SENTENZA N. 198
ANNO 2012
Commenti alla decisione di
I. Laura Maccarrone, Sui
costi della politica la Corte costituzionale marca la distinzione tra regioni
ordinarie e regioni speciali.
Riflessioni a margine di Corte cost. 20 luglio
2012, n. 198 (per gentile concessione
della Rivista telematica Federalismi.it)
II. Federico Ghera, Limite della
armonia con la Costituzione e leggi ordinarie dello Stato nella sentenza n.
198/2012 della Corte costituzionale, per g.c. della Rivista
AIC
III. Marco Olivetti, Il colpo di
grazia. L’autonomia statutaria delle Regioni ordinarie dopo la sentenza n. 198
del 2012 (per gentile concessione della Rivista telematica Amministrazione in cammino)
IV. Lara Trucco, Materia elettorale e forme di
governo regionali tra principi costituzionali e politiche di contenimento della
spesa nelle decisioni n. 151 e n. 198 del 2012 della Corte costituzionale (nella Rubrica Studi e Commenti della
Sezione Studi di questa , 2013)
V. Fabio Corvaja, Statuti
regionali e "leggi della Repubblica” (per g.c.
del Forum di Quaderni
Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO
Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 14,
commi 1 e 2, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 e dell’articolo 30, comma
5, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012), promossi
dalla Regione Lazio, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, dalla Regione Basilicata, dalla Provincia autonoma di Trento, dalla
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dalle Regioni Emilia-Romagna,
Veneto, Umbria, dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalle Regioni Campania,
Lombardia, Calabria, dalla Regione autonoma della Sardegna e dalla Regione
Veneto, notificati il 14-16, il 15, il 17, il 15-17, il 17, il 15 novembre 2011
ed il 13 gennaio 2012, depositati in cancelleria il 18, il 23, il 24 novembre
2011 ed il 18 gennaio 2012, rispettivamente iscritti ai nn.
134, 135, 136, 142, 143, 144, 145, 147, 152, 153, 155, 158 e 160 del registro
ricorsi 2011 ed al n. 11 del registro ricorsi 2012.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2012 il Giudice
relatore
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon
per la Provincia autonoma di Trento e la Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol, Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per le Regioni Emilia-Romagna e Umbria,
Ritenuto in fatto
1.— Le Regioni Lazio
(reg. ric. n. 134 del 2011), Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
(reg. ric. n. 135 del 2011), Basilicata (reg. ric. n. 136 del 2011), Trentino
Alto-Adige/Südtirol (reg. ric. n. 143 del
2011), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 144 del 2011), Veneto (reg. ric. n. 145 del
2011), Umbria (reg. ric. n. 147 del 2011), Campania (reg. ric. n. 153 del
2011), Calabria (reg. ric. n. 158 del 2011) e Sardegna (reg. ric. n. 160 del
2011), nonché le Province di Trento (reg. ric. n. 142 del 2011) e di Bolzano
(reg. ric. n. 152 del 2011) hanno impugnato, fra l’altro, l’articolo 14 del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
1.1.— I parametri
invocati nei ricorsi, nel complesso, sono gli artt. 3, 70, 77, 97, 100, 103, 114, 116, 117, 119, 121, 122 e 123 della Costituzione,
nonché il principio di leale collaborazione e l’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione).
In particolare, la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
lamenta la violazione degli articoli 2, primo comma, lettera a), 15, 16 e 25 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta),
e del decreto legislativo 5 ottobre 2010, n. 179 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste
concernenti l’istituzione di una sezione di controllo della Corte dei conti).
Il Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province di Trento e di Bolzano deducono
la violazione degli articoli 4, numero 1), 8, numero 1), 25, 36, 47, 48,
69, 75, 79, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31
agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e delle relative norme
di attuazione: il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il
rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché
la potestà statale di indirizzo e coordinamento), il decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), e il
decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per
2.— Le disposizioni
censurate riguardano il numero dei consiglieri e degli assessori regionali,
nonché l’indennità e il trattamento previdenziale dei consiglieri, e prevedono,
altresì, l’istituzione, da parte delle Regioni, di un Collegio dei revisori dei
conti, quale organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed
economica della gestione dell’ente.
2.1.— In particolare,
ai sensi dell’articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011, «[p]er il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell’ambito
del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni, ai fini della
collocazione nella classe di enti territoriali più virtuosa di cui all’articolo
20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto dei
parametri già previsti dal predetto articolo 20, debbono adeguare, nell’ambito
della propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti ai
seguenti ulteriori parametri:
a) previsione che
il numero massimo dei consiglieri regionali, ad esclusione del Presidente della
Giunta regionale, sia uguale o inferiore a 20 per le Regioni con popolazione fino
ad un milione di abitanti; a 30 per le Regioni con popolazione fino a due
milioni di abitanti; a 40 per le Regioni con popolazione fino a quattro milioni
di abitanti; a 50 per le Regioni con popolazione fino a sei milioni di
abitanti; a 70 per le Regioni con popolazione fino ad otto milioni di abitanti;
a 80 per le Regioni con popolazione superiore ad otto milioni di abitanti. La
riduzione del numero dei consiglieri regionali rispetto a quello attualmente
previsto è adottata da ciascuna Regione entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto e deve essere efficace dalla prima legislatura
regionale successiva a quella della data di entrata in vigore del presente
decreto. Le Regioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto,
abbiano un numero di consiglieri regionali inferiore a quello previsto nella
presente lettera, non possono aumentarne il numero;
b) previsione che
il numero massimo degli assessori regionali sia pari o inferiore ad un quinto
del numero dei componenti del Consiglio regionale, con arrotondamento all’unità
superiore. La riduzione deve essere operata entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto e deve essere efficace, in ciascuna
regione, dalla prima legislatura regionale successiva a quella in corso alla
data di entrata in vigore del presente decreto;
c) riduzione a
decorrere dal 1° gennaio
d) previsione che
il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato
all’effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale;
e) istituzione, a
decorrere dal 1° gennaio 2012, di un Collegio dei revisori dei conti, quale organo
di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della
gestione dell’ente; il Collegio, ai fini del coordinamento della finanza
pubblica, opera in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti; i componenti di tale Collegio sono scelti mediante estrazione da un
elenco, i cui iscritti devono possedere i requisiti previsti dai principi
contabili internazionali, avere la qualifica di revisori legali di cui al
decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, ed essere in possesso di specifica
qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione
economica e finanziaria anche degli enti territoriali, secondo i criteri
individuati dalla Corte dei conti;
f) passaggio,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con
efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva a quella in
corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, al sistema
previdenziale contributivo per i consiglieri regionali».
2.2.— L’articolo 14,
comma 2, del decreto-legge n. 138 del 2011 prevede che «[l]’adeguamento ai
parametri di cui al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle
province autonome di Trento e di Bolzano costituisce condizione per
l’applicazione dell’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti
di quelle Regioni a statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato,
ai sensi del citato articolo 27, assicura il conseguimento degli obiettivi
costituzionali di perequazione e di solidarietà, ed elemento di riferimento per
l’applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa
vigente». L’art. 27 della legge n. 42 del 2009, intitolato «Coordinamento della
finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome», prevede,
al primo comma, che «[l]e regioni a statuto speciale e le province autonome di
Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio
dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e
all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo
criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da
definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, e secondo il
principio del graduale superamento del criterio della spesa storica di cui
all’articolo 2, comma 2, lettera m)».
2.3.— L’art. 30 della
legge n. 183 del 2011, impugnato dalla sola Regione Veneto, ha modificato il
primo alinea dell’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011,
sostituendo la formulazione originaria secondo cui le Regioni dovevano adeguare
i rispettivi ordinamenti ai parametri elencati alle lettere successive «ai fini
della collocazione nella classe di enti territoriali più virtuosa di cui
all’articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto dei
parametri già previsti dal predetto articolo 20», con la seguente: «[p]er il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell’ambito
del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni adeguano, nell’ambito
della propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti ai
seguenti ulteriori parametri».
3.—
Si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le censure siano dichiarate inammissibili
per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto l’art. 30 della legge n. 183
del
4.— La Regione autonoma
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
(reg. ric. n. 135 del 2011) ha impugnato l’art. 14 del decreto-legge n. 138 del
4.1.— La ricorrente
lamenta, in primo luogo, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.,
poiché la disposizione impugnata conterrebbe norme di dettaglio nella materia
concorrente «coordinamento della finanza pubblica». L’art. 14, inoltre, si
porrebbe in contrasto con le norme dello statuto in materia di forma di governo:
in particolare, con l’art. 15, che demanda alla legge regionale la forma di
governo regionale e le modalità di elezione degli assessori, con l’art. 16, che
fissa in trentacinque il numero dei consiglieri regionali, e con l’art. 25, che
affida alla legge regionale la determinazione delle indennità degli stessi
consiglieri. L’art. 14, comma 1, lettera e),
del decreto-legge n. 138 del 2011, poi, nella parte in cui istituisce il
Collegio dei revisori dei conti, violerebbe l’art. 2, primo comma, lettera a) dello statuto speciale e le relative
norme di attuazione contenute nel decreto legislativo n. 179 del
4.2.— Si è costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile e, comunque, non fondato. In via preliminare, la difesa dello
Stato chiede che la censura relativa all’art. 14 del decreto-legge n. 138 del
2011 sia dichiarata inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse a
ricorrere, in ragione della modifica intervenuta ad opera dell’art. 30 della
legge n. 183 del 2011.
Nel merito, la difesa
dello Stato sostiene che la disposizione impugnata non lederebbe l’autonomia
finanziaria della ricorrente, in quanto i parametri indicati dall’art. 14,
«seppur specifici, rientrano in quelle disposizioni atte a dare concreta
effettività al patto di stabilità» e, quindi, costituirebbero principi di
coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, la norma censurata non
modificherebbe l’assetto organizzativo della Regione e non ne lederebbe
l’autonomia organizzativa, garantiti dagli artt. 15, 16 e 25 dello statuto
speciale, in quanto l’adeguamento ai parametri indicati dall’art. 14, comma 1,
varrebbe «quale condizione per l’applicazione dell’art. 27» della legge n. 42
del 2009 e come «riferimento per l’applicazione di misure premiali e
sanzionatorie».
5.—
Si è costituito in giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che tali censure siano
dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate. Innanzitutto, si eccepisce
l’inammissibilità del ricorso per l’assoluta genericità delle censure
sollevate. Inoltre, si rileva che, a seguito dell’approvazione dell’art. 30
della legge n. 183 del 2011, che ha modificato l’art. 14, comma 1, del
decreto-legge n. 138 del 2011, le doglianze regionali sarebbero «comunque superate».
Nel merito, le disposizioni censurate lascerebbero alle Regioni un ampio
margine di scelta, nel rispetto del vincolo stabilito dal legislatore statale.
6.— La Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol (reg. ric. n. 143 del 2011) ha impugnato l’art.
14, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 2011, per violazione degli artt. 117,
sesto comma, e 119 Cost., degli artt. 4, numero 1), 24, 25, 36, 48, 69, 79,
103, 104 e 107 dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione
(decreto legislativo n. 266 del 1992, decreto legislativo n. 268 del 1992, e
decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1988), nonché dei principi di ragionevolezza e leale collaborazione.
6.1.— In primo luogo,
la disposizione impugnata, stante il carattere dettagliato delle misure
previste, lederebbe l’autonomia finanziaria della Regione, in violazione
dell’art. 119 Cost. e dell’art. 79 dello statuto. Inoltre, sarebbero violati
anche gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto e il principio di leale collaborazione, «perché una fonte primaria
ordinaria, adottata unilateralmente, ha derogato ad una norma statutaria,
adottata con la speciale procedura di cui all’art. 104».
In secondo luogo,
l’art. 14, comma 2, violerebbe le norme dello statuto che disciplinano la forma
di governo della Regione (in particolare, con gli artt. 25 e 36, riguardanti il
numero dei consiglieri e assessori regionali, e con l’art. 4, numero
In terzo luogo, la
norma censurata, nella parte in cui prevede l’istituzione del Collegio dei
revisori dei conti (comma 1, lettera e),
invaderebbe un settore di competenza delle norme di attuazione, così violando
l’art. 107 dello statuto e il d.P.R. n. 305 del 1988
(in particolare, l’art. 10, comma 3-ter,
che considera come facoltativa la richiesta di ulteriori forme di
collaborazione con le sezioni della Corte dei conti), nonché l’art. 4, numero
1), dello statuto, in quanto interverrebbe in una materia – l’ordinamento degli
uffici – di competenza regionale. Inoltre, la stessa disposizione si porrebbe
in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe a un
organo statale un potere normativo secondario, e con l’art. 2 del d.lgs. n. 266
del 1992, «che ritiene solo gli atti legislativi statali idonei a far sorgere
un dovere di adeguamento».
6.2.— Si è costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile e, comunque, nel merito non fondato. In via preliminare, la
difesa dello Stato eccepisce l’inammissibilità per genericità della
formulazione delle censure relative all’art. 69 dello statuto e agli artt. 9,
10 e 10-bis del d.lgs. n. 268 del
1992, indicate nell’epigrafe del ricorso. Con riguardo alle rimanenti censure,
l’Avvocatura generale dello Stato chiede che siano dichiarate inammissibili per
sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere, a seguito della modifica
introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011.
6.3.— Con memoria
depositata il 29 maggio 2012, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol,
innanzi tutto, precisa che le censure rispetto alle quali l’Avvocatura generale
dello Stato ha eccepito l’inammissibilità per genericità sono riferite a un diverso
motivo di ricorso, riguardante altra disposizione. Inoltre, a proposito della
modifica dell’art. 14, comma 1, del d.l. n. 138 del
2011 apportata dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011, la
ricorrente sostiene che essa non può ritenersi satisfattiva, in quanto l’art.
14, comma 2, rimasto immutato, continua a prevedere che l’adeguamento ai
parametri previsti dal comma 1 resta «elemento di riferimento per
l’applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa
vigente».
7.—
7.1.— La ricorrente
lamenta, innanzitutto, la violazione dell’art. 123 Cost., in quanto la
composizione dell’organo legislativo regionale costituirebbe una scelta
fondamentale che attiene alla forma di governo, la cui determinazione spetta
agli statuti regionali, assoggettati «al solo criterio della "armonia con la
Costituzione”», talchè la norma censurata eccederebbe
limiti della potestà legislativa dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.).
Sarebbe altresì lesa l’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost.,
negandosi alla Regione la possibilità di scegliere le modalità per raggiungere
gli obiettivi di finanza pubblica fissati dalla disciplina del patto di
stabilità. La disposizione censurata, poi, lederebbe l’art. 117, terzo comma,
Cost., in quanto prevederebbe regole di dettaglio in materia di coordinamento
della finanza pubblica.
In subordine, la
Regione rileva che la disposizione censurata richiede di ridurre il numero dei
consiglieri e degli assessori regionali entro sei mesi dall’entrata in vigore
del decreto stesso. Tale termine può essere rispettato solo laddove le
modifiche non richiedano una revisione statutaria, per la quale è previsto un iter di approvazione suscettibile di
richiedere tempi più lunghi. La disposizione censurata, sanzionando la Regione
per una circostanza della quale essa non dispone, sarebbe illegittima in quanto
palesemente irragionevole.
La ricorrente rileva
poi che la lettera e) dell’art. 14,
comma 1, relativa all’obbligo di istituzione di un Collegio dei revisori dei
conti che operi in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti, violerebbe l’art. 121 Cost., che individua direttamente gli organi
necessari delle Regioni (Presidente, Giunta e Consiglio), in quanto il
legislatore statale ordinario difetterebbe «di qualsivoglia competenza in
ordine alla stessa previsione/imposizione del nuovo organo quale componente
necessaria dell’organizzazione regionale». Ad avviso della Regione, la
disposizione censurata determinerebbe l’affidamento alla Corte dei conti di
poteri di natura regolamentare il cui esercizio «snatura la funzione della
Corte dei conti quale organo di controllo e giurisdizionale» e costituirebbe
quindi violazione degli artt. 100, secondo comma, e 103, secondo comma, Cost.
La disposizione si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 117, commi terzo e
sesto, Cost., in quanto lo Stato, essendo privo di potestà regolamentare nelle
materie concorrenti, non potrebbe demandarla all’organo di controllo.
La ricorrente, inoltre,
deduce nello specifico l’illegittimità dell’ultimo periodo della lettera a) dell’art. 14, comma 1, ai sensi del
quale «[l]e Regioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto,
abbiano un numero di consiglieri regionali inferiore a quello previsto nella
presente lettera, non possono aumentarne il numero». Ad avviso della
ricorrente, tale previsione, ledendo i principi di razionalità e di
eguaglianza, violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., dato che «una Regione non
sarebbe neppure libera di determinare un numero di consiglieri regionali che la
stessa legge statale mostra di giudicare congruo, per la sola ragione che con
precedente scelta la Regione stessa aveva determinato un numero inferiore».
Infine, ad avviso della
Regione la disposizione censurata violerebbe l’art. 77 Cost., in quanto,
stabilendo il termine stringente di sei mesi per l’adozione delle modifiche, ma
rinviandone l’efficacia alla successiva legislatura regionale, difetterebbe dei
requisiti della straordinaria necessità e dell’urgenza.
7.2.— Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che le censure siano respinte. Le
motivazioni addotte corrispondono a quelle sostenute dalla difesa dello Stato
con riguardo al ricorso della Regione Basilicata. Le censure regionali
sarebbero, comunque, da ritenersi superate, in ragione della sopravvenuta
modifica dell’art. 14 del d.l. n. 138 del 2011 ad
opera dell’art. 30 della l. n. 183 del 2011.
7.3.— Con memoria
depositata il 29 maggio 2012,
8.—
Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la censura sia dichiarata
inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione della modifica
introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011.
9.—
Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che la censura sia dichiarata
inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione della modifica
introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011.
Con memoria depositata
il 28 maggio 2012,
10.—
Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la censura relativa
all’art. 14 del decreto-legge n. 138 del 2011 sia dichiarata inammissibile per
sopravvenuta carenza di interesse, in ragione della modifica introdotta
dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011.
11.—
11.1.— Innanzitutto, la
disposizione censurata, introducendo misure di dettaglio in materia di
coordinamento della finanza pubblica e incidendo sulle competenze regionali
residuali, violerebbe l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. In secondo luogo,
l’art. 14 del decreto-legge n. 138 del 2011, dettando disposizioni relative
alla forma di governo regionale, sarebbe in contrasto con gli artt. 122 e 123
Cost. Infine, l’istituzione di un Collegio dei revisori dei conti, prevista
dall’art. 14, comma 1, lettera e),
violerebbe l’art. 121 Cost., dato che la previsione di organi regionali
ulteriori rispetto a quelli necessari, espressamente elencati, sarebbe
integralmente rimessa allo statuto regionale.
11.2.— Il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che le censure sollevate
siano dichiarate inammissibili per difetto di interesse, in ragione della
modifica introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011.
11.3.— Con memoria del
29 maggio 2012,
12.—
12.1.— Innanzitutto, la
ricorrente lamenta la violazione dell’art. 77 Cost., per assenza dei requisiti
di straordinaria necessità e urgenza, e dell’art. 70 Cost., in quanto in tal
modo le Camere sarebbero state espropriate della funzione legislativa. In
secondo luogo, la disposizione censurata violerebbe gli artt. 122 e 123 Cost.,
in quanto inciderebbe sulla forma di governo della Regione. Anche la previsione
di un Collegio dei revisori dei conti, di cui alla lettera e) del comma 1 dell’art. 14, inciderebbe sulla riserva statutaria
prevista dall’art. 123 Cost. e lederebbe la competenza regionale in materia di
organizzazione degli uffici regionali (art. 117, quarto comma, Cost.).
12.2.— Si è costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le censure sollevate siano
dichiarate inammissibili per difetto di interesse, in ragione della modifica
introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011.
Nel merito, la difesa
dello Stato osserva che la disposizione censurata lascia «ampi margini di
scelta, nel rispetto dei vincoli quantitativi e dei tetti massimi predefiniti
dal legislatore statale, circa le determinazioni inerenti la composizione
numerica degli organi regionali», nonché «circa le modalità con cui dare
attuazione alla riduzione della spesa prevista dal legislatore statale».
12.3.—
13.— La Regione
autonoma Sardegna (reg. ric. n. 160 del 2011) ha impugnato l’art. 14 del
decreto-legge n. 138 del 2011, per violazione degli artt. 3, 116 e 119 Cost.,
degli artt. 15 e 16 dello statuto, nonché del principio di ragionevolezza.
13.1.— La disposizione
impugnata violerebbe gli artt. 3 e 119 Cost., «perché la doverosa applicazione
del principio di perequazione è irragionevolmente subordinata alla rinuncia
della Regione alla sua autonomia costituzionalmente garantita». Inoltre,
l’irragionevolezza della disposizione impugnata deriverebbe dalla previsione
del termine di sei mesi previsto per l’adeguamento, in quanto la riforma
statutaria «può avvenire solo con il procedimento stabilito per la revisione
costituzionale» e, dunque, non sarebbe nella disponibilità della Regione.
L’art. 14 interferirebbe, poi, con la competenza regionale in materia di
determinazione della forma di governo della Regione, dei rapporti fra i suoi
organi e di definizione del numero di consiglieri, violando così gli artt. 15 e
16 dello statuto, nonché l’art. 116 Cost.
13.2.— Si è costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che, a seguito della modifica
introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011, le censure
sollevate siano dichiarate inammissibili per difetto di interesse.
13.3.— Con memoria
depositata il 29 maggio 2012, la Regione autonoma della Sardegna deduce il
carattere non satisfattivo dello ius superveniens, ribadendo la fondatezza delle censure
prospettate nel ricorso.
14.— La Provincia
autonoma di Trento (reg. ric. n. 142 del 2011) ha impugnato l’art. 14, comma 2,
del decreto-legge n. 138 del 2011, per violazione degli artt. 117, comma sesto,
e 119 Cost., degli artt. 4, numero 1), 47, 48, 75, 79, 103, 104 e 107 dello
statuto speciale, degli artt. 9, 10, 10-bis
del decreto legislativo n. 268 del 1992, dell’art. 2 del decreto legislativo n.
266 del 1992, e degli artt. 2, 6 e 10 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 305 del 1988, nonché del
principio di leale collaborazione, con le medesime argomentazioni
addotte dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (reg. ric. n. 143
del 2011). Inoltre, la Provincia autonoma lamenta che la disposizione censurata
violerebbe l’art. 48 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige/Südtirol, in quanto una legge ordinaria inciderebbe sulla determinazione
del numero dei membri del Consiglio provinciale prevista da una legge
costituzionale quale è lo statuto, e con l’art. 47, secondo comma, dello stesso
statuto, in quanto interferirebbe con la speciale competenza legislativa di
integrazione della disciplina statutaria in materia di «forma di governo della
Provincia».
Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che, a sèguito
della modifica introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011,
le censure sollevate siano dichiarate inammissibili per difetto di interesse.
Nel merito, la difesa dello Stato sostiene che la norma contestata, nella sua
attuale formulazione, «prevede solamente che l’adeguamento da parte delle
Regioni [e delle Province autonome] ai succitati parametri avvenga nell’ambito
della loro autonomia statutaria e legislativa, nel rispetto, quindi, delle loro
prerogative costituzionalmente sancite».
Con memoria depositata
il 29 maggio 2012, la Provincia autonoma di Trento osserva che la modifica
introdotta con l’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011 non può ritenersi
satisfattiva, in quanto interessa il comma 1 dell’art. 14, e non il comma 2,
impugnato dalla ricorrente. Per le Regioni e le Province ad autonomia
differenziata l’adeguamento a quei parametri continuerebbe ad essere «elemento
di riferimento per l’applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste
dalla normativa vigente», determinando anzi «una condizione deteriore rispetto
alle stesse Regioni ordinarie».
15.— La Provincia
autonoma di Bolzano (reg. ric. n. 152 del 2011), ha impugnato l’art. 14, comma
2, del decreto-legge n. 138 del 2011, per violazione degli artt. 24, 25, 47,
48, 79, 103, 104 e 107 dello statuto speciale; delle relative norme di
attuazione (decreto legislativo n. 266 del 1992, decreto legislativo n. 268 del
1992 e d.P.R. n. 305 del 1988); nonché dei principi di ragionevolezza e leale collaborazione.
15.1.— Innanzitutto, la
disposizione impugnata violerebbe l’autonomia finanziaria della Provincia
autonoma, sancita dall’art. 79, comma 4, dello statuto, e sarebbe in contrasto
con gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto, poiché il legislatore statale
modificherebbe l’ordinamento finanziario provinciale senza ricorrere alla
procedura rinforzata prevista per le leggi costituzionali.
Inoltre, l’art. 14,
comma 2, si porrebbe in contrasto con gli artt. 24, 25, 47, 48 e 103 dello
statuto che disciplinano la forma di governo delle Province autonome (in
particolare, la determinazione della forma di governo della Provincia,
l’elezione del Consiglio provinciale e degli assessori, e la composizione del
Consiglio regionale e dei Consigli provinciali). L’art. 14, poi, nella parte in
cui prevede la riduzione degli emolumenti e delle utilità dei consiglieri
regionali (comma 1, lettera c),
lederebbe una competenza riservata alla Regione e alle Province autonome.
Infine, la norma
censurata, nella parte in cui dispone l’istituzione del Collegio dei revisori
dei conti, si porrebbe in contrasto con le norme di attuazione dello statuto
contenute nel d.P.R. n. 305 del 1988, poiché
violerebbe la competenza della provincia in materia di procedimenti di
controllo contabile.
15.2.— Si è costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che, a sèguito
della modifica introdotta dall’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011,
le censure sollevate siano dichiarate inammissibili per difetto di interesse.
15.3.— Con memoria
depositata il 29 maggio 2012, la Provincia autonoma di Bolzano afferma che la
modifica intervenuta con l’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011, non
avrebbe carattere satisfattivo, dato che essa non incide sull’art. 14, comma 2,
del decreto-legge n. 138 del 2011, applicabile alle Regioni a statuto speciale,
e insiste per l’accoglimento delle censure sollevate.
16.—
16.1.— Ad avviso della
ricorrente, in base alla modifica apportata dall’art. 30, comma 5, della legge
n. 183 del 2011, «quelle che potevano essere considerate facoltà, o, per meglio
dire oneri per le Regioni (…) sono oggi puri e semplici obblighi». Di conseguenza,
la Regione ribadisce i motivi di illegittimità proposti con il ricorso avverso
l’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011, nella sua originaria
formulazione (reg. ric. n. 145 del 2011).
16.2.— Il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile, e, nel merito, non fondato.
16.3.— Con memoria
depositata il 29 maggio 2012,
Considerato in diritto
1.— Con più ricorsi,
diverse Regioni hanno impugnato, fra l’altro, l’articolo 14 del decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, che detta
misure riguardanti il numero dei
consiglieri e degli assessori regionali, nonché il trattamento economico e
previdenziale dei consiglieri, e prevede l’istituzione di un Collegio dei
revisori dei conti.
1.1.— In particolare,
le Regioni Basilicata (reg. ric. n. 136 del 2011), Campania (reg. ric. n. 153
del 2011), Lombardia (reg. ric. n. 155 del 2011), Calabria (reg. ric. n. 158
del 2011) e la Regione autonoma Sardegna (reg. ric. n. 160 del 2011) hanno
impugnato l’intero articolo 14 del decreto-legge n. 138 del 2011. Le Regioni
Lazio (reg. ric. n. 134 del 2011), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 144 del 2011),
Umbria (reg. ric. n. 147 del 2011), e Veneto (reg. ric. n. 145 del 2011) hanno
impugnato il solo comma 1 (la Regione Veneto, limitatamente alle lettere a, b,
c, d ed e), mentre le
Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 135 del 2011) e Trentino Alto-Adige/Südtirol (reg. ric. n. 143 del 2011),
nonché le Province autonome di Trento (reg. ric. n. 142 del 2011) e Bolzano
(reg. ric. n. 152 del 2011) hanno impugnato il solo comma 2.
1.2.— Con il ricorso n.
11 del 2012, la Regione Veneto ha impugnato l’articolo 30 della legge 12
novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato — Legge di stabilità 2012), che ha parzialmente
modificato l’articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011.
1.3.— I parametri
invocati nei ricorsi sono gli articoli 3,
70, 77, 97, 100, 103, 114, 116, 117,
119, 121, 122 e 123 della Costituzione, nonché il principio di leale
collaborazione e l’articolo 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione).
In particolare, la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
lamenta la violazione degli articoli 2, primo comma, lettera a), 15, 16 e 25 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta),
e del decreto legislativo 5 ottobre 2010, n. 179 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste
concernenti l’istituzione di una sezione di controllo della Corte dei conti).
Il Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province di Trento e di Bolzano deducono
la violazione degli articoli 4, numero 1), 8, numero 1), 25, 36, 47, 48,
69, 75, 79, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31
agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e delle relative
norme di attuazione: il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il
rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché
la potestà statale di indirizzo e coordinamento), il decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), e il d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto
Adige per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di
Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto). La Regione autonoma
della Sardegna lamenta la violazione degli articoli 15 e 16 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
1.4.— Riservata a
separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni
contenute nel decreto-legge n. 138 del 2011, vengono in esame in questa sede le
questioni relative all’articolo 14 del medesimo decreto-legge.
I giudizi, così
separati e delimitati, in considerazione della loro connessione oggettiva,
devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.
2.— Successivamente
alla presentazione dei ricorsi, l’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del
2011, ha modificato il primo alinea dell’art. 14, comma 1, del decreto-legge n.
138 del 2011, che, nella sua formulazione originaria, prevedeva che le Regioni
dovessero adeguare i rispettivi ordinamenti ai parametri elencati dal medesimo
articolo «ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali più virtuosa
di cui all’articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al
rispetto dei parametri già previsti dal predetto articolo 20». Al meccanismo
premiale – rappresentato dal collegamento tra l’adeguamento a detti parametri
da parte delle Regioni e la collocazione nella classe di enti territoriali più
virtuosa – si sostituisce la previsione «le Regioni adeguano i rispettivi
ordinamenti ai parametri previsti dal comma 1», in forza della quale tali
misure hanno efficacia diretta nei confronti delle Regioni.
La modifica normativa,
quindi, non ha carattere satisfattivo e non determina la cessazione della
materia del contendere. Di conseguenza, l’eccezione sollevata dall’Avvocatura
generale dello Stato per sopravvenuta carenza di interesse delle ricorrenti non
può essere accolta e la questione
proposta con i ricorsi nn. 134, 135, 136, 142, 143,
144, 145, 147, 152, 153, 155, 158 e 160 del 2011 si intende trasferita al testo
vigente dell’art. 14 del decreto-legge n. 138 del 2011. Anche la questione
sollevata con il ricorso n. 11 del 2012, con il quale la Regione Veneto ha
autonomamente impugnato l’art. 30, comma 5, della legge n. 183 del 2011,
nella parte in cui modifica l’art. 14
del decreto-legge n. 138 del 2011, si intende trasferita su quest’ultimo
articolo, nella sua attuale formulazione.
3.— In via preliminare,
vanno dichiarate inammissibili alcune censure.
3.1.— È inammissibile,
per inconferenza del parametro invocato, la censura
relativa alla violazione dell’art. 114 Cost., presentata dalla Regione
Basilicata, secondo la quale il legislatore statale avrebbe voluto
«ripristinare quella distinzione tra gli enti territoriali tipica della
superata "centralità”».
3.2.— Sono
inammissibili le censure, prospettate dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria,
relative alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in base alle quali l’art.
14, comma 1, del decreto-legge n.
138 del 2011, prevedendo che le Regioni con un numero di consiglieri regionali
inferiore a quello indicato dall’articolo stesso, non possono aumentarlo,
lederebbe i principi di razionalità e di eguaglianza. La censura relativa alla
violazione dell’art. 3 Cost. è inammissibile per difetto di interesse, in
quanto nessuna Regione ha attualmente un numero di consiglieri inferiore a
quello, previsto dall’art. 14 del decreto-legge
n. 138 del 2011. La censura riferita all’art. 97 Cost., invece, è
inammissibile per difetto assoluto di motivazione.
3.3.— Sono
inammissibili le censure relative all’art. 77 Cost., prospettate dalle Regioni
Calabria, Emilia-Romagna e Umbria, e all’art. 70, censura sollevata dalla sola
Regione Calabria. Secondo le ricorrenti, la previsione, contenuta nell’art. 14,
comma 1, del decreto-legge n.
138 del 2011, secondo la quale la riduzione dei consiglieri e degli assessori
deve essere adottata entro sei mesi, ma l’efficacia di tale modifica è rinviata
alla successiva legislatura regionale, violerebbe l’art. 77 Cost., in quanto
difetterebbe dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza e in quanto,
configurando un uso illegittimo della decretazione d’urgenza, contrasterebbe –
secondo la Regione Calabria – con l’assegnazione alle Camere della funzione
legislativa, in violazione dell’art. 70 Cost. Al riguardo, deve richiamarsi il
consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale le Regioni possono
invocare, nel giudizio di costituzionalità in via principale, parametri diversi
da quelli contenuti nel Titolo V della Parte II della Costituzione a condizione
che la lamentata violazione ridondi sul riparto di competenze legislative tra
Stato e Regioni (sentenze n. 33 del 2011,
n. 156, n. 52 e n. 40 del 2010,
n. 341 del 2009).
Nel caso di specie, le ricorrenti non spiegano in che modo l’asserita
violazione degli artt. 70 e 77 Cost. determini una compressione delle
competenze delle Regioni.
3.4.— Sono
inammissibili le censure relative alla violazione del principio di leale
collaborazione, prospettate dalle Regioni Calabria e Trentino-Alto
Adige/Südtirol e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, con riguardo
all’art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge
n. 138 del 2011, perché non viene fornita alcuna motivazione di tale
violazione (ex plurimis,
sentenze n. 185,
n. 129, n. 114 e n. 8 del 2011).
3.5.— Sono
inammissibili le censure fondate sulla
violazione degli artt. 4, numero 1), 8, numero 1), 69 e 75 dello Statuto del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in quanto tali parametri non sono
richiamati nella delibera degli enti regionali e provinciali competenti. È
necessario, infatti, che vi sia corrispondenza tra il contenuto di tali delibere
e l’oggetto del ricorso, al fine di salvaguardare la volontà politica
dell’organo legittimato a proporlo (da ultimo, sentenza n. 205 del
2011), e tale principio non riguarda solamente l’individuazione della norma
censurata, ma anche l’esatta delimitazione dei parametri del ricorso (sentenze n. 311 e n. 27 del 2008,
nonché n. 453
del 2007).
4.— Nel merito, le
censure prospettate possono essere suddivise in due gruppi: il primo relativo
all’art. 14, comma 2, che riguarda le sole Regioni a statuto speciale e le
Province autonome; il secondo all’art. 14, comma 1.
5.— L’art. 14, comma 2,
del decreto-legge n. 138 del 2011, in base al quale l’adeguamento ai parametri
previsti dal comma 1 del medesimo articolo è «condizione per l’applicazione»
dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009 ed «elemento di riferimento per
l’applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa
vigente», è impugnato dalle Regioni
autonome Sardegna, Trentino-Alto Adige/Südtirol e Valle d’Aosta//Vallée d’Aoste, nonché dalle
Province di Trento e di Bolzano per
violazione degli artt. 3, 116, 117, commi terzo e sesto, e 119 Cost.
Tutte le ricorrenti lamentano, inoltre, la violazione delle disposizioni dei
rispettivi statuti relative alla forma di governo della Regione e delle
Province autonome, alla modalità di elezione dei consiglieri e degli assessori
regionali e provinciali, al numero e all’indennità dei consiglieri (artt. 14,
15, 16 e 25 dello Statuto della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;
artt. 24, 25, 36, 47 e 48 dello Statuto del Trentino-Alto Adige/Südtirol; artt.
15 e 16 dello Statuto della Regione Sardegna). Infine, ad avviso della Regione
autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di
Bolzano, la violazione delle disposizioni statutarie avrebbe l’effetto di
modificare in via diretta la composizione degli organi di governo della Regione
e delle Province, violando così gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto
regionale, che disciplinano il procedimento di modifica dello stesso statuto.
La questione è fondata.
La disciplina relativa
agli organi delle Regioni a statuto speciale e ai loro componenti è contenuta
nei rispettivi statuti. Questi, adottati con legge costituzionale, ne
garantiscono le particolari condizioni di autonomia, secondo quanto disposto
dall’art. 116 Cost. L’adeguamento da parte delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome ai parametri di cui all’art. 14, comma 1, del
decreto-legge n. 138 del 2011 richiede, quindi, la modifica di fonti di rango
costituzionale. A tali fonti una legge ordinaria non può imporre limiti e
condizioni. Non a caso, l’art. 19-bis
del decreto-legge n. 138 del 2011, non impugnato, stabilisce che «l’attuazione
delle disposizioni» di tale decreto-legge da parte delle Regioni a statuto
speciale deve avvenire «nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di
attuazione e secondo quanto previsto» dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Va quindi dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, del decreto-legge n. 138
del 2011, per violazione dell’art. 116 Cost. Restano assorbiti gli ulteriori
profili di censura, ivi inclusi quelli prospettati dalle Regioni a statuto
speciale e dalle Province autonome in riferimento alle disposizioni dell’art.
14, comma 1, del medesimo decreto-legge.
6.— La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del
2011, sollevata dalle Regioni a statuto ordinario, si articola in tre gruppi di
censure: il primo, avente ad oggetto l’intero art. 14, comma 1, del
decreto-legge n. 138 del 2011, in riferimento agli artt. 117, commi secondo,
terzo e quarto, 119, 122 e 123 Cost.; il secondo, concernente la previsione,
contenuta nell’art. 14, lettere a) e b), in base alla quale la riduzione sia
dei consiglieri sia degli assessori deve essere adottata da ciascuna Regione
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto e deve essere
efficace dalla prima legislatura regionale successiva a quella della data di
entrata in vigore del decreto stesso, con riguardo all’art. 3 Cost.; il terzo,
avente ad oggetto l’istituzione del Collegio dei revisori dei conti, in
riferimento agli artt. 100, 103, 117, commi terzo e sesto, e 121 Cost.
6.1.— Secondo un primo
gruppo di censure, l’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011, nel
prevedere il numero massimo di consiglieri e assessori regionali, la riduzione
degli emolumenti dei consiglieri, nonché l’istituzione di un Collegio dei
revisori dei conti, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché
detterebbe una disciplina di dettaglio in materia di competenza concorrente;
l’art. 119 Cost, in quanto stabilirebbe
le modalità con cui le Regioni devono raggiungere gli obiettivi di finanza
pubblica fissati dal patto di stabilità; l’art 117, quarto comma, Cost., perché
invaderebbe l’ambito riservato alla potestà legislativa regionale
residuale; l’art. 123 Cost., in quanto lederebbe la potestà statutaria delle
Regioni; l’art. 122 Cost., perché attribuirebbe al legislatore statale una
competenza ulteriore rispetto alla determinazione della durata degli organi
elettivi e dei principi fondamentali relativi al sistema di elezione e ai casi
di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti
della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali.
Le censure non sono
fondate.
La disposizione in
esame, inserita nel Titolo IV del decreto-legge, dedicato alla «Riduzione dei
costi degli apparati istituzionali», detta parametri diretti esplicitamente al
«conseguimento degli obiettivi stabiliti nell’ambito del coordinamento della
finanza pubblica» (primo alinea dell’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138
del 2011). Le lettere a) e b) dell’art. 14, comma 1, fissano un
limite al numero dei consiglieri e degli
assessori, rapportato agli abitanti, lasciando alle Regioni l’esatta
definizione della composizione dei Consigli e delle Giunte regionali. La
lettera c) fissa un «tetto»
all’ammontare degli emolumenti dei consiglieri, che non possono essere
superiori a quelli previsti per i parlamentari: si tratta di un «limite
complessivo», che lascia alle Regioni un autonomo margine di scelta (sentenze n. 182 e n. 91 del 2011;
n. 326 del 2010
e n. 297, n. 284 e n. 237 del 2009).
Anche le disposizioni di cui alle lettere d)
ed f) dell’art. 14, comma 1, del
decreto-legge n. 138 del 2011, prevedendo, rispettivamente, che il trattamento
economico dei consiglieri regionali debba essere commisurato all’effettiva
partecipazione ai lavori del Consiglio, e che il loro trattamento previdenziale
debba essere di tipo contributivo, pongono precetti di portata generale per il
contenimento della spesa.
Accertata la finalità
della disposizione impugnata, va individuata la materia nella quale interviene.
Essa riguarda la struttura organizzativa delle Regioni, regolata dagli articoli
121 e 123 Cost. Il primo enumera gli organi regionali – Consiglio, Giunta,
Presidente – e le loro funzioni. Il secondo demanda agli statuti il compito di
determinare la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e
di funzionamento. L’art. 123 Cost. dispone altresì che gli statuti siano «in
armonia con la Costituzione».
La Costituzione detta
norme che riguardano il rapporto elettori-eletti per i consiglieri e le
modalità dell’accesso ai pubblici uffici per gli assessori. Vengono in rilievo,
per il diritto di elettorato attivo, l’art. 48 Cost., e, per il diritto di
elettorato passivo e l’accesso agli uffici pubblici, l’art. 51 Cost. Il primo
dispone che «il voto (...) è eguale», il secondo che «tutti i cittadini (…)
possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza». Entrambe le norme sono espressione del più generale principio di
eguaglianza, del quale rappresentano una specificazione (sentenze n. 166 del 1972
e n. 96 del 1968).
La disposizione
censurata, fissando un rapporto tra il numero degli abitanti e quello dei
consiglieri, e quindi tra elettori ed eletti (nonché tra abitanti, consiglieri
e assessori), mira a garantire proprio il principio in base al quale tutti i
cittadini hanno il diritto di essere egualmente rappresentati. In assenza di
criteri posti dal legislatore statale, che regolino la composizione degli
organi regionali, può verificarsi – come avviene attualmente in alcune Regioni,
sia nell’ambito dei Consigli che delle Giunte regionali – una marcata
diseguaglianza nel rapporto elettori-eletti (e in quello elettori-assessori): i
seggi (nel Consiglio e nella Giunta) sono ragguagliati in misura differente
alla popolazione e, quindi, il valore del voto degli elettori (e quello di
scelta degli assessori) risulta diversamente ponderato da Regione a Regione.
Come già notato, il
principio relativo all’equilibrio rappresentati-rappresentanti non riguarda
solo il rapporto tra elettori ed eletti, ma anche quello tra elettori e
assessori (questi ultimi nominati). Questa Corte ha già chiarito che «il
principio di eguaglianza, affermato dall’art. 48, si ricollega a quello più
ampio affermato dall’art. 3», sicchè «quando nelle
elezioni di secondo grado l’elettorato attivo è attribuito ad un cittadino
eletto dal popolo in sua rappresentanza, non contrasta col principio di
eguaglianza, ma anzi vi si conforma, la norma che faccia conto del numero di
elettori che gli conferirono il proprio voto, e con esso la propria fiducia» (sentenza n. 96 del
1968). Principio analogo vale per gli assessori, sia perché, in base
all’art. 123 Cost., «forma di governo» e «principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento» debbono essere «in armonia con la
Costituzione», sia perché l’art. 51 Cost. subordina al rispetto delle
«condizioni di eguaglianza» l’accesso non solo alle «cariche elettive», ma
anche agli «uffici pubblici» (non elettivi).
La disposizione
censurata, quindi, non vìola gli artt. 117, 122 e 123 Cost., in quanto, nel
quadro della finalità generale del contenimento della spesa pubblica,
stabilisce, in coerenza con il principio di eguaglianza, criteri di proporzione
tra elettori, eletti e nominati.
6.2.— Le Regioni
Emilia-Romagna e Umbria censurano la previsione, contenuta nelle lettere a) e b),
dell’art. 14, comma 1, del
decreto-legge n. 138 del 2011 in base alla quale la riduzione del numero dei
consiglieri e degli assessori regionali rispetto a quello attualmente in vigore
deve essere adottata da ciascuna Regione entro sei mesi dalla data di entrata
in vigore del medesimo decreto-legge e deve essere efficace dalla prima
legislatura regionale successiva a quella della data di entrata in vigore del
decreto stesso. Poiché l’iter di
approvazione dello statuto è suscettibile di avere una durata maggiore, a causa
dell’eventuale referendum e
dell’eventuale questione di legittimità costituzionale previsti dall’art. 123
Cost., la Regione sarebbe ritenuta responsabile per il rispetto di un termine
(previsto sia per l’adozione della modifica, sia per la sua efficacia) di cui
essa non dispone compiutamente, in violazione dell’art. 3 Cost.
La censura non è
fondata.
Le disposizioni di cui
alle lettere a) e b) dell’art. 14,
comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011 richiedono l’«adozione» della riduzione del numero dei
consiglieri e degli assessori entro sei mesi dalla data di entrata in vigore
del decreto, e non che entro lo stesso termine si svolga il referendum popolare sullo statuto e
venga sollevata l’eventuale questione di legittimità costituzionale.
6.3.— Le Regioni Emilia-Romagna,
Lombardia, e Umbria censurano anche la lettera e) dell’art. 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011 che
prevede l’istituzione di un Collegio dei revisori dei Conti, quale «organo di
vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione
dell’ente», e stabilisce che, ai fini di coordinamento della finanza pubblica,
il Collegio dei revisori debba operare in raccordo con le sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti.
Ad avviso delle ricorrenti, l’istituzione del Collegio dei revisori
violerebbe l’art. 117, commi terzo e sesto, Cost., in quanto prevederebbe una
delegazione di poteri di natura regolamentare nella materia concorrente del
coordinamento della finanza pubblica; gli artt. 100 e 103 Cost., perché
snaturerebbe la funzione della Corte dei conti; l’art. 121 Cost., in quanto
istituirebbe un organo regionale ulteriore rispetto a quelli necessari, la cui
previsione spetta invece allo statuto o alla legge regionale.
Le censure non
sono fondate.
La disposizione impugnata mira a
introdurre per le amministrazioni regionali un sistema di controllo analogo a
quello già previsto, per le amministrazioni locali, dalla legge 23 dicembre
2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – Legge finanziaria 2006), «ai fini della tutela dell’unità
economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica» (art. 1,
comma 166). Tale legge prevede che gli organi degli enti locali di revisione
economico-finanziaria trasmettano alle sezioni regionali di controllo della
Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell’esercizio di
competenza e sul rendiconto dell’esercizio medesimo, e che le sezioni regionali
accertino, anche sulla base di dette relazioni, il conseguimento, da parte
degli enti locali, degli equilibri di bilancio fissati a livello nazionale.
Laddove vengano accertati «comportamenti difformi dalla sana gestione
finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto [di
stabilità interno]», le sezioni regionali della Corte dei conti segnalano dette
irregolarità agli organi rappresentativi dell’ente, perché adottino idonee
misure correttive.
L’art. 14, comma 1, lettera e), del decreto-legge n. 138 del 2011,
per il «conseguimento degli obiettivi stabiliti nell’ambito del coordinamento
della finanza pubblica», stabilisce un «raccordo» fra il Collegio dei revisori
dei conti della Regione e la sezione regionale di controllo della Corte dei
conti. La norma censurata si collega alle disposizioni relative alle funzioni
di controllo della Corte dei conti sulla gestione delle amministrazioni
regionali: per un verso, l’art. 3, comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), su cui si è già espressa questa Corte con la sentenza n. 29 del
1995; per altro verso, l’art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), che ha rimesso alla Corte dei conti, «ai
fini del coordinamento della finanza pubblica», il compito di «verifica[re] il
rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai
vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea».
Nel quadro normativo descritto, la
disposizione impugnata ha previsto un collegamento fra i controlli interni alle
amministrazioni regionali e i controlli esterni della Corte dei conti, secondo
il modello che, in attuazione del citato art. 7, comma 7, della legge n. 131
del 2003, è stato sperimentato, per gli
enti locali, dalla menzionata legge n. 266 del 2005.
Chiamata a pronunciarsi sulle
disposizioni di tale ultima legge, questa Corte ha affermato – fra l’altro –
che il controllo esterno esercitato dalla Corte dei conti nei confronti degli
enti locali, con l’ausilio dei collegi dei revisori dei conti, è «ascrivibile
alla categoria del riesame di legalità e regolarità», e che esso concorre «alla
formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela
dell’equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno» (sentenza n. 179 del
2007).
Questa Corte ha altresì ritenuto che
tale attribuzione trovi diretto fondamento nell’art. 100 Cost., il quale
«assegna alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione del bilancio,
come controllo esterno ed imparziale» e che il riferimento dello stesso art.
100 Cost. al controllo «sulla gestione del bilancio dello Stato» debba
intendersi oggi esteso ai bilanci di tutti gli enti pubblici che costituiscono,
nel loro insieme, il bilancio della finanza pubblica allargata. A quest’ultima,
del resto, vanno riferiti sia i principi derivanti dagli artt. 81, 97, primo
comma, 28 e 119, ultimo comma, Cost. (sentenza n. 179 del
2007), sia il principio di cui all’art. 1, comma 1, della legge 31 dicembre
2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), per cui «[l]e
amministrazioni pubbliche concorrono al perseguimento degli obiettivi di
finanza pubblica sulla base dei princìpi fondamentali dell’armonizzazione dei
bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica, e ne condividono
le conseguenti responsabilità».
L’art. 14, comma 1, lettera e), del decreto-legge n. 138 del 2011
consente alla Corte dei conti, organo dello Stato-ordinamento (sentenze n. 267 del 2006
e n. 29 del 1995),
il controllo complessivo della finanza pubblica per tutelare l’unità economica
della Repubblica (art. 120 Cost.) ed assicurare, da parte dell’amministrazione controllata, il «riesame» (sentenza n. 179 del
2007) diretto a ripristinare la regolarità amministrativa e contabile.
Al contempo, la disposizione censurata garantisce l’autonomia delle Regioni,
stabilendo che i componenti dell’organo di controllo interno debbano possedere
speciali requisiti professionali ed essere nominati mediante sorteggio – al di
fuori, quindi, dall’influenza della politica –, e che tale organo sia collegato
con la Corte dei conti, istituto indipendente dal Governo (art. 100, terzo
comma, Cost.). Il collegamento fra controllo interno e controllo esterno assolve
anche a una funzione di razionalità nelle verifiche di regolarità e di
efficienza sulla gestione delle singole amministrazioni, come risulta, del
resto, dalla disciplina della legge n. 20 del 1994, secondo cui «la rispondenza
dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla
legge» è accertata dalla Corte dei conti «anche in base all’esito di altri
controlli.
Infine, la disposizione impugnata non implica alcuna delegazione di potere
regolamentare, né nella parte in cui prevede l’istituzione del Collegio dei
revisori, né nella parte in cui assegna alla Corte dei conti il potere di
definire i criteri di qualificazione professionale dei membri di tale organo.
La scelta di rimettere alla Corte dei conti la definizione di tali criteri si
giustifica con la specializzazione della stessa Corte nella materia della
contabilità pubblica. Ne discende che la disposizione non viola l’art. 117,
comma sesto, Cost.
Per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate
pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale
sollevate con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 2, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure
urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 138
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011, promossa, in riferimento agli artt. 3, 70, 77, 97 e 114
della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione, dalle Regioni
Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna e Umbria, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 138
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 148 del 2011, promossa, in riferimento alla violazione del principio
di leale collaborazione e agli artt. 4, numero 1), 8, numero 1), 69 e 75 del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige), nonché dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione), dalla Regione Trentino-Alto
Adige/Südtirol e dalle Province di Trento e di Bolzano, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,
e modificato dall’articolo 30, comma 5, della legge 12 novembre 2011, n.
183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato - Legge di stabilità 2012), promossa, in riferimento agli artt. 3, 100,
103, 117, commi secondo, terzo e quarto, 119, 121, 122 e 123 Cost., dalle Regioni
Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Umbria e
Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio
2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2012.