ORDINANZA N. 138
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Trani – sezione distaccata di Andria, nel procedimento vertente tra D’Avanzo Maria e Capogna Francesca ed altra, con ordinanza del 12 luglio 2011, iscritta al n. 282 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2012 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Trani – sezione distaccata di Andria, ha sollevato, con ordinanza del 12 luglio 2011, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, «nella parte in cui non preveda che la parte soccombente o entrambe le parti, che abbiano agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave possano essere condannate, d’ufficio, al risarcimento dei danni nei confronti dello Stato ed, in particolare del Ministero della Giustizia, per manifesta temerarietà della lite», denunciandone il contrasto con gli articoli 3, primo e secondo comma, 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;
che, come emerge dall’atto di promovimento del presente giudizio, il rimettente è chiamato a pronunciarsi in una controversia civile in materia possessoria, in relazione alla quale la ricorrente per manutenzione del possesso – in quanto proprietaria pro quota del primo piano di uno stabile condominiale – ha chiesto, nei confronti della cognata e dei nipoti – quali comproprietari dell’altra quota del medesimo primo piano – il ripristino stato del colore della facciata del fabbricato, con ordine di astensione da successive turbative, oltre al risarcimento di tutti i danni patiti;
che, in punto di rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che sussisterebbero i presupposti per applicare l’art. 96, primo comma, cod. proc. civ., a carico di entrambe le parti, vertendo la anzidetta controversia su una questione di natura puramente emulativa, «che pur se fondata su un comportamento di per sé abusivo, quale quello posto in essere in concreto da parte resistente, si innesta chiaramente su un pregresso presupposto di litigiosità intrafamiliari che hanno ritenuto di dover trovare la loro valvola di sfogo dinanzi» ad esso Tribunale;
che, tuttavia, il riconoscimento della responsabilità aggravata a carico di entrambe le parti determinerebbe «una inammissibile e manifestamente irragionevole elisione reciproca della responsabilità, non avendo alcuna concreta utilità sanzionatoria la pronuncia di due condanne contestuali ex art. 96, primo comma, c.p.c. di una parte nei confronti dell’altra e viceversa»;
che, tanto premesso, il rimettente dubita, quindi, della legittimità costituzionale della norma denunciata anzitutto per asserito contrasto con l’art. 3, primo e secondo comma, Cost., in ragione della «palese disparità di trattamento fra lo Stato, inteso come persona giuridica, con particolare riguardo alla sua articolazione funzionale del Ministero della Giustizia, e le ordinarie parti private del processo civile»; il primo, infatti, «pur subendo direttamente gli effetti negativi dell’introduzione di una lite temeraria, non può essere in alcun modo beneficiario di una pronuncia di condanna in suo favore in casi come quello oggetto della fattispecie di cui al presente procedimento, in cui la temerarietà della lite sia bilaterale o in altre analoghe ipotesi, (…) restando soltanto a carico dell’erario, ed in particolare del Ministero della Giustizia, tutto l’onere organizzativo ed i costi indiretti del materiale “smaltimento” di una controversia temeraria»;
che sussisterebbe, altresì, un vulnus all’art. 24, primo comma, Cost., giacché, «nel contesto di un sistema giudiziario a cui vengono destinate risorse umane e materiali sempre più scarse», dovrebbe operarsi «un radicale ripensamento del concetto di accesso alla giustizia», tanto da circoscriverlo soltanto a «controversie non manifestamente emulative», così da evitare l’abuso del processo ed il conseguente danno patrimoniale per la collettività, «di per sé irragionevolmente irrisarcibile in favore della medesima in base alla attuale struttura dell’art. 96, primo comma, c.p.c.»;
che, infine, sarebbe violato anche l’art. 111, secondo comma, Cost., per l’«evidente squilibrio nella struttura del processo civile, in quanto per le finalità di gestione di controversie di natura emulativa, può determinarsi – come in concreto si determina – un irragionevole allungamento dei tempi processuali per l’insieme complessivo delle controversie iscritte a ruolo civile», con conseguenti costi indiretti per la collettività e diretti per il Ministero della giustizia in base alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile);
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la infondatezza della questione, adducendo che la norma censurata è frutto di una scelta legislativa non viziata dai profili di incostituzionalità prospettati dal rimettente.
Considerato che, al di là di talune incoerenze dell’ordinanza di rimessione (e segnatamente, di quella che attiene alla reputata fondatezza della domanda attrice, dalla quale non si fa seguire la concentrazione del giudizio di responsabilità per cosiddetta “lite temeraria” in capo alla sola parte resistente), è comunque assorbente il rilievo che la questione sollevata presenta una pluralità di soluzioni in ordine al possibile contenuto della richiesta pronuncia additiva, nessuna delle quali costituzionalmente vincolata e la cui scelta è, quindi, rimessa alla discrezionalità del legislatore (tra le altre, ordinanze n. 7 del 2012, n. 70 del 2009; sentenza n. 251 del 2008), nelle specie ancor più ampia vertendosi in tema di disciplina degli istituti processuali, modulabili dal legislatore con il solo limite di un intervento non manifestamente irragionevole o arbitrario (ex plurimis, ordinanza n. 141 del 2011);
che, pertanto, la soluzione auspicata dal rimettente è, all’evidenza, una della tante possibili in tema di conformazione della disciplina sulla responsabilità aggravata “per lite temeraria”, palesandosi, inoltre, del tutto eccentrica rispetto al sistema processuale civile in essere, così da assurgere piuttosto a proposta di politica legislativa in materia processuale anche al fine di ovviare ad esigenze deflattive del relativo contenzioso;
che, difatti, deviando dal principio che vuole, in detta disciplina, coinvolte esclusivamente le parti del processo, anche nel caso della condanna d’ufficio alla pena pecuniaria, il rimettente intende aprire ad una sorta di sanzione “amministrativa” per il pregiudizio recato ad un interesse pubblico, quello alla celerità del processo ed alla sostenibilità dei suoi costi;
che, dunque, la prospettata questione va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo e secondo comma, 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trani – sezione distaccata di Andria, con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2012.