SENTENZA N. 22
ANNO 2012
Commenti alla
decisione di
I. Renzo Dickmann, La
Corte sanziona la "evidente estraneità” di disposizioni di un decreto-legge
inserite con la legge di conversione. Error in procedendo
o vizio di ragionevolezza per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it
II. Claudio Tucciarelli, Corte
costituzionale e federalismo fiscale: appunti sulla sentenza n. 22/2012
per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali
III. Michele Francaviglia,
Decretazione
d’urgenza e rispetto del riparto delle competenze legislative tra Stato e
Regioni nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale. Cronaca
della sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, per g.c. della Rivista
AIC
IV. Valeria Marcenò,
L’eterogeneità
delle disposizioni come "male” da elusione delle fonti sulla produzione del
decreto-legge, per gentile
concessione del Forum di Quaderni
costituzionali
V. Claudio Tucciarelli, Corte
costituzionale e federalismo fiscale: appunti sulla sentenza n. 22/2012,
per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali
VI. Andrea Cardone, Eterogenesi
dei fini ed omessa interpretazione conforme: in tema di protezione civile
statale e autonomia finanziaria regionale una sentenza "autonomista” che
perpetua un modello "centralista”, per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali
VII. Stefano Maria Cicconetti, Obbligo di omogeneità
del decreto-legge e della legge di conversione?, in questa Studi e Commenti”, 2012
VIII. Giovanni Serges, La "tipizzazione” della legge
di conversione del decreto-legge ed i limiti agli emendamenti parlamentari, in questa Rivista, nella Sezione "Studi e Commenti”, 2012
IX. Alfonso Celotto, L’abuso delle forme della
conversione (affinamenti nel sindacato sul decreto-legge), in questa ,
nella Sezione "Studi e Commenti”, 2012
X. Elisabetta Lamarque, I profili processuali della
sentenza n. 22/2012 della Corte costituzionale, in questa Rivista, nella Sezione "Studi e Commenti”, 2012
XI. Daniele Chinni, Le "convergenze parallele” di
Corte costituzionale e Presidente della Repubblica sulla limitata emendabilità della
legge di conversione del decreto-legge, in questa Rivista, nella Sezione "Studi e Commenti”, 2012
XII. Cristina
Bertolino, Ulteriori considerazioni in tema di
conversione del decreto legge,
per g.c. della Rivista
AIC
XIII. Giuseppe
Filippetta, L'emendabilità del decreto-legge e la
farmacia del costituzionalista, per g.c. della Rivista
AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
-
- Luigi MAZZELLA ”
-
-
-
-
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
-
Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre
2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di
interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle
famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e
5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225
(Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), promossi dalle
Regioni Liguria, Basilicata, Puglia, Marche, Abruzzo e Toscana, con ricorsi notificati
il 27, il 26, ed il 27 aprile 2011, depositati in cancelleria il 4, il 5 ed il
6 maggio 2011, ed iscritti, rispettivamente, ai numeri 38, 39, 40, 41, 42 e 43
del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10
gennaio 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Marcello Cecchetti per le
Regioni Basilicata, Puglia e Toscana, Stefano Grassi per le Regioni Marche e
Abruzzo e l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 27 aprile
2011 e depositato il successivo 4 maggio (reg. ric. n. 38 del 2011), la Regione
Liguria ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2,
comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia
tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10,
nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies nell’art. 5 della
legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della
protezione civile), per violazione degli artt. 3, 23, 77, 117, secondo e terzo
comma, 118, primo e secondo comma, 119, 121 e 123 della Costituzione, e del
principio di leale collaborazione.
1.1.— La disposizione impugnata,
inserita in sede di conversione del d.l. n. 225 del 2010, risulterebbe
eccentrica, a parere della ricorrente, rispetto sia al contenuto del
provvedimento legislativo sia a quello dell’articolo 2 del d.l., la cui rubrica
reca «Proroghe onerose di termini». Essa riguarda, infatti, la disciplina della
protezione civile, ed in particolare il regime finanziario delle spese relative
agli eventi indicati nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del
1992, quelli cioè di maggiore gravità, da affrontare «con mezzi e poteri
straordinari».
La ricorrente sottolinea come la
qualificazione di tali eventi avvenga con un atto del Governo – la
dichiarazione dello stato di emergenza – a seguito del quale si determina la
competenza dello stesso Governo e dei commissari da esso nominati all’esercizio
dei relativi poteri.
In questo contesto normativo si
inserisce il censurato comma 5-quater, il quale dispone: «a seguito della
dichiarazione dello stato di emergenza, il Presidente della regione interessata
dagli eventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), qualora il bilancio
della regione non rechi le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare
le spese conseguenti all’emergenza ovvero per la copertura degli oneri
conseguenti alla stessa, è autorizzato a deliberare aumenti, sino al limite
massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali,
delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione,
nonché ad elevare ulteriormente la misura dell’imposta regionale di cui all’articolo
17, comma 1, del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, fino a un
massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima
consentita».
Il significato della disposizione – che
parrebbe prevedere una mera facoltà del Presidente della Regione – sarebbe
chiarito dal successivo comma 5-quinquies, primo periodo, riguardante il
concorso tra il finanziamento regionale e quello statale, il quale prevede:
«qualora le misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti,
ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma 5-quater di rilevanza
nazionale, può essere disposto l’utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di
protezione civile».
In definitiva, osserva la Regione
Liguria, l’intervento finanziario dello Stato viene alternativamente
condizionato alla insufficienza delle risorse regionali, pur dopo l’attivazione
degli aumenti fiscali di cui al comma 5-quater, ovvero al riconoscimento, da
parte del Governo (se non del solo Ministro dell’economia), della «rilevanza
nazionale» dell’emergenza: rimangono dunque a carico della Regione i costi
derivanti dalla calamità che l’ha colpita, tranne quelli eccedenti il massimo
sforzo fiscale che la Regione stessa è autorizzata a compiere, ovvero «quelli
che il Governo discrezionalmente vorrà assumere».
Il sistema così previsto, prosegue la
ricorrente, risulterebbe lesivo delle prerogative regionali e in contrasto con
i parametri costituzionali evocati.
1.2.— Prima di argomentare le singole
censure, la difesa regionale esamina il sistema di protezione civile come
delineato nella legge n. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale della
protezione civile.
Tale sistema è fondato sulla previsione
di cui all’art. 2, comma 1, della citata legge, che distingue tre diversi
livelli di eventi a seconda che richiedano interventi attuabili da singoli enti
ed amministrazioni competenti in via ordinaria (lettera a), o invece comportino
l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via
ordinaria (lettera b), o, infine, debbano essere fronteggiati con mezzi e
poteri straordinari (lettera c).
La legge n. 225 del 1992 sin
dall’origine attribuiva, all’art. 12, compiti significativi alle Regioni,
successivamente ridefiniti ed estesi con gli artt. da 107 a 109 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del
capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e con il decreto-legge 7 settembre
2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo
delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le
strutture logistiche nel settore della difesa civile), convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1 della legge 9 novembre 2001, n. 401.
Tuttavia, avuto riguardo agli eventi
indicati nella lettera c) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 225 del 1992, le
funzioni fondamentali sono da sempre attribuite alla competenza statale, come
risulta anche dall’art. 107 del d.lgs. n. 112 del 1998, che elenca una serie di
compiti di «rilievo nazionale» in materia di protezione civile.
In particolare, osserva la ricorrente,
per gli eventi che richiedono risorse e poteri straordinari, lo Stato esercita
le funzioni di riconoscimento, coordinamento, disciplina ed intervento, anche
attraverso i prefetti e le proprie strutture del Servizio nazionale della
protezione civile (artt. 11 e 14 della legge n. 225 del 1992), in
collaborazione con le organizzazioni non statali che pure partecipano al
medesimo Servizio, nonché con le Regioni e con gli enti locali (artt. 12, 13 e
15 della legge n. 225 del 1992).
Sotto il profilo del finanziamento
dell’attività in oggetto, prima che fossero introdotte le disposizioni oggi
impugnate non si dubitava che le spese straordinarie – comprese ovviamente
quelle relative agli interventi statali – facessero capo al Fondo nazionale
della protezione civile, previsto dall’art. 19 della stessa legge n. 225 del
1992.
La riforma attuata con la legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione) ha poi inserito la protezione civile tra le materie di
potestà legislativa concorrente, riservando allo Stato la sola determinazione
dei principi fondamentali, con la conseguenza che i poteri legislativi ed
amministrativi, già attribuiti allo Stato, possono trovare attuazione
esclusivamente in forza della «chiamata in sussidiarietà», e che la gestione
degli stessi deve essere improntata al principio di leale collaborazione.
La ricorrente osserva come, peraltro, la
citata riforma costituzionale non abbia prodotto modifiche significative nella
disciplina del Servizio nazionale della protezione civile: in particolare,
l’individuazione e la gestione degli eventi più gravi – classificati alla
lettera c) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 225 del 1992 – sarebbero
tutt’ora di competenza statale, come confermato dalla Corte costituzionale
(sono richiamate le sentenze n. 284
e n. 82 del 2006),
la quale ha escluso che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori
della legislazione vigente possa avvenire in forza di una legge regionale. è soltanto
con la deliberazione dello stato di emergenza, da parte del Consiglio dei
ministri d’intesa con la Regione colpita, che vengono attivati ampi poteri di
ordinanza «in deroga ad ogni disposizione vigente» e «nel rispetto dei principi
generali dell’ordinamento giuridico» in capo agli organi di governo o ai
commissari da essi delegati (art. 5, commi 2, 3 e 4 della legge n. 225 del
1992).
1.3.— La ricorrente procede quindi
all’esame dei profili di illegittimità costituzionale delle disposizioni
impugnate, a partire dalla violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.,
stante per un verso l’estraneità delle stesse disposizioni al contenuto del
d.l. n. 225 del 2010, e considerata, per altro verso, la radicale assenza dei
requisiti di necessità ed urgenza.
Le suddette norme sono state inserite
dalla legge di conversione nell’art. 2, riguardante la materia delle «proroghe
onerose di termini», là dove l’art. 1 del relativo decreto-legge è dedicato
alle «proroghe non onerose», l’art. 3 alla copertura finanziaria e l’art. 4
all’entrata in vigore.
Non vi sarebbe dunque alcuna
giustificazione all’introduzione di disposizioni recanti una nuova disciplina
delle fonti di finanziamento delle attività di protezione civile nel corpo del
decreto-legge citato, avendo la legge di conversione contenuto tipico e
vincolato, consistente appunto nella conversione in legge del provvedimento
normativo predisposto dal Governo.
Sarebbero inoltre assenti ragioni di
urgenza specifica, come confermato dalla mancata indicazione delle stesse nel
decreto, oltre che dal contenuto della direttiva del Presidente del Consiglio
dei ministri 14 marzo 2011 (Indirizzi per lo svolgimento delle attività
propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei Ministri da adottare ai sensi
dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e per la
predisposizione ed attuazione delle ordinanze di cui all’articolo 5, commi 2 e
3 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché in attuazione del decreto-legge
29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26
febbraio 2011, n. 10). La predetta direttiva presenta il contenuto tipico della
circolare esplicativa che illustra, per il futuro, la disciplina applicabile.
Peraltro, l’utilizzo improprio dello
strumento della decretazione d’urgenza, in un ambito materiale di potestà
legislativa concorrente, avrebbe privato le Regioni della possibilità di far
valere le proprie ragioni.
La difesa regionale richiama in
proposito la giurisprudenza costituzionale che ammette, nei giudizi in via
principale promossi da ricorsi delle Regioni, l’invocazione di parametri
esterni al Titolo V della Parte seconda della Costituzione, qualora la
violazione di essi si traduca in una lesione delle competenze costituzionali
dell’ente ricorrente (sentenza n. 116 del
2006), e cita numerose pronunce in cui sono state censurate leggi statali
che comprimevano le prerogative regionali attraverso la violazione di norme non
comprese nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione.
È inoltre richiamata la giurisprudenza
costituzionale più recente in tema di illegittimità del decreto-legge per
difetto dei presupposti di necessità e urgenza (sentenze n. 128 del
2008 e n.
171 del 2007).
1.4.— Le disposizioni impugnate
risulterebbero in contrasto con l’art. 119, primo, quarto e quinto comma, Cost.,
in quanto, pur mantenendo in capo allo Stato le competenze decisionali e
gestionali sopra illustrate, porrebbero il costo degli interventi a carico
della Regione colpita, in tal modo recidendo il nesso tra risorse e funzioni.
Come evidenziato in premessa, a parere
della ricorrente, soltanto in apparenza il comma 5-quater facoltizza il
Presidente della Regione a deliberare gli aumenti fiscali, essendo in realtà
tale aumento un atto dovuto, «in assenza del quale non vi sarebbe alcuna
risorsa finanziaria disponibile per affrontare l’emergenza: la Regione infatti
non disporrebbe delle risorse, e lo Stato non sarebbe neppure abilitato ad
utilizzare il fondo nazionale per la protezione civile, se non per emergenze di
"rilievo nazionale”». In tal senso si esprimerebbe il già richiamato documento
di indirizzo elaborato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, nel quale
si legge che gli aumenti fiscali costituiscono «un vero e proprio onere e non
piuttosto una facoltà lasciata alla libera iniziativa discrezionale della
Regione».
Per effetto della nuova disciplina,
quindi, all’indomani della dichiarazione dello stato di emergenza da parte del
Governo, il Presidente della Regione interessata è tenuto a deliberare gli
aumenti fiscali, non potendo essere utilizzato (per le emergenze che non hanno
«rilevanza nazionale») il Fondo nazionale per la protezione civile se non ad
integrazione dell’insufficiente gettito dei nuovi tributi.
La circostanza che tale gettito sarebbe
destinato anche a coprire le spese degli organi dello Stato emerge dalla
lettera delle disposizioni impugnate, in cui si fa riferimento alle «spese
conseguenti all’emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla
stessa», nonché dalla bozza di atto di indirizzo già citata.
La singolarità della nuova disciplina è
ulteriormente accentuata dalla disposizione, inserita nell’art. 5, comma 2,
della legge n. 225 del 1992 ad opera dell’art. 2, comma 2-quinquies, del d.l.
n. 225 del 2010, a mente della quale «le ordinanze sono emanate di concerto,
relativamente agli aspetti di carattere finanziario, con il Ministro
dell’economia e delle finanze», là dove il costo degli interventi è a carico
della Regione colpita.
Di qui la violazione dell’autonomia
finanziaria regionale, garantita dell’art. 119 Cost.: la Regione interessata è
tenuta non soltanto ad introdurre aumenti fiscali ma anche ad utilizzare le
proprie entrate a favore di organismi statali per l’esercizio dei relativi
compiti istituzionali. In particolare, l’art. 119, quarto comma, Cost. stabilisce
un collegamento tra risorse e funzioni in ambito regionale, e dunque non
consente di utilizzare le prime per il finanziamento di funzioni statali.
Sarebbe violato anche il quinto comma
del medesimo parametro, che prevede l’intervento dello Stato, con risorse
aggiuntive, affinché le Regioni possano «provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni», là dove la normativa impugnata impone alle
Regioni colpite da eventi calamitosi di destinare proprie risorse aggiuntive in
favore di organi ed attività statali.
Ulteriore lesione dell’art. 119, quinto
comma, Cost. si verificherebbe con riguardo al principio di solidarietà
(sancito anche dall’art. 2 Cost.), in quanto le spese derivanti dalla calamità
non vengono ripartite nell’ambito della comunità nazionale, ma addossate alla
sola Regione colpita e, quindi, ad una popolazione già indebolita.
1.5.— La Regione Liguria ritiene che le
norme statali impugnate si pongano in contrasto anche con l’art. 118, primo
comma, con l’art. 3, primo comma, Cost., e con il principio di ragionevolezza.
Sotto il primo profilo, la difesa
regionale osserva come l’art. 118, primo comma, Cost. consenta allo Stato di
attribuire a se stesso funzioni che richiedono l’esercizio unitario sull’intero
territorio nazionale, essendo peraltro implicito in detto parametro che in tal
caso lo Stato debba anche assumere i relativi oneri.
Quanto alla prospettata violazione del
principio di uguaglianza, la stessa difesa evidenzia come, a fronte
dell’esercizio di competenze assunte dallo Stato per esigenze di unitarietà, la
discriminazione dei contribuenti su base territoriale sarebbe priva di
giustificazione, risultando doppiamente iniqua nei confronti di quanti siano
stati direttamente colpiti dall’evento calamitoso.
Infine, il comma 5-quater, introdotto
dall’impugnato art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, sarebbe
irragionevole anche in quanto istituisce misure incerte nel risultato, e
comunque in grado di produrre i propri effetti solo nel medio-lungo periodo, per
fare fronte a costi che debbono essere coperti mediante entrate immediatamente
disponibili. Già in astratto, dunque, lo strumento individuato dal legislatore
statale parrebbe incongruo a realizzare il fine dichiarato.
La ricorrente rivendica, da ultimo, la
propria legittimazione a denunciare norme che impongono manovre tributarie alla
Regione e incidono negativamente sulle condizioni dei propri cittadini.
1.6.— La Regione Liguria evidenzia,
inoltre, come la disposizione contenuta nel comma 5-quater, nella parte in cui
"autorizza” il Presidente della Regione a deliberare gli aumenti di carattere
fiscale, attribuisca al predetto organo un potere che non gli spetta nel quadro
del riparto di competenze tra gli organi regionali. Sia il principio di legalità
di cui all’art. 23 Cost., sia il riparto di competenze regionali delineato
dall’art. 121, secondo comma, Cost., impongono, ai fini della introduzione dei
tributi, l’intervento del Consiglio regionale; in ogni caso poi, ove pure non
vi fossero i vincoli costituzionali indicati, spetterebbe all’autonomia
statutaria di ciascuna Regione l’attribuzione di tale competenza (è richiamata
la sentenza n.
407 del 1989).
Pertanto, la norma statale si porrebbe
in contrasto con l’art. 121, secondo comma, Cost., che assegna al Consiglio
regionale l’esercizio delle potestà legislative attribuite alle Regioni, nonché
con l’art. 123, primo comma, Cost. che garantisce l’autonomia statutaria.
1.7.— In via subordinata, la Regione
Liguria prospetta l’illegittimità costituzionale del «comma 5-quinquies»
dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, nella parte in cui non prevede la
partecipazione delle Regioni alla valutazione della «rilevanza nazionale»
dell’evento, in violazione del principio di leale collaborazione.
Posto, infatti, che il meccanismo
delineato dai commi 5-quater e 5-quinquies consente di evitare la "maggior
contribuzione fiscale” della popolazione della Regione colpita solo nel caso
venga riconosciuto il rilievo nazionale dell’emergenza, esiste un evidente
interesse della stessa Regione e di tutte le altre a concorrere sia
all’elaborazione dei criteri per la corrispondente qualificazione degli eventi,
sia all’assunzione delle decisioni al riguardo. Del resto, lo schema della
chiamata in sussidiarietà, che consente allo Stato di assumere le funzioni
amministrative in detta materia, imporrebbe di per sé il coinvolgimento delle
Regioni nella procedura decisionale circa la rilevanza nazionale dell’evento.
Diversamente, la normativa impugnata non
contiene alcun riferimento a detto coinvolgimento, risultando
costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede la partecipazione
a tale decisione né della Conferenza Stato-Regioni, né della Regione colpita
dall’evento, sulla quale incomberebbe la maggiorazione fiscale nel caso che non
venga riconosciuta la rilevanza nazionale dell’evento.
2.— Con ricorso notificato il 26 aprile
2011 e depositato il successivo 5 maggio (reg. ric. n. 39 del 2011), la Regione
Basilicata ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in
cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies nell’art. 5 della legge n. 225 del
1992, per violazione degli artt. 1, 3, 118 e 119 Cost.
2.1.— Dopo aver richiamato il contenuto
dei commi 5-quater e 5-quinquies, la ricorrente esamina il sistema di protezione
civile delineatosi nel corso degli anni, sulla base della ormai acquisita
consapevolezza che l’Italia è un paese ad elevato rischio di catastrofi
naturali.
La normativa contenuta nella legge n.
225 del 1992 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri o, su delega,
al Ministro dell’interno, la responsabilità del coordinamento delle attività
delle amministrazioni statali, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, degli
enti pubblici nazionali, nonché di ogni altra organizzazione pubblica e privata
presente sul territorio. Le attività di protezione civile, individuate all’art.
5 della legge citata, possono essere idealmente distinte in «due grandi
blocchi», il primo dei quali riguarda la previsione e prevenzione dei fenomeni
calamitosi (fase di pre-emergenza), mentre l’altro
comprende tutte le attività che debbono essere svolte in occasione di eventi
catastrofici. Quanto poi alla fase della ricostruzione, essa non è attribuita
specificamente ad un soggetto istituzionale, e finora è stata disciplinata con
norme ad hoc.
La difesa regionale prosegue
evidenziando come al Consiglio dei ministri spetti l’approvazione degli
indirizzi generali per la predisposizione dei programmi nazionali di previsione
e prevenzione dei vari tipi di rischio, nonché dei programmi di soccorso e dei
piani nazionali di emergenza. La redazione di questi ultimi è affidata al
Dipartimento della protezione civile, che dipende direttamente dalla Presidenza
del Consiglio, con l’ausilio, in qualità di organo consultivo, della Commissione
nazionale per la previsione e prevenzione dei grandi rischi. Le Regioni e gli
Enti locali sono coinvolti in questo processo di pianificazione.
La disciplina dell’intervento delle
istituzioni nazionali in occasione di eventi calamitosi è contenuta nell’art. 2
della legge n. 225 del 1992.
Nel caso in cui l’evento coinvolga il
solo territorio comunale e possa essere affrontato con i mezzi di cui il Comune
dispone, il sindaco assume la direzione ed il coordinamento dei soccorsi;
qualora invece sia interessato un territorio più ampio tale funzione è
esercitata dal prefetto. Quando infine l’evento coinvolga il territorio di una
o più Province, ovvero presenti intensità tale da richiedere di essere
fronteggiato con mezzi e poteri straordinari (art. 2, comma 1, lettera c, della
legge n. 225 del 1992), viene proclamato lo stato di emergenza ed è convocato
il Comitato operativo della protezione civile per garantire la direzione
unitaria e il coordinamento delle attività a livello nazionale.
Il finanziamento degli interventi di
protezione civile avviene facendo ricorso principalmente al Fondo nazionale per
la protezione civile, istituito con l’art. 2 del decreto-legge 10 luglio 1982,
n. 428 (Misure urgenti per la protezione civile), convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 12 agosto 1982, n. 547.
Su questo sistema, osserva la Regione
Basilicata, si innestano le disposizioni oggetto di impugnazione, con le quali
viene disposta la compartecipazione delle Regioni e delle popolazioni interessate
dall’evento calamitoso alla «copertura dei danni» conseguenti alla
dichiarazione dello stato di emergenza.
2.2.— La Regione Basilicata illustra le
ragioni dell’impugnativa, osservando in primo luogo come, in base ai commi
5-quater e 5-quinquies dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, il ricorso alle
risorse del Fondo nazionale di protezione civile sia possibile in due distinte
ipotesi: nel caso di insufficienza dei mezzi propri della Regione interessata,
dopo l’utilizzo degli incrementi tributari disposti dalla Regione stessa,
ovvero nei casi di eventi di «rilevanza nazionale».
Ciò posto, secondo la ricorrente non
sarebbero in alcun modo precisati i criteri in base ai quali un evento
calamitoso possa essere qualificato come di «rilevanza nazionale», non potendo
soccorrere il riferimento all’estensione territoriale del fenomeno, già
trascurato dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, che
fa invece riferimento ai mezzi e poteri idonei a fronteggiare l’evento.
Si tratta, dunque, di valutazione
rimessa all’apprezzamento politico circa l’importanza dell’evento; valutazione,
che dovrà essere compiuta, con ogni probabilità, dal Consiglio dei ministri in
sede di deliberazione dello stato di emergenza, tenendo conto della durata,
dell’estensione, della qualità e della natura dell’evento (elementi cui fa
riferimento esplicito l’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992).
Questa dunque parrebbe l’interpretazione
più aderente alla lettera delle disposizioni impugnate, conforme alla ratio
della novella legislativa; diversamente, ove si ritenesse l’intervento statale
condizionato rigidamente dal completo utilizzo, da parte della Regione
interessata, degli incrementi tributari, si finirebbe per negare la «rilevanza
nazionale» dell’evento e l’intervento statale assumerebbe funzione suppletiva
delle finanze regionali, senza tenere conto della natura e della qualità degli
eventi straordinari.
Peraltro, secondo la difesa regionale,
l’opzione interpretativa prescelta produce una evidente discriminazione tra le
Regioni e le rispettive popolazioni, non potendo determinarsi «eventi
oggettivamente di rilevanza nazionale» meritevoli della solidarietà dell’intera
nazione: vi saranno eventi che riceveranno tale qualificazione ed eventi che
non la riceveranno, con le conseguenze sopra indicate.
Sarebbero dunque violati gli artt. 1 e 3
Cost.
La difesa regionale ritiene che le norme
in esame si pongano in contrasto anche con gli artt. 118 e 119 Cost.: per un
verso, infatti, nel prevedere l’esercizio unitario della funzione di protezione
civile, non sarebbero rispettati i principi di sussidiarietà, differenziazione
ed adeguatezza, e, per altro verso, sarebbe lesa l’autonomia finanziaria
regionale, risultando imposto l’aumento del gettito tributario per poter
avanzare la richiesta di accesso al Fondo nazionale.
3.— Con ricorso notificato il 27 aprile
2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 40 del 2011), la Regione
Puglia ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce
i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225
del 1992, per violazione degli artt. 2, 3, 117, terzo comma, 118, primo comma,
e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.
3.1.— La difesa regionale evidenzia, in
premessa, come l’effetto immediato delle disposizioni censurate sia quello di
far gravare sul bilancio regionale il finanziamento di tutte le funzioni di
protezione civile connesse alla gestione delle situazioni di emergenza che
seguono ad eventi straordinari, qualunque sia l’ente competente ad esercitare
tali funzioni. In particolare, sulla Regione interessata dall’evento viene
posto l’onere economico sia delle funzioni di competenza regionale, sia di
quelle spettanti agli altri enti coinvolti, comprese le funzioni esercitate da
organi statali o facenti capo a servizi dello Stato.
Di qui la limitazione dell’autonomia
costituzionale delle Regioni.
La ricorrente ricostruisce quindi il
complesso sistema di protezione civile nel quale le predette disposizioni si
inseriscono, come disciplinato dalla legge n. 225 del 1992, dagli artt. 107-109
del d.lgs. n. 112 del 1998, nonché dal d.l. n. 343 del 2001, convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 401 del 2001.
È richiamato l’art. 2, comma 1, delle
legge n. 225 del 1992, che distingue, ai fini dell’attività di protezione
civile, tre tipologie di eventi, nonché l’art. 5 della medesima legge, il quale
disciplina il procedimento che si instaura a partire dal verificarsi di uno
degli eventi per i quali è necessario il ricorso a mezzi e poteri straordinari.
In detto procedimento sono coinvolti gli organi statali, come confermato anche
dall’art. 107 del d.lgs. n. 112 del 1998, secondo cui allo Stato spetta la
«predisposizione, d’intesa con le Regioni e gli enti locali interessati, dei
piani di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all’art. 2, comma 1,
lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e la loro attuazione».
La difesa regionale indica le ulteriori
norme che regolano il ruolo degli apparati dello Stato nella materia de qua, a
partire dall’art. 11 della legge n. 225 del 1992, che individua le strutture di
livello nazionale alle quali è necessario affidarsi per gli interventi
operativi, per passare all’art. 5 del d.l. n. 343 del 2001, il quale indica le
strutture di cui si avvale direttamente il Presidente del Consiglio dei
ministri nello svolgimento dei compiti attribuiti all’Amministrazione centrale.
In particolare, al Dipartimento per la
protezione civile, anch’esso posto alle dirette dipendenze della Presidenza del
Consiglio, sono attribuite le principali funzioni operative, nonché tutti i
compiti precedentemente attribuiti all’Agenzia di protezione civile dall’art.
81 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione
del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), tra i
quali figurano quelli riguardanti le attività connesse con gli eventi
calamitosi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992.
Ciò posto in linea generale, la
ricorrente evidenzia come in questa sede risultino rilevanti proprio le
competenze concernenti la gestione degli eventi straordinari, indicati nella
norma da ultimo richiamata, rispetto ai quali il sistema attribuisce al
Presidente del Consiglio dei ministri e al Governo un ruolo centrale, di
competenza generale e residuale, mentre gli enti territoriali sub-statali
svolgono funzioni ancillari.
3.2.— La Regione Puglia espone quindi le
ragioni di censura poste alla base del ricorso, previo esame delle norme
oggetto.
Secondo la ricorrente, il combinato
disposto dei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, impone alla Regione
colpita dall’evento calamitoso, e per essa al suo Presidente, di esercitare la
potestà tributaria riconosciutale dalla legislazione vigente – fino ai limiti
massimi consentiti da questa o fino all’ulteriore aumento straordinario
dell’imposta sulla benzina per autotrazione – e di destinare il relativo
gettito al finanziamento degli interventi necessari a fronteggiare l’emergenza.
Solo a seguito dell’adozione di tali
misure e della certificata insufficienza a coprire i costi degli interventi, la
Regione colpita può avanzare richiesta di accesso al Fondo nazionale di
protezione civile, con esito peraltro rimesso alla decisione, politica e
unilaterale, del Governo. In via di eccezione, le stesse norme connettono
l’utilizzo del Fondo nazionale alla qualificazione dell’evento come «di
rilevanza nazionale», e dunque ad una valutazione che si configura anch’essa
come scelta politica del Governo.
Anche il dibattito parlamentare che ha
preceduto l’approvazione della legge di conversione n. 10 del 2011
confermerebbe, secondo la difesa regionale, questa interpretazione delle norme
in esame. In tal senso si esprimerebbe pure la direttiva del Presidente del
Consiglio dei ministri 14 marzo 2011.
3.3.— Le censure, diffusamente argomentate
dalla stessa difesa, sono riferite anzitutto all’art. 119 Cost., ed in
particolare al principio della corrispondenza tra le risorse finanziarie
ordinariamente disponibili da parte degli enti territoriali e l’esercizio delle
funzioni attribuite alla titolarità di ciascuno di essi, sul presupposto che le
disposizioni contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies impongano alle Regioni
di finanziare funzioni amministrative di esclusiva pertinenza statale.
La ricorrente richiama in particolare il
quarto comma dell’art. 119 Cost., il quale stabilisce che «le risorse derivanti
dalle fonti di cui ai commi precedenti [tributi ed entrate propri,
compartecipazioni al gettito di tributi erariali e quote di spettanza del fondo
perequativo] consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro
attribuite». Il quinto comma del medesimo art. 119, che costituisce norma di
chiusura, prevede – in deroga al principio della corrispondenza tra funzioni
esercitate ed entrate ordinarie – che lo Stato destini risorse aggiuntive a
singoli enti territoriali per garantire la realizzazione di alcuni valori
fondamentali della Repubblica, nonché per provvedere a tutti gli scopi che
fuoriescano dal «normale esercizio» delle funzioni ordinariamente spettanti
agli stessi enti territoriali.
L’evocato principio di corrispondenza
sarebbe qui rilevante sotto un duplice profilo: per un verso, esso non ammette
che le funzioni di un ente territoriale possano essere finanziate mediante
ricorso ad entrate diverse da quelle che, in via ordinaria, competono al suo
bilancio; per altro verso, lo stesso principio presuppone che le risorse
(ordinarie) degli enti territoriali siano destinate al finanziamento delle
funzioni da essi svolte, e non al finanziamento di funzioni svolte da altri
soggetti.
3.3.1.— Secondo la ricorrente, l’art.
119, quinto comma, Cost. sarebbe violato anche in relazione ai principi di
uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., e ai principi di
solidarietà politica, economica e sociale di cui all’art. 2 Cost.
Lo Stato, infatti, ha il compito di
destinare agli enti territoriali risorse aggiuntive rispetto a quelle indicate
nei commi secondo e terzo del medesimo art. 119 Cost., e di effettuare interventi
speciali in favore di alcuni di essi, con le precise finalità, indicate dal
quinto comma dell’art. 119 Cost., di promuovere lo sviluppo economico, la
coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e
sociali, di rafforzare la garanzia dell’effettivo esercizio dei diritti della
persona, di intervenire ove ricorra la necessità di provvedere a scopi diversi
dal normale esercizio delle funzioni affidate alla competenza degli enti
autonomi territoriali.
Il quinto comma dell’art. 119, Cost.
delinea, quindi, una peculiare funzione "sussidiaria” dello Stato, a garanzia
di alcuni valori fondanti della comunità nazionale. Tale funzione verrebbe in
rilievo in occasione del verificarsi degli eventi indicati nell’art. 2, comma
1, lettera c), della legge n. 225 del 1992; in casi siffatti, le
amministrazioni locali si trovano a dover fronteggiare situazioni che
pregiudicano i valori contemplati nel parametro evocato, in quanto fuoriescono
dal normale esercizio delle funzioni delle autonomie territoriali.
Pertanto, le disposizioni sottoposte a
scrutinio avrebbero l’effetto di determinare la «sostanziale abdicazione» da
parte dello Stato ai propri compiti espressamente contemplati nell’art. 119,
quinto comma, Cost.
Il contrasto con i principi di
uguaglianza e di ragionevolezza discenderebbe dall’avere posto l’onere degli
interventi finalizzati a fronteggiare l’evento calamitoso a carico delle
collettività colpite dall’evento stesso, a dispetto della responsabilità dello
Stato per la rimozione degli squilibri economici e sociali, e per la garanzia
dell’effettivo esercizio dei diritti della persona.
In proposito, la ricorrente richiama il
dibattito parlamentare svoltosi in sede di conversione del decreto-legge
impugnato, nel corso del quale è stato segnalato il possibile profilo di
illegittimità costituzionale di disposizioni che configurano un trattamento
deteriore per le popolazioni colpite da eventi catastrofici. Di qui
discenderebbe l’irragionevolezza della scelta legislativa di imporre un aumento
dei tributi proprio alle popolazioni colpite dalla calamità naturale. Per un
verso, infatti, alla base della imposizione non vi sarebbe alcuna
manifestazione di capacità contributiva, dovendosi al contrario ritenere probabile
una riduzione di tale capacità in capo ai cittadini dei territori colpiti; per
altro verso, le disposizioni in esame risulterebbero in contraddizione con
quanto previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 5 della legge n. 225 del
1992, che prevede agevolazioni fiscali a favore dei soggetti colpiti da eventi
calamitosi.
Sarebbe evidente, a parere della Regione
Puglia, anche la violazione del principio di solidarietà sancito dall’art. 2
Cost., da declinarsi come dovere di solidarietà, secondo l’accezione utilizzata
nell’art. 119, quinto comma, Cost.
3.3.2.— La ricorrente reputa violato,
inoltre, l’art. 119, primo comma, Cost. e il principio, ivi consacrato,
dell’autonomia di entrata e di spesa delle Regioni. Questo principio sarebbe
compromesso da disposizioni statali che impongono di finanziare, a carico del
bilancio regionale, l’esercizio di funzioni esercitate dallo Stato, e che
prescrivono aumenti dei tributi nella misura massima consentita dalla
legislazione nazionale vigente, così azzerando ogni margine di scelta delle
Regioni.
Se è vero, poi, che le Regioni possono,
in luogo di deliberare aumenti, ridurre o eliminare spese in precedenza
stabilite, nondimeno anche tale soluzione alternativa realizzerebbe una
compressione dell’autonomia regionale.
La ricorrente, richiamando la sentenza n. 320 del
2004 della Corte costituzionale, evidenzia come la "costrizione” a ridurre
le politiche di spesa, per il tramite della minaccia costituita dalla possibile
compressione dell’autonomia di entrata, incida sull’esercizio delle competenze
attribuite alle Regioni in numerosi ambiti materiali.
La violazione dei principi di autonomia
finanziaria delle Regioni e di corrispondenza tra le entrate ordinarie di
queste ultime e le funzioni esercitate sarebbe apprezzabile anche da un
ulteriore punto di vista. Se, infatti, le risorse di cui ai commi secondo e
terzo dell’art. 119 Cost., devono consentire agli enti di finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite, salva la possibilità per
lo Stato di destinare risorse aggiuntive e di effettuare interventi speciali
(sono richiamate le sentenze n. 37 del
2004 e n.
370 del 2003), la Regione colpita dall’evento è costretta a ridurre lo
stanziamento di bilancio volto a finanziare proprie funzioni amministrative,
per evitare la compressione della propria autonomia di entrata. Risulta in tal
modo vulnerato il principio di corrispondenza tra risorse ordinarie e
finanziamento delle funzioni regionali.
La ricorrente precisa di essere
consapevole dell’orientamento ormai consolidato della Corte costituzionale,
secondo cui il sistema configurato dall’art. 119 Cost. non è in grado di
dispiegare pienamente i suoi effetti fino a quando non sarà operante la legge
statale ivi prevista per il coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario. Nondimeno, la stessa Corte ha più volte chiarito come ciò non
escluda che, prima della compiuta attuazione, l’art. 119 sia in grado di
imporre alcuni precetti, di immediata applicabilità. In particolare, oltre al
richiamato "principio di corrispondenza” tra entrate e funzioni, il parametro
citato evidentemente impedisce che si proceda in senso inverso a quanto in esso
prescritto, nel senso che sarebbe comunque vietato configurare un sistema
finanziario che contraddica i principi indicati (sono richiamate le sentenze n. 423,
n. 320, n. 241 e n. 37 del 2004),
come invece disposto dalle previsioni oggetto della presente impugnazione.
3.3.3.— La difesa regionale prospetta un
ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dei commi 5-quater e
5-quinquies dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, ancora per violazione
dell’art. 119 Cost., avuto riguardo all’imposizione di vincoli di destinazione
a risparmi di spesa e ad entrate regionali.
Al riguardo, è richiamata la
giurisprudenza costituzionale secondo cui dal parametro costituzionale indicato
si deduce il divieto di istituire fondi a destinazione vincolata in ambiti
materiali attribuiti alla competenza residuale o concorrente delle Regioni.
Pur non ricorrendo, nella specie,
l’istituzione di un fondo siffatto, il principio invocato avrebbe una portata
più generale, tale da ricomprendere anche il vincolo posto dalle norme
sottoposte a scrutinio, il quale grava, alternativamente, sulle somme derivanti
dall’aumento del prelievo tributario, ove disposto dal Presidente della Regione
colpita dall’evento calamitoso, ovvero sulle somme derivanti dai risparmi di
spesa deliberati dalla medesima Regione per evitare di aumentare il prelievo
tributario.
Il divieto di porre vincoli di
destinazione sulle somme che lo Stato trasferisce alle Regioni dovrebbe valere
a fortiori in riferimento alle risorse che le Regioni reperiscono
autonomamente, quali sono quelle derivanti da aumenti del prelievo tributario e
quelle conseguenti a riduzione delle spese.
La ricorrente segnala l’assenza di
precedenti giurisprudenziali sul tema, a suo dire riconducibile al fatto che
fino ad oggi la legislazione statale non ha mai esercitato una così radicale
compressione dell’autonomia finanziaria regionale.
3.3.4.— Secondo la Regione Puglia, le
disposizioni in esame si porrebbero in contrasto anche con gli artt. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost., in relazione alla competenza concorrente in
materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Quest’ultimo sarebbe, infatti, l’ambito
materiale direttamente interessato dai commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 5
della legge n. 225 del 1992, i quali dettano regole di "coordinamento” degli
oneri finanziari connessi alla gestione dello stato di emergenza derivante da
calamità naturali o eventi catastrofici, ponendone il relativo peso sui bilanci
regionali, con conseguente limitazione della potestà di spesa delle Regioni, e
rendendo solo eventuale il ricorso al Fondo nazionale di protezione civile.
Trattandosi di ambito materiale
attribuito alla competenza concorrente, occorre discernere tra principi
fondamentali e norme di dettaglio, utilizzando criteri che tengano conto della
peculiarità della materia.
In tema di coordinamento della finanza
pubblica, la Corte costituzionale ha più volte affermato che le norme statali
che impongono vincoli alle spese sono espressive di principi fondamentali
soltanto se tali vincoli sono finalizzati a raggiungere l’obiettivo del
riequilibrio della finanza pubblica (tra le più recenti, sentenze n. 326
e n. 52 del 2010).
Nel caso di specie, la ricorrente ritiene che debba essere esclusa la natura di
principi fondamentali della materia per le disposizioni contenute nei commi
5-quater e 5-quinquies, primo periodo, in quanto non finalizzate al
perseguimento dell’obiettivo del riequilibrio della finanza pubblica.
3.3.5.— In via subordinata rispetto alle
censure finora esaminate, la Regione Puglia prospetta l’illegittimità
costituzionale – per violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost., anche in
relazione agli artt. 2 e 3 Cost. –del comma 5-quinquies, primo periodo,
dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, nella parte in cui, pur in presenza
delle due condizioni in esso contemplate (insufficienza delle ricorse reperite
ai sensi del precedente comma 5-quater e qualificazione dell’emergenza come «di
rilevanza nazionale»), subordina l’accesso al Fondo nazionale di protezione
civile ad una valutazione "politica” del Governo.
La previsione indicata, oltre a
risultare irragionevole, contrasterebbe con il dovere solidaristico che impone
allo Stato di assicurare le «risorse aggiuntive» e gli «interventi necessari» a
garantire quei valori imprescindibili dell’ordinamento, indicati nei parametri
evocati, tutte le volte in cui tali valori non possano essere assicurati dal
«normale esercizio delle funzioni» spettanti alle autonomie territoriali.
Infatti, una volta che la Regione colpita
dall’emergenza abbia dimostrato di aver adottato le misure previste dal comma
5-quater, o di essere impossibilitata ad adottarle, o, comunque, di non avere
risorse sufficienti per fronteggiare l’emergenza, l’accesso al Fondo nazionale
dovrebbe essere "automatico”.
3.3.6.— In via ulteriormente
subordinata, anche rispetto alla censura che precede, la Regione Puglia ritiene
che il comma 5-quinquies, introdotto nell’art. 5 della legge n. 225 del 1992,
contrasti con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con
il principio di leale collaborazione.
La ricorrente, dopo aver ribadito
l’incidenza della norma impugnata sull’ambito materiale del coordinamento della
finanza pubblica, osserva come la giurisprudenza costituzionale abbia ritenuto
legittima l’avocazione, da parte dello Stato, di funzioni amministrative in
materie non appartenenti alla sua legislazione esclusiva, a condizione che
ricorrano esigenze di unitarietà della disciplina e che le Regioni siano
coinvolte nell’esercizio della funzione, secondo il modulo procedimentale
dell’«intesa».
La difesa regionale sottolinea altresì
che, nella specie, pur essendo innegabile che ricorrano esigenze unitarie, non
è prevista alcuna forma di coinvolgimento della Regione interessata, con palese
violazione del principio di leale collaborazione.
3.3.7.— Ancora in via subordinata, la
ricorrente ritiene che la disposizione contenuta nel comma 5-quinquies, primo
periodo, dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992 – nella parte in cui prevede
che sia il Governo a qualificare l’evento calamitoso come evento di «rilevanza
nazionale», al di fuori di qualsiasi sede concertativa – si ponga in contrasto
con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con il
principio di leale collaborazione.
Gli argomenti a sostegno della censura
sono analoghi a quelli sintetizzati nel paragrafo precedente, al quale pertanto
si rinvia.
Allo stesso modo di quanto accade per
l’accesso al Fondo nazionale di protezione civile, la disposizione oggetto di
censura prevede la valutazione unilaterale del Governo, trascurando
completamente l’esigenza di garantire la parità tra i soggetti istituzionali
coinvolti e la leale collaborazione tra gli stessi.
4.— Con ricorso notificato il 27 aprile
2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 41 del 2011), la Regione
Marche ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce
i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225
del 1992, per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119
Cost., e del principio di leale collaborazione.
4.1.— Gli argomenti svolti dalla
ricorrente sono sostanzialmente analoghi a quelli sintetizzati nel paragrafo 3
in riferimento al ricorso della Regione Puglia. Si può pertanto fare rinvio
alla richiamata sintesi.
4.1.1.— Il ricorso qui in esame si
differenzia da quello richiamato, solo in quanto contiene l’esposizione dei
fatti che hanno specificamente interessato il territorio della Regione Marche a
seguito degli eventi calamitosi verificatisi nel periodo dal 1° al 6 marzo
2011.
In particolare, la ricorrente richiama
il contenuto della risoluzione n. 40 approvata dal Consiglio regionale, nella
seduta del 5 aprile 2011, con la quale è stata impegnata la Giunta regionale a
promuovere ricorso avverso l’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010
davanti alla Corte costituzionale, nonché ad impugnare la direttiva del
Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2011 davanti al competente
giudice amministrativo.
Nella citata risoluzione si dà atto che
il territorio regionale è stato colpito da «fenomeni temporaleschi diffusi di
eccezionale intensità che hanno provocato ingenti danni alle infrastrutture,
agli edifici pubblici e privati, nonché una grave compromissione delle attività
produttive nelle zone interessate», con danni calcolati, a seguito di una prima
ricognizione, in circa 462 milioni di euro, esclusi quelli all’agricoltura.
La risoluzione precisa inoltre che, in
data 10 marzo 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato lo
stato di emergenza, in relazione ai suddetti eventi, fino al 31 marzo 2012. A
questo punto la Regione Marche ha chiesto al Governo di disporre l’utilizzo del
Fondo nazionale di protezione civile, considerata la rilevanza nazionale degli
eventi calamitosi, ma, con nota del 31 marzo 2011, la Presidenza del Consiglio
dei ministri – Dipartimento della protezione civile, previo richiamo alla
direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2011, ha ribadito
la necessità che la Regione certifichi: a) se sono state individuate
disponibilità all’interno del proprio bilancio per fronteggiare l’emergenza in
questione; b) se sono state aumentate fino al massimo le aliquote fiscali di
competenza, e, in particolare, l’aliquota dell’accisa regionale sulla benzina.
La stessa risoluzione conclude
evidenziando che l’interpretazione dell’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225
del 2010, fornita dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14
marzo 2011, «condiziona rigidamente l’intervento statale al completo utilizzo
da parte delle Regioni interessate della potestà tributaria lorda riconosciuta,
negando in tal modo la rilevanza nazionale dell’evento e riducendo la
giustificazione dell’intervento nazionale ad una pura funzione suppletiva
nell’ipotesi di insufficienza dei mezzi regionali, indipendentemente dalla
natura e dalla qualità degli eventi straordinari».
5.— Con ricorso notificato il 27 aprile
2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 42 del 2011), la Regione
Abruzzo ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce
i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225
del 1992, per violazione degli artt. 2, 3, 117, terzo comma, 118, primo comma,
e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.
5.1.— Gli argomenti svolti dalla
ricorrente sono in tutto identici a quelli sintetizzati nel paragrafo 3 in
riferimento al ricorso della Regione Puglia, e pertanto si può fare rinvio alla
predetta sintesi.
6.— Con ricorso notificato il 27 aprile
2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 43 del 2011), la Regione
Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce
i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225
del 1992, per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119
Cost., e del principio di leale collaborazione.
6.1.— Gli argomenti svolti dalla
ricorrente sono in tutto identici a quelli sintetizzati nel paragrafo 3 in
riferimento al ricorso della Regione Puglia, e pertanto si può fare rinvio alla
predetta sintesi.
7.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito in ciascuno dei giudizi chiedendo che le questioni prospettate siano
dichiarate infondate.
La difesa statale svolge argomentazioni
analoghe in tutti gli atti di costituzione, i quali, pertanto, possono essere
esaminati congiuntamente.
7.1.— Dopo avere riepilogato le censure
proposte nei confronti della normativa introdotta dall’art. 2, comma 2-quater,
del d.l. n. 225 del 2010, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia, in primo
luogo, l’erroneo presupposto da cui muoverebbero le impugnative regionali,
secondo cui la funzione di protezione civile concernente gli eventi previsti
dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992 apparterrebbe
alla competenza esclusiva dello Stato.
In realtà, la protezione civile è
materia di legislazione concorrente, nella quale spetta allo Stato la
determinazione dei principi fondamentali; la relativa funzione amministrativa
sarebbe anch’essa ripartita tra i due livelli, regionale e statale, con la
conseguenza che è prevista l’intesa con le Regioni interessate riguardo ad ogni
aspetto di determinazione e di gestione dello stato di emergenza. L’esercizio
delle funzioni mantenute dallo Stato, attraverso il Servizio nazionale di
protezione civile, ha poi natura sostitutiva e di sostegno dei governi
territoriali, per i casi in cui questi non siano in grado di fare fronte
autonomamente all’emergenza.
La difesa statale osserva inoltre che
gli eventi indicati nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del
1992, in riferimento ai quali l’art. 5 della medesima legge prevede la
dichiarazione dello stato di emergenza, non necessariamente coincidono con le
emergenze nazionali, la cui portata comporta la "socializzazione” dei relativi
oneri finanziari. Dovrebbe dunque distinguersi tra gli eventi emergenziali di
ambito locale e quelli che presentano rilevanza nazionale.
Le disposizioni censurate, poi,
sarebbero in linea con i principi e criteri direttivi della legge 5 maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione), finalizzati ad assicurare autonomia di entrata
e di spesa agli enti territoriali, «in maniera da sostituire gradualmente, per
tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la
loro massima responsabilizzazione» (art. 1, comma 1). L’art. 2, comma 2, della
citata legge di delega indica, infatti, tra i principi e criteri direttivi,
quello dell’autonomia di entrata e di spesa e della maggiore
responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli
di governo (lettera a); l’attribuzione di risorse autonome in relazione alle
rispettive competenze e secondo il criterio di territorialità (lettera e); la
«riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più
ampia autonomia di entrata delle regioni ed enti locali […] e corrispondente
riduzione delle risorse statali umane e strumentali»; l’«eliminazione dal
bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle
funzioni attribuite a regioni, province, comuni e città metropolitane» (lettera
ee).
In siffatto contesto normativo, prosegue
la difesa statale, le disposizioni censurate coerentemente prevedono che
l’evento emergenziale di ambito locale non possa determinare l’intervento
finanziario dello Stato prima che la Regione interessata abbia operato nella
direzione dell’assunzione della relativa responsabilità finanziaria.
L’intervento dello Stato, in ossequio al principio di sussidiarietà, segue
necessariamente quello dell’ente territoriale, ove questo si trovi nella
oggettiva impossibilità di continuare a fare fronte all’emergenza locale con le
proprie risorse.
La "generale socializzazione” degli
oneri finanziari connessi ad eventi emergenziali locali, affermatasi
nell’assenza di principi relativi ai profili finanziari e di copertura, avrebbe
determinato una progressiva "deresponsabilizzazione” dei diversi livelli di
governo – con particolare riguardo alla valutazione della durata dell’emergenza
– e la conseguente crescita esponenziale dei flussi di spesa pubblica, ben
percepibile nell’attuale congiuntura finanziaria negativa.
7.2.— Su queste premesse di ordine
generale, la difesa dello Stato procede all’esame delle censure formulate nei
ricorsi regionali.
7.2.1.— Ad avviso della stessa difesa,
non sussisterebbe la violazione dell’art. 77 Cost., prospettata dalla sola
Regione Liguria (ric. n. 38 del 2011) sul rilievo che l’art. 2, comma 2-quater,
approvato in sede di conversione del d.l. n. 225 del 2010, avrebbe un contenuto
del tutto estraneo alla materia regolata dal decreto-legge citato, e non
presenterebbe i presupposti di necessità ed urgenza.
Per un verso, infatti, le disposizioni
introdotte con la norma censurata sarebbero pertinenti all’oggetto del decreto,
recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di
interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle
famiglie», e, per altro verso, i presupposti di necessità ed urgenza sarebbero
riferibili al contenuto del decreto-legge, e non a quello della legge di
conversione.
7.2.2.— Sarebbe del pari insussistente
il contrasto, prospettato in tutti i ricorsi, tra le disposizioni contenute nei
censurati commi 5-quater e 5-quinquies e l’autonomia finanziaria riconosciuta
alle Regioni dall’art. 119 Cost., con riguardo al principio della
corrispondenza tra funzioni esercitate e risorse finanziarie.
Si assume dalle ricorrenti, infatti, che
le predette disposizioni porrebbero a carico della Regione colpita dall’evento
calamitoso il costo degli interventi necessari per fronteggiare lo stato di
emergenza deliberato ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del
1992, e, in particolare, l’onere derivante dall’esercizio delle funzioni di
protezione civile affidate allo Stato.
La difesa statale ribadisce quanto
evidenziato in premessa, e cioè che la protezione civile è materia di
legislazione concorrente ed è funzione ripartita tra Stato e Regioni, sicché,
oltre alle funzioni conferite alle Regioni dall’art. 108 del d.lgs. n. 112 del
1998, è prevista l’intesa per ogni aspetto attinente alla determinazione ed
alla gestione emergenziale.
Più specificamente, l’intesa è prevista
per: a) la deliberazione e la revoca dello stato d’emergenza (art. 107, comma
1, lettera b, del d.lgs. n. 112 del 1998); b) l’emanazione delle ordinanze
(art. 107, comma 1, lettera c, del medesimo d.lgs.); c) la predisposizione dei
piani d’emergenza in caso di eventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c),
della legge n. 225 del 1992 (art. 107, comma 1, lettera f, punto 2, dello
stesso d.lgs.); d) la definizione degli interventi e della struttura organizzativa
necessari per fronteggiare gli eventi calamitosi (art. 5, comma 4-bis, del d.l.
n. 343 del 2001).
Quanto poi al significato della
previsione contenuta nell’art. 5, comma 1, del d.l. n. 343 del 2001, il quale,
nell’indicare le competenze del Presidente del Consiglio dei ministri (o del
Ministro dell’interno, su delega del primo), fa riferimento alla determinazione
delle «politiche di protezione civile», la difesa statale sottolinea come detta
previsione riguardi la titolarità delle politiche di intervento delle strutture
del Servizio nazionale di protezione civile, da non confondere con la
titolarità delle funzioni amministrative nella materia in esame, che
appartengono anche alle Regioni. Nel riparto delle predette funzioni,
l’intervento statale si configurerebbe, come già detto, per la natura
necessariamente sostitutiva e di sostegno del livello di governo interessato.
L’infondatezza della lamentata lesione
all’autonomia finanziaria regionale, sotto il profilo della corrispondenza tra
funzioni e risorse, emergerebbe ulteriormente, secondo l’Avvocatura generale
dello Stato, considerando che le disposizioni introdotte dalla norma impugnata
prevedono, ai fini del reperimento delle risorse finanziarie necessarie a
fronteggiare gli eventi emergenziali locali, un percorso graduale, con la
partecipazione di enti di diverso livello. Nella fase iniziale, è chiamata ad
attivarsi la Regione interessata dall’evento, la quale, in ossequio al
principio di responsabilità finanziaria, è obbligata a far fronte, con i propri
fondi, alle funzioni ad essa attribuite; successivamente, è previsto, in forza
del principio di sussidiarietà, l’intervento solidaristico dello Stato, sul
presupposto che le iniziative assunte dalla Regione non garantiscano la
copertura degli oneri connessi all’evento emergenziale.
Le materie coinvolte – protezione civile
e coordinamento della finanza pubblica – appartengono entrambe alla competenza
legislativa concorrente, nella quale spetta allo Stato l’emanazione dei
principi fondamentali; tuttavia, come precisato dalla Corte costituzionale
nella sentenza
n. 16 del 2010, la nozione di "principio fondamentale” non può essere
cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, dovendosi tenere
conto del contesto e del momento congiunturale in relazione ai quali
l’accertamento va compiuto, e della peculiarità della materia. Nella stessa
pronuncia, previo richiamo alle precedenti sentenze n. 284
e n. 237 del
2009, la Corte ha precisato che, in materia di coordinamento della finanza
pubblica, i principi comprendono anche «norme puntuali adottate dal legislatore
per realizzare in concreto le finalità del coordinamento finanziario, che per
sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali
sub-statali».
Nel caso di specie, secondo la difesa
statale, le disposizioni introdotte dalla norma in oggetto interverrebbero in
un ambito delimitato della materia «protezione civile» (quello relativo agli
eventi di rilevanza soltanto locale), fissando l’obiettivo del preventivo
concorso della finanza regionale nel sostenere le spese di esercizio delle
funzioni regionali, nonché, con riferimento alla materia del coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario, l’obiettivo di un riequilibrio
della finanza pubblica, finora gravata dai costi della generalizzata
socializzazione degli oneri derivanti da eventi emergenziali di portata
soltanto locale.
L’Avvocatura generale dello Stato
richiama le affermazioni della Corte costituzionale a proposito «dell’obbligo
generale di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, di
contribuire all’azione di risanamento della finanza pubblica» (sentenze n. 190 del
2008, n. 169
e n. 82 del 2007),
sottolineando come, nella specie, la transitorietà del contenimento
complessivo, secondo quanto indicato dalla stessa Corte (sentenze n. 297 del
2009 e n.
289 del 2008), sia insita nella situazione emergenziale.
Di qui la conclusione che l’eventuale
impatto della norma censurata sull’autonomia finanziaria regionale si
tradurrebbe in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul piano
della legittimità costituzionale» (sono richiamate le sentenze n. 40 del 2010,
n. 169 del 2007
e n. 36 del 2004).
7.2.3.— La difesa statale reputa non
fondata anche la censura prospettata dalle ricorrenti in riferimento all’art.
119, quinto comma, Cost., sotto il profilo della violazione del dovere
solidaristico che sarebbe imposto dal predetto parametro, richiamato, in alcuni
ricorsi (Liguria, Basilicata, Puglia, Abruzzo), unitamente all’art. 2 Cost.
A parte il rilievo sulla non compiuta
attuazione dell’art. 119 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato osserva come
il principio sancito dal quinto comma non riguardi gli eventi emergenziali,
bensì «obiettivi di carattere programmatico relativi a consolidate realtà
territoriali variamente deficitarie o complesse […], sotto il profilo socio
economico, infrastrutturale, di conformazione del territorio, di tutela del
patrimonio storico ed artistico».
In tal senso deporrebbe la previsione
contenuta nell’art. 16 della legge n. 42 del 2009, che, nell’indicare i
principi e criteri direttivi per «gli interventi di cui al quinto comma
dell’art. 119 della Costituzione», stabilisce, tra l’altro, che tali interventi
– «finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i
finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali» – siano
attuati «secondo il metodo della programmazione pluriennale».
Il parametro evocato non potrebbe
pertanto fondare il preteso obbligo dello Stato di finanziare direttamente, ed
in via esclusiva, gli oneri derivanti dall’esercizio della funzione di
protezione civile per eventi emergenziali di rilevanza locale.
In ogni caso poi, secondo la difesa
statale, il percorso graduale di reperimento delle risorse finanziarie,
delineato dalle norme impugnate, sarebbe in linea con il principio di
responsabilità sussidiaria dello Stato, sancito dall’art. 119 Cost., nonché con
il più generale principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.
7.2.4.— Per ragioni in parte analoghe,
sarebbe insussistente anche la violazione dei principi di uguaglianza e di
ragionevolezza, prospettata da alcune ricorrenti (Liguria, Basilicata, Puglia e
Abruzzo), sul rilievo che le norme censurate irragionevolmente porrebbero
maggiori oneri a carico delle popolazioni già colpite dall’emergenza,
discriminando i contribuenti su base territoriale.
La difesa statale ribadisce che il
ricorso ad una maggiore pressione fiscale è previsto come eventuale, graduale e
contenuto nei limiti massimi già fissati dalla legge, e non coinvolge i
soggetti danneggiati, per i quali è sospeso o differito ogni adempimento e
versamento, ai sensi dell’art. 5, comma 5-ter, della legge n. 225 del 1992.
Così precisato, il contenuto della nuova disciplina non risulterebbe affatto
irragionevole né discriminante. Limitatamente a quanto prospettato nel ricorso
della Regione Puglia, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che la questione
in oggetto, nella parte in cui fa riferimento al principio della capacità
contributiva dei cittadini dei territori interessati dall’evento, sarebbe
inammissibile prima ancora che non fondata, per la mancata evocazione dell’art.
53 Cost.
7.2.5.— Ad avviso della difesa statale
risulterebbe non fondata pure la questione prospettata in riferimento agli
artt. 23, 121 e 123 Cost., dalla sola Regione Liguria. Secondo la ricorrente,
le disposizioni censurate, nella parte in cui individuano nel Presidente della
Regione colpita dall’evento calamitoso l’organo competente a disporre l’aumento
del prelievo fiscale, si porrebbero in contrasto con il principio di legalità,
violando anche l’autonomia statutaria regionale e il riparto delle competenze
tra organi regionali.
In senso contrario, l’Avvocatura
generale dello Stato osserva come, per un verso, il rispetto del principio di
legalità sia assicurato dall’essere già previsto, con legge, il limite massimo
entro il quale può disporsi l’aumento della pressione fiscale, e, per altro
verso, l’intervento del Presidente della Regione rientri tra quei «mezzi e
poteri straordinari» necessari – e per questo consentiti – per fronteggiare gli
eventi emergenziali di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225
del 1992. La titolarità del potere riconosciuto dalla citata norma è affidata
al Presidente della Regione come organo rappresentativo dell’ente responsabile
della politica locale, in conformità alle regole sul riparto di competenze
dettate dall’art. 121 Cost.
7.2.6.— Del pari non fondata sarebbe,
sempre secondo la difesa statale, la questione sollevata da tutte le ricorrenti
in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, Cost., e al
principio di leale collaborazione.
A parere delle Regioni che hanno
promosso gli odierni giudizi, la normativa impugnata violerebbe gli indicati
parametri nella parte in cui, disciplinando la materia di legislazione
concorrente della protezione civile, non prevede alcuna forma di concertazione
ai fini della valutazione della rilevanza nazionale dell’evento, da cui
discende la possibilità, per la Regione colpita, di accedere in via prioritaria
e non sussidiaria al Fondo nazionale di protezione civile.
L’Avvocatura generale dello Stato
segnala come, in realtà, l’invocato principio di leale collaborazione sia
assicurato dalla previsione dell’intesa nella fase di deliberazione dello stato
di emergenza, secondo quanto previsto dall’art. 107, comma 1, lettera b), del
d.lgs. n. 112 del 1998.
L’assunto troverebbe conferma nella
direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2011, nella quale,
a proposito della deliberazione dello stato di emergenza, è previsto che «le
Regioni forniscano elementi conoscitivi al Dipartimento della protezione civile
[…] per un’approfondita verifica dei presupposti che giustificano la dichiarazione
dello stato d’emergenza». Sarebbe in tal modo garantito il momento
partecipativo e collaborativo delle Regioni nella qualificazione dell’evento
come di «rilevanza nazionale», ai fini dell’accesso diretto al finanziamento
statale.
Peraltro, nemmeno in caso di eventi
emergenziali localmente circoscritti l’accesso al Fondo nazionale di protezione
civile risulterebbe rimesso ad una "valutazione politica” del Governo,
dovendosi collegare la possibilità di accesso, prevista dal comma 5-quinquies,
alla circostanza che la Regione interessata abbia effettivamente assunto le
iniziative di sua competenza previste nel comma 5-quater.
A tale proposito, nella citata direttiva
si legge che «le amministrazioni regionali, quindi, potranno richiedere al
Dipartimento della protezione civile l’attivazione delle misure di cui al comma
5-quinquies, attestando di avere concretamente esperito le iniziative di
propria competenza di cui al comma 5-quater […]. Il Dipartimento della
protezione civile verifica la disponibilità del Fondo per la protezione civile
e qualora tale Fondo fosse inadeguato, inoltrerà al Ministero dell’economia e
delle finanze una motivata richiesta di attivazione del Fondo di cui all’art.
28 della legge n. 196 del 2009, fornendo allo stesso Ministero gli elementi
dimostrativi sia del fabbisogno che dell’oggettiva impossibilità di farvi
fronte con l’attivazione delle richiamate iniziative, ai fini della valutazione
circa l’attivazione del Fondo per le spese impreviste».
8.— In prossimità dell’udienza, le Regioni
Liguria, Puglia, Marche, Abruzzo e Toscana hanno depositato memorie nelle quali
contestano quanto affermato dalla difesa statale ed insistono nelle conclusioni
già rassegnate nei rispettivi ricorsi.
Considerato in diritto
1.— Le Regioni Liguria (reg. ric. n. 38
del 2011), Basilicata (reg. ric. n. 39 del 2011), Puglia (reg. ric. n. 40 del
2011), Marche (reg. ric. n. 41 del 2011), Abruzzo (reg. ric. n. 42 del 2011) e
Toscana (reg. ric. n. 43 del 2011) hanno promosso questioni di legittimità
costituzionale dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre
2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di
interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle
famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e
5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225
(Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), per violazione,
nel complesso, degli articoli 1, 2, 3, 23, 77, 117, 118, 119, 121 e 123 della
Costituzione, e del principio di leale collaborazione.
I giudizi, in considerazione della loro
connessione oggettiva devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica
pronuncia.
2.— Preliminarmente, occorre rilevare
che le Regioni Liguria e Basilicata hanno impugnato genericamente i nuovi commi
5-quater e 5-quinquies della legge n. 225 del 1992, mentre le Regioni Puglia,
Marche, Abruzzo e Toscana hanno impugnato l’intero comma 5-quater ed il solo
primo periodo del comma 5-quinquies.
In ogni caso, anche le Regioni Liguria e
Basilicata appuntano, nella sostanza, le proprie censure sul solo primo periodo
del comma 5-quinquies, per cui deve ritenersi che esso costituisca l’oggetto
dell’impugnativa regionale.
3.— La questione sollevata in relazione
all’art. 77, secondo comma, Cost., è ammissibile e fondata.
3.1.— Questa Corte, con giurisprudenza
costante, ha ritenuto ammissibili le questioni di legittimità costituzionale
prospettate da una Regione, nell’ambito di un giudizio in via principale, in
riferimento a parametri diversi da quelli, contenuti nel Titolo V della Parte
seconda della Costituzione, riguardanti il riparto delle competenze tra lo
Stato e le Regioni, quando sia possibile rilevare la ridondanza delle asserite
violazioni su tale riparto e la ricorrente abbia indicato le specifiche
competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 128 del
2011, n. 326
del 2010, n.
116 del 2006, n.
280 del 2004).
Con riferimento all’art. 77 Cost.,
questa Corte ha ribadito in parte qua la giurisprudenza sopra ricordata,
riconoscendo che le Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti
alla pretesa violazione del medesimo art. 77, «ove adducano che da tale
violazione derivi una compressione delle loro competenze costituzionali» (sentenza n. 6 del
2004).
Nella fattispecie, la Regione Liguria,
che ha sollevato questione di legittimità costituzionale per violazione
dell’art. 77, secondo comma, Cost., motiva la ridondanza della suddetta censura
sulle proprie attribuzioni costituzionali, facendo leva sul fatto che le norme
impugnate incidono su un ambito materiale di competenza legislativa concorrente
(«protezione civile»). Attraverso il ricorso al decreto-legge, lo Stato avrebbe
vincolato le Regioni utilizzando uno strumento improprio, ammesso dalla
Costituzione per esigenze del tutto diverse; inoltre, l’approvazione di una
nuova disciplina "a regime”, attraverso la corsia accelerata della legge di
conversione, pregiudicherebbe la possibilità per le Regioni di rappresentare le
proprie esigenze nel procedimento legislativo.
Questa Corte condivide l’individuazione,
operata dalla suddetta ricorrente, dell’ambito materiale di incidenza delle
norme impugnate, con la conseguenza che la violazione denunciata risulta
potenzialmente idonea a determinare una lesione delle attribuzioni
costituzionali delle Regioni (in tal senso, ex plurimis,
sentenze n. 6
del 2004 e n.
303 del 2003).
Ricorrono, quindi, le condizioni per
prendere in esame la questione relativa alla pretesa violazione dell’art. 77,
secondo comma, Cost. da parte delle norme statali impugnate.
3.2.— Preliminarmente, occorre osservare
che le disposizioni oggetto di ricorso sono state introdotte nel corpo del d.l.
n. 225 del 2010 per effetto di emendamenti approvati in sede di conversione.
Esse non facevano parte, pertanto, del testo originario del decreto-legge
sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica.
Va rilevato altresì che le disposizioni
di cui sopra regolano i rapporti finanziari tra Stato e Regioni in materia di
protezione civile non con riferimento ad uno o più specifici eventi calamitosi,
o in relazione a situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento
normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri di
possibili eventi calamitosi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della
legge n. 225 del 1992. Si tratta quindi di una normativa "a regime”, del tutto
slegata da contingenze particolari, inserita tuttavia nella legge di
conversione di un decreto-legge denominato «Proroga di termini previsti da
disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di
sostegno alle imprese e alle famiglie».
Il preambolo di tale atto con forza di
legge così recita: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di
provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di
adottare misure in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle
famiglie, al fine di consentire una più concreta e puntuale attuazione dei
correlati adempimenti». Le disposizioni impugnate sono state inserite, in sede
di conversione, nell’art. 2, nella cui rubrica si legge: «Proroghe onerose di
termini».
Da quanto sopra esposto risulta palese
l’estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del
decreto-legge cosiddetto "milleproroghe”, in quanto
si tratta di un frammento, relativo ai rapporti finanziari, della disciplina
generale e sistematica, tuttora mancante, del riparto delle funzioni e degli
oneri tra Stato e Regioni in materia di protezione civile.
3.3.— Questa Corte ha individuato, tra
gli indici alla stregua dei quali verificare «se risulti evidente o meno la
carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza
di provvedere», la «evidente estraneità» della norma censurata rispetto alla
materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita
(sentenza n. 171
del 2007; in conformità, sentenza n. 128 del
2008).
La giurisprudenza sopra richiamata
collega il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui
all’art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme
contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o
dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del
provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura
unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di
fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono
interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati
all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie
venutesi a determinare.
Da quanto detto si trae la conclusione
che la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge
oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò
solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni,
legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità. Ai sensi del secondo
comma dell’art. 77 Cost., i presupposti per l’esercizio senza delega della
potestà legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua
interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo
scopo.
L’inserimento di norme eterogenee
all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra
la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i
provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale
citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce
sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto
normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato
al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validità
prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra
il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario,
trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da
mera casualità temporale.
L’art. 15, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri) – là dove prescrive che il contenuto del
decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» –
pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi
assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti a questa Corte,
costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77
Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso
straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi
dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa
delegazione da parte del Parlamento.
3.4.— I cosiddetti decreti "milleproroghe”, che, con cadenza ormai annuale, vengono
convertiti in legge dalle Camere, sebbene attengano ad ambiti materiali diversi
ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza
sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti
rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti –
pur attinenti ad oggetti e materie diversi – che richiedono interventi
regolatori di natura temporale. Del tutto estranea a tali interventi è la
disciplina "a regime” di materie o settori di materie, rispetto alle quali non
può valere il medesimo presupposto della necessità temporale e che possono
quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa
legislativa, di cui all’art. 71 Cost. Ove le discipline estranee alla ratio
unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo,
profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere
contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati.
Risulta invece in contrasto con l’art. 77 Cost. la commistione e la
sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei,
in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei.
4.— La necessaria omogeneità del
decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione
all’apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento,
del singolo caso straordinario di necessità e urgenza, deve essere osservata
dalla legge di conversione.
4.1.— Il principio della sostanziale
omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge
è pienamente recepito dall’art. 96-bis, comma 7, del regolamento della Camera
dei deputati, che dispone: «Il Presidente dichiara inammissibili gli
emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla
materia del decreto-legge».
Sulla medesima linea si colloca la
lettera inviata il 7 marzo 2011 dal Presidente del Senato ai Presidenti delle
Commissioni parlamentari, nonché, per conoscenza, al Ministro per i rapporti
con il Parlamento, in cui si esprime l’indirizzo «di interpretare in modo
particolarmente rigoroso, in sede di conversione di un decreto-legge, la norma
dell’art. 97, comma 1, del regolamento, sulla improponibilità di emendamenti
estranei all’oggetto della discussione», ricordando in proposito il parere
espresso dalla Giunta per il regolamento l’8 novembre 1984, richiamato, a sua
volta, dalla circolare sull’istruttoria legislativa nelle Commissioni del 10 gennaio
1997.
Peraltro, il suddetto principio della
sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un
decreto-legge è stato richiamato nel messaggio
del 29 marzo 2002, con il quale il Presidente della Repubblica, ai sensi
dell’art. 74 Cost., ha rinviato alle Camere il disegno di legge di conversione
del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4 (Disposizioni urgenti finalizzate a superare
lo stato di crisi per il settore zootecnico, per la pesca e per l’agricoltura),
e ribadito nella lettera
del 22 febbraio 2011, inviata dal Capo dello Stato ai Presidenti delle
Camere ed al Presidente del Consiglio dei ministri nel corso del procedimento
di conversione del decreto-legge oggetto degli odierni giudizi.
4.2.— Si deve ritenere che l’esclusione
della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge
emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario
non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta
dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di
interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal
Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un
procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario.
Innanzitutto, il disegno di legge di
conversione del decreto-legge appartiene alla competenza riservata del Governo,
che deve presentarlo alle Camere «il giorno stesso» della emanazione dell’atto
normativo urgente. Anche i tempi del procedimento sono particolarmente rapidi,
giacché le Camere, anche se sciolte, sono convocate appositamente e si
riuniscono entro cinque giorni. In coerenza con la necessaria accelerazione del
procedimento, i regolamenti delle Camere prevedono norme specifiche, mirate a
consentire la conversione in legge entro il termine costituzionale di sessanta
giorni.
Il Parlamento è chiamato a convertire, o
non, in legge un atto, unitariamente considerato, contenente disposizioni
giudicate urgenti dal Governo per la natura stessa delle fattispecie regolate o
per la finalità che si intende perseguire. In definitiva, l’oggetto del
decreto-legge tende a coincidere con quello della legge di conversione.
Non si può tuttavia escludere che le
Camere possano, nell’esercizio della propria ordinaria potestà legislativa,
apportare emendamenti al testo del decreto-legge, che valgano a modificare la
disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari
difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista
delle medesime finalità. Il testo può anche essere emendato per esigenze
meramente tecniche o formali. Ciò che esorbita invece dalla sequenza tipica
profilata dall’art. 77, secondo comma, Cost., è l’alterazione dell’omogeneità
di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove
questo, a sua volta, possieda tale caratteristica (in caso contrario, si
porrebbero i problemi esaminati nel paragrafo 3.3 e risolti dalla
giurisprudenza costituzionale ivi richiamata).
In definitiva, l’innesto nell’iter di
conversione dell’ordinaria funzione legislativa può certamente essere
effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il
legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione. Se tale
legame viene interrotto, la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., non deriva
dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee
aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non
possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del
2010), ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la
Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo
tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge.
La Costituzione italiana disciplina,
nelle loro grandi linee, i diversi procedimenti legislativi e pone limiti e
regole, da specificarsi nei regolamenti parlamentari. Il rispetto delle norme
costituzionali, che dettano tali limiti e regole, è condizione di legittimità
costituzionale degli atti approvati, come questa Corte ha già affermato a
partire dalla sentenza
n. 9 del 1959, nella quale ha stabilito la propria «competenza di
controllare se il processo formativo di una legge si è compiuto in conformità
alle norme con le quali la Costituzione direttamente regola tale procedimento».
Considerato che le norme impugnate nel
presente giudizio, inserite nel corso del procedimento di conversione del d.l.
n. 225 del 2010, sono del tutto estranee alla materia e alle finalità del
medesimo, si deve concludere che le stesse sono costituzionalmente illegittime,
per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
5.— Come s’è detto al paragrafo 3.1,
l’ammissibilità della censura riferita alla violazione dell’art. 77, secondo
comma, Cost., dipende dalla denunciata lesione, ad opera delle norme impugnate,
di competenze costituzionalmente tutelate delle Regioni ricorrenti. Lo
scrutinio delle censure di merito dimostra, peraltro, che alcune delle
questioni sollevate sono fondate, come di seguito specificato.
5.1.— Le questioni sollevate in
riferimento all’art. 119, commi primo, quarto e quinto sono fondate.
5.2.— In relazione al primo comma
dell’art. 119 Cost., si deve osservare che le norme impugnate, in quanto
impongono alle Regioni di deliberare gli aumenti fiscali in esse indicati per
poter accedere al Fondo nazionale della protezione civile, in presenza di un
persistente accentramento statale del servizio, ledono l’autonomia di entrata
delle stesse. Parimenti, le suddette norme ledono l’autonomia di spesa, poiché
obbligano le Regioni ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi
statali (Servizio nazionale di protezione civile), per l’esercizio di compiti
istituzionali di questi ultimi, corrispondenti a loro specifiche competenze
fissate nella legislazione vigente.
5.3.— Risulta violato altresì il quarto
comma dell’art. 119 Cost., sotto il profilo del legame necessario tra le
entrate delle Regioni e le funzioni delle stesse, poiché lo Stato, pur
trattenendo per sé le funzioni in materia di protezione civile, ne accolla i
costi alle Regioni stesse.
5.4.— Peraltro, l’obbligo di aumento
pesa irragionevolmente sulla Regione nel cui territorio si è verificato
l’evento calamitoso, con la conseguenza che le popolazioni colpite dal disastro
subiscono una penalizzazione ulteriore. Né vale obiettare – come ha fatto la
difesa statale – che i soggetti danneggiati non verrebbero coinvolti nell’aumento
della pressione fiscale, in quanto per gli stessi è sospeso o differito ogni
adempimento o versamento, ai sensi dell’art. 5, comma 5-ter, della legge n. 225
del 1992. Se infatti gli adempimenti ed i versamenti sono sospesi o differiti,
le obbligazioni cui si riferiscono rimangono valide e vincolanti; tra queste
rientrano gli aumenti tributari previsti dalle norme impugnate, che, scaduti i
termini di sospensione o di differimento, finirebbero per gravare, pro quota,
anche sulle popolazioni colpite dalla catastrofe, le quali dalle istituzioni
riceverebbero in tal modo una risposta non coerente con il dovere di
solidarietà di cui all’art. 2 Cost.
5.5.— Le norme censurate contraddicono
inoltre la ratio del quinto comma dell’art. 119 Cost.: le stesse, anziché
prevedere risorse aggiuntive per determinate Regioni «per provvedere a scopi
diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (quali sono quelli derivanti
dalla necessità di fronteggiare gli effetti sulle popolazioni e sul territorio
di eventi calamitosi improvvisi ed imprevedibili), al contrario, impongono alle
stesse Regioni di destinare risorse aggiuntive per il funzionamento di organi e
attività statali.
6.— La previsione contenuta nel comma
5-quater, secondo cui «il Presidente della regione interessata» è autorizzato a
deliberare gli aumenti fiscali ivi previsti, si pone in contrasto con l’art. 23
Cost., in quanto viola la riserva di legge in materia tributaria, e con l’art.
123 Cost., poiché lede l’autonomia statutaria regionale nell’individuare con
norma statale l’organo della Regione titolare di determinate funzioni (ex plurimis, sentenze n. 201 del
2008, n. 387
del 2007).
7.— Sono assorbiti gli altri profili di
illegittimità costituzionale prospettati dalle Regioni ricorrenti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225
(Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi
urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie),
convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26
febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e
5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225
(Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile).
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 febbraio
2012.