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SENTENZA N. 8
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
articoli 1, comma 4, e 35, comma 7, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n.
27, promossi dalle Regioni Toscana e Veneto con ricorsi notificati il 22-24 e
il 23 maggio 2012, depositati in cancelleria il 29 maggio 2012 ed iscritti ai nn. 82 e 83 del registro ricorsi 2012.
Visti
gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 dicembre 2012 il
Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Marcello Cecchetti per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato
Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.— Con due distinti ricorsi, notificati
al Presidente del Consiglio dei ministri rispettivamente il 22-24 e 23 maggio
2012, depositati entrambi nella cancelleria della Corte costituzionale il 29
maggio 2012 e iscritti al registro ricorsi 2012, rispettivamente, al n. 82 e al
n. 83, la Regione Toscana e la Regione Veneto hanno impugnato, insieme ad altre
disposizioni del medesimo provvedimento normativo, la cui trattazione è stata
riservata a separato giudizio, l’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, nella legge
24 marzo 2012, n. 27 e, per quanto riguarda la sola Regione Toscana, anche
l’art. 35, comma 7, del medesimo decreto-legge, così come convertito.
1.1.— Il citato art. 1, comma 4,
stabilisce che: «I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si
adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre
2012, fermi restando i poteri sostituitivi dello Stato ai sensi dell’articolo
120 della Costituzione. A decorrere dall’anno 2013, il predetto adeguamento
costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi enti ai sensi
dell’articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tal fine la Presidenza
del Consiglio dei Ministri, nell’ambito dei compiti di cui all’articolo 4,
comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno, al
Ministero dell’economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto
all’applicazione delle procedure previste dal presente articolo. In caso di
mancata comunicazione entro il termine di cui al periodo precedente, si prescinde
dal predetto elemento di valutazione della virtuosità. Le Regioni a statuto
speciale e le Provincie autonome di Trento e Bolzano procedono all’adeguamento
secondo le previsioni dei rispettivi statuti».
L’art. 35, comma 7, del d.l. n. 1 del
2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012, prevede la
soppressione dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68
(Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto
ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni
standard nel settore sanitario), secondo cui «l’atto di indirizzo per il
conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui all’articolo 59 del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è adottato dal Ministro dell’economia
e delle finanze, d’intesa con le regioni e sentita la Conferenza permanente per
il coordinamento della finanza pubblica, di cui all’articolo 5 della citata
legge n. 42 del 2009».
2.— In riferimento all’art. 1, comma 4,
la Regione Toscana lamenta la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma,
e 119, della Costituzione. Ad avviso della Regione ricorrente, il censurato
art. 1, comma 4, rappresenterebbe un ulteriore parametro per la valutazione
della cosiddetta virtuosità degli enti territoriali, introdotta dall’art. 20,
commi 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15
luglio 2011, n. 111, in base al quale, al fine di ripartire l’ammontare del
concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere
dall’anno 2012, gli enti territoriali sono ripartiti in due classi sulla base
dei parametri di virtuosità ivi stabiliti, ciascuna delle quali partecipa in
misura diversa al risanamento della finanza pubblica. In particolare, la
ricorrente ritiene che il legislatore abbia individuato, attraverso la norma
impugnata, quale ulteriore parametro di virtuosità, un elemento del tutto
estraneo alle finalità di coordinamento della finanza pubblica ed abbia quindi
esorbitato dai limiti che il legislatore statale incontra in tale materia.
2.1.— Più precisamente la Regione
prospetta i seguenti motivi di censura in ordine alla violazione degli artt.
117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione.
Secondo la ricorrente, la valutazione
della virtuosità effettuata sulla base del parametro introdotto con la
disposizione censurata costituirebbe uno strumento di coartazione della volontà
delle Regioni in ambiti legislativi del tutto estranei alle finalità di
coordinamento della finanza pubblica, poste alla base della valutazione della
virtuosità. Con la disposizione in oggetto si avrebbe dunque l’effetto di
vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale per finalità del
tutto estranee all’obiettivo di contenimento della spesa.
Pertanto la disposizione impugnata,
realizzando una surrettizia e inammissibile ingerenza dello Stato nella sfera
delle attribuzioni legislative regionali, sia concorrenti che esclusive,
risulterebbe incostituzionale per violazione agli artt. 117, terzo e quarto
comma, e 119 della Costituzione.
3.— Il medesimo art. 1, comma 4, è
censurato anche dalla Regione Veneto in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114,
117, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonché all’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), al
principio di leale collaborazione e ai principi di cui agli artt. 1, comma 1, e
2, comma 2, lettere z) e ll), della legge
5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).
3.1.— In particolare la Regione
prospetta i seguenti motivi di censura in ordine alla violazione degli artt.
117, terzo e quarto comma, della Costituzione.
Ad avviso della Regione la norma
impugnata sarebbe illegittima, in primo luogo, in relazione all’obbligo di
adeguamento ai principi di liberalizzazione delle attività economiche dettato
per le Regioni. Essa sembrerebbe riguardare il coordinamento della finanza
pubblica, prosegue la ricorrente, dal momento che pone un obbligo, per gli enti
territoriali, al cui adempimento si ricollegano importanti conseguenze circa la
cogenza degli obiettivi di finanza pubblica e la determinazione della
contribuzione degli enti stessi alla manovra annuale. Tuttavia, la medesima
disposizione impugnata contiene previsioni di dettaglio ed autoapplicative,
che andrebbero oltre la potestà di individuare i principi fondamentali della
disciplina ex art. 117, terzo comma,
Cost., consentita allo Stato in materia di coordinamento della finanza
pubblica. Secondo la prospettazione della ricorrente, il panorama delle
competenze legislative regionali incise dalla disposizione impugnata è molto
complesso. Il senso della disciplina complessiva, secondo la ricorrente,
sarebbe quello di imporre alle Regioni di adottare interventi normativi o
comportamenti in ambiti sia di competenza concorrente, come il governo del
territorio, sia di potestà regionale residuale come il commercio, di cui
all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
3.2.— La Regione Veneto lamenta poi la
violazione dell’art. 117, primo, secondo e quinto comma, della Costituzione e
del principio di leale collaborazione.
La ricorrente ritiene che la lamentata
invasione statale delle competenze normative regionali non possa essere
legittimata né dalla previsione di cui all’art. 41 Cost., considerato che la
norma impugnata non attiene in alcun modo alla competizione tra imprenditori e
ai relativi vantaggi per il consumatore, né dal principio di concorrenza
sancito dal Trattato dell’Unione europea, visto che, nelle materie di
competenza regionale, spetta alla Regione dare attuazione ai vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario ex art.
117, primo e quinto comma, Cost., senza che ciò richieda un intervento statale
intermedio. Essa confuta anche la possibilità che la disciplina impugnata trovi
legittimazione nell’esercizio di una competenza trasversale quale la tutela
della concorrenza ex art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost.,
poiché, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, l’intervento
normativo statale limitante l’autonomia normativa regionale deve essere non
solo coerente con i principi della concorrenza, ma anche proporzionato e
adeguato rispetto al fine. Pertanto, l’obbligo di adeguamento imposto ai
legislatori regionali non può essere considerato, secondo la Regione, coerente
e adeguato rispetto al fine perseguito.
In ogni caso, anche nella denegata ipotesi
in cui si riconoscessero alla disciplina impugnata caratteri di ragionevolezza,
proporzionalità e adeguatezza tali da consentire di ricondurla nell’ambito
della tutela della concorrenza, la competenza statale così esercitata non
potrebbe dirsi prevalente, a parere della ricorrente, e, dunque, capace di
escludere il riferimento alle competenze legislative costituzionalmente
garantite alle Regioni. Dinnanzi a un concorso di competenze in relazione al
quale non sarebbe possibile formulare un giudizio di prevalenza dell’una
sull’altra, il legislatore statale avrebbe dovuto, a parere della Regione
Veneto, ricorrere a strumenti di leale collaborazione. Poiché ciò non è
avvenuto, la disciplina impugnata va, secondo il ricorso, dichiarata
costituzionalmente illegittima per contrasto con il principio di leale
collaborazione.
3.3.— La Regione Veneto lamenta poi la
violazione dell’art. 3 della Costituzione.
A parere della ricorrente, la disciplina
alla quale la Regione dovrebbe conformarsi risulterebbe, in particolare per
quanto riguarda l’art. 1, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 1 del 2012, così come
modificato dalla legge n. 27 del 2012, talmente generale e generica, indefinita
e perplessa, da essere priva di qualsiasi capacità di fungere da riferimento e
garantire l’obiettivo di tutela che essa si pone. Pertanto, la disposizione
impugnata sarebbe inficiata da un autonomo vizio d’illegittimità costituzionale
per contrasto con il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost.
3.4.— Inoltre, il ricorso contesta che
si possa imporre alle Regioni di adeguarsi alle indicazioni che il Governo,
entro la fine del 2012, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della normativa
censurata darà con atti regolamentari, ipotizzando, così, anche un contrasto
con l’art. 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce allo Stato
potestà regolamentare unicamente nell’ambito delle materie di sua competenza
legislativa esclusiva.
3.5.— Riguardo alla violazione degli
artt. 118 e 97 della Costituzione, la ricorrente rileva un contrasto tra l’obbligo
di interpretare e applicare le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri
o condizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche, secondo le
indicazioni dell’art. 1, comma 2, e l’autonomia regionale nell’esercizio delle
funzioni amministrative, sancito dall’art. 118 Cost. Tale profilo di difformità
rispetto al dettato costituzionale, aggravato dal contenuto indefinito della
normativa di riferimento, non potrà che ingenerare incertezze e ritardi
nell’operato delle amministrazioni, anche regionali, che si rifletterà, secondo
la Regione Veneto, in una menomazione del principio di buon andamento,
garantito dall’art. 97 Cost.
3.6.— Secondo la ricorrente, la
disposizione impugnata presenta un ulteriore profilo di illegittimità in relazione
agli artt. 5 e 114 della Costituzione e all’art. 9, comma 2, della legge
costituzionale n. 3 del 2001. La norma censurata introdurrebbe, infatti, una
nuova forma di controllo sull’operato legislativo delle Regioni, in palese
contrasto con il principio autonomistico di cui all’art. 5 Cost., così come con
quello di equiordinazione tra enti costituenti la
Repubblica stabilito all’art. 114 Cost. e con il principio di cui all’art. 9,
comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha abrogato tutte le
forme di controllo, precedentemente previste agli artt. 125 e 130 Cost., perché
non più coerenti con il disegno delle autonomie territoriali, successivo alla
revisione costituzionale.
3.7.— La Regione Veneto lamenta, infine,
la violazione dell’art. 119 della Costituzione e della legge n. 42 del 2009.
La verifica cui il legislatore nazionale
assoggetta gli enti territoriali costituirebbe non un controllo di natura
collaborativa, ma al contrario una valutazione cui si ricollegano pesanti
conseguenze economico-finanziarie per l’ente territoriale. Il mancato
inserimento nel novero degli enti virtuosi comporterebbe, da un lato, un
aggravamento di responsabilità nel concorso alla realizzazione degli obiettivi
di finanza pubblica e, dall’altro, un innalzamento del contributo posto a
carico dell’ente stesso alla manovra finanziaria annuale. Un tale tipo di
controllo, svolto per di più da un soggetto non imparziale, cioè dal Ministero
dell’economia e delle finanze, su sollecitazione-comunicazione del Presidente
del Consiglio dei ministri, si porrebbe in radicale difformità rispetto
all’assetto delle autonomie territoriali stabilito a livello costituzionale,
finendo con il menomare, secondo la ricorrente, l’autonomia finanziaria
regionale di cui all’art. 119 Cost.
In particolare risulterebbero lesi
alcuni principi cardine della legge n. 42 del 2009. Il ricorso si riferisce ai
principi di autonomia di entrata e di spesa (art. 1, comma 1); al principio di
certezza delle risorse e stabilità tendenziale del quadro di finanziamento
(art. 2, comma 2, lettera ll); al principio di premialità
dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell’esercizio della potestà
tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e alla relativa previsione
di sanzioni di cui all’art. 2, comma 2, lettera z), i cui presupposti non sono però, secondo la Regione, quelli di
cui alla verifica prevista dall’art. 1, comma 4, impugnato.
4.— In riferimento all’art. 35, comma 7,
la sola Regione Toscana lamenta la violazione degli artt. 77, secondo comma,
117, terzo comma, 118, primo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione
nonché del principio di leale collaborazione.
La disposizione impugnata prevede,
infatti, la soppressione dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011,
secondo cui «l’atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di
politica fiscale di cui all’articolo 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999,
n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della
legge 15 marzo 1997, n. 59), è adottato dal Ministro dell’economia e delle
finanze, d’intesa con le regioni e sentita la Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica, di cui all’articolo 5 della citata legge
n. 42 del 2009».
4.1.— Con riferimento a tale norma, si
lamenta in primo luogo la violazione dell’art. 117, terzo comma, della
Costituzione.
Ad avviso della ricorrente l’intesa,
eliminata dalla disposizione impugnata, aveva la finalità di stabilire, in
concertazione con le Regioni, gli obiettivi di politica fiscale, in un’ottica
di collaborazione istituzionale per la gestione dei tributi, delle
compartecipazioni e della lotta all’evasione fiscale, conformemente a quanto
disposto dall’art. 117, terzo comma, Cost., che attribuisce alla competenza
concorrente delle Regioni la materia del coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario. Detta intesa era preliminare alla stipulazione di
convenzioni tra le Regioni e l’Agenzia delle entrate, il cui contenuto, in
mancanza dell’intesa, verrebbe ad essere predeterminato in modo unilaterale da
parte del Ministero dell’economia e delle finanze, ledendo così le competenze
regionali in tema di coordinamento del sistema tributario di cui all’art. 117,
terzo comma, Cost.
4.2.— Ancora, la ricorrente osserva che
la disposizione impugnata, attribuendo in una materia di competenza concorrente
tra Stato e Regioni, quale è il coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario, una funzione amministrativa allo Stato, e prevedendo che lo
stesso la possa esercitare in modo unilaterale, violerebbe l’art. 118, primo
comma, della Costituzione in relazione al principio di leale collaborazione. La
Regione Toscana, richiamando la giurisprudenza costituzionale, ritiene
necessario che tale tipologia di funzioni sia esercitata mediante modalità
procedimentali che prevedano l’intesa o altri strumenti comunque idonei a
coinvolgere attivamente le Regioni.
4.3.— In riferimento alla violazione
dell’art. 119, secondo comma, della Costituzione, la ricorrente rileva che
l’aver precluso alle Regioni di partecipare alla definizione delle strategie di
gestione del sistema tributario e di contrasto all’evasione fiscale sia lesivo
del principio in base al quale le Regioni dispongono delle compartecipazioni al
gettito dei tributi erariali riferibile al proprio territorio, così come
previsto dall’art. 119, secondo comma, Cost. Inoltre, secondo il ricorso, la
disposizione impugnata potrebbe incidere negativamente sulla fonte di entrata
fiscale riconosciuta di spettanza regionale, così come stabilito dalla Costituzione,
la quale assicura alle Regioni il maggior gettito, trattandosi di tributi
propri derivati.
4.4.— Riguardo alla violazione dell’art.
77, secondo comma, della Costituzione e del principio di leale collaborazione,
la Regione ricorda che l’art. 35, comma 7, detta una disciplina ordinaria
applicabile per il futuro ai fini dell’adozione dell’atto di indirizzo per il
conseguimento degli obiettivi di politica fiscale. Di conseguenza, richiamando
la giurisprudenza costituzionale, non ritiene, in parte qua, ravvisabili le ragioni di straordinaria necessità e
urgenza richieste dall’art. 77 Cost., trattandosi di una normativa che non
interviene su una situazione di urgenza, ma prevede, invece, una disciplina a
regime.
Infine, la ricorrente afferma che l’utilizzo
improprio dello strumento della decretazione d’urgenza in un ambito materiale
di potestà normativa concorrente, quale è quello in esame abbia, di fatto,
privato le Regioni della possibilità di far valere le proprie ragioni. Una
modifica così rilevante sarebbe dovuta avvenire, a parere della Regione,
attraverso la procedura rafforzata, imposta della legge n. 42 del 2009 per
l’approvazione del d.lgs. n. 68 del 2011 e, quindi, anche per le sue
modificazioni. Secondo il ricorso, l’abrogazione disposta attraverso il
decreto-legge e la relativa legge di conversione avrebbe pregiudicato, di
fatto, la possibilità per le Regioni di rappresentare le proprie esigenze nel
procedimento legislativo, violando così il principio di leale collaborazione.
5.— Si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, con atti depositati, rispettivamente, il 2 e 4 luglio 2012, chiedendo il
rigetto, per le parti che qui interessano, dei ricorsi delle Regioni Toscana e
Veneto.
5.1.— In riferimento all’art. 1, comma
4, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito dalla legge n. 27 del 2012,
la difesa dello Stato evidenzia che tale disposizione si pone in stretta
connessione con i primi tre commi del medesimo articolo 1, non impugnati.
Questi ultimi contengono disposizioni tese a dare attuazione ai principi di
libertà dell’iniziativa economica e di libera concorrenza. Si tratterebbe
quindi di materie pacificamente rientranti nella competenza legislativa
esclusiva dello Stato, potendo tale competenza esplicarsi anche nell’adozione
di misure promozionali dello sviluppo economico. In ciò si potrebbe cogliere,
secondo l’Avvocatura generale, il ragionevole collegamento tra queste
disposizioni e la valutazione di virtuosità finanziaria delle Regioni, previsto
dall’impugnato comma 4. La promozione dello sviluppo economico contribuirebbe
all’equilibrio finanziario, accrescendo il gettito delle entrate fiscali e
ponendo le condizioni per la sostenibilità della spesa pubblica e per la
riduzione della pressione fiscale.
5.2.— Riguardo all’art. 35, comma 7, del
decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito nella legge n. 27 del 2012, la
difesa dello Stato sostiene l’infondatezza della asserita lesione della
competenza regionale in materia di indirizzo e gestione dei tributi propri
regionali.
L’Avvocatura generale ritiene che la
disposizione impugnata abbia semplicemente soppresso un passaggio procedurale,
cioè l’intesa riferita all’atto d’indirizzo presupposto alla convenzione tra Ministero
e Agenzia delle entrate, non necessario, perché concernente una fase in cui la
stipula di intese o convenzioni tra le Regioni e l’Agenzia delle entrate
sarebbe ancora meramente eventuale. Tale stipula, a differenza della
convenzione tra Ministero e Agenzia delle entrate, non sarebbe obbligatoria,
rimanendo ciascuna Regione libera di organizzare in proprio la gestione dei
tributi regionali.
Sarebbe, quindi, ragionevole, secondo la
difesa dello Stato, che le Regioni non partecipino a un’attività organizzativa,
cioè la stipula della convenzione obbligatoria tra Ministero e Agenzia delle
entrate, che ricade interamente nella competenza esclusiva dello Stato in
materia di tributi erariali e di organizzazione amministrativa dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettere e) e g),
Cost., mentre resta salva la facoltà delle Regioni di stipulare poi con
l’Agenzia e con il Ministero dell’economia e delle finanze le intese e
convenzioni che ritengano più opportune.
Esclusa la sussistenza di qualsiasi,
anche ipotetica, lesione delle competenze regionali, diviene inammissibile la
subordinata censura in merito alla mancanza dei requisiti di necessità ed
urgenza per sopprimere l’intesa in questione mediante decreto-legge. La
presunta violazione dell’art. 77 Cost., secondo l’Avvocatura generale, anche a
volerla ritenere sussistente, non ridonderebbe in lesione di alcuna competenza
regionale. La censura sarebbe parimenti infondata, poiché in realtà
sussisterebbe l’urgenza di rendere più efficienti tutti gli strumenti di
contrasto all’evasione e di gestione dei tributi erariali, snellendo le
procedure organizzative attraverso le quali l’amministrazione dello Stato si
dota dei mezzi organizzativi necessari.
6.— Le Regioni Veneto e Toscana,
rispettivamente in data 12 e 13 novembre 2012, hanno depositato memorie in
replica all’atto di costituzione dell’Avvocatura generale dello Stato.
6.1.— La memoria della Regione Veneto,
in merito all’art. 1, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 27 del 2012, asserisce l’assenza, nell’atto di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, di qualsiasi replica
agli argomenti avanzati nel ricorso. La ricorrente torna a ripetere che la
qualificazione della disciplina impugnata nell’ambito della tutela della
concorrenza non può consentire l’ingresso nell’ordinamento di sistemi di
controllo dell’attività legislativa regionale, stante l’attuale assetto
autonomistico, disegnato anzitutto dalla Costituzione e dalla legge n. 42 del
2009.
6.2.— La memoria della Regione Toscana,
in merito all’art. 1, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012 convertito, con
modificazioni, nella legge n. 27 del 2012, ribadisce la lesione delle
competenze concorrenti e residuali, attribuite alle Regioni dagli artt. 117,
terzo e quarto comma, e 119 Cost. In particolare la ricorrente ripete che
l’adeguamento degli enti locali al principio di liberalizzazione delle attività
economiche, così come stabilito dall’art. 1, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 1 del
2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012, non potrebbe
essere assunto quale valido elemento di valutazione della virtuosità dei
predetti enti, poiché del tutto estraneo alle finalità di coordinamento della
finanza pubblica. Come già rilevato nel ricorso, la Regione ribadisce che la
misura prevista nella norma impugnata avrebbe l’effetto di vincolare
l’esercizio della potestà legislativa regionale per finalità estranee
all’obiettivo di contenimento della spesa.
Per quanto concerne l’art. 35, comma 7,
del d.l. n. 1 del 2012, convertito nella legge n. 27 del 2012, la ricorrente
ribadisce l’infondatezza delle argomentazioni statali. Al riguardo si rileva
come l’intesa prevista dall’originario art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 68 del
2011 non sarebbe esclusivamente preordinata a definire indirizzi su aspetti di
spettanza meramente statale. Da tale atto d’indirizzo dipenderebbero, invece,
anche le convenzioni, facoltative e obbligatorie, tra Regioni e Direzioni
regionali delle Entrate, in quanto condizionanti la politica di gestione
organica dei tributi e delle compartecipazioni, nonché l’attività di recupero
dell’evasione fiscale.
Considerato
in diritto
1.— Con i due ricorsi indicati in
epigrafe, la Regione Toscana (reg. ric. n. 82 del 2012) e la Regione Veneto
(reg. ric. n. 83 del 2012) hanno proposto in via principale varie questioni di
legittimità costituzionale relative al decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n.
27, tra cui alcune aventi ad oggetto l’articolo 1, comma 4, e, per quanto
riguarda la sola Regione Toscana, l’art. 35, comma 7, del decreto-legge
indicato così come convertito.
In particolare, in ordine all’art. 1,
comma 4, la Regione Toscana lamenta la violazione degli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 119 della Costituzione; mentre la Regione Veneto ritiene che
siano stati violati gli artt. 3, 5, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo,
quarto, quinto e sesto comma, 118, 119 della Costituzione, nonché l’art. 9,
comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione), il principio di leale collaborazione
e i principi di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2, lettere z)
e ll),
della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).
Per quanto riguarda l’art. 35, comma 7,
poi, la sola Regione Toscana lamenta la violazione degli artt. 77, secondo
comma, 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119, secondo comma, della
Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.
2.— Stante la connessione esistente tra
i predetti ricorsi, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con
un’unica pronuncia, la quale avrà ad oggetto esclusivamente le questioni di
legittimità costituzionale delle disposizioni legislative sopra indicate – art.
1, comma 4, e art. 35, comma 7 – essendo riservata ad altre decisioni la
valutazione delle restanti questioni, promosse con i medesimi ricorsi dalle
Regioni Toscana e Veneto.
3.— Riguardo all’art. 1, comma 4, del
decreto-legge impugnato, devono preliminarmente dichiararsi inammissibili le censure
prospettate dalla Regione Veneto con riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114 e 119
Cost., nonché quelle che lamentano la violazione dell’art. 9, comma 2, della
legge costituzionale n. 3 del 2001, e degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2,
lettere z) e ll), della legge n. 42 del 2009.
3.1.— Le censure relative agli artt. 3 e
97 Cost. sono inammissibili, in quanto non sufficientemente motivate.
La Regione ricorrente si limita a
lamentare la genericità e l’indeterminatezza della disposizione impugnata,
omettendo di mostrare le ragioni per cui tali caratteristiche della normativa
in esame determinino una lesione dei principi di ragionevolezza e buon
andamento della pubblica amministrazione, invocati a parametro di giudizio, e
trascurando del tutto di indicare come l’asserita violazione di tali principi
ridondi sul riparto di competenze sancito dal Titolo V della Parte seconda
della Costituzione.
3.2.— Ugualmente inammissibili sono le
questioni prospettate in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost., e al principio di
cui all’art. 9, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001. Su tali
punti il ricorso risulta carente di motivazione e financo
inconferente. Dette censure sono esclusivamente vòlte a rivendicare la posizione equiordinata
di cui godrebbero le Regioni rispetto allo Stato, che renderebbe illegittima
l’introduzione di qualsiasi strumento di controllo statale sulle Regioni, senza
che siano addotte specifiche argomentazioni in ordine alla asserita
illegittimità costituzionale della disposizione impugnata. La motivazione,
oltre che insufficiente, appare anche inconferente,
in quanto la norma censurata non ripristina alcun controllo sugli atti
legislativi o amministrativi delle Regioni, in contrasto con la legge
costituzionale n. 3 del 2001, invocata a parametro del presente giudizio.
3.3.— Infine, è inammissibile, per
carenza assoluta di motivazione, il ricorso della Regione Veneto nella parte in
cui ritiene violati l’art. 119 Cost. e gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 2,
lettere z) e ll), del legge n. 42 del 2009.
Sul punto, il ricorso è privo di qualunque svolgimento argomentativo,
limitandosi a richiamare le suddette norme, senza mostrare in quale senso esse
risultino incise dalle disposizioni impugnate e senza neppure offrire ragioni a
sostegno della possibilità di far valere l’evocata legge n. 42 del 2009 come
parametro nei giudizi davanti a questa Corte.
4.— Nel merito, le rimanenti questioni
aventi ad oggetto l’art. 1, comma 4, non sono fondate.
4.1.— Occorre, anzitutto, chiarire il
significato della disposizione impugnata, alla luce del contesto normativo in
cui s’inscrive.
Il contenuto del censurato art. 1, comma
4, infatti, può essere compreso solo in relazione ai commi che lo precedono,
dal momento che esso prevede che le Regioni e gli altri enti territoriali si
adeguino ai principi desumibili dai primi tre commi del medesimo art. 1 e, al
fine di incentivare gli enti territoriali ad operare nel senso indicato dal
legislatore statale, il comma 4 afferma che «il predetto adeguamento
costituisce elemento di valutazione della virtuosità», alla quale si connettono
conseguenze di ordine finanziario, secondo quanto previsto dall’art. 20, comma
3, del decreto-legge 6 luglio 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n.
111.
I principi contenuti nei commi 1, 2 e 3
dell’art. 1 – la cui attuazione da parte di tutti gli enti territoriali il
legislatore intende incentivare con il dispositivo contenuto nel comma 4, oggetto
del presente giudizio – riguardano la liberalizzazione delle attività
economiche e si pongono in linea di continuità, anche attraverso richiami
testuali espliciti, con l’art. 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n.
148, su cui questa Corte si è pronunciata con sentenza n. 200 del
2012.
In vista di una progressiva e ordinata
liberalizzazione delle attività economiche, l’art. 1 del decreto-legge n. 1 del
2012 prevede un procedimento di ri-regolazione delle
attività economiche a livello statale, da realizzarsi attraverso strumenti di
delegificazione, che mira all’abrogazione delle norme che, a vario titolo e in
diverso modo, prevedono limitazioni o pongono condizioni o divieti che
ostacolano l’iniziativa economica o frenano l’ingresso nei mercati di nuovi
operatori, fatte salve le regolamentazioni giustificate da «un interesse
generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento
comunitario» (art. 1, comma 1, lettera a),
e che siano adeguate e proporzionate alle finalità pubbliche perseguite (art.
1, comma 1, lettera b). Allo stesso
scopo, l’art. 1, comma 2, prevede che «[l]e disposizioni recanti divieti,
restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività
economiche» siano «interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e
ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico
generale» e indica una serie d’interessi pubblici, anche di rango
costituzionale, che possono giustificare limiti e controlli, vòlti, ad esempio, «ad evitare possibili danni alla salute,
all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità
sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi
comunitari ed internazionali della Repubblica». Segue, all’art. 1, comma 3, la
previsione che il Governo individui con regolamenti di delegificazione, ai
sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina
dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri), le attività per le quali permangono limiti, regolamentazioni e
controlli e identifichi, altresì, le disposizioni legislative e regolamentari
che, invece, risultano abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore dei
regolamenti stessi.
Vista nel suo insieme, la disciplina
contenuta nell’art. 1 del decreto-legge n. 1 del 2012 si colloca nel solco di
un’evoluzione normativa diretta ad attuare «il principio generale della
liberalizzazione delle attività economiche, richiedendo che eventuali
restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare
puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale» (sentenza n. 200 del
2012). Tale intervento normativo, conformemente ai principi espressi dalla
giurisprudenza di questa Corte, «prelude a una razionalizzazione della
regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio
dell’attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall’altro,
mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si
svolgano in contrasto con l’utilità sociale» e con gli altri principi
costituzionali (sentenza
n. 200 del 2012).
4.2.— In questo quadro, l’art. 1, comma
4, estende all’intero sistema delle autonomie il compito di attuare i principi
di liberalizzazione, come sopra delineati. Del resto, affinché l’obiettivo
perseguito dal legislatore possa ottenere gli effetti sperati, in termini di
snellimento degli oneri gravanti sull’esercizio dell’iniziativa economica,
occorre che l’azione di tutte le pubbliche amministrazioni – centrali,
regionali e locali – sia improntata ai medesimi principi, per evitare che le
riforme introdotte ad un determinato livello di governo siano, nei fatti,
vanificate dal diverso orientamento dell’uno o dell’altro degli ulteriori enti
che compongono l’articolato sistema delle autonomie. Quest’ultimo, infatti,
risponde ad una logica che esige il concorso di tutti gli enti territoriali
all’attuazione dei principi di simili riforme. A titolo esemplificativo, si può
rammentare che persino gli statuti di autonomia speciale prevedono che le norme
fondamentali delle riforme economico-sociali costituiscono vincoli ai
rispettivi legislatori regionali e provinciali, che sono tenuti ad osservarle
nell’esercizio di ogni tipo di competenza ad essi attribuita. Per queste
ragioni, il principio di liberalizzazione delle attività economiche – adeguatamente
temperato dalle esigenze di tutela di altri beni di valore costituzionale – si
rivolge tanto al governo centrale (art. 1, commi 1, 2 e 3), quanto a Comuni,
Province, Città Metropolitane e Regioni (art. 1, comma 4), perché solo con la
convergenza dell’azione di tutti i soggetti pubblici esso può conseguire
risultati apprezzabili.
4.3.— L’ampiezza dei principi di
razionalizzazione della regolazione delle attività economiche non comporta, nel
caso in esame, l’assorbimento delle competenze legislative regionali in quella
spettante allo Stato nell’ambito della tutela della concorrenza, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che pure costituisce il
titolo competenziale sulla base del quale l’atto
normativo statale impugnato è stato adottato. Al contrario: grazie alla tecnica
normativa prescelta, i principi di liberalizzazione presuppongono che le
Regioni seguitino ad esercitare le proprie competenze in materia di regolazione
delle attività economiche, essendo anzi richiesto che tutti gli enti territoriali
diano attuazione ai principi dettati dal legislatore statale. Le Regioni,
dunque, non risultano menomate nelle, né tanto meno private delle, competenze
legislative e amministrative loro spettanti, ma sono orientate ad esercitarle
in base ai principi indicati dal legislatore statale, che ha agito
nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di concorrenza.
4.4.— Ciò determina l’infondatezza delle
censure relative all’art. 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, e 118
Cost., dato che con la disposizione impugnata il «legislatore nazionale non ha
occupato gli spazi riservati a quello regionale, ma ha agito presupponendo
invece che le singole Regioni continuino ad esercitare le loro competenze,
conformandosi tuttavia ai principi stabiliti a livello statale» (sentenza n. 200 del
2012).
4.5.— Neppure sono fondate le censure,
prospettate dalla Regione Veneto, in riferimento all’art. 117, primo e quinto
comma, Cost., considerato che non emerge alcun profilo di contrasto con il
diritto dell’Unione europea, mentre, sotto il profilo del riparto di
competenze, la disposizione impugnata si qualifica in termini di «tutela della
concorrenza» (ex plurimis, sentenze n. 299 e n. 200 del 2012),
rientrando dunque pienamente all’interno delle competenze di pertinenza
esclusiva statale, ex art. 117,
secondo comma, Cost., senza nulla togliere alle Regioni in materia di
attuazione del diritto europeo.
4.6.— Quanto alla violazione del
principio di leale collaborazione, lamentata dalla Regione Veneto, la relativa
questione è parimenti infondata.
A prescindere da ogni considerazione
sulla formulazione, in vero poco perspicua, della censura, occorre ribadire
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’invocato principio non trova
applicazione in riferimento al procedimento legislativo ed, inoltre, «esso non opera
allorché lo Stato eserciti la propria competenza legislativa esclusiva in
materia di "tutela della concorrenza”» (così la sentenza n. 299 del
2012 e similmente le sentenze n. 234 del 2012,
n. 88 del 2009
e n. 219 del
2005).
5.— Il principale elemento di novità
della disposizione impugnata, rispetto all’evoluzione normativa sopra
richiamata (punto 4.1.), è costituito dal raccordo tra attuazione dei principi
di razionalizzazione delle attività economiche e implicazioni di natura finanziaria
a carico delle autonomie territoriali. Proprio in ordine a tale correlazione è
stato formulato il più nutrito gruppo di censure, per violazione dell’art. 117,
terzo comma, e 119 Cost., rispettivamente in materia di coordinamento della
finanza pubblica e autonomia finanziaria regionale.
5.1.— Le questioni non sono fondate.
L’art. 1, comma 4, censurato, prevede
che la Presidenza del Consiglio comunichi al Ministero dell’economia «gli enti
che hanno proceduto all’applicazione delle procedure previste dal presente
articolo», volte all’attuazione del principio di liberalizzazione. Tale
adeguamento viene considerato tra i parametri di "virtuosità”, sulla base dei
quali, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del decreto-legge n. 98 del 2011, gli
enti territoriali vengono suddivisi in due classi, ai fini del rispetto del
patto di stabilità interno. Gli enti stimati complessivamente virtuosi sono
chiamati a rispettare vincoli di finanza pubblica meno stringenti rispetto agli
enti meno virtuosi, come ad esempio quelli relativi al contenimento delle spese
correnti, ai sensi dell’art. 77-ter,
comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. Al contrario, gli enti
collocati nella classe meno virtuosa subiscono una riduzione dei trasferimenti
e concorrono alla realizzazione di obiettivi di finanza pubblica maggiormente
onerosi, ai sensi dell’art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 giugno
2010, n. 122.
La valutazione della "virtuosità” degli
enti si basa su un complesso di parametri assai articolato (ex art. 20, comma 2, lettere da a a l,
e comma 2-bis, del decreto-legge n.
98 del 2011), tra i quali la disposizione impugnata introduce anche l’adeguamento
ai principi della razionalizzazione della regolazione economica, quale elemento
aggiuntivo rispetto agli altri fattori già previsti dal legislatore.
5.2.— Non è difficile cogliere la ratio del legame tracciato dal
legislatore fra le politiche economiche di liberalizzazione, intesa come
razionalizzazione della regolazione, e le implicazioni finanziarie delle
stesse. Secondo l’impostazione di fondo della normativa – ispirata a quelle
evidenze economiche empiriche che individuano una significativa relazione fra
liberalizzazioni e crescita economica, su cui poggiano anche molti interventi
delle istituzioni europee – è ragionevole ritenere che le politiche economiche
volte ad alleggerire la regolazione, liberandola dagli oneri inutili e
sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’economia
nazionale. Questa relazione tra liberalizzazione e crescita economica appare
ulteriormente rilevante in quanto, da un lato, la crescita economica è uno dei
fattori che può contribuire all’aumento del gettito tributario, che, a sua
volta, concorre alla riduzione del disavanzo della finanza pubblica;
dall’altro, non si può trascurare il fatto che il Patto europeo di stabilità e
crescita – che è alla base del Patto di stabilità interno – esige il rispetto di
alcuni indici che mettono in relazione il prodotto interno lordo, solitamente
preso a riferimento quale misura della crescita economica di un Paese, con il
debito delle amministrazioni pubbliche e con il deficit pubblico. Il rispetto di tali indici può essere raggiunto,
sia attraverso la crescita del prodotto interno lordo, sia attraverso il
contenimento e la riduzione del debito delle amministrazioni pubbliche e del deficit pubblico. In questa prospettiva,
è ragionevole che la norma impugnata consenta di valutare l’adeguamento di
ciascun ente territoriale ai principi della razionalizzazione della
regolazione, anche al fine di stabilire le modalità con cui questo debba
partecipare al risanamento della finanza pubblica. L’attuazione di politiche
economiche locali e regionali volte alla liberalizzazione ordinata e
ragionevole e allo sviluppo dei mercati, infatti, produce dei riflessi sul
piano nazionale, sia quanto alla crescita, sia quanto alle entrate tributarie,
sia, infine, quanto al rispetto delle condizioni dettate dal Patto europeo di
stabilità e crescita.
5.3.— Complessivamente, dunque, non è
irragionevole che il legislatore abbia previsto un trattamento differenziato
fra enti che decidono di perseguire un maggiore sviluppo economico attraverso
politiche di ri-regolazione dei mercati ed enti che,
al contrario, non lo fanno, purché, naturalmente, lo Stato operi tale
valutazione attraverso strumenti dotati di un certo grado di oggettività e
comparabilità, che precisino ex ante
i criteri per apprezzare il grado di adeguamento raggiunto da ciascun ente
nell’ambito del processo complessivo di razionalizzazione della regolazione,
all’interno dei diversi mercati singolarmente individuati.
Introdurre un regime finanziario più
favorevole per le Regioni che sviluppano adeguate politiche di crescita
economica costituisce, dunque, una misura premiale non incoerente rispetto alle
politiche economiche che si intendono, in tal modo, incentivare.
Non sussiste pertanto alcuna violazione
sotto l’invocato profilo dell’art. 119 Cost., né dell’art. 117, terzo comma,
Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.
6.— La Regione Toscana ha promosso
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 7, del d.l. n. 1
del 2012 convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2012 – che ha
soppresso l’intesa introdotta con l’art. 10, comma 1, del decreto legislativo 6
maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle
regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), nell’ambito del
procedimento volto all’adozione dell’atto di indirizzo di cui all’art. 59 del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del
Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), adottato
dal Ministero dell’economia e delle finanze – per violazione degli artt. 77,
secondo comma, 117, terzo comma (in materia di coordinamento del sistema
tributario), 118, primo comma, e 119, secondo comma, Cost., nonché del
principio di leale collaborazione.
6.1.— In riferimento alle censure mosse
nei confronti dell’art. 35, comma 7, è necessario, in primo luogo, indagare il
significato sia del cosiddetto "atto di indirizzo” del Ministro dell’economia e
delle finanze, che costituisce il presupposto per il rinnovo della Convenzione
tra il Ministero e l’Agenzia delle entrate, prevista dall’art. 59 del d.lgs. n.
300 del 1999, sia di tale Convenzione.
Quest’ultima, in particolare, disciplina
i rapporti tra Ministero dell’economia e delle finanze e Agenzia delle entrate,
in relazione alle funzioni amministrative di riscossione alla stessa rimesse.
In merito alla suddetta Convenzione, la Corte costituzionale ha già avuto modo
di precisare che: «la citata Convenzione […] non è idonea a produrre lesione
della sfera di competenza costituzionale della ricorrente [Regione Siciliana],
in quanto essa disciplina i rapporti tra il Ministero e l’Agenzia, senza alcun
riferimento alle competenze regionali, né contiene alcun profilo che in qualche
modo possa dar luogo ad una compressione dei poteri regionali in materia di
riscossione dei tributi» (sentenza n. 288 del
2004). Di conseguenza, come pure precisato nella predetta sentenza, la
possibilità di pervenire a una intesa tra Regione e Agenzia delle entrate per
la riscossione dei tributi di spettanza regionale non risulta in alcun modo
pregiudicata dalla Convenzione stipulata a livello centrale, per ambiti diversi
ed estranei alle competenze regionali, tra Ministero e Agenzia.
Il d.lgs. n. 68 del 2011 segue proprio
questa impostazione, prevedendo specifiche Convenzioni tra Regioni e Agenzia
delle entrate, distinte da quella tra Ministero e Agenzia. Infatti, ai sensi
dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 68 del 2011 «le Regioni possono definire
con specifico atto convenzionale, sottoscritto con il Ministero dell’economia e
delle finanze e con l’Agenzia delle entrate, le modalità gestionali e operative
dei tributi regionali, nonché di ripartizione degli introiti derivanti
dall’attività di recupero dell’evasione», nel rispetto della autonomia
organizzativa delle stesse e nella scelta delle forme di organizzazione delle
attività di gestione e di riscossione. La disposizione prosegue, specificando
che «[l]’atto convenzionale, sottoscritto a livello nazionale, riguarda altresì
la compartecipazione al gettito dei tributi erariali». E ancora, l’art. 10, comma
4, del medesimo decreto legislativo specifica che le modalità di gestione
dell’IRAP e dell’addizionale regionale all’IRPEF, nonché il relativo rimborso
spese, sono disciplinate sulla base di convenzioni da definire tra l’Agenzia
delle entrate e le Regioni.
6.2.— Stante l’estraneità della
disposizione impugnata agli ambiti di competenza regionale, la questione
sollevata relativamente alla violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., è
inammissibile.
Questa Corte, con giurisprudenza
costante, ha ritenuto, infatti, ammissibili le questioni di legittimità
costituzionale proposte da una Regione, nell’ambito di un giudizio in via
principale, in riferimento a parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V
della Parte seconda della Costituzione, solo quando sia possibile rilevare la
ridondanza delle asserite violazioni sul riparto di competenze tra Stato e
Regioni e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese
indirettamente dalla violazione di parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo
V, nonché le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis,
sentenze n. 22
del 2012, n.
128 del 2011, n.
326 del 2010, n.
116 del 2006, n.
280 del 2004). In particolare, con riferimento all’art. 77 Cost., questa
Corte ha ribadito in parte qua la
giurisprudenza sopra ricordata, riconoscendo che le Regioni possono impugnare
un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione del medesimo art.
77, ove adducano che da tale violazione derivi una compressione delle loro
competenze costituzionali (ex plurimis, sentenza n. 6 del
2004). Tale circostanza non ricorre nel caso di specie, in quanto, come
eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato, non si vede come l’asserita
mancanza di ragioni di straordinaria necessità e urgenza, richieste dall’art.
77 Cost., si ripercuota sul riparto delle competenze legislative.
6.3.— Nel merito, alla luce del quadro
normativo poco sopra illustrato, le questioni sollevate in riferimento agli
artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, 119, secondo comma, Cost. e al
principio di leale collaborazione non sono fondate.
È, infatti, in sede di Convenzione tra
Regioni e Agenzia delle entrate, e non nell’ambito della formazione del
cosiddetto atto di indirizzo ministeriale, che possono trovare spazio le
indicazioni regionali – spazio di cui la ricorrente ritiene essere stata
privata con l’eliminazione dell’intesa ad opera della disposizione impugnata –
ed è, di nuovo, in tale sede che deve e può trovare possibilità di esprimersi
la leale collaborazione tra Stato e Regioni, come previsto, del resto, dai
commi 5, 6, e 7 dell’art. 10 del d.lgs. n. 68 del 2011, secondo cui «Al fine di
assicurare a livello territoriale il conseguimento degli obiettivi di politica
fiscale di cui al comma 1, la convenzione di cui al comma 2 può prevedere la
possibilità per le regioni di definire, di concerto con la Direzione dell’Agenzia
delle entrate, le direttive generali sui criteri della gestione e sull’impiego
delle risorse disponibili. Previo accordo sancito in sede di Conferenza
Stato-Regioni, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono
definite le modalità attuative delle disposizioni di cui al comma 5. Per la
gestione dei tributi il cui gettito sia ripartito tra gli enti di diverso
livello di governo la convenzione di cui al comma 2 prevede l’istituzione
presso ciascuna sede regionale dell’Agenzia delle Entrate di un Comitato
regionale di indirizzo, di cui stabilisce la composizione con rappresentanti
designati dal direttore dell’Agenzia delle entrate, dalla regione e dagli enti
locali. La citata gestione dei tributi è svolta sulla base di linee guida
concordate nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, con l’Agenzia delle
entrate».
Alla luce di detto contesto normativo,
la soppressione dell’intesa – che non era prevista nell’originaria formulazione
dell’art. 59 del d.lgs. n. 300 del 1999, ma è stata introdotta con l’art. 10,
comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, e subito eliminata con l’art. 35, comma 7,
del decreto-legge n. 1 del 2012, in questa sede impugnato – non determina
alcuna lesione delle competenze regionali in tema di coordinamento del sistema
tributario di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., né viola in alcun modo il
principio di leale collaborazione. Per le medesime ragioni non sono neppure
fondate le censure basate sulla violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., e
dell’art. 119, secondo comma, Cost.
riservata a separate pronunce la
decisione delle questioni di legittimità costituzionale riguardanti le altre
disposizioni contenute nel decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27,
riuniti i giudizi,
1) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma
4, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito nella legge n. 27 del 2012,
promosse dalla Regione Veneto con riferimento agli articoli 3, 5, 97, 114 e 119
della Costituzione; 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); 1, comma 1, e
2, comma 2, lettere z) e ll), della legge
5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), con il ricorso indicato in
epigrafe;
2) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 35,
comma 7, del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, nella
legge n. 27 del 2012, promossa, in riferimento all’articolo 77, secondo comma,
della Costituzione dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma
4, del decreto-legge n. 1 del 2012, come convertito nella legge n. 27 del 2012,
promosse dalla Regione Toscana e dalla Regione Veneto, con riferimento agli
articoli 117, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, 118, 119
della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio
2013.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI