Sentenza n. 347/2000

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SENTENZA N. 347

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito nella legge 28 maggio 1997, n. 140, in relazione agli artt. 2, 9, comma 4, 9-bis, commi 1, 2, 6, 12 e seguenti ed 11, comma 1, promosso con ricorso della Regione Siciliana, notificato il 27 giugno 1997, depositato in Cancelleria il 2 luglio 1997 ed iscritto al n. 44 del registro ricorsi 1997.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 aprile 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi gli avvocati Francesco Torre e Francesco Castaldi per la Regione Siciliana e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. ¾ La Regione Siciliana, con ricorso notificato il 27 giugno 1997, depositato il successivo 2 luglio, ha impugnato l’art. 14 (recte: comma 1) del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito nella legge 28 maggio 1997, n. 140, in relazione agli artt. 2, 9, comma 4, 9-bis, commi 1, 2, 6, 12 e seguenti ed 11, comma 1, in riferimento agli artt. 21 e 36 dello statuto regionale e 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

2. ¾ La ricorrente premette che l’art. 14 del d.l. n. 79 del 1997 riserva allo Stato, per finalità di risanamento del bilancio statale, <<le entrate tributarie derivanti dal presente decreto>> e dispone che, con <<decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro>> , <<sono stabilite, ove necessario, le modalità di attuazione>> della norma. Tra l’altro, il decreto-legge in esame: stabilisce l'obbligo dei sostituti di imposta per i redditi da lavoro dipendente di versare, a titolo di acconto, una percentuale dell’imposta dovuta sui trattamenti di fine rapporto (t.f.r.) (art. 2, comma 1); dispone che i concessionari della riscossione, entro il 15 dicembre di ogni anno, devono versare il 20% delle somme riscosse nell’anno precedente per effetto delle norme di attuazione della delega legislativa prevista dal comma 138 dell’art. 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così da garantire maggiori entrate nella misura espressamente stabilita (art. 9, commi 1 e 4); prevede che i soggetti residenti nel territorio dello Stato, i quali non abbiano dichiarato redditi di pensione di fonte estera, possono versare le relative imposte, nella misura del 25% di quanto dovuto, senza l’applicazione di interessi e sanzioni (art. 9-bis, comma 1); assoggetta gli atti di trasformazione in impresa individuale delle società di fatto esercenti attività agricola ad una imposta sostitutiva dei tributi altrimenti previsti (art. 9-bis, comma 2); permette la definizione delle liti fiscali pendenti davanti alle Commissioni tributarie mediante pagamento di una somma quantificata in un determinato importo (art. 9-bis, comma 6); riapre i termini per l’accertamento con adesione (art. 9-bis, commi 12 e seguenti); attua per le imposte ipotecarie e catastali la riforma della riscossione delle imposte prevista dal comma 138 dell’art. 3 della legge n. 662 del 1996 (art. 11).

Ad avviso della ricorrente, il decreto-legge realizzerebbe una mera rimodulazione delle basi imponibili di tributi già esistenti, ovvero istituirebbe imposte sostitutive di tributi di spettanza regionale o, ancora, introdurrebbe nuove modalità di accertamento e di riscossione, disciplinando condoni fiscali e, in definitiva, non prevederebbe <<nuove entrate tributarie>> che, in quanto tali, ex art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, possono essere riservate allo Stato.

Secondo la Regione, il carattere della <<novità>> connoterebbe infatti esclusivamente <<le imposte di nuova istituzione>>, ovvero <<le entrate derivanti da un incremento dell’importo delle aliquote preesistenti>>, in virtù di un principio espressamente affermato per la Regione Trentino Alto-Adige nell’art. 4 del decreto legislativo 24 luglio 1996, n. 432, il quale stabilisce che può essere riservato allo Stato <<il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi (…) purché risulti temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e, quindi, quantificabile>>. Nel decreto-legge in esame manca, invece, l’indicazione <<dei criteri per la selezione del provento nuovo da quello che nuovo non è>>, dato che la norma impugnata ne rinvia l’individuazione ad un successivo decreto ministeriale, così da non permettere il controllo sul corretto esercizio del potere di riserva delle entrate all’erario statale, in contrasto sia con il principio della certezza del diritto - dato che l’effettiva tutela delle prerogative statutarie richiede che le norme siano sufficientemente dettagliate ed ancorate a precisi indicatori quantitativi -, sia con il principio di leale cooperazione.

In particolare, ad avviso della ricorrente, l’art. 14, comma 1, del d.l. n. 79 del 1997 violerebbe quest’ultimo principio, dato che la disposizione non prevede nessuna forma di partecipazione e consultazione della Regione nella quantificazione dei maggiori proventi derivanti dagli interventi realizzati con il decreto-legge, e riservati all'erario statale, ciò anche perché il Presidente della Regione non è stato invitato, ex art. 21, terzo comma, dello statuto, alla seduta del Consiglio dei ministri nel corso della quale è stato discusso ed approvato il decreto-legge n. 79 del 1997.

3. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, eccependo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

La difesa erariale sostiene che il decreto-legge contempla una serie di entrate connotate dal requisito della novità che, tra le altre, è riscontrabile in riferimento sia all'anticipo di imposta sul t.f.r., in quanto si tratta di tributo che ha ad oggetto un’aspettativa di reddito, sia alle imposte che sostituiscono altri tributi, quali quelle che hanno ad oggetto gli atti di trasformazione delle società agricole di fatto in impresa individuale, sia alle disposizioni che prevedono <<forme di condono>>. Secondo l'interveniente, la disciplina del versamento delle imposte ipotecarie e catastali, così come integrata dal decreto dirigenziale 21 maggio 1997, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 maggio 1997, n. 120 escluderebbe la sussistenza della eccepita lesione; la proroga del termine per l’accertamento fiscale con adesione costituirebbe una <<misura, di per sé, "neutra" agli effetti>> dello scrutinio di legittimità costituzionale; l'acconto posto a carico dei concessionari atterrebbe, infine, <<al rapporto di esattoria, collaterale, ma pur sempre distinto dal rapporto tributario>>, sicché, in riferimento ad esso, non sarebbe proponibile la questione del rispetto dei principi statutari in materia di autonomia finanziaria regionale.

Considerato in diritto

1. ¾ La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Siciliana riguarda l'art. 14, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica) convertito nella legge 28 maggio 1997, n. 140, in relazione agli artt. 2, 9, comma 4, 9-bis, commi 1, 2, 6, 12 e seguenti, ed 11, comma 1.

La disposizione impugnata, che prescrive che le entrate tributarie derivanti dal decreto-legge n. 79 del 1997 "sono riservate all'erario" e che con "decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro (...), sono stabilite, ove necessario, le modalità di attuazione", viene censurata in riferimento agli artt. 36 dello statuto e 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, che stabiliscono presupposti e modalità della riserva allo Stato delle entrate tributarie erariali riscosse nel territorio regionale siciliano. La Regione ricorrente, muovendo dalla premessa che nel decreto-legge n. 79 manca l'indicazione dei "criteri per la selezione del provento nuovo da quello che nuovo non è" e che la norma censurata ne rinvia l'individuazione ad un successivo decreto ministeriale, sostiene infatti che la disposizione denunciata impedirebbe il controllo sul corretto esercizio della riserva allo Stato delle suddette entrate, rendendo così imprevedibile ogni decisione al riguardo, in contrasto con il principio della certezza del diritto, con l'esigenza che sia assicurata l'effettiva tutela delle prerogative statutarie e con il principio di leale cooperazione. In particolare sarebbe violato quest'ultimo principio, secondo la Regione ricorrente, in quanto il censurato art. 14, comma 1, non prevede nessuna forma di partecipazione e consultazione della Regione stessa nella determinazione dei maggiori proventi derivanti dagli interventi realizzati con il citato decreto n. 79 del 1997.

2. ¾ La questione è fondata, nei limiti di seguito precisati.

La norma impugnata del citato art. 14, comma 1, riserva all'erario statale le entrate tributarie derivanti dal decreto-legge n. 79 del 1997, che si caratterizza per la complessità e la varietà del suo oggetto, preordinato a realizzare misure finanziarie urgenti in funzione degli impegni di riequilibrio del bilancio assunti in sede comunitaria.

Questa Corte, nell'esaminare, in una vicenda analoga alla presente, alcune clausole legislative di contenuto pressoché identico a quella ora sottoposta a scrutinio -censurate dalla Regione ricorrente con argomentazioni in larga misura riprodotte nel presente giudizio- ha concluso per l'infondatezza, affermando che "da siffatte clausole non si desume affatto che il legislatore statale abbia considerato come <<nuove entrate tributarie>> (…) entrate cui invece non si possa riconoscere tale carattere" (sentenza n. 98 del 2000). Sotto lo stesso profilo, va pertanto respinta l'attuale eccezione di incostituzionalità prospettata dalla ricorrente riguardo alla clausola di devoluzione delle entrate prevista dal citato art. 14, comma 1.

Sotto altro profilo, va osservato che la disposizione che attribuisce ad un decreto ministeriale le "modalità di attuazione" della riserva allo Stato di determinate entrate implica la fissazione dei criteri tecnici, strumentali alla determinazione "del gettito aggiuntivo derivante dalle altre disposizioni della legge, per definirne l'entità in ciascun esercizio finanziario, e per dividere operativamente il gettito riservato allo Stato da quello che resta attribuito alla Regione" (sentenza n. 98 del 2000). La fissazione di tali criteri tecnici, tanto più impegnativa e suscettibile di valutazioni erronee, quanto più la legge, come nel caso di specie, sia carente sul piano della indicazione di precisi e chiari canoni di ripartizione tra Stato e Regione del gettito delle entrate localmente riscosse, non costituisce affatto esercizio di una potestà discrezionale da parte dei Ministri interessati circa l'individuazione delle entrate riservate, ma molto spesso richiede lo svolgimento di operazioni particolarmente complesse di stima e di valutazione della provenienza del gettito, soprattutto nei casi nei quali le nuove entrate derivino dalla modificazione delle aliquote di tributi esistenti, ovvero da interventi sulla base imponibile e siano previste da disposizioni le quali, benché contenute in uno stesso atto normativo, incidano su molteplici aspetti della disciplina tributaria.

La diretta incidenza di dette operazioni sull'autonomia finanziaria della regione direttamente interessata postula pertanto la necessità di procedimenti che assicurino una doverosa forma di partecipazione e consultazione della regione stessa, in attuazione del principio di leale cooperazione. Tale forma di partecipazione, peraltro, non poteva certo consistere -come invece ritiene la ricorrente- nella presenza del Presidente della Regione Siciliana alla seduta del Consiglio dei ministri, in cui si deliberava l'adozione del decreto-legge in questione. Ed invero, a tacere della considerazione che, nella specie, trattandosi di un atto legislativo produttivo di effetti sull'intero territorio nazionale, difettava "un interesse giuridicamente differenziato della Regione Sicilia" (sentenza n. 92 del 1999), resta il fatto che in sede consiliare si discuteva sulle entrate oggetto del decreto-legge e non già sui criteri tecnici di ripartizione del relativo gettito.

Altre sono dunque le forme di partecipazione regionale per assicurare il rispetto del principio di leale cooperazione, giacché la titolarità in capo allo Stato di un determinato potere -nella specie di identificare i casi di riserva a sé di specifiche entrate- non è sufficiente a fare escludere la necessità di un coordinamento con la regione interessata in tutti i casi nei quali esso collida con poteri spettanti a quest'ultima (sentenza n. 398 del 1998), determinando, come nell'ipotesi in esame, un'interferenza tra i rispettivi ambiti finanziari.

Nella ricorrenza di tali casi, questa Corte ha già affermato che è necessario che l'attuazione del meccanismo di deroga al principio di attribuzione del gettito dei tributi erariali riservati alla regione avvenga attraverso un procedimento non unilaterale, affinché sia garantita alla regione stessa la possibilità di interloquire in vista della tutela dei propri diritti (sentenza n. 98 del 2000). In difetto di tale modulo procedimentale, la norma impugnata è costituzionalmente illegittima, dato che essa non assicura alla Regione Siciliana la suddetta possibilità di intervento; il che peraltro non esclude che spetta poi allo Stato di adottare le determinazioni finali, restando naturalmente salva la facoltà della stessa Regione di avvalersi dei rimedi giurisdizionali per contestare la eventuale violazione della propria autonomia finanziaria.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale -fondata sul difetto di previsione del procedimento di necessaria concertazione- della norma che dispone che con successivo decreto ministeriale si provveda all'individuazione dei criteri e delle modalità di selezione del gettito delle entrate tributarie previste dal decreto n. 79 del 1997 comporta pertanto la necessità del rinnovo del procedimento di attuazione, da cui derivano i criteri tecnici di ripartizione delle entrate localmente riscosse.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica) convertito nella legge 28 maggio 1997, n. 140, nella parte in cui, nel disporre che le modalità di attuazione dello stesso articolo sono stabilite con decreto ministeriale, non prevede che al relativo procedimento partecipi la Regione Siciliana;

b) dichiara non fondata, per la parte non compresa nel precedente capo a), la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del predetto decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, sollevata, in riferimento all'art. 36 dello statuto speciale della Regione Siciliana e alle relative norme di attuazione in materia finanziaria, di cui all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, dalla Regione Siciliana con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 luglio 2000.