Sentenza n. 251 del 2008

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SENTENZA N. 251

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco               BILE                                        Presidente

-  Giovanni Maria   FLICK                                       Giudice

-  Francesco          AMIRANTE                                    ”

-  Ugo                   DE SIERVO                                    ”

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Sabino               CASSESE                                       ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 27, primo e secondo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati) e dell’art. 24, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), trasfusi negli artt. 77, commi 1 e 2, e 82, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), promosso con ordinanza del 10 ottobre 2007 dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia nel procedimento civile vertente tra E. F. e la società C. G.s.r.l., iscritta al n. 26 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto in fatto


1.— Il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, adito in sede di reclamo in un giudizio avente ad oggetto un’azione civile per discriminazione indiretta − ai sensi dell’art. 3 della legge 1 marzo 2006, n. 67 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), e dell’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) − ha sollevato, con ordinanza del 10 ottobre 2007, questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, primo e secondo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), nonché dell’art. 24, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.

2.— Il giudice a quo premette in fatto che il ricorrente, portatore di handicap grave ed invalido civile al 100% per tetraplegia postraumatica, recatosi il 19 febbraio 2007 in Reggio Emilia presso una multisala cinematografica per assistere ad un film, in ragione della dislocazione degli alloggiamenti previsti per i portatori di handicap, era collocato con la sua carrozzina nella prima fila della sala n. 10, in uno dei posti riservati per gli invalidi, a distanza di soli quattro metri dallo schermo, benché nella sala medesima fossero presenti, in quel momento, solo 40 spettatori rispetto ai 144 posti disponibili.

Ravvisando in tale circostanza una discriminazione indiretta, l’interessato ha convenuto in giudizio la società che gestisce la multisala chiedendo l’adozione di ogni provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti della discriminazione in questione, la condanna al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, nonché la pubblicazione dei relativi provvedimenti.

Il giudice di prima istanza rigettava il ricorso; avverso detta pronuncia è stato proposto il reclamo su cui verte il giudizio a quo.

3.— Tanto premesso, il Tribunale, nel richiamare la normativa di settore, rileva che la legge n. 67 del 2006, al fine di garantire la piena tutela delle persone disabili in tutti i settori della vita civile, offre una duplice nozione di discriminazione, diretta ed indiretta.

Ad avviso del giudice a quo, si è in presenza di un comportamento discriminatorio diretto quando vi è «un trattamento, volontario e manifesto, di sfavore e, di regola, immediatamente contrastante con norme di legge o di regolamento poste a tutela del soggetto debole».

Si versa, invece, nella seconda ipotesi quando è posta in essere «una condotta, anche non volontaria, eventualmente caratterizzata da più atteggiamenti o contegni tra loro connessi ed apparentemente “neutri” (…), ma comunque idonei a mettere il soggetto debole in una posizione di svantaggio rispetto ad altri».

4.— Il remittente non dubita che la sala cinematografica in questione sia conforme alla normativa vigente. Da un lato, infatti, il dato non è oggetto di contestazione; dall’altro, «lo ha presupposto – con ragionamento, sul punto, non contrastato dalle parti – anche il giudice di prime cure».

Tuttavia, il Tribunale ritiene che non è «seriamente contestabile il fatto che l’alloggiamento dei disabili nelle prime file del cinematografo rappresenti di fatto, per costoro, un trattamento di svantaggio» rispetto agli altri.

Nella fattispecie in esame, quindi, si verterebbe in un caso di discriminazione indiretta dal momento che quest’ultima può derivare non solo da un atto o da un negozio giuridico in senso stretto, proveniente da un privato o da un provvedimento dell’autorità amministrativa, ma anche «a ben vedere – da una disposizione dello stesso legislatore ordinario, che, emanando, in altri settori dell’ordinamento (ad es., e per quello che qui interessa, in materia edilizia), disposizioni inidonee, incongrue o insufficienti a “promuovere la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità” (…), si pone – per ciò stesso – in conflitto non solo con il fine della legge n. 67 del 2006, ma prima ancora con il dettato dell’art. 3» della Carta fondamentale, della quale la suddetta legge costituisce strumento di diretta attuazione.

5.— Il giudice remittente, quindi, espone più profili di censura delle norme contestate.

Ricorda che l’art. 27, primo comma, della legge n. 118 del 1971 prevede che «per facilitare la vita di relazione dei mutilati e invalidi civili gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova edificazione dovranno essere costruiti in conformità alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15 giugno 1968 riguardante la eliminazione delle barriere architettoniche anche apportando le possibili e conformi varianti agli edifici appaltati o già costruiti all’entrata in vigore della presente legge; i servizi di trasporti pubblici ed in particolare i tram e le metropolitane dovranno essere accessibili agli invalidi non deambulanti; in nessun luogo pubblico o aperto al pubblico può essere vietato l’accesso ai minorati; in tutti i luoghi dove si svolgono pubbliche manifestazioni o spettacoli, che saranno in futuro edificati, dovrà essere previsto e riservato uno spazio agli invalidi in carrozzella (…)»; la medesima disposizione stabilisce, quindi, al secondo comma, che «le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo saranno emanate, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta dei Ministri competenti, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge».

L’attuazione di tale previsione è intervenuta con il decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384 (Regolamento di attuazione dell’art. 27 della legge 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati e invalidi civili, in materia di barriere architettoniche e trasporti pubblici), abrogato e sostituito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503 (Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici), il cui art. 13, comma 2, sancisce «negli edifici pubblici deve essere garantito un livello di accessibilità degli spazi interni tale da consentire la fruizione dell’edificio sia al pubblico che al personale in servizio, secondo le disposizioni di cui all’art. 3 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236».

Quest’ultimo a sua volta, prevede tra i criteri generali di progettazione degli edifici, tre livelli di qualità dello spazio costruito: l’accessibilità, la visitabilità e la adattabilità.

6.— Afferma, quindi, il Tribunale che le fonti normative primarie costituite dall’art. 27, primo e secondo comma, della legge n. 118 del 1971, dall’art. 1, commi 1 e 2, della legge n. 13 del 1989, dall’art. 24, comma 1, della legge n. 104 del 1992, dettano disposizioni «inidonee, incongrue o, comunque, insufficienti a garantire appieno ai portatori di handicap “la piena attuazione del principio di parità di trattamento e della pari opportunità” e “il pieno godimento dei loro diritti civili (…) e sociali” (art. 1 della legge n. 67 del 2006), donde poi l’inidoneità, l’incongruità o l’insufficienza – per così dire − derivata delle stesse norme regolamentari sopra richiamate».

Le norme in questione ledono i diritti inviolabili dell’uomo come riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost.

Inoltre, sussiste contrasto con l’art. 32 Cost., dal momento che nel concetto di salute rientra anche l’aspetto della socializzazione del disabile (attuabile mediante la partecipazione di questi ad eventi, manifestazioni, spettacoli), che ha una funzione sostanzialmente terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione (è richiamata la sentenza n. 167 del 1999).

Ad avviso del remittente la piena attuazione dei suddetti diritti, conformemente agli artt. 2, 3 e 32 Cost., nonché all’art. 1 della legge n. 67 del 2006, si può realizzare solo se alle persone disabili venga riconosciuta, oltre alla accessibilità della struttura anche la possibilità di usufruire di un livello qualitativo e quantitativo dei servizi ivi offerto uguale o, almeno, tendenzialmente simile a quello erogato in favore degli altri.

Ciò che darebbe luogo alla illegittimità costituzionale delle norme in esame, dunque, è la mancata previsione della possibilità di avere la stessa qualità dei servizi che vengono resi alla generalità dei consociati negli edifici pubblici o privati aperti al pubblico.

7.— Ciò vale, in particolare, per le sale cinematografiche dove la parità di trattamento può attuarsi solo se in detti locali è garantita una visione delle proiezioni qualitativamente uguale o, almeno, tendenzialmente simile, per tutti coloro che vi accedono.

8.— Rileva, quindi, il giudice a quo che la Corte, pur riconoscendo la piena discrezionalità del Parlamento nell’individuare le diverse misure operative dirette alla tutela dei disabili, non ha mancato di sottolineare che è sempre possibile il vaglio di costituzionalità dei meccanismi predisposti dal legislatore, al fine del controllo della razionalità e della congruità delle singole disposizioni legislative rispetto al fine della tutela dei soggetti deboli, sia la sussistenza di eventuali disparità di trattamento (è richiamata la sentenza n. 325 del 1996).

In un caso analogo a quello in esame, rammenta, altresì, il remittente, la Corte, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo comma, del codice civile (sentenza n. 167 del 1999 già sopra richiamata), ha affermato che la realizzazione del principio di parità di trattamento delle persone disabili e di tutela della salute impone la prevalenza delle norme poste a protezione delle stesse.

9.— Il Tribunale remittente, quindi, nel precisare i profili di illegittimità in relazione ai parametri costituzionali invocati, deduce che le disposizioni censurate confliggono con l’art. 3 Cost., non essendo idonee ad attuare in pieno il principio di parità di trattamento e di pari opportunità in favore dei disabili; con l’art. 2 Cost., nella parte in cui non garantiscono e non riconoscono, in maniera adeguata e congrua, i diritti inviolabili dell’uomo; con l’art. 32 Cost., nella parte in cui non assicurano adeguata tutela alla salute dei disabili, intesa come comprensiva della possibilità di socializzazione.

Ritiene il Tribunale, infine, che una volta rimosse le norme assunte come costituzionalmente illegittime, con effetto ex nunc, la condotta della parte resistente nel giudizio a quo potrebbe essere considerata come indirettamente discriminatoria. A ciò conseguirebbe l’adozione di misure tecniche idonee all’eliminazione degli ostacoli che impediscono la collocazione dei disabili in punti della sala cinematografica adeguati a fare usufruire di una visione della proiezione di qualità uguale, o almeno tendenzialmente analoga, a quella degli altri.

10.— Con atto depositato l’11 marzo 2008, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione di costituzionalità sia dichiarata inammissibile o non fondata.

In particolare, la difesa dello Stato ha eccepito, in via preliminare, il difetto di rilevanza della questione, in quanto il dubbio di costituzionalità riguarderebbe le nuove costruzioni o la ristrutturazione di interi edifici, mentre la vicenda oggetto del giudizio a quo riguarda un immobile già realizzato.

Nel merito, l’Avvocatura dello Stato ha osservato che la giurisprudenza della Corte ha sancito il diritto alla parità di trattamento delle persone disabili sotto il profilo dell’accessibilità dei luoghi, e non della fruizione dei servizi che vengono eventualmente erogati nei luoghi medesimi (sono richiamate le sentenze n. 325 del 1996 e n. 167 del 1999).

 

  Considerato in diritto

1.— Con ordinanza del 10 ottobre 2007 il Tribunale ordinario di Reggio Emilia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, primo e secondo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), nonché dell’art. 24, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), per violazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.

2.— Il giudizio a quo ha per oggetto l’azione civile per discriminazione indiretta, promossa nei confronti della società che gestisce una multisala cinematografica in Reggio Emilia da una persona portatrice di handicap grave ed invalida civile al 100% per tetraplegia postraumatica, la quale, recatasi il 19 febbraio 2007 per assistere ad un film, in ragione della dislocazione degli alloggiamenti previsti per i disabili, è stata collocata con la sua carrozzella nella prima fila della sala n. 10, in uno dei posti all’uopo riservati – a distanza di soli quattro metri dallo schermo − benché nella sala medesima vi fossero, in quel momento, 40 spettatori rispetto ai 144 posti disponibili.

L’interessato, ravvisando in tale collocazione una forma di discriminazione indiretta a danno di una persona portatrice di handicap, ha convenuto in giudizio la suddetta società e ha chiesto sia l’adozione dei provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti della discriminazione stessa, sia la condanna della parte convenuta al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, subìto, nonché la pubblicazione dei relativi provvedimenti.

3.— Il remittente, adito in sede di reclamo, a seguito del rigetto della domanda proposta in prime cure, assume che le suindicate disposizioni danno luogo ad una discriminazione indiretta, in quanto esse non sono idonee a promuovere la piena attuazione del principio di parità di trattamento tra le persone disabili e le altre persone non portatrici di handicap.

Il remittente, in particolare, premesso, da un lato, di non poter disapplicare, e, dall’altro, di non poter interpretare in modo costituzionalmente orientato le disposizioni censurate, ritiene che le stesse ledano: l’art. 3 Cost., in quanto non consentono che trovi attuazione in pieno il principio di parità di trattamento e di pari opportunità in favore dei disabili; l’art. 2 Cost., nella parte in cui non assicurano e non riconoscono in maniera adeguata e congrua i diritti inviolabili dell’uomo; l’art. 32 Cost., nella parte in cui non garantiscono idonea tutela alla salute dei disabili, intesa come comprensiva della loro possibilità di socializzazione.

Il remittente, sul piano della rilevanza, deduce che, «rimosse le norme costituzionalmente illegittime con effetto ex nunc, la condotta della resistente potrà essere considerata come indirettamente discriminatoria e potrà pertanto essere rimossa mediante l’adozione di misure tecniche (…) idonee all’eliminazione degli ostacoli che impediscono, ad oggi, la collocazione dei disabili in punti della sala cinematografica idonei ad usufruire di una visione della proiezione di qualità uguale o almeno tendenzialmente analoga» agli altri.

4.— Al fine di precisare le censure prospettate dal giudice a quo ed il thema decidendum, occorre richiamare, innanzitutto, il contenuto delle disposizioni censurate.

4.1.— L’art. 27 della legge 118 del 1971, la cui rubrica reca «Barriere architettoniche e trasporti pubblici», prevede, tra l’altro, al primo comma, che «per facilitare la vita di relazione dei mutilati e invalidi civili gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova edificazione dovranno essere costruiti in conformità alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 15 giugno 1968 riguardante la eliminazione delle barriere architettoniche anche apportando le possibili e conformi varianti agli edifici appaltati o già costruiti all’entrata in vigore della presente legge (…)». Il secondo comma, a sua volta, dispone che «le norme di attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo saranno emanate, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta dei Ministri competenti, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge».

Le suddette disposizioni sono sospettate di illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedono, in tutti i luoghi dove si svolgano pubbliche manifestazioni o spettacoli, uno spazio riservato agli invalidi in carrozzella, in modo tale che risulti garantito, a favore dei disabili, lo stesso livello qualitativo dei servizi che nei relativi stabili vengono erogati in favore delle altre persone.

Il Tribunale remittente aggiunge che, in attuazione di quanto stabilito dal richiamato secondo comma, sono state adottate apposite disposizioni regolamentari contenute, rispettivamente, nel decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384 (Regolamento di attuazione dell’art. 27 della legge 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati e invalidi civili, in materia di barriere architettoniche e trasporti pubblici), poi abrogato dal successivo decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503 (Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici), e nell’art. 18 del decreto ministeriale 13 gennaio 1992, n. 184 (Regolamento di esecuzione della legge 4 novembre 1965, n. 1213, per quanto attiene la costruzione, trasformazione, adattamento di immobili da destinare a sale e arene per spettacoli cinematografici, l’ampliamento di sale e arene cinematografiche già in attività, nonché la destinazione di teatri a sale per proiezioni cinematografiche).

4.2.— La seconda disposizione oggetto di censura è contenuta nel comma 1 dell’art. 1 della legge n. 13 del 1989, il quale stabilisce che «i progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi edifici, ivi compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata, presentati dopo sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge sono redatti in osservanza delle prescrizioni tecniche previste dal comma 2».

La norma è censurata nella parte in cui non prevede che i progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici ovvero alla ristrutturazione di quelli esistenti, presentati dopo sei mesi dall’entrata in vigore della legge stessa, siano redatti in modo tale che risulti garantito, a favore dei disabili, lo stesso livello qualitativo dei servizi di cui godono le altre persone.

Il successivo comma 2, a sua volta, stabilisce che «entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il Ministro dei lavori pubblici fissa con proprio decreto le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata ed agevolata».

Il Tribunale remittente ritiene lesiva degli invocati parametri costituzionali anche tale disposizione, nella parte in cui essa non prevede che il Ministro competente fissi con proprio decreto le suddette prescrizioni tecniche in modo tale che risulti assicurata una tutela adeguata a favore dei disabili.

4.3.— Infine, la terza norma censurata è contenuta nell’art. 24, comma 1, della legge n. 104 del 1992, secondo il quale «tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico che sono suscettibili di limitare l’accessibilità e la visitabilità di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13, e successive modificazioni, sono eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla legge 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni, al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, alla citata legge n. 13 del 1989, e successive modificazioni, e al citato decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236».

Anche la riportata disposizione è ritenuta dal Tribunale remittente lesiva degli artt. 2, 3 e 32 Cost., nella parte in cui non prevede che le suddette opere edilizie debbano essere eseguite in modo tale che risulti garantito, a favore dei disabili, lo stesso livello qualitativo dei servizi che negli stabili in questione vengono erogati al pubblico.

5.— È dunque evidente che il remittente chiede, in sostanza, che la Corte adotti una pronuncia che integri il contenuto precettivo della normativa oggetto di censura, affinché risultino previste nuove, ulteriori, disposizioni attinenti alle modalità di costruzione degli edifici de quibus, in modo che siano assicurati, sempre ed in ogni caso, ai disabili gli stessi diritti di partecipazione a manifestazioni, eventi e spettacoli riconosciuti a tutte le altre persone.

6.— Così precisato il thema decidendum, occorre rilevare, innanzitutto, che le disposizioni contenute nell’art. 1, commi 1 e 2, della legge n. 13 del 1989 e nell’art. 24, comma 1, della legge n. 104 del 1992 sono state trasfuse, con alcune modifiche che non ne mutano il sostanziale contenuto, negli artt. 77, commi 1 e 2, e 82, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia».

È su tali ultimi articoli, quindi, che, in ragione dell’intervenuto mutamento del quadro normativo, devono ritenersi trasferite le questioni sollevate dal giudice a quo, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (così, ordinanze n. 31 del 2007 e n. 54 del 2005).

7.— In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità della questione, prospettata dall’Avvocatura generale dello Stato sotto il profilo del difetto di rilevanza.

Ad avviso della difesa statale, mentre la struttura edilizia, nella quale è ubicata la sala cinematografica per cui è causa, è un edificio già costruito, le norme impugnate riguarderebbero le nuove costruzioni ovvero la ristrutturazione di nuovi edifici.

È palese, però, che l’art. 27 della legge n. 118 del 1971, che costituisce il nucleo centrale del complessivo sistema normativo censurato – rispetto al quale, tra l’altro, la disciplina della trasformazione in multisala di sale cinematografiche è intervenuta successivamente – era vigente e pienamente operativo alla data in cui è stata realizzata la «nuova multisala (…) inaugurata il 15 febbraio 2007», nella quale la parte ricorrente del giudizio a quo si è recata per assistere alla visione di un film.

8.— La questione deve, tuttavia, essere dichiarata inammissibile sotto un diverso profilo.

Al riguardo, è necessario, anzitutto, ricordare come questa Corte, in via generale, abbia avuto modo di affrontare, in più occasioni, il tema dei diritti delle persone disabili.

In particolare, tenuto conto della pluralità degli ambiti normativi di intervento a favore degli interessati, la Corte ha osservato come, sul tema della condizione giuridica della persona disabile, confluiscano un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale; e come, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia sia essenzialmente dato dall’interrelazione ed integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela (sentenza n. 215 del 1987).

Del pari, la Corte (sentenze n. 406 del 1992 e n. 325 del 1996), nell’affermare che la legge n. 104 del 1992 è diretta ad assicurare in un quadro globale ed organico la tutela del disabile – con la conseguenza che la stessa incide perciò necessariamente in settori diversi – ha ribadito le finalità che la tutela delle persone disabili intende perseguire attraverso i valori espressi dal disegno costituzionale.

Alla luce dei suddetti principi, deve, pertanto, ritenersi che sussistono ambiti specifici di libertà di scelta del legislatore nella individuazione delle misure concrete che possono essere adottate in un corretto bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti dal suddetto tipo di tutela.

9.— È opportuno, inoltre, ricordare come la giurisprudenza della Corte, nel delineare il contenuto dei diritti che la Costituzione riconosce e attribuisce ai disabili, abbia chiarito, da un lato, che deve ritenersi ormai superata la concezione di una loro radicale irrecuperabilità e che la socializzazione deve essere considerata un elemento essenziale per la salute degli interessati, sì da assumere una funzione sostanzialmente terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione (sentenze n. 167 del 1999 e n. 215 del 1987); dall’altro, che la legislazione relativa alle persone disabili − in particolare la legge n. 13 del 1989 e la legge n. 104 del 1992 − non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in loro favore, ma ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati come problemi non solo di carattere individuale dei disabili, ma dell’intera collettività (citata sentenza n. 167 del 1999).

Inoltre, nella suddetta sentenza si è osservato che da ciò è derivata l’introduzione di disposizioni generali per la costruzione di nuovi edifici e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone portatrici di handicap.

10.— È poi da aggiungere che il superamento delle barriere architettoniche – tra le quali rientrano, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera b), del d.P.R. n. 503 del 1996, gli «ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di spazi, attrezzature o componenti» – è stato previsto (comma 1 dell’art. 27 della legge n. 118 del 1971) «per facilitare la vita di relazione» delle persone disabili e a tale finalità risponde anche la previsione, contenuta nello stesso comma, che «in tutti i luoghi dove si svolgono pubbliche manifestazioni o spettacoli, che saranno in futuro edificati, dovrà essere previsto e riservato uno spazio agli invalidi in carrozzella».

11.— È dunque evidente che i principi sopra richiamati rispondono all’esigenza di una generale salvaguardia della personalità e dei diritti dei disabili e trovano base costituzionale nella garanzia della dignità della persona e del fondamentale diritto alla salute degli interessati, intesa quest’ultima nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica.

12.— Sotto altro aspetto, va osservato che analoghi principi ispirano le disposizioni comunitarie e internazionali contenute, in particolare, nel Trattato istitutivo della Comunità europea, nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e nella «Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, del 17 marzo 2008, sulla situazione delle persone con disabilità nell’Unione europea».

Giova ricordare come il Trattato CE, all’art. 13, paragrafo 1, stabilisca che «il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali».

La Convenzione delle Nazioni Unite sopra indicata è qui richiamata − ancorché ne sia in corso il procedimento di ratifica ed essa, quindi, sia tuttora priva di efficacia giuridica − per il suo carattere espressivo di principi comuni ai vari ordinamenti nazionali, analogamente a quanto ritenuto da questa Corte per quanto concerne la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza nel dicembre 2000 (sentenza n. 394 del 2006). L’atto in questione assume, dunque, il valore di semplice ausilio interpretativo.

Orbene, l’art. 30 della citata Convenzione, la cui rubrica reca «Partecipazione alla vita culturale, ricreativa, agli svaghi e allo sport», sancisce, al paragrafo 1, lettera (b), che «gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di uguaglianza con gli altri alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire che (…) abbiano accesso a programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali, in formati accessibili».

La stessa Convenzione, inoltre, risulta menzionata, attesa la sua rilevanza, nel preambolo del decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 28 marzo 2008, recante le «Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale».

Infine, la Risoluzione dell’Unione europea, sopra indicata, rammenta che i principi di base volti a garantire il pari ed effettivo godimento dei diritti umani e delle libertà delle persone con disabilità, ai sensi della suddetta Convenzione delle Nazioni Unite, sono la dignità e l’autonomia individuale, la non discriminazione, la piena ed effettiva partecipazione e l’inclusione nella società e nel settore del lavoro, il rispetto delle differenze, le pari opportunità, l’accessibilità, l’uguaglianza tra uomini e donne e il pieno godimento di tutti i diritti umani da parte dei bambini.

13.— Tutto ciò precisato sul piano ricostruttivo della normativa a favore delle persone disabili, deve, tuttavia, osservarsi, sulla base delle considerazioni che seguono, che, nella specie, la questione di costituzionalità sollevata dinanzi a questa Corte dal Tribunale remittente non può essere considerata ammissibile.

14.— Anche a voler ritenere correttamente indicate tutte le disposizioni censurate – benché, come si evince dalla medesima ordinanza di rimessione, è in quelle regolamentari che si rinviene principalmente la disciplina di dettaglio che fissa le modalità di realizzazione delle opere per l’eliminazione delle barriere architettoniche – l’esame del petitum, in rapporto alla motivazione che lo sorregge, consente di affermare che il remittente, prendendo spunto dalla controversia sottoposta al suo esame, si propone, su un piano d’ordine generale, di pervenire ad una modificazione di tipo manipolativo del complessivo sistema di tutela delle persone affette da handicap, mediante l’integrazione − ad opera di questa Corte − di una pluralità di norme legislative nel senso specificato dettagliatamente nell’ordinanza di rimessione.

Il giudice a quo, che, ai sensi dell’art. 3 della legge 1 marzo 2006, n. 67 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), è chiamato ad adottare i provvedimenti idonei a rimuovere la discriminazione «secondo le circostanze», intende, in effetti, pervenire ad un sistema di tutela che, sempre e a qualsiasi costo, anche a scapito di altri interessi costituzionalmente protetti, faccia prevalere il diritto del disabile a fruire dei servizi al pubblico in condizioni di assoluta parità con gli altri utenti, vale a dire utilizzando i servizi stessi con le medesime modalità previste per tali ultimi soggetti.

In particolare, in luogo di un sistema di tutela compatibile con altri interessi, anch’essi di rilievo costituzionale, dovrebbe trovare ingresso un complesso normativo che sia tale da privilegiare, senza alcun limite, il diritto fondamentale dei disabili rispetto a qualsiasi altro interesse costituzionale confliggente, fosse anche connesso ad esigenze di incolumità e sicurezza. Ciò spiega la richiesta, contenuta nel petitum dell’ordinanza di rimessione, di integrazione delle varie disposizioni di legge censurate nel senso di prevedere che si debba, comunque, garantire alle persone disabili la fruizione dello «stesso livello qualitativo (dei servizi) di cui godono i non portatori di handicap».

15.— In sostanza, il Tribunale remittente chiede che questa Corte emetta una sentenza che, a differenza di quanto attualmente previsto dal richiamato art. 27 della legge n. 118 del 1971, imponga l’eliminazione delle barriere architettoniche anche negli edifici esistenti, senza il limite rappresentato dalla concreta possibilità della loro rimozione in termini di compatibilità con altre esigenze, di tal ché sarebbe necessario apportare modifiche strutturali a tutti gli edifici esistenti che non rispondano a tali requisiti.

La pronuncia additiva richiesta, che non può essere considerata costituzionalmente obbligata, esula però dai poteri di questa Corte, in quanto è diretta a privilegiare una delle possibili forme di intervento a favore delle persone disabili, in sostituzione di un sistema caratterizzato dalla concreta valutazione anche di altri interessi, tra i quali non possono escludersi quelli relativi agli oneri economici eventualmente derivanti, allo stato, dalla forma di tutela prescelta.

 Tra i suddetti interessi, come si è accennato, vanno annoverati quelli relativi alla pubblica incolumità e sicurezza, che sono diretti soprattutto a tutela delle stesse persone portatrici di handicap, essendo preordinati a garantire rapide vie di fuga nella ipotesi in cui sussista la necessità di uscire senza alcun indugio dai locali per incendio, calamità o altri eventi analoghi.

In proposito, si può ricordare come il decreto del Ministro dell’interno 19 agosto 1996 (Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo) detti una serie di disposizioni di sicurezza, anche a tutela delle persone con ridotte o impedite capacità motorie, per la «prevenzione degli incendi» e allo «scopo di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia delle persone e alla tutela dei beni» (art. 2, comma 1, primo inciso); ciò per far sì che i locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo siano realizzati e gestiti in modo da «assicurare la possibilità che gli occupanti lascino il locale indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo» (art. 2, comma 1, lettera e).

Coerentemente con il suddetto impianto normativo, primario e secondario, l’art. 27 sopra citato, nell’affermare la già richiamata finalità di «facilitare la vita di relazione» dei disabili, dispone che, per gli stabili già costruiti, l’eliminazione delle barriere architettoniche debba essere effettuata «apportando le possibili e conformi varianti agli edifici».

E non è senza significato che la Convenzione delle Nazioni Unite sopra richiamata preveda, al paragrafo 2 dell’art. 5, la cui rubrica reca «Uguaglianza e non discriminazione», che «gli Stati Parti devono vietare ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro la discriminazione qualunque ne sia il fondamento», e, al successivo paragrafo 3, che «al fine di promuovere l’eguaglianza ed eliminare la discriminazione, gli Stati Parti adottano tutti i provvedimenti appropriati, per garantire che siano forniti accomodamenti ragionevoli». Questi ultimi, secondo quanto previsto dall’art. 2 della medesima Convenzione, sono «le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongono un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali».

In sostanza anche la citata Convenzione recepisce un sistema di tutela delle persone disabili che sia, però, in concreto compatibile con altri interessi che non possono essere pretermessi e che devono essere, invece, bilanciati con quello, certamente superiore, alla tutela ottimale delle medesime persone.

16.— A ciò va aggiunto che, questa Corte con riferimento ad una fattispecie per qualche aspetto analoga alla presente (si veda la sentenza n. 226 del 2000 sul diritto a misure di sostegno assistenziali in caso di malattia intervenuta a seguito di trattamenti sanitari effettuati nell’interesse pubblico di promozione della salute collettiva), ha riconosciuto che il legislatore, nell’esercizio dei suoi poteri di apprezzamento della qualità e della entità delle misure necessarie a rendere effettiva la tutela delle persone disabili, alla stregua degli artt. 2, 3 e 32 Cost., ben possa graduare l’adozione delle stesse in vista dell’attuazione del principio di parità di trattamento, tenuto conto di tutti i valori costituzionali in gioco, fermo comunque il rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati.

La relativa determinazione rientra necessariamente nel potere di scelta spettante al legislatore. D’altronde, questa Corte, già con la sentenza n. 215 del 1987 (punto 9 del Considerato in diritto) ha chiarito come, a proposito della frequenza della scuola da parte di alunni disabili, spetti «al legislatore il compito – la cui importanza ed urgenza è sottolineata dalle considerazioni (…) svolte − di dettare nell’ambito della propria discrezionalità una compiuta disciplina idonea a dare organica soluzione a tale rilevante problema umano e sociale».

Resta comunque fermo che, su un piano più generale e pur con i suoi limiti, la normativa vigente sulla eliminazione delle barriere architettoniche attende ancora di essere compiutamente attuata a salvaguardia dei fondamentali diritti delle persone disabili; ciò che postula il concorso di tutte le autorità pubbliche interessate, ciascuna nell’ambito della propria competenza legislativa ed amministrativa.

Questa Corte, d’altronde, da tempo, seppure in un diverso contesto, ha già avuto modo di affermare che l’accessibilità «è divenuta una qualitas essenziale degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell’affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici» (sentenza n. 167 del 1999, punto 5 del Considerato in diritto).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, primo e secondo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia con l’ordinanza di cui in epigrafe;   

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati) e dell’art. 24, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), trasfusi negli artt. 77, commi 1 e 2, e 82, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia con l’ordinanza di cui in epigrafe.           

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 giugno 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2008.