SENTENZA N. 23
ANNO 2014
Commento alla decisione di
Giuseppe Mobilio
(per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art.
2, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174
(Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti
territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate
nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
7 dicembre 2012, n. 213, promossi dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia e dalla Regione autonoma Sardegna,con ricorsi notificati
il 5 febbraio 2013, rispettivamente depositati in cancelleria l’8 e il 15
febbraio 2013, ed iscritti ai nn. 17
e 20
del registro ricorsi 2013.
Visti gli atti di costituzione
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del
3 dicembre 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per
Ritenuto in fatto
1.− Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia (ricorso n. 17 del 2013) e
Sardegna (ricorso n. 20 del 2013) hanno impugnato numerose disposizioni del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di
finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni
in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213.
Le
impugnazioni che vengono qui all’esame sono quelle relative ai commi 1, 2, 3, 4
e 5 (i commi 3 e 5 impugnati dalla sola Regione autonoma Sardegna) dell’art. 2
citato e rubricato «Riduzione dei costi della politica nelle regioni».
2.−
2.1.−
Ciò premesso, la ricorrente osserva come i commi 1 e 2 dell’art. 2 censurato, dal
punto di vista letterale, sembrino stabilire non un «obbligo» in capo alle
Regioni ma soltanto un «onere» di adeguamento dei propri ordinamenti alle
prescrizioni ivi dettate, ovverosia una condizione per evitare il taglio
dell’ottanta per cento dei trasferimenti erariali; in realtà, prosegue
Dalla
mancata realizzazione delle prescrizioni del comma 1, dunque, deriverebbero sia
le sanzioni economiche ivi previste che quella «organica» del comma 5.
2.2.− La ricorrente, tuttavia, ritiene che l’art. 2 citato
possa essere interpretato nel senso che i commi 1 e 2 non riguardino le
autonomie speciali, dal momento che, ai sensi del successivo comma 4, «Le
regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano
provvedono ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal comma 1
compatibilmente con i propri statuti di autonomia e con le relative norme di
attuazione».
Lo stesso
comma 5, poi, facendo riferimento alla grave violazione di legge ai sensi dell’art. 126, primo comma,
Cost., richiamerebbe una norma che vale per le sole Regioni ordinarie,
mentre la materia in esame, per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, è
regolata dall’art.
22 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia).
2.3.− La ricorrente, tuttavia, dichiara di proporre
l’impugnazione dei commi 1, 2 e 4 dell’art.
2.4.− In tale ipotesi, dunque, i commi 1 e 2 dell’art. 2
sarebbero incostituzionali per violazione della autonomia finanziaria regionale
e dell’art. 3 Cost.,
in quanto irragionevoli.
2.4.1.−
Sotto il primo profilo, deduce la ricorrente che l’art.
48 dello statuto riconosce ad essa «una propria finanza, coordinata con
quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale»; ai
sensi dell’art.
49, poi, ad essa spettano quote fisse di entrate tributarie erariali
riscosse nel suo territorio; e la disponibilità di adeguate risorse finanziarie
è strumentale non solo all’esercizio delle proprie funzioni ma anche all’azione
delle Province e dei Comuni, cui essa assegna, ex art.
54, quote delle proprie entrate.
Sostiene
Prosegue la
Regione ricorrente evidenziando come, anche laddove si ritenesse che la
riduzione dei trasferimenti non ricomprenda tali quote, le disposizioni in
esame sarebbero comunque lesive della propria autonomia finanziaria: il comma
152 dell’art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di
stabilità 2011) prevede, infatti, che
2.4.2.−
In ordine al lamentato profilo dell’irragionevolezza,
poi, andrebbe considerato, prosegue la ricorrente, che la decurtazione in esame
ha carattere sanzionatorio e la giurisprudenza costituzionale ha più volte
riconosciuto come le leggi di coordinamento della finanza pubblica possano sì
stabilire sanzioni a carico degli enti inadempienti, ma a condizione che non
siano, come nel caso di specie, in contrasto con le disposizioni degli statuti
o delle relative norme di attuazione.
Da altra
angolazione, poi, tra vincoli sostanziali e misure sanzionatorie (o premiali)
dovrebbe sussistere una correlazione diretta e ragionevole (si citano le
sentenze della Corte n. 8 del 2013 e
n. 190 del 2008),
che nel caso di specie difetterebbe: la riduzione dei trasferimenti, infatti,
sarebbe connessa ad una serie assolutamente eterogenea di misure sostanziali,
alcune delle quali non avrebbero neanche un significato finanziario; ancora,
sotto altro profilo, l’irragionevolezza discenderebbe dal rilievo che la
decurtazione è stabilita in modo fisso, quale che sia il numero delle
condizioni che la Regione non abbia realizzato.
2.5.− Evidenzia ancora la ricorrente che il comma 2 dell’art.
2 censurato prevede, quale ulteriore sanzione, che la riduzione dei
trasferimenti erariali a favore della Regione inadempiente sia pari «alla metà
delle somme da essa destinate per l’esercizio 2013 al trattamento economico
complessivo spettante ai membri del consiglio regionale e ai membri della
giunta regionale».
Anche tale
misura non avrebbe «alcun collegamento con un vincolo sostanziale» e sarebbe
incostituzionale per le medesime ragioni evidenziate con riferimento al comma
1.
2.6.− In ordine alla clausola di salvaguardia prevista dal
comma 4, prosegue
Così la
prescrizione di cui alla lettera a)
circa il numero massimo di consiglieri regionali sarebbe in contrasto con l’art.
13, comma 2, dello statuto; la prescrizione sul numero degli assessori,
nonché quelle di cui alle lettere f),
g), h) e l), colliderebbe con
l’art.
12; le disposizioni relative alle indennità spettanti ai titolari e ai
componenti degli organi di vertice della Regione, infine, sarebbero in
contrasto con gli artt.
19 e 41.
Conclude la
ricorrente evidenziando come per il tramite delle prescrizioni in esame il
legislatore ordinario finisca inammissibilmente con l’imporre modifiche di
fonti statutarie di rango costituzionale (si cita la sentenza della
Corte n. 198 del 2012).
2.7.− Da ultimo, in caso di mancato accoglimento della
proposta interpretazione adeguatrice, l’art. 2, comma
4, sarebbe incostituzionale, nella parte in cui non prevede che alla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia non si applichino le riduzioni dei trasferimenti
erariali, anche per le stesse ragioni esposte con riferimento ai commi 1 e 2.
3.−
3.1.− La ricorrente muove alle disposizioni in esame due
ordini di censure.
Da un lato,
vi sarebbe una palese violazione della propria competenza legislativa nella
regolazione dell’autonomia finanziaria e, specularmente, un abnorme esercizio
da parte dello Stato della competenza concorrente in materia di coordinamento
della finanza pubblica; il travalicamento dell’ambito riservato alla
ricorrente, poi, avrebbe determinato anche l’invasione di alcune sue competenze
statutarie.
Dall’altro,
lo Stato, per il tramite dell’articolo impugnato, avrebbe imposto alla
ricorrente di produrre effetti di finanza pubblica che possono darsi solo
mediante la revisione dello statuto, che, essendo approvato con legge costituzionale,
non è nella sua disponibilità allo stesso modo di una Regione ordinaria.
3.2.− Sostiene
La piana
lettura delle disposizioni impugnate, prosegue la ricorrente, «rende evidente
la impossibilità di ricondurre la disposizione censurata ad un esercizio del
potere legislativo di determinazione dei principi fondamentali», poiché le
disposizioni normative «sono tutte assai particolareggiate ed anche in parte
tra loro eterogenee» (sentenza n. 159 del
2008; si cita anche la sentenza n. 139 del
2012): di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma,
e 119 Cost.,
nonché degli artt. 7
e 8 dello statuto, che garantiscono l’autonomia finanziaria della Regione.
In via
consequenziale sarebbero illegittimi i commi 2, 3 e 5, che ricollegano effetti
ancor più lesivi dell’autonomia regionale alla mancata ottemperanza alle
prescrizioni del comma 1: di qui, secondo la ricorrente, la violazione non solo
dei parametri appena detti ma anche degli artt.
3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), perché verrebbe impedito alla Regione di svolgere le
funzioni pubbliche ad essa affidate dalla Costituzione, dallo statuto speciale
e dalle leggi.
3.3.−
Non meno evidente, prosegue
Il comma 2,
dal canto suo, violerebbe gli artt. 3 e 119 Cost., anche in
relazione al combinato disposto con gli artt.
3, 4, 5 e 6 dello statuto, poiché il trasferimento dei fondi necessari per
lo svolgimento delle funzioni statutarie sarebbe irragionevolmente subordinato
alla rinuncia della Regione all’esplicazione della sua autonomia
costituzionalmente garantita, anche finanziaria.
Ancora
violato, secondo la ricorrente, sarebbe l’art. 8
dello statuto, poiché i trasferimenti erariali oggetto di potenziale blocco
statale ricomprendono le compartecipazioni erariali ivi stabilite, con
conseguente esorbitamento dalla materia del
coordinamento della finanza pubblica.
I medesimi
vizi, secondo
3.4.−
Quanto al comma 5, secondo cui il mancato adeguamento delle Regioni alle
disposizioni dell’intero art. 2 determina una grave violazione di legge ai
sensi dell’art. 126,
primo comma, Cost., con conseguente scioglimento del Consiglio regionale e
contestuale rimozione del Presidente della Regione, ritiene la ricorrente che
sia lecito dubitare della sua applicabilità alle autonomie speciali, essendo
richiamato un parametro costituzionale applicabile alle sole Regioni ordinarie.
Per
l’ipotesi di ritenuta applicabilità, dovrebbero dirsi violati non solo lo
stesso art. 126 Cost.
ma anche gli artt.
15, 35 e 50 dello statuto, ove sono disciplinati i rapporti tra gli organi
regionali, dettati tassativamente i casi di scioglimento del Consiglio e della
Giunta regionale, nonché di fine anticipata del mandato del Presidente della Regione,
e previste speciali forme di leale collaborazione tra Stato e Consiglio
regionale nel caso in cui a perpetrare le violazioni sia
Inoltre, il
comma 5 dell’art. 2 violerebbe anche l’art. 3 Cost., in
combinato disposto con gli
artt. 50 e 54 dello statuto e 116 Cost., perché
ricollegherebbe l’ipotesi di scioglimento del Consiglio regionale e di
rimozione del Presidente della Regione a eventi, quali la revisione dello
statuto, che non sono nella disponibilità della ricorrente, con conseguente
violazione anche del principio di eguaglianza, nella parte in cui tratta
3.5.− Evidenzia la ricorrente, poi, più in generale, come sia
la gran parte delle «condizioni» richieste dall’art.
Inoltre,
prosegue la ricorrente, lo statuto, a mente dell’art. 54,
può essere riformato esclusivamente con il procedimento stabilito per la
revisione costituzionale, procedimento che la Regione autonoma Sardegna può
solo avviare; di qui l’irragionevolezza di considerarla responsabile in caso di
mancato adeguamento.
3.6.− Anche il comma 4, secondo la ricorrente, sarebbe violativo di tutti i parametri statutari e costituzionali
individuati in precedenza, perché non limita l’applicabilità dell’art. 2 ai
soli ambiti di competenza del legislatore statale. La clausola in esame,
sebbene in apparenza finalizzata alla tutela delle attribuzioni statutarie
delle autonomie speciali, finirebbe per mortificarle.
Essa,
infatti, nella sua formulazione letterale, differirebbe in maniera evidente da
quella contenuta nell’art. 19-bis del
decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 14 settembre
2011, n. 148, analizzata dalla Corte con la sentenza
n. 241 del 2012, ove si sarebbe chiarito come la funzione di clausole di
questo tipo sia di escludere l’applicazione delle normative cui accedono,
laddove in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione.
4.− In entrambi i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
spiegando difese ed eccezioni identiche e chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Evidenzia
la difesa erariale come l’art. 2 del d.l. n. 174 del 2012 preveda una serie di
misure volte a ridurre i costi della politica; le Regioni, prosegue
l’Avvocatura, sarebbero chiamate a introdurre tali misure per potere ricevere
l’ottanta per cento dei trasferimenti erariali loro spettanti, ad eccezione di
quelli destinati al Servizio sanitario nazionale e al trasporto pubblico
locale.
Per le
autonomie speciali, poi, sarebbe espressamente previsto che adeguino i
rispettivi ordinamenti alle suddette misure di contenimento della spesa
compatibilmente con i relativi statuti e le norme di attuazione, ovvero
mediante strumenti che consentano di assicurare il rispetto della loro
autonomia (art. 2, comma 4, e art. 11-bis
del decreto-legge citato).
Il
riconoscimento alle autonomie statutarie di un ruolo attivo e di un margine di
manovra nell’adeguamento dei rispettivi ordinamenti alle nuove misure
comporterebbe, secondo il Presidente del Consiglio, l’infondatezza delle
questioni.
5.− In data 12 novembre 2013 la Regione autonoma Sardegna ha depositato una
memoria, con cui ha evidenziato come il Presidente del Consiglio non abbia
replicato alle proprie censure, limitandosi ad affermare che il decreto-legge
impugnato, con le clausole di salvaguardia di cui agli artt. 2, comma 4, e 11-bis, ha riconosciuto alle autonomie
speciali un certo margine di manovra nell’adeguamento alle disposizioni del
decreto.
L’unico
modo che possa consentire il rispetto della loro autonomia, secondo la
ricorrente, è la non applicabilità in
toto dell’art. 2, sia perché, non avendo esse la possibilità di riformare i
propri statuti, non avrebbero alcuno strumento per soddisfare le condizioni
dettate dallo Stato, sia perché l’articolo censurato conterrebbe disposizioni
particolareggiate, in quanto tali esulanti dal coordinamento della finanza
pubblica.
Considerato in diritto
1.– Le Regioni autonome
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna hanno promosso questioni di legittimità
costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge
10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento
degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone
terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213.
L’esame di questa Corte è qui
limitato alle questioni relative all’art. 2, commi da
L’articolo impugnato prevede,
per quanto rileva in questa sede: al comma 1, il taglio dei trasferimenti
erariali nella misura dell’ottanta per cento, fatta eccezione per quelli
destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, delle politiche
sociali e per le non autosufficienze e al trasporto pubblico locale, laddove le
Regioni non adottino, nei termini ivi indicati, tutta una serie di
provvedimenti elencati dalla lettera a)
alla lettera m); al comma 2, quale
ulteriore sanzione, un taglio pari alla metà delle somme destinate per
l’esercizio 2013 al trattamento economico complessivo spettante ai membri del
Consiglio e della Giunta regionali; al comma 3, l’obbligo
di comunicazione, alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al
Ministero dell’economia e delle finanze, del rispetto delle condizioni previste
dal comma 1; al comma 4, l’operatività, per le Regioni a statuto speciale e le
Province autonome, delle disposizioni del comma 1 compatibilmente con i propri
statuti e le relative norme di attuazione; al comma 5, l’assegnazione alle
Regioni, in caso di mancato adeguamento nei termini previsti, di un ulteriore
termine di novanta giorni, il cui mancato rispetto è considerato grave
violazione di legge ai sensi dell’art. 126, primo comma, della Costituzione.
Il comune presupposto
interpretativo di tutte le censure risiede nella ritenuta applicabilità,
prospettata in termini dubitativi, delle norme impugnate alle Regioni autonome
ricorrenti.
I parametri invocati sono: 1)
gli artt. 3, con riferimento ai principi di eguaglianza e ragionevolezza, 116,
117, terzo comma, 119 e 126 Cost.; 2) gli artt. 12, 13, comma 2, 19, 41 48, 49,
54, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963,
n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); 3) gli
artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 26, 35, 50 e 54 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per
2.– In considerazione
della parziale identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i
giudizi devono essere riuniti per essere decisi congiuntamente.
3.– In via preliminare va
esaminata, d’ufficio, l’ammissibilità delle questioni sollevate con riferimento
al comma 1 dell’art. 2, essendo stato il suo primo alinea modificato dall’art. 10, comma 7, del decreto-legge 28 giugno
2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione
dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in
materia di Imposta sul valore aggiunto "IVA” e altre misure finanziarie
urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99, che ha
introdotto, quale ulteriore ambito di esclusione dai tagli dei trasferimenti,
quello relativo alle politiche sociali e per le non autosufficienze.
Questa Corte «ha costantemente
ritenuto che, nell’ipotesi in cui le modifiche normative non siano satisfattive
rispetto alle censure, la questione di costituzionalità vada trasferita sulla
nuova disposizione, salvo che quest’ultima appaia dotata di un contenuto
radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria (ex plurimis, sentenze n. 193
e n. 30 del 2012)»
(sentenza n. 219
del 2013).
Ebbene, la natura «marginale»
della modifica normativa (sentenza n. 219 del
2013), specie in relazione al perimetro e al tenore delle censure delle
ricorrenti, rispetto a cui può dirsi solo minimamente satisfattiva, rende
necessario operare il trasferimento della questione di costituzionalità sulla
nuova formulazione del testo dell’art. 2.
4.– Prima di procedere
all’esame delle censure, occorre vagliare il presupposto interpretativo, da cui
muovono le ricorrenti, dell’effettiva applicabilità delle norme impugnate alle
Regioni autonome: la sua prospettazione in termini dubitativi nei giudizi in
via principale non comporta, infatti, l’inammissibilità delle questioni
sollevate (sentenze n. 62 del 2012,
n. 412 del 2001,
n. 244 del 1997).
A tal fine rileva il comma 4
dell’art.
Non assume rilievo, al
contrario, la clausola generale contenuta nell’art. 11-bis − peraltro richiamata solo dalla difesa erariale e non
dalle Regioni interessate − posta a chiusura del decreto-legge e alla cui
stregua «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di
Bolzano attuano le disposizioni di cui al presente decreto nelle forme
stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di
attuazione». Con la disposizione impugnata, infatti, non si pone un problema di
recepimento, che è appunto regolato dall’art. 11-bis, limitandosi essa a prevedere una sanzione in mancanza
dell’eventuale adeguamento.
Ebbene, a mezzo della clausola
di salvaguardia di cui all’art. 2, comma 4, gli evocati parametri di rango
statutario assumono «la funzione di generale limite» (sentenze n. 241 e n. 64 del 2012,
n. 152 del 2011)
per l’applicazione delle disposizioni del comma 1, nel senso che la prima ha la
funzione di rendere queste ultime applicabili agli enti ad autonomia
differenziata, «solo a condizione che, in ultima analisi, ciò avvenga nel
"rispetto” degli statuti speciali» (sentenza n. 215 del
2013).
Sempre con riguardo al comma 4,
va poi precisato che nonostante esso faccia riferimento solo al comma 1, deve
ritenersi che la clausola di salvaguardia presidi anche i successivi commi 2 e
3; difatti, se le prescrizioni del primo comma dovessero
ritenersi non operanti nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale, non
potrebbe darsi luogo neanche alle ulteriori sanzioni previste dal secondo
comma, né ai conseguenti obblighi di comunicazione previsti dal terzo.
5.– Le ricorrenti contestano, allora, la legittimità costituzionale della
clausola in esame poiché renderebbe applicabili le disposizioni impugnate alle
autonomie speciali, in violazione della loro autonomia finanziaria e di
numerose disposizioni degli statuti (artt. 3, 116, 117, 119 e 126 Cost.; artt.
12, 13, comma 2, 19, 41, 48, 49, 54, 63 e 65 della legge
cost. n. 1 del 1963; artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 26, 35, 50 e 54
della legge cost. n. 3 del 1948).
Aggiunge
5.1.− Quest’ultima censura non è
fondata.
L’invocato art. 27
della legge n. 42 del 2009, di attuazione del federalismo fiscale previsto
dall’art. 119 Cost., pur ponendo «una vera e propria "riserva di competenza alle norme
di attuazione degli statuti” speciali per la modifica della disciplina
finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del
2012), così da configurarsi quale autentico presidio procedurale della
specialità finanziaria di tali enti» (sentenza n. 241 del
2012), ha il rango di legge ordinaria, in quanto tale derogabile da atto
successivo avente la medesima forza normativa.
Deve, allora, ritenersi che,
specie in un contesto di grave crisi economica, quale quello in cui si è
trovato ad operare il legislatore, esso possa discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del
concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del
2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte
statutaria (sentenza
n. 198 del 2012).
La clausola di salvaguardia in
esame, dunque, non può essere considerata lesiva delle prerogative
autonomistiche solo perché non prevede una procedura concertata, dal momento
che quest’ultima non è costituzionalmente necessitata.
5.2.– Quanto alle rimanenti censure, esse, sebbene formalmente dirette contro la
clausola di salvaguardia, sono in realtà rivolte avverso le disposizioni
sostanziali da essa rese applicabili, con la conseguenza che è rispetto a
queste ultime che vanno esaminate.
6.– Entrambe le ricorrenti lamentano che i tagli previsti ai commi 1 e 2 dell’art. 2
impugnato sarebbero in contrasto con i parametri costituzionali, statutari e
interposti, invocati a garanzia della loro autonomia finanziaria (artt. 117,
terzo comma, e 119 Cost.; artt. 48, 49, 54 e 63, quinto comma, della legge cost. n. 1 del 1963; artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948; artt. 1, comma 152, della
legge n. 220 del 2010 e 27, comma 7, della legge n. 42 del 2009).
Secondo
6.1.– Quanto alla prospettazione della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, in effetti le norme impugnate non specificano di quali
trasferimenti erariali si tratti, se non in negativo e solo parzialmente, per
escludere dal "taglio” quelli relativi al trasporto pubblico locale, al
servizio sanitario e alle politiche sociali e per le non
autosufficienze. L’espressione utilizzata dal legislatore, dunque, anche avuto
riguardo al suo impiego nella redazione del bilancio dello Stato, può
ingenerare il dubbio che si sia inteso fare riferimento a qualsiasi passaggio
di denaro alle Regioni, e quindi anche alle somme devolute alle autonomie
speciali a titolo di compartecipazioni ai tributi erariali.
È noto,
tuttavia, «il costante insegnamento di questa Corte – espresso soprattutto nei
giudizi incidentali, ma che vale, per ciò che attiene alla decisione di merito,
anche nei giudizi in via principale (sentenza n. 21 del
2013, ordinanze n. 255 del 2012,
n. 287 del 2011
e n. 110 del
2010) – che di una disposizione legislativa non si pronuncia
l’illegittimità costituzionale quando se ne potrebbe dare un’interpretazione in
violazione della Costituzione, ma quando non se ne può dare un’interpretazione
conforme a Costituzione» (sentenza n. 46 del
2013). Ebbene, un’interpretazione costituzionalmente conforme impone di
ritenere che la locuzione in esame non abbia riguardo anche alle
compartecipazioni previste in sede statutaria per le Regioni ad autonomia
speciale, il che sarebbe costituzionalmente illegittimo, dal momento che il
legislatore ordinario non può imporre limiti o condizioni ad una fonte di rango
costituzionale (sentenza
n. 198 del 2012).
Così circoscritto l’ambito
operativo dei meccanismi sanzionatori previsti dal legislatore, deve escludersi
che esso contrasti con gli statuti e quindi, in questi termini, la questione non è fondata.
6.2.– Ferma, per le ragioni già chiarite, la non
fondatezza della dedotta violazione del principio consensualistico,
la restante parte della censura, comune a entrambe le Regioni autonome e
relativa ai trasferimenti erariali diversi dalle spettanze finanziarie previste
dagli statuti speciali, è inammissibile per genericità e indeterminatezza
dell’oggetto (sentenza
n. 241 del 2012).
L’assunto che i tagli
incidono sull’autonomia finanziaria delle ricorrenti, sottraendo ad esse
risorse indispensabili per l’esercizio delle rispettive funzioni, non è
sorretto da qualsivoglia sforzo argomentativo (sentenze n. 184 del 2012;
n. 185, n. 129, n. 114 e n. 68 del 2011;
n. 278 e n. 45 del 2010),
volto a chiarire, quanto meno, l’incidenza della disposizione impugnata sui rispettivi bilanci.
6.3.– Per le stesse ragioni è inammissibile la censura
rivolta dalla Regione autonoma Sardegna ai commi 2, 3 e 5 dell’art. 2, nella
parte in cui ricollegherebbero all’inottemperanza alle condizioni imposte dal
comma 1 effetti lesivi delle proprie competenze e dell’autonomia
finanziaria (artt. 117 e 119 Cost., nonché artt.
3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948),
determinando l’impossibilità di svolgimento delle funzioni
ad essa affidate.
7.– Sono invece specifiche ma
non fondate la censura della Regione autonoma Sardegna rivolta al comma 1 dell’art. 2 impugnato, per violazione degli artt. 117, terzo
comma, e 119 Cost., nonché 7 e 8 dello statuto, e la connessa censura della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, rivolta ai commi 1 e 2 dell’art. 2, per
violazione dell’art. 3 Cost.: lo Stato, secondo le ricorrenti, avrebbe
esorbitato dalle sue attribuzioni nella materia concorrente del coordinamento
della finanza pubblica, non essendosi limitato a dettare disposizioni di
principio, ma essendo arrivato, con prescrizioni irragionevoli e prive di
significato finanziario, «a definire il più minuto dettaglio».
7.1.– È pur
vero, in proposito, che nell’esercitare tale funzione lo Stato deve limitarsi a
porre obiettivi di contenimento senza prevedere in modo esaustivo strumenti e
modalità per il loro perseguimento, in modo che rimanga uno spazio aperto
all’esercizio dell’autonomia regionale (sentenza n. 182 del
2011); che i vincoli imposti con tali norme possono «considerarsi
rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono
un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa” (sentenza n. 182 del
2011, nonché sentenze n. 297 del 2009;
n. 289 del 2008;
n. 169 del 2007)»
(sentenza n. 236
del 2013); e che la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il
canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento
normativo rispetto all’obiettivo prefissato (sentenze n. 236 del 2013
e n. 326 del
2010).
Occorre,
però, tenere presente la struttura della norma censurata, che è ispirata alla
logica premiale e sanzionatoria già delineata dal legislatore all’art. 2, comma
2, lettera z), della legge n. 42 del
2009, quale criterio direttivo generale nell’esercizio della delega al Governo
in materia di federalismo fiscale. Il censurato art. 2, comma 1, infatti, pur
contenendo alcune previsioni puntuali, le configura non come obblighi bensì
come oneri. Esso non utilizza, dunque, la tecnica tradizionale d’imposizione di
vincoli alla spesa ma un meccanismo indiretto che lascia alle Regioni la scelta
se adeguarsi o meno, prevedendo, in caso negativo, la conseguenza sanzionatoria
del taglio dei trasferimenti erariali.
Né inficia
tale ricostruzione, come pure prospettato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, l’ulteriore conseguenza dello scioglimento del Consiglio regionale
prevista dal comma 5 dell’art. 2, dal momento che essa non è applicabile alle
Regioni ricorrenti, come si dirà in seguito.
Il meccanismo così delineato
realizza il duplice obiettivo di indurre a tagli qualitativamente determinati e
di garantire il contenimento della spesa pubblica secondo la tradizionale
logica quantitativa: in linea di principio, dunque, le norme censurate non
esorbitano dai limiti propri della competenza statale concorrente in materia di
coordinamento della finanza pubblica.
8.– Rimane da verificare
se esse violino l’art. 3 Cost., nella misura in cui l’imposizione degli oneri
in esame costituirebbe una irragionevole compressione dell’autonomia
finanziaria delle Regioni ad autonomia speciale.
Il comma 1 censurato,
introdotto nel notorio quadro di necessario rispetto dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall’appartenenza all’Unione europea e dell’equilibrio di
bilancio, prevede innanzitutto una serie di risparmi relativi al funzionamento
del sistema politico che possono essere senza dubbio ricondotti ad una «scelta di fondo» (sentenza n. 151 del
2012) del legislatore nazionale.
Ebbene, tale scelta può essere
considerata un principio di coordinamento della finanza pubblica, poiché,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la stessa nozione di principio
fondamentale non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni
circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in
relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della
materia» (sentenza
n. 16 del 2010); di guisa che «la specificità delle prescrizioni, di per
sé, neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa
risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenze n. 237 del 2009
e n. 430 del
2007)» (sentenza
n. 16 del 2010); in quest’ottica, «possono essere ricondotti nell’ambito
dei principi di coordinamento della finanza pubblica "norme puntuali adottate
dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento
finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli
territoriali sub-statali” (sentenza n. 237 del
2009 e già sentenza
n. 417 del 2005)» (sentenza n. 52 del
2010).
Pertanto, le prescrizioni
dell’art. 2, comma 1, che costituiscono espressione di tale principio, nonché
le conseguenze del mancato adeguamento, essendo legate al principio medesimo da
un «evidente rapporto di coessenzialità e di
necessaria integrazione» (sentenze n. 16 del 2010,
n. 237 del 2009
e n. 430 del
2007), non possono considerarsi una irragionevole limitazione
dell’autonomia finanziaria regionale.
Si tratta, in particolare,
delle disposizioni relative alla
fissazione del numero massimo dei consiglieri e degli assessori regionali, alla
commisurazione del trattamento economico dei primi all’effettiva partecipazione
ai lavori del Consiglio, alla definizione dell’importo delle indennità di
funzione e di carica, nonché delle spese di esercizio del mandato, alla
regolamentazione dell’assegno di fine mandato, al divieto di cumulo di
indennità o emolumenti, alla gratuità per i consiglieri della partecipazione
alle commissioni, all’obbligo di introdurre modalità di pubblicità e
trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive
e di governo, alla definizione dell’importo dei contributi in favore dei gruppi
consiliari e delle spese per il relativo personale, al passaggio al sistema
previdenziale contributivo dei consiglieri regionali e all’esclusione
dell’erogazione del vitalizio in favore di chi sia stato condannato in via
definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione [rispettivamente,
lettera a), nella parte in cui
richiama l’art. 14, comma 1, lettere a),
b) e d), del d.l. n. 138 del 2011, nonché lettere b), c), d), e),
f), g), h), m) e n)].
9.– Le stesse censure rivolte
all’art. 2, comma 1, lettera i), che
richiama numerosi articoli di legge [artt. 6 e 9, comma 28, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitività economica) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni; artt. 22,
commi da
Si tratta di una vasta congerie
di disposizioni ispirate da successive manovre finanziarie e accomunate solo
dall’esigenza di contenimento della spesa pubblica. Esse presentano tecniche e
contenuti precettivi differenti, incidendo su svariati settori pubblici e su
materie non omogenee (a titolo esemplificativo: dalla riduzione del numero
delle società sottoposte a controllo pubblico, all’entità dei gettoni di
presenza, alla gratuità della partecipazione a commissioni, all’acquisto, la
manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, all’acquisto di buoni
taxi, all’imposizione di limiti nell’assunzione di personale, alla soppressione
e/o riduzione di enti, agenzie e organismi), sicché è impossibile procedere
allo scrutinio della loro legittimità costituzionale in assenza di
argomentazioni specifiche delle ricorrenti.
10.– Le restanti
prescrizioni non possono, poi, considerarsi irragionevolmente lesive dell’autonomia finanziaria delle
Regioni ricorrenti, in quanto risultano poste dal legislatore nazionale in
attuazione di altri precetti costituzionali ovvero nell’esercizio di una
potestà legislativa esclusiva.
10.1.– Quanto all’istituzione
di un Collegio di revisori dei conti in raccordo con
Si è ivi ritenuto, poi, che
tale attribuzione trovi «diretto fondamento nell’art.
100 Cost., il quale "assegna alla Corte dei conti il
controllo successivo sulla gestione del bilancio, come controllo esterno ed
imparziale” e che il riferimento dello stesso art. 100 Cost. al controllo "sulla gestione del bilancio dello Stato” debba
intendersi oggi esteso ai bilanci di tutti gli enti pubblici che costituiscono,
nel loro insieme, il bilancio della finanza pubblica allargata».
In altri termini e
conclusivamente, «l’art. 14, comma 1, lettera e), del decreto-legge n. 138 del 2011
consente alla Corte dei conti, organo dello Stato-ordinamento (sentenze n. 267 del 2006
e n. 29 del 1995),
il controllo complessivo della finanza pubblica per tutelare l’unità economica
della Repubblica (art. 120 Cost.) ed assicurare,
da parte dell’amministrazione controllata, il "riesame” (sentenza n. 179 del
2007) diretto a ripristinare la regolarità amministrativa e contabile» (sentenza n. 198 del
2012).
10.2.– L’istituzione di un
sistema informativo, al quale affluiscono i dati
relativi al finanziamento dell’attività dei gruppi politici, da pubblicarsi sul
sito istituzionale e resi disponibili per via telematica al sistema informativo
della Corte dei conti, al Ministero dell’economia e delle finanze, nonché alla
Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti (art.
2, comma 1, lettera l), è invece riconducibile alla materia del
coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale (art. 117, secondo comma,
lettera r, Cost.), di competenza
esclusiva dello Stato.
11.− Le ricorrenti
sollevano, poi, nei confronti di alcune specifiche previsioni dell’art. 2,
comma 1, impugnato (e, come si è detto sopra, del comma 4 che ne consentirebbe
l’applicazione), la censura di violazione dell’art. 116 Cost. e di diverse disposizioni dei rispettivi statuti (artt. 12,
13, comma 2, 19, 41, 48, 49, 54, 63 e 65 della legge
cost. n. 1 del 1963; artt. 3, 4, 5, 7, 8, 15, 16 e 26, della legge cost. n. 3 del 1948).
11.1.– Quanto alla fissazione del numero massimo dei consiglieri prevista
dall’art. 2, comma 1, lettera a),
nella parte in cui richiama l’art. 14, comma 1, lettera a), del d.l. n. 138 del 2011, si deduce, rispettivamente, la
violazione degli artt. 13 dello statuto speciale della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia e 16 dello
statuto speciale della Regione autonoma Sardegna.
La materia è in effetti
regolata dagli articoli invocati: il primo prevede che «il numero dei consiglieri regionali è determinato in ragione di uno ogni
20.000 abitanti o frazioni superiori a 10.000 abitanti, secondo i dati
ufficiali dell’ultimo censimento». Il secondo, invece, fissa direttamente in
sessanta il numero dei consiglieri regionali.
Ne consegue che nei confronti
della disposizione censurata opera la clausola di salvaguardia e pertanto la
questione non è fondata.
11.2.− La censura è poi
rivolta all’art. 2, comma 1, lettera a),
nella parte in cui richiama l’art. 14, comma 1, lettera b), del citato d.l. n. 138 del 2011, secondo il quale il numero
degli assessori regionali deve essere pari o inferiore ad un quinto del numero
dei componenti del Consiglio regionale, con arrotondamento all’unità superiore.
Entrambi gli statuti speciali,
al riguardo, rinviano ad una legge (cosiddetta statutaria) regionale
rinforzata, in quanto approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti il
Consiglio regionale, avente ad oggetto la determinazione della forma di governo
(così gli artt. 12 dello statuto della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e
15 dello statuto della Regione autonoma Sardegna); legge che, in quanto
integrante lo statuto nella definizione degli aspetti fondamentali
dell’organizzazione interna della Regione, deve ritenersi, con riferimento al
suo contenuto necessario, ricompresa nell’ambito della salvaguardia prevista
dal comma 4.
11.2.1.− La legge statutaria
del Friuli-Venezia Giulia 18 giugno 2007, n. 17 (Determinazione della forma di
governo della Regione Friuli-Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale,
ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto di autonomia), all’art. 15, comma 1,
secondo periodo, prevede che «Il numero minimo e massimo degli assessori è
stabilito dalla legge regionale».
Il legislatore regionale ha,
dunque, collocato fuori dalla legge statutaria la disciplina del numero degli
assessori, così affidando a maggioranze semplici un assetto che evidentemente
non viene considerato come qualificante la «forma di governo».
La censura, dunque, non è
fondata.
11.2.2.− La legge
statutaria della Regione autonoma Sardegna 10 luglio 2008, n. 1 (Disciplina
riguardante la forma di governo e i rapporti fra gli organi, i principi
fondamentali di organizzazione e di funzionamento della Regione, l’esercizio
del diritto di iniziativa legislativa popolare e i referendum regionali, i casi
di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di Presidente della Regione,
consigliere e assessore regionale) dal canto suo, all’art. 19, comma 1,
stabiliva che
Con la sentenza n. 149 del
2009 questa Corte, decidendo in sede di conflitto di attribuzione sollevato
dallo Stato nei confronti della Regione autonoma Sardegna, ha dichiarato che non
spettava al Presidente della Regione stessa procedere alla promulgazione della
suddetta legge statutaria e, per l’effetto, ha annullato la promulgazione
medesima.
Il numero degli assessori,
pertanto, risulta allo stato essere fissato dalla legge regionale 7 gennaio
1977, n. 1 (Norme sull’organizzazione amministrativa della Regione sarda e
sulle competenze della Giunta, della Presidenza e degli Assessorati regionali).
Valgono, dunque, le medesime
considerazioni svolte al punto che precede, con la conseguenza che, anche con
riferimento alla Regione autonoma Sardegna, la censura non è fondata.
11.3.− Non fondata è anche la
censura di violazione delle norme statutarie riferita alle disposizioni
relative alla determinazione del trattamento economico dei consiglieri e alla
percezione di indennità o altri emolumenti comunque denominati [art. 2, comma
1, lettera a), nella parte in cui
richiama l’art. 14, comma 1, lettera d),
del d.l. n. 138 del 2011, nonché, lettere b),
c), d), e), n)].
Gli statuti, infatti, si limitano
a prevedere la fissazione, mediante legge regionale, di una indennità di carica
(art. 26 dello statuto della Sardegna) o di presenza (art. 19 dello statuto del
Friuli-Venezia Giulia), tacendo sulla loro misura e su altre eventuali
spettanze. Valgono in proposito le stesse considerazioni sopra svolte al punto
11.2.1.
11.4.− È egualmente non
fondatala censura di violazione dell’art. 12 dello statuto, sollevata dalla
sola Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con riferimento tanto alla
disposizione che disciplina le modalità di pubblicità e trasparenza dello stato
patrimoniale dei titolari di cariche elettive e di governo (art. 2, comma 1,
lettera f), quanto a quelle relative
ai rimborsi e alle spese dei gruppi politici (art. 2, comma 1, lettere g ed h).
Difatti,
né l’art. 12 invocato, né la legge statutaria cui esso rimanda, si occupano di
queste materie, con la conseguenza che anche su tale punto deve escludersi la lamentata
violazione dello statuto.
12.– Una censura specifica,
infine, viene rivolta avverso l’art. 2, comma 5, nella parte in cui prevede che
il mancato adeguamento delle Regioni alle disposizioni dell’intero art. 2
citato determina «una grave violazione di legge ai sensi dell’art. 126, primo
comma, della Costituzione», con conseguente scioglimento del Consiglio
regionale e contestuale rimozione del Presidente della Regione, laddove
ritenuto applicabile anche alle Regioni ad autonomia speciale.
La norma contrasterebbe con gli
artt. 3 e 126 Cost., nonché con gli artt. 15, 35 e 50
dello statuto, ove sono disciplinati i rapporti tra gli organi regionali, e,
fra l’altro, i casi di scioglimento del Consiglio e della Giunta regionale,
nonché di fine anticipata del mandato del Presidente della Regione.
La questione non è fondata per erroneità del presupposto interpretativo, dal momento che la
disposizione censurata richiama l’art. 126 Cost., che
è pacificamente applicabile alle sole Regioni ordinarie (sentenza n. 219 del
213), mentre la disciplina dello scioglimento dei Consigli regionali delle
autonomie speciali è contenuta nei rispettivi statuti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale riguardanti le ulteriori disposizioni
contenute nel decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in
materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori
disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213;
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, del medesimo d.l.
n. 174 del 2012, promosse, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in
riferimento all’art. 116 della Costituzione ed agli artt. 12, 13, comma 2, 19,
41 48, 49, 54, 63 e 65 della legge costituzionale 31
gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia), e dalla Regione autonoma Sardegna, in riferimento agli artt. 3, 116,
117, 119 e 126 Cost., e agli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 26, 35, 50 e 54
della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3
(Statuto speciale per
2) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, del d.l. n. 174 del 2012,
nella parte relativa alle spettanze finanziarie previste dagli statuti
speciali, promosse, in riferimento agli artt. 48,
49, 54 e 63, quinto comma, della legge cost. n. 1 del
1963, anche in relazione agli artt. 1,
comma 152, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità
2011), e 27, comma 7, della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, e, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119
Cost., nonché agli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della legge
cost. n. 3 del 1948, dalla Regione autonoma Sardegna, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1, lettere a), b), c), d),
e), f), g), h), l),
m) ed n), e 2, del d.l. n. 174 del 2012, promosse, in riferimento agli
artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., nonché agli artt.
7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948, dalla
Regione autonoma Sardegna, e, in riferimento all’art. 3 Cost.,
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2 e 4, del d.l. n. 174 del 2012,
promosse, in riferimento all’art. 116 Cost. e agli
artt. 12, 13, comma 2, 19, 41, 48, 49, 54, 63 e 65 della legge cost. n. 1 del 1963, dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, nonché in riferimento agli artt. 3, 4, 5, 7, 8, 15, 16 e
26, primo comma, lettera b), della legge cost. n. 3 del 1948, dalla Regione autonoma
Sardegna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, del d.l. n. 174 del 2012, promossa,
in riferimento agli artt. 3 e 126 Cost., nonché agli
artt. 15, 35 e 50 della legge cost. n. 3 del 1948,
dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e 2, del d.l. n. 174 del 2012,
nella parte relativa ai trasferimenti erariali diversi dalle spettanze
finanziarie previste dagli statuti speciali, promosse, in riferimento agli artt. 48, 49, 54 e 63, quinto comma, della legge cost. n. 1 del 1963, anche
in relazione agli artt. 1, comma 152, della legge n. 220 del 2010, e 27,
comma 7, della legge n. 42 del 2009, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, e, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.,
nonché agli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3
del 1948, dalla Regione autonoma Sardegna, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
7) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2, 3 e 5, del d.l. n. 174 del
2012, promosse, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost.,
nonché agli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3
del 1948, dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in
epigrafe;
8) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera i), del d.l. n. 174 del 2012, promosse, in riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 119 Cost., nonché agli artt. 7 e 8
della legge cost. n. 3 del 1948, dalla Regione
autonoma Sardegna, e, in riferimento all’art. 3 Cost.,
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con i ricorsi indicati in
epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10
febbraio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI,
Presidente
Giancarlo CORAGGIO,
Redattore
Gabriella MELATTI,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 13 febbraio 2014.