ORDINANZA N. 255
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 224 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Roma nel procedimento a carico di T.L. ed altri, con ordinanza del 10 aprile 2012, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con ordinanza del 10 aprile 2012, il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli articoli 2 e 15 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 224 del codice di procedura penale, «nella parte in cui prevede che il giudice del dibattimento disponga perizia avente ad oggetto la trascrizione di conversazioni o comunicazioni telefoniche intercettate ai sensi degli articoli 266 e seguenti» del medesimo codice;
che il giudice a quo riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di persone imputate del delitto di associazione per delinquere finalizzata a consentire l’illegale permanenza di stranieri nel territorio dello Stato e di numerosi altri reati connessi;
che, in sede di ammissione delle prove, il pubblico ministero aveva chiesto, tra l’altro, la trascrizione, mediante perizia, delle comunicazioni telefoniche intercettate nel corso delle indagini preliminari, riservandosi di produrre un elenco delle comunicazioni ritenute rilevanti: ciò, peraltro, senza addurre alcun elemento da cui desumere che la mancata attivazione della procedura di selezione prevista dall’art. 268 cod. proc. pen. rispondesse ad un «interesse di giustizia»;
che, nella successiva udienza, cui il processo era stato a tal fine rinviato, il pubblico ministero aveva depositato l’elenco preannunciato, recante l’indicazione di circa centotrenta comunicazioni telefoniche, non corredato, peraltro, da alcun elemento utile a stabilire la rilevanza di ciascuna di esse;
che i difensori degli imputati avevano, quindi, chiesto di essere posti a conoscenza, in dibattimento, delle comunicazioni in questione e dei documenti ad esse relativi;
che, ciò premesso, il Tribunale rimettente osserva come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 34 del 1973 – dopo aver ricordato che è connaturale alla finalità stessa del processo il principio secondo il quale non può essere acquisito agli atti se non il materiale probatorio rilevante per il giudizio – abbia rilevato che «l’applicazione del suddetto principio non solo garantisce la segretezza di tutte quelle comunicazioni telefoniche dell’imputato che non siano rilevanti ai fini del relativo processo, ma garantisce altresì la segretezza delle comunicazioni non pertinenti a quel processo che terzi, allo stesso estranei, abbiano fatto attraverso l’apparecchio telefonico sottoposto a controllo di intercettazione ovvero in collegamento con questo»;
che, nella medesima sentenza, la Corte ha quindi rimarcato come «il rigoroso rispetto di questo principio sia essenziale per la puntuale osservanza degli artt. 2 e 15 della Costituzione: violerebbe gravemente entrambe le norme costituzionali un sistema che, senza soddisfare gli interessi di giustizia, in funzione dei quali è consentita la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni, autorizzasse la divulgazione in pubblico dibattimento del contenuto di comunicazioni telefoniche non pertinenti al processo»;
che, proprio per non incorrere nella violazione segnalata dalla Corte costituzionale, il legislatore avrebbe previsto la speciale procedura di cui all’art. 268 cod. proc. pen., collocandola «in un’area estranea al dibattimento e alla sua pubblicità»;
che la citata disposizione demanda, infatti, al giudice per le indagini preliminari il compito di individuare, «in un riservato contraddittorio», quali, fra le comunicazioni captate e indicate dalle parti, siano «non manifestamente irrilevanti», stabilendo, altresì, che solo le trascrizioni di tali ultime comunicazioni debbano essere inserite nel fascicolo per il dibattimento (art. 268, commi 6 e 7, cod. proc. pen.);
che, in questa prospettiva, una interpretazione «costituzionalmente orientata» della vigente disciplina indurrebbe a ritenere che rientri nella competenza «non solo funzionale, ma anche esclusiva» del giudice per le indagini preliminari disporre, con le forme e nei limiti di cui al citato art. 268, commi 6 e 7, cod. proc. pen., la trascrizione delle intercettazioni;
che una simile interpretazione risulterebbe, nondimeno, preclusa dal corrente orientamento della giurisprudenza di legittimità – qualificabile come «diritto vivente» – secondo il quale il momento in cui disporre la perizia per la trascrizione delle intercettazioni può dipendere dai più vari accadimenti processuali, senza che il codice di rito autorizzi la deduzione di particolari conseguenze dalla circostanza che vi si provveda nel dibattimento, anziché davanti al giudice per le indagini preliminari: e ciò, anche in ragione del fatto che, nel caso delle intercettazioni, la prova è costituita dalle registrazioni e non dalle trascrizioni, intese soltanto a convertire in segni grafici le espressioni vocali;
che, a fronte di tale orientamento – il quale attribuirebbe alle parti una sorta di «diritto potestativo processuale» a far trascrivere le intercettazioni in sede dibattimentale – il giudice a quo si troverebbe, quindi, a dover fare applicazione dell’art. 224 cod. proc. pen., in tema di perizia, avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che l’atto richiesto ha, per l’appunto, tale natura;
che una perizia quale quella indicata verrebbe, peraltro, inevitabilmente a determinare il risultato che la Corte costituzionale ha ritenuto incompatibile con gli artt. 2 e 15 Cost.: vale a dire, la divulgazione in dibattimento anche di eventuali comunicazioni non pertinenti al processo;
che, per individuare l’oggetto stesso della perizia, sarebbe, infatti, necessario stabilire, nella pubblicità propria dell’udienza dibattimentale, quali comunicazioni siano rilevanti ai fini della decisione e quali non lo siano: valutazione, questa, ineludibile tanto ove la si voglia radicare nel disposto dell’art. 268, comma 6, cod. proc. pen. (secondo il quale il giudice dispone l’acquisizione delle comunicazioni indicate dalle parti che non appaiano manifestamente irrilevanti), quanto ove la si voglia basare sulla generale previsione dell’art. 190 cod. proc. pen. (in forza della quale il giudice provvede sulle richieste probatorie delle parti escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che risultino manifestamente superflue o irrilevanti);
che la verifica della rilevanza delle comunicazioni non potrebbe prescindere, a sua volta, dall’enunciazione in dibattimento del loro contenuto, col conseguente rischio di rendere di pubblico dominio anche messaggi comunicativi destinati a rivelarsi non pertinenti all’oggetto del giudizio: e ciò, tanto più quando, come nella specie, le parti abbiano specificamente chiesto l’esibizione della documentazione relativa alle intercettazioni;
che, alla luce di tali considerazioni, il rimettente chiede, quindi, alla Corte di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 224 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2 e 15 Cost., nella parte in cui prevede che il giudice del dibattimento disponga perizia ai fini della trascrizione delle conversazioni o comunicazioni telefoniche intercettate;
che, al riguardo, il giudice a quo rimarca come la pronuncia auspicata produrrebbe effetti coincidenti con quelli dell’interpretazione reputata «costituzionalmente conforme»: in particolare, nel caso oggetto del giudizio principale, detta pronuncia non comporterebbe la regressione del processo, ma si limiterebbe a collocare davanti al giudice per le indagini preliminari le operazioni di selezione e trascrizione delle comunicazioni rilevanti, secondo la procedura prevista dall’art. 268 cod. proc. pen.; operazioni all’esito delle quali le trascrizioni sarebbero inserite nel fascicolo per il dibattimento pendente innanzi al Tribunale rimettente, in applicazione di quanto stabilito dal comma 7 del medesimo articolo;
che nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che, con la questione sollevata, il Tribunale di Roma denuncia la lesione del diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni che discenderebbe, in assunto, dalla dominante interpretazione della giurisprudenza di legittimità – qualificata come «diritto vivente» – in tema di acquisizione e trascrizione delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche: interpretazione stando alla quale – malgrado la previsione, nell’articolo 268 del codice di procedura penale, di una apposita procedura davanti al giudice per le indagini preliminari, finalizzata ad evitare la divulgazione in dibattimento delle comunicazioni prive di rilievo ai fini del processo – le suddette operazioni di acquisizione e trascrizione potrebbero avere luogo anche in fasi successive a quella delle indagini preliminari, ivi compresa la fase dibattimentale, senza che ne derivi alcun vizio processuale;
che la questione è manifestamente inammissibile per un triplice ordine di ragioni;
che, in primo luogo, il giudice a quo sottopone a scrutinio una norma inconferente rispetto all’oggetto delle sue doglianze (sull’inammissibilità della questione in simili casi, ex plurimis, ordinanze n. 120 del 2011, n. 256 e n. 92 del 2009);
che il rimettente censura, infatti, per asserito contrasto con gli artt. 2 e 15 della Costituzione, l’art. 224 cod. proc. pen. – ossia la norma generale concernente i provvedimenti del giudice in tema di perizia – nella parte in cui, alla stregua del predetto orientamento giurisprudenziale, prevederebbe che il giudice del dibattimento disponga perizia ai fini della trascrizione delle intercettazioni;
che la norma da colpire risulta, peraltro, non correttamente individuata, posto che – a prescindere dalla presenza di altra specifica disposizione, relativa alla perizia disposta in dibattimento (art. 508 cod. proc. pen.) – il vulnus costituzionale lamentato non deriva comunque, secondo la stessa prospettazione del rimettente, dall’ordinanza che dispone la perizia in discorso, quanto piuttosto dalle attività che la precedono;
che, nell’ambito della procedura complessa delineata dall’art. 268 cod. proc. pen., risultano, in effetti, chiaramente distinti due momenti, non a caso regolati in altrettanti diversi commi;
che il comma 6 del citato articolo stabilisce anzitutto che, dopo il deposito dei verbali e delle registrazioni, il giudice provveda – in apposita udienza, che si presuppone camerale, e dunque non pubblica (la cosiddetta “udienza stralcio”) – all’acquisizione delle conversazioni indicate dalle parti che «non appaiano manifestamente irrilevanti», stralciando, altresì, anche d’ufficio, il materiale di cui è vietata l’utilizzazione;
che, ai sensi del successivo comma 7, il giudice dispone, all’esito, la trascrizione, con le forme della perizia, delle comunicazioni da acquisire; le trascrizioni sono, quindi, inserite nel fascicolo per il dibattimento;
che, ciò posto, secondo le deduzioni del giudice a quo, quello che può ledere ingiustificatamente il diritto alla riservatezza delle persone coinvolte, allorché le operazioni in questione siano svolte in dibattimento, non è la trascrizione delle comunicazioni (la quale ha ad oggetto le sole comunicazioni già ritenute non manifestamente irrilevanti dal giudice), quanto piuttosto la circostanza che la selezione preliminare del materiale da trascrivere abbia luogo con la pubblicità propria delle udienze dibattimentali (con il conseguente rischio che, nell’ambito del contraddittorio sul punto, si divulghino anche i contenuti di comunicazioni prive di rilievo e che, pertanto, non verranno trascritte);
che la lesione lamentata si colloca, dunque, nel momento dell’acquisizione delle comunicazioni, non in quello successivo in cui viene disposta, tramite perizia, la loro trascrizione: donde l’inconferenza della norma censurata;
che, in secondo luogo, il giudice a quo invoca una pronuncia a carattere manipolativo i cui contenuti appaiono non soltanto non costituzionalmente obbligati, ma addirittura fortemente “creativi”, in quanto derogatori rispetto alle coordinate generali del vigente sistema processuale (sulla inammissibilità delle questioni che richiedano interventi additivi o manipolativi in materia riservata alla discrezionalità del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, ex plurimis, sentenze n. 134 e n. 36 del 2012, ordinanze n. 138 e n. 113 del 2012; sulla inammissibilità di questioni che richiedano interventi “creativi”, ex plurimis, ordinanze n. 77 del 2010, n. 182 del 2009 e n. 83 del 2007);
che, al di là della formulazione del petitum, il risultato cui mira il giudice a quo – e che deriverebbe, a suo avviso, dalla pronuncia richiesta – è inequivocamente quello di devolvere al giudice per le indagini preliminari, anche a dibattimento in corso, le operazioni di selezione e trascrizione delle intercettazioni nei modi previsti dall’art. 268 cod. proc. pen., senza, peraltro, che ciò determini la regressione del procedimento;
che, in tal modo, si verrebbe, peraltro, ad introdurre una competenza funzionale specifica del giudice per le indagini preliminari in materia di acquisizioni probatorie, destinata ad operare anche dopo che la fase delle indagini preliminari si è conclusa, la quale concorrerebbe, intersecandola, con quella “generale” del giudice del dibattimento: regime, questo, privo di riscontro nella sistematica del codice di rito;
che, in terzo luogo e da ultimo, il rimettente ha omesso di prendere in considerazione – anche al solo fine di escluderne eventualmente la praticabilità – la soluzione interpretativa da più parti prospettata proprio allo scopo di superare i dubbi di legittimità costituzionale sollevati, ed alla quale accenna anche l’Avvocatura dello Stato nelle sue difese: vale a dire, la possibilità, per il giudice, di disporre che – limitatamente al momento di acquisizione delle intercettazioni (ossia alla selezione delle comunicazioni utilizzabili e non manifestamente irrilevanti, destinate alla trascrizione mediante perizia, con stralcio delle rimanenti) – il dibattimento si svolga a porte chiuse, in applicazione (se del caso, estensiva) dell’art. 472, comma 2, cod. proc. pen. (sulla inammissibilità della questione per omessa sperimentazione dell’interpretazione secundum Constitutionem, ex plurimis, ordinanze n. 15 del 2011, n. 233, n. 110 e n. 55 del 2010);
che, per l’evidenziato complesso di ragioni, la questione va dunque dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 224 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 2 e 15 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2012.