Sentenza n. 152 del 2011

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SENTENZA N. 152

ANNO 2011

 

Commento alla decisione di

 

Dario Immordino

Le clausole di riserva allo Stato del gettito di tributi compartecipati, tra tutela delle esigenze di finanza pubblica e salvaguardia dell’autonomia finanziaria (siciliana)

 

(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Ugo                            DE SIERVO                                     Presidente

-           Paolo                          MADDALENA                                  Giudice

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                     ”

-           Alfonso                       QUARANTA                                           ”

-           Franco                         GALLO                                                    ”

-           Luigi                            MAZZELLA                                            ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             ”

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 6, 2, comma 2-octies e 2-undecies, e 3, comma 2-bis, del decreto legge 25 marzo 2010 n. 40, convertito con modificazioni in legge 22 maggio 2010 n. 73 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 23 luglio 2010, depositato in cancelleria il 29 luglio 2010 ed iscritto al n. 88 del registro ricorsi 2010.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi gli avvocati Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso, depositato il 29 luglio 2010, la Regione siciliana, in persona del Presidente pro-tempore, ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 6, 2, commi 2-octies e 2-undecies, e 3, comma 2-bis, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 maggio 2010, n. 120, in riferimento agli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), agli artt. 2 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché al principio di leale collaborazione.

Secondo la ricorrente le citate disposizioni, applicabili anche alle Regioni ad autonomia speciale in quanto prive di una clausola di salvaguardia delle prerogative delle Regioni a statuto speciale, sarebbero lesive delle attribuzioni della Regione siciliana e dell’autonomia finanziaria della stessa quali risultano, appunto, dagli artt. 36 e 37 dello statuto speciale nonché dagli artt. 2 e 8 delle norme di attuazione statutaria di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965.

1.1.- In particolare, l’art. 1, comma 6, del citato d.l., nella parte in cui detta una disciplina specifica volta al recupero dei crediti d’imposta illegittimamente utilizzati, prevedendo una generica riserva all’erario dello Stato e la definitiva acquisizione ad esso di tutte le somme in tal modo recuperate, violerebbe – ad avviso della Regione – l’autonomia finanziaria regionale ed in specie il principio posto all’art. 2 delle norme di attuazione statutaria, secondo il quale spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del territorio, dirette o indirette, comunque denominate, con esclusione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime.

La norma censurata, infatti, non configurerebbe né una imposta di nuova istituzione, né una entrata derivante dall’aumento di aliquota di un’imposta preesistente.

1.2.- Analoghe censure vengono proposte nei confronti dell’art. 2, comma 2-undecies, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui stabilisce che il gettito delle maggiori entrate derivanti dalla definizione agevolata delle controversie di cui ai commi da 2-septies a 2-decies del medesimo art. 2 fra le società ex concessionarie del servizio nazionale della riscossione e l’amministrazione finanziaria, pendenti alla data di conversione del citato d.l. e relative alle attività svolte, fino al 30 giugno 1999, nell’esercizio in concessione del servizio di riscossione, affluisca, nel medesimo anno ed entro il limite di 17 milioni di euro, al fondo istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze per il finanziamento della partecipazione italiana a missioni internazionali di pace, nel limite di 3 milioni di euro, copra gli oneri derivanti dal comma 4-quinquies del medesimo articolo (misure di sostegno ed incentivazione in favore del settore tessile e dell’abbigliamento), e che la residua parte del gettito venga destinata, nel medesimo anno ed in varie percentuali, al fondo per il finanziamento delle spese di partecipazione dell’Italia a missioni di pace, ad interventi a favore del settore tessile ed a misure di sostegno dell’editoria.

La richiamata previsione, che non introdurrebbe entrate nuove ma inciderebbe su fattispecie già oggetto di tassazione, determinerebbe la destinazione allo Stato per specifiche finalità del gettito di imposte spettanti alla Regione, senza considerare le riconosciute spettanze della Regione siciliana sul gettito in questione, relativo a quanto riscosso sul proprio territorio.

Quanto, poi, all’art. 2, comma 2-octies, del d.l. in esame, che reca la disciplina delle modalità di attuazione della disposta riserva all’erario statale del maggior gettito derivante dalla definizione agevolata delle controversie di cui ai commi da 2-septies a 2-decies del medesimo art. 2, la ricorrente ne sostiene, in via subordinata, l’illegittimità costituzionale nella parte in cui, stabilendo che tale riserva si realizza mediante versamento di un importo pari ad una percentuale delle somme dovute in base alla sentenza impugnata o all’ultimo atto amministrativo o all’atto di citazione, individuata mediante l’adozione di un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, ometterebbe di prevedere qualsiasi partecipazione della Regione siciliana al procedimento finalizzato all’adozione del decreto in questione, in violazione dell’art. 36 dello statuto e del principio di leale collaborazione, secondo il costante insegnamento di questa Corte.

1.3.- È impugnato, infine, l’art. 3, comma 2-bis, del d.l. n. 40 del 2010 nella parte in cui prevede: a) la definizione agevolata di tutte le controversie tributarie indicate alla lettera b), della medesima disposizione, pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, mediante il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia e la contestuale rinuncia ad ogni eventuale pretesa di equa riparazione; b) che le maggiori entrate così acquisite affluiscano al fondo di cui all’art. 7-quinquies del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, per essere destinate alle esigenze di finanziamento delle missioni internazionali di pace.

Anche tale previsione, oltre ad arrecare un pregiudizio economico alla Regione, violerebbe le attribuzioni finanziarie di quest’ultima, determinando una sostituzione di una entrata spettante alla Regione, con un’altra, neppure nuova, assegnata allo Stato per proprie e preesistenti finalità, senza considerare le riconosciute spettanze della Regione siciliana sul gettito in questione, relativo a quanto riscosso sul proprio territorio.

2.- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate le questioni sollevate con il ricorso della Regione siciliana.

Il resistente sostiene, in via preliminare, che, premesso che lo Stato, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia tributaria, ben può disporre in merito alla disciplina di tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito è di spettanza regionale, a condizione che non sia alterato il rapporto tra i complessivi bisogni regionali ed i mezzi finanziari per farvi fronte, il ricorso sarebbe, ancor prima che infondato nel merito, inammissibile, tenuto conto che la Regione siciliana non avrebbe allegato e dimostrato l’esistenza di un effettivo vulnus al bilancio regionale.

Nel merito, poi, in particolare, a proposito delle censure relative all’art. 1, comma 6, del d.l. n. 40 del 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che l’utilizzazione dei crediti d’imposta in compensazione non determinerebbe minori entrate per gli enti percettori (Stato, Regioni, enti locali), in quanto le somme ad essi spettanti verrebbero riversate al lordo delle compensazioni esercitate, utilizzando, a copertura delle minori entrate, solo i fondi messi a disposizione dallo Stato. La riserva allo Stato delle somme così recuperate sarebbe, pertanto, pienamente legittima.

Quanto, invece, alle disposizioni recate dagli artt. 2 e 3, concernenti la definizione delle controversie tributarie questa Corte avrebbe già osservato che tali istituti deflattivi, pur potendo comportare una diminuzione di gettito a favore degli enti territoriali, non risultano tali da compromettere la complessiva capacità finanziaria delle Regioni in relazione ai loro compiti.

3.- All’udienza pubblica, le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.- La Regione siciliana dubita della legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 6, 2, commi 2-octies e 2-undecies, 3, comma 2-bis, del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, con legge 22 maggio 2010, n. 73, (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori). La ricorrente assume che le citate disposizioni, prive di una clausola di salvaguardia delle prerogative delle Regioni a statuto speciale e quindi applicabili anche a queste ultime, sarebbero lesive delle attribuzioni della Regione siciliana e dell’autonomia finanziaria della stessa, quali risultano dagli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) e dagli artt. 2 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché del principio di leale collaborazione.

2.- In via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri sull’assunto che la Regione siciliana non avrebbe dimostrato, come avrebbe dovuto, l’esistenza di un effettivo vulnus al bilancio regionale derivante dalle disposizioni impugnate. Il resistente precisa, infatti, che lo Stato ha competenza esclusiva in tema di disciplina di tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito è di spettanza regionale, e che l’unico vincolo su di esso gravante è che non sia alterato il rapporto tra i complessivi bisogni regionali ed i mezzi finanziari per farvi fronte.

2.1.- La predetta eccezione, peraltro formulata genericamente, è priva di fondamento.

Quel che si contesta nella specie non è l’intervento del legislatore statale sui tributi propri, quanto la violazione del principio di spettanza alla Regione dei tributi erariali riscossi nel territorio della Regione di cui all’art. 2 delle norme di attuazione statutaria di cui al d.P.R. 1965, n. 1074 che costituirebbe, di per sé, vizio di legittimità costituzionale delle disposizioni censurate, nella parte in cui stabiliscono la destinazione esclusiva all’erario statale del maggior gettito che si pretende derivi da tributi erariali riscossi nel territorio regionale, senza che sia necessario dimostrare alcun vulnus effettivo al bilancio regionale.

3.- Ancora in linea preliminare, occorre affermare che, posto che il d.l. in esame non contiene alcuna formula che possa configurarsi quale clausola di salvaguardia delle attribuzioni delle Regioni ad autonomia speciale, deve ritenersi che le disposizioni impugnate siano applicabili anche nella Regione siciliana.

4.- Nel merito, è impugnato, in primo luogo, l’art. 1, comma 6, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui detta una disciplina specifica volta al recupero dei crediti d’imposta illegittimamente utilizzati, prevedendo una generica riserva all’erario dello Stato e la definitiva acquisizione ad esso di tutte le somme in tal modo recuperate. Così disponendo, la norma censurata, che non configurerebbe né una imposta di nuova istituzione, né una entrata derivante dall’aumento di aliquota di un’imposta preesistente, sarebbe lesiva dell’autonomia finanziaria regionale garantita dagli artt. 36 e 37 dello statuto ed in specie del principio posto all’art. 2 delle norme di attuazione statutaria di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965. Secondo tale principio, infatti, spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del territorio, dirette o indirette, comunque denominate, con esclusione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime.

4.1.- La questione è fondata.

La disposizione in esame, nel primo periodo del comma 6, stabilisce che, «al fine di contrastare fenomeni di utilizzo illegittimo dei crediti d’imposta e per accelerare le procedure di recupero nei casi di utilizzo illegittimo dei crediti d’imposta agevolativi, la cui fruizione è autorizzata da amministrazioni ed enti pubblici anche territoriali, l’Agenzia delle entrate trasmette a tali amministrazioni ed enti, tenuti al detto recupero, entro i termini e secondo le modalità telematiche stabiliti con provvedimenti dirigenziali generali adottati d’intesa, i dati relativi ai predetti crediti utilizzati in diminuzione delle imposte dovute, nonché ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241»; nel secondo periodo, dispone che «le somme recuperate sono riversate all’entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all’erario».

Essa è essenzialmente finalizzata a garantire un più efficace contrasto agli indebiti utilizzi dei crediti d’imposta e ad agevolarne il recupero, mediante l’introduzione dell’obbligo, a carico dell’Agenzia delle entrate, della trasmissione dei dati relativi ai crediti d’imposta alle indicate amministrazioni ed enti, anche territoriali, tenuti al detto recupero.

Il credito di imposta, stabilito dal legislatore statale in relazione a propri tributi, rientra fra le agevolazioni fiscali ed è effettuato attraverso la compensazione dello stesso con altre somme dovute a titolo di imposte, tasse, tributi o contributi erariali, in linea con quanto stabilito dall’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni).

La sua previsione in ordine a tributi erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio regionale incide anche sulla Regione siciliana, in base al principio stabilito dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, secondo il quale spettano alla Regione siciliana tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate. La Regione, infatti, proprio in base al richiamato principio, deve sopportare il costo del credito d’imposta, sia pure limitatamente all’importo di cui godono i contribuenti residenti nel suo territorio.

In tale caso, ove si tratti di crediti d’imposta illegittimamente impiegati, di cui la norma in esame intende agevolare il recupero, è alla Regione siciliana – alla quale l’Agenzia delle entrate deve trasmettere i dati inerenti appunto ai crediti d’imposta relativi a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi sul territorio regionale – che spetta, non solo provvedere al detto recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto che tale gettito, lungi dal costituire frutto di una nuova entrata tributaria erariale, non è altro che l’equivalente del gettito del tributo previsto (al di fuori dei casi nei quali è concesso il credito d’imposta), che compete alla Regione sulla base e nei limiti dell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965.

È pertanto costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 6, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti d’imposta «sono riversate all’entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all’erario», anche con riferimento a crediti d’imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della Regione siciliana.

5.- È altresì censurato l’art. 2, comma 2-undecies, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui, senza introdurre entrate nuove ma incidendo su fattispecie già oggetto di tassazione, stabilisce che il gettito delle maggiori entrate derivanti dalla definizione agevolata delle controversie di cui ai commi da 2-septies a 2-decies del medesimo art. 2, venga destinato in via esclusiva a fondi erariali per specifiche finalità, senza considerare le riconosciute spettanze della Regione siciliana sul gettito in questione, relativo a quanto riscosso sul proprio territorio.

5.1.- La questione non è fondata.

Oggetto della definizione agevolata di cui all’art. 2, comma 2-septies, sono solo le controversie fra le società ex concessionarie del servizio nazionale della riscossione (le cui quote sono state acquisite da Equitalia a seguito della riforma del sistema della riscossione) e l’amministrazione finanziaria, precisamente individuate dal medesimo art. 2, comma 2-septies. Tali controversie devono essere «pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e relative alle attività svolte, fino al 30 giugno 1999, […] nell’esercizio in concessione del servizio di riscossione» (così il comma 2-septies).

Il riferimento alle attività svolte dalle società ex concessionarie del servizio nazionale di riscossione e soprattutto la precisa individuazione delle controversie, in relazione alle quali è possibile la definizione agevolata, dimostra che il gettito delle entrate derivanti dalla eventuale definizione agevolata delle stesse è del tutto svincolato dal presupposto della riscossione, nel territorio regionale, di un tributo erariale.

Dette controversie, infatti, attengono o alla contestazione di pretese risarcitorie recate da inviti a dedurre nell’ambito di giudizi di responsabilità contabile (art. 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 recante “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti”), o alla contestazione di atti di citazione che introducono giudizi di responsabilità contabile o ancora alla richiesta, rivolta dalle predette ex concessionarie all’amministrazione finanziaria, di rimborso o di discarico di quote di tributi, anticipate all’erario e poi rivelatesi inesigibili (artt. 83 e 90 del d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43). Si tratta, comunque, di casi tutti di controversie che, pur diverse, non attengono a questioni inerenti alla riscossione di un tributo erariale.

È, pertanto, priva di fondamento, nella specie, la pretesa violazione del principio stabilito dall’art. 2 delle norme di attuazione statutaria di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto quest’ultimo attiene esclusivamente alle «entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del territorio regionale siciliano, dirette o indirette, comunque denominate».

6.- Viene, poi, proposta, in via subordinata, una ulteriore censura nei confronti dell’art. 2, comma 2-octies, che reca la disciplina delle modalità di attuazione della disposta riserva all’erario statale del maggior gettito derivante dalla definizione agevolata delle controversie di cui ai commi da 2-septies a 2-decies del medesimo art. 2. La ricorrente, infatti, sostiene che la previsione ivi contenuta della determinazione con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze della percentuale delle somme dovute in base alla sentenza impugnata o all’ultimo atto amministrativo o all’atto di citazione, sulla cui base è individuata la somma da versare all’erario per la definizione agevolata delle controversie fra società ex concessionarie del servizio di riscossione nazionale dei tributi ed erario di cui all’art. 2, comma 2-septies, violi in particolare il principio di leale collaborazione, in quanto ometterebbe di prevedere qualsiasi forma di partecipazione della Regione siciliana al procedimento finalizzato all’adozione del decreto in questione.

6.1.- La questione non è fondata.

L’attuazione del principio di leale collaborazione è richiesta dalle norme statutarie e di attuazione, secondo le indicazioni della giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 133 del 2002, n. 288 del 2001, n. 348, n. 347 e n. 98 del 2000), in quei casi nei quali vengano dal legislatore statale individuate «nuove entrate tributarie» alle quali sia apposta la «clausola di riserva all’erario» e risulti, tuttavia, complessa la determinazione in concreto del gettito derivante dalle nuove norme, anche con riferimento alla distinzione fra gettito derivante dalle «nuove entrate tributarie» e gettito derivante dalle «vecchie» entrate tributarie riscosse sul territorio regionale.

Nella specie, come si è già affermato al punto 5.1., il gettito delle entrate derivanti dalla eventuale definizione agevolata delle richiamate controversie è del tutto svincolato dal presupposto della riscossione, nel territorio regionale, di un tributo erariale. Posto, quindi, che non si tratta di entrate tributarie, né nuove, né preesistenti, non sussiste la pretesa violazione dell’art. 2 delle norme di attuazione statutaria di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto quest’ultimo attiene esclusivamente alle «entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del territorio regionale siciliano, dirette o indirette, comunque denominate».

7.- È, infine, impugnato l’art. 3, comma 2-bis, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui, prevedendo la definizione agevolata di tutte le controversie tributarie indicate, in specie, alla lettera b), stabilisce che le maggiori entrate così acquisite affluiscano al fondo erariale di cui all’art. 7-quinquies del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, per essere destinate alle esigenze di finanziamento delle missioni internazionali di pace.

Tale norma, così statuendo, oltre ad arrecare un pregiudizio economico alla Regione, violerebbe le attribuzioni finanziarie di quest’ultima, determinando una sostituzione di una entrata spettante alla Regione, con un’altra, neppure nuova, assegnata allo Stato per proprie e preesistenti finalità, senza considerare le riconosciute spettanze della Regione siciliana sul gettito in questione, relativo a quanto riscosso sul proprio territorio.

7.1.- La questione è fondata.

L’art. 3, comma 2-bis, del d.l. n. 40 del 2010 disciplina la definizione agevolata delle «controversie tributarie pendenti dinanzi alla Corte di cassazione», «che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio», prevedendone l’estinzione con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della relativa controversia e contestuale rinuncia ad ogni eventuale pretesa di equa riparazione.

Tale previsione, pertanto, ha ad oggetto proprio quelle controversie, espressamente qualificate come tributarie, che scaturiscono da contestazioni inerenti alla riscossione dei tributi erariali, anche di quelli che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio regionale siciliano. Si tratta, pertanto, di controversie che trovano il loro presupposto nell’esistenza di un rapporto tributario e la cui definizione delinea una agevolazione in ordine a tributi preesistenti. La previsione di una simile agevolazione fiscale, con riferimento ai tributi erariali riscossi nel territorio regionale siciliano, incide, pertanto, inevitabilmente sulle finanze regionali siciliane, che ne subiscono le conseguenze proprio in base al principio stabilito dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, secondo il quale spettano alla Regione siciliana tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate.

Pertanto, la previsione della esclusiva destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio regionale si pone in contrasto con il principio di cui all’art. 2 delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che le entrate derivanti dalla richiamata definizione agevolata delle controversie tributarie siano “entrate nuove”.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, come convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l’altro, nella forma dei cosiddetti “caroselli” e “cartiere”, di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), nella parte in cui stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti d’imposta «sono riversate all’entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all’erario», anche con riferimento a crediti d’imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della Regione siciliana;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2-bis, del d.l. n. 40 del 2010, nella parte in cui stabilisce che «le maggiori entrate derivanti dal presente comma» «affluiscono al fondo di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, per essere destinate alle esigenze di finanziamento delle missioni internazionali di pace» anche con riferimento a controversie inerenti a tributi erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della Regione siciliana;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-undecies, del d.l. n. 40 del 2010, proposta, in riferimento agli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) e degli artt. 2 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-octies del d.l. n. 40 del 2010, proposta, in riferimento all’art. 36 del r.d. lgs. n. 455 del 1946 ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2011.