la Conferenza unificata Stato Regioni.
3.1.− In particolare, secondo la ricorrente, le descritte disposizioni si pongono in contrasto, la prima, con l’art. 119 Cost., essendo inibito allo Stato di prevedere l’istituzione di fondi vincolati nelle materie di competenza regionale, individuate, nella specie, in quella del «governo del territorio» e in quella dell’«ordinamento sportivo», la seconda con gli artt. 117, sesto comma, e 120 Cost. poiché essa prevede la adozione da parte dello Stato di atti aventi − al di là dell’ingannevole autoqualificazione − contenuto sostanzialmente regolamentare in ambiti materiali rimessi alla competenza concorrente regionale e viola il principio della leale collaborazione fra Stato e Regioni, non essendo previsto un reale coinvolgimento di queste nella definizione dei criteri per la erogazione delle risorse di cui al fondo in questione.
4.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 1, del d.l. n. 83 del 2012 è fondata.
4.1.− Deve, preliminarmente, rilevarsi che questa Corte, nell’occuparsi in passato della collocazione materiale della disciplina afferente alla edilizia sportiva ebbe a chiarire, in un primo tempo – anche anteriormente cioè alle «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» apportate dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, − che «la ripartizione delle competenze sugli impianti e sulle attrezzature è […] nel senso che, mentre lo Stato è pienamente legittimato a programmare e a decidere gli interventi sugli impianti e sulle attrezzature necessari per l’organizzazione delle attività sportive agonistiche, le regioni vantano invece la corrispondente competenza in relazione all’organizzazione delle attività sportive non agonistiche» (sentenza n. 517 del 1987), precisando, successivamente, che «non è dubitabile che la disciplina degli impianti e delle attrezzature sportive rientri nella materia dell’ordinamento sportivo e che in merito alla stessa operi il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni sancito dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione» (sentenza n. 424 del 2004).
Alla luce di tali precedenti si può, pertanto, tranquillamente, ascrivere la destinazione del fondo in questione − finalizzato non a favorire l’attività sportiva agonistica ma destinato allo «sviluppo ed alla capillare diffusione della pratica sportiva a tutte le età e tra tutti gli strati della popolazione» − all’ambito materiale di competenza concorrente regionale dell’«ordinamento sportivo» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
4.2.− Ciò premesso, va considerato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’art. 119 Cost. vieta al legislatore statale di prevedere, in materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati. Tali misure, infatti, possono divenire strumenti indiretti, ma pervasivi, di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (sentenza n. 168 del 2008, nonché, in termini sostanzialmente coincidenti, ex plurimis, sentenze n. 50 del 2008, n. 201 del 2007 e n. 118 del 2006). Ciò, in particolare, quando la finalizzazione è, come in questo caso, specifica e puntuale.
4.3.− Né può valere quale argomento idoneo a far ritenere inapplicabile al caso di specie il ricordato radicato orientamento giurisprudenziale l’affermazione della difesa erariale secondo la quale l’intervento finanziario previsto dalla norma censurata sarebbe da attribuire al novero di quelli previsti dall’art. 119, quinto comma, Cost., secondo il quale è consentita allo Stato la destinazione di risorse aggiuntive agli enti locali per l’effettuazione di interventi speciali volti, fra l’altro, alla rimozione degli esistenti squilibri economici e sociali.
Infatti la circostanza, allegata dalla difesa dello Stato, secondo la quale il fondo previsto dalla normativa censurata avrebbe la funzione di strumento di riequilibrio di situazioni altrimenti svantaggiate, in quanto destinato a rimediare alle carenze di infrastrutture sportive riscontrabili soprattutto nelle zone del meridione d’Italia, non trova nel testo dell’art. 64 del d.l. n. 83 del 2012, secondo una esegesi normativa svolta in base agli ordinari canoni ermeneutici, alcun effettivo riscontro.
Ciò, in particolare, tenuto conto del dato, emergente dalla analisi testuale della disposizione censurata, che in essa non vi è alcun indice da cui desumere l’esistenza sia di uno specifico ambito territoriale di localizzazione dell’intervento, sia di particolari categorie svantaggiate destinatarie di esso, essendo, anzi, prevista la attribuzione delle risorse in favore di una ampia e tendenzialmente indifferenziata platea di soggetti beneficiari.
5.− L’evidente subordinazione del disposto del comma 2 dell’art. 64 del d.l. n. 83 del 2012 alla perdurante vigenza del contenuto normativo del precedente comma 1 fa sì che, accolta la questione di legittimità costituzionale concernente il comma 1, debba – anche prescindendo dalle specifiche censure fatte valere dalla ricorrente Regione − essere estesa la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche al successivo comma 2, in quanto, trattandosi di disposizione destinata ad operare esclusivamente in funzione della precedente, venuta meno questa, non trova giustificazione la sua permanenza nell’ordinamento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia ogni decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni del decreto-legge oggetto di impugnazione;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 64, commi 1 e 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 53, comma 1, lettera b), del medesimo d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 134 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 75 e 136 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2013.