SENTENZA N. 215
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), di conversione del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5, promosso con la seguente ordinanza:
1) ordinanza emessa il 28 novembre 1984 dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sul ricorso proposto da Salvi Giovanni ed altri iscritta al n. 197 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1986;
Visti gli atti di costituzione di Salvi Giovanni ed altri;
Udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1987 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
Uditi l'avv. Giovanni C. Sciacca per Salvi Giovanni ed altri;
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso del 19 novembre 1983 i coniugi Giovanni Salvi e Liliana Carosi impugnavano innanzi al TAR del Lazio la mancata ammissione della loro figlia Carla, diciottenne portatrice di handicap, a ripetere nell'anno scolastico 1983/84 la frequenza della prima classe dell'Istituto Professionale di Stato per il Commercio "N. Garrone" di Roma. Costei nell'anno precedente era stata ritenuta inclassificabile, ed il Preside, accettata con riserva la domanda di reiscrizione, aveva rimesso la questione al Provveditore agli studi, facendo presente che - secondo gli insegnanti - la giovane non avrebbe potuto trarre un qualche profitto dalla permanenza nella scuola media superiore. Il Provveditore agli Studi, a fronte della certificazione medica allegata all'istanza, aveva invitato il Preside ad acquisire presso i competenti servizi specialistici dell'USL un parere medico legale, da esprimersi sulla base sia di accertamenti di carattere sanitario e psicologico, sia della conoscenza della situazione determinatasi nell'anno precedente e dei giudizi espressi dal Consiglio di classe in sede di verifica finale. Il responso sanitario, peraltro, aveva escluso che l'handicap - di tipo neuropsichico - fosse da considerarsi grave, ed aveva sottolineato che la giovane poteva trarre dalla frequenza un beneficio che, se relativo quanto all'apprendimento, era viceversa notevole sul terreno della socializzazione e dell'integrazione, sì da far ritenere fondamentale la riammissione della giovane, per la quale l'isolamento avrebbe contribuito in maniera assolutamente negativa alla formazione del carattere.
Ciononostante, la richiesta di reiscrizione era stata respinta di fatto, con il rifiuto opposto alla giovane ad assistere alle lezioni.
2. - Con ordinanza del 28 novembre 1984, il TAR ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 30 marzo 1971, n. 118, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 30, 31 e 34 Cost.
All'inserimento scolastico degli handicappati - ricorda innanzitutto il TAR rimettente - si provvide solo a partire dagli anni sessanta, prima mediante classi speciali e differenziali (circolari nn. 4525 del 1962 e 93 del 1963), poi con l'ammissione in classi normali, opportunamente dimensionate, e l'utilizzazione in esse di insegnanti di sostegno (circolari nn. 227 del 1975, 228 del 1976 e 216 del 1977).
Con la legge 4 agosto 1977, n. 517 furono poi previste (artt. 2 e 7) forme di integrazione e di sostegno in favore degli alunni handicappati, in particolare con l'impiego di insegnanti specializzati e, nella scuola media, anche di attività scolastiche integrative.
Con l'art. 12 della legge 20 maggio 1982, n. 270 si provvide poi a fissare le dotazioni organiche del personale docente delle scuole materne, elementari e medie, tenendo conto dei posti di sostegno da istituire a favore degli alunni portatori di handicaps.
Ciò premesso, il TAR del Lazio osserva che l'impugnato art. 28 l. n. 118/1971 - recante "Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili" - disponendo in ordine alla frequenza scolastica di costoro, prevede, al secondo comma, che "L'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali"; ed al terzo comma, che "Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie".
Richiamando le deduzioni dei ricorrenti, il giudice a quo lamenta che tali disposizioni nulla prevedano in favore degli handicappati, diversamente che per i mutilati ed invalidi civili, cui si assicura la frequenza scolastica anche se afflitti da menomazioni fisiche o psichiche pari a quelle dei primi. Ma avverte che "la questione investe più direttamente" le richiamate disposizioni delle leggi nn. 517 del 1977 e 270 del 1982, in quanto non garantiscono agli handicappati la frequenza nella scuola media di secondo grado; ed assume che tale carenza legislativa sia incostituzionale: "in particolare rispetto all'art. 3 che, dopo affermato il principio di uguaglianza, affida all'Ordinamento il compito di rimuovere gli ostacoli impedenti il pieno sviluppo della persona umana; rispetto all'art. 30 che consacra il diritto all'istruzione di ogni cittadino; all'art. 31 che affida alla Repubblica il compito di proteggere la gioventù, favorendo gli istituti necessari allo scopo; come anche all'art. 34 ove si afferma che la Repubblica rende effettivo il diritto di tutti a frequentare la scuola".
3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri non é intervenuto.
Si sono invece costituite le parti private Giovanni e Carla Salvi e Liliana Carosi, a mezzo degli avv.ti G.C. Sciacca e P. d'Amelio.
Nella relativa memoria vengono svolte considerazioni analoghe a quelle prospettate nell'ordinanza di rimessione.
Si assume, in particolare, essere privo di giustificazione che si prevedano per l'invalido civile misure atte ad agevolarne l'inserimento nella vita sociale e lavorativa, mentre l'handicappato sarebbe tutelato "solo per quanto riguarda il suo inserimento nella scuola dell'obbligo, dopo di che, essendo le sue minorazioni tali da impedirgli un'attività lavorativa normale, viene completamente abbandonato". Ciò sarebbe in contrasto con i principi posti dagli artt. 30, 31, 34 e 38, 3 comma, Cost., dai quali discenderebbe il compito dello Stato di garantire anche ai minorati formazione ed educazione (intese come sviluppo integrale della persona: art. 2 Cost.), nonché il conseguente avviamento professionale. La permanenza nel contesto scolastico dopo la scuola dell'obbligo sarebbe invero uno dei mezzi di attuazione di tali fini, in mancanza della quale dovrebbe preventivarsi "una sicura regressione, in termini di maturazione psico-intellettuale e di socialità" e si renderebbero perciò vani i risultati già raggiunti.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio dubita, in riferimento agli artt. 3, 30, 31 e 34 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 30 marzo 1971, n. 118, recante "Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili".
Tale disposizione detta "Provvedimenti per la frequenza scolastica" di questi ultimi: ed in particolare, dopo aver previsto, nel primo comma, misure dirette a rendere possibile o comunque ad agevolare in generale l'accesso e la permanenza nella scuola (trasporto gratuito dalla abitazione alla scuola, accesso a questa mediante adatti accorgimenti ed eliminazione delle cosiddette barriere architettoniche, assistenza agli invalidi più gravi durante le ore scolastiche) prescrive, nel secondo comma, che, per quanto riguarda l'istruzione dell'obbligo, questa "deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali".
Il terzo comma dispone che "sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie"; il quarto comma infine, estende la medesima disciplina alle istituzioni prescolastiche e ai doposcuola. Come precisato in narrativa, nel caso di specie il TAR rimettente era chiamato a decidere in ordine alla legittimità della mancata reiscrizione di una giovane portatrice di handicap alla prima classe di un istituto professionale di Stato, manifestata col rifiuto oppostole ad assistere alle lezioni nonostante il contrario parere espresso dai competenti servizi specialistici sotto il profilo sanitario e psicologico; parere nel quale era stata sottolineata la non gravità dell'affezione e la fondamentale importanza della frequenza scolastica nell'indurre momenti di socializzazione ed integrazione atti a favorirne un'evoluzione positiva.
La questione é quindi indubbiamente rilevante, posto che la disposizione impugnata, nella prospettazione del giudice a quo, non assicura ai portatori di handicaps il diritto alla frequenza delle scuole secondarie superiori.
2. - Giova anzitutto premettere all'esame della specifica questione sollevata, un sia pur sintetico cenno all'evoluzione normativa sull'inserimento nella scuola dei portatori di handicaps, in quanto é anche sulla considerazione di taluni suoi caratteri che l'ordinanza di rimessione fonda le proprie censure.
Come é noto, il problema dell'inserimento di minorati nella scuola é stato per lungo tempo affrontato e risolto, nel nostro ordinamento, con gli strumenti delle scuole speciali e delle classi differenziali.
Ancora negli anni sessanta, le leggi 24 luglio 1962, n.1073 (recante i "Provvedimenti per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962 al 1965") e 31 ottobre 1966, n. 942 (relativa al "Finanziamento del piano di sviluppo della scuola nel quinquennio dal 1966 al 1970") prevedono stanziamenti per il funzionamento di tali strutture speciali. La legge 31 dicembre 1962, n.1859, istitutiva della scuola media statale, contempla classi differenziali per "alunni disadattati scolastici" (art. 12) e la legge 18 marzo 1968, n. 444, relativa alla scuola materna statale, istituisce sezioni o, per i casi più gravi, scuole speciali per i bambini da tre a cinque anni affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali.
Negli anni settanta, questo indirizzo viene sostanzialmente ribaltato. La legge 30 marzo 1971, n.118 - oltre a prevedere, per i "mutilati ed invalidi civili", corsi di istruzione per l'espletamento o completamento della scuola dell'obbligo presso i centri di riabilitazione, scuole per la formazione di assistenti educatori e assistenti sociali specializzati e particolari misure per l'addestramento professionale (artt. 4, 5 e 23) - stabilisce - come si é visto - che "l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica" (art. 28) e che "Esclusivamente quando sia accertata l'impossibilità di far frequentare ai minorati la scuola pubblica dell'obbligo" si istituiranno "per i minori ricoverati" nei centri di degenza e di recupero, classi normali "quali sezioni staccate della scuola statale" (art. 29).
La legge 4 agosto 1977, n. 517, poi, "al fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità" prevede per la scuola elementare (art. 2) e media (art. 7) forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps, da realizzarsi tra l'altro attraverso limitazioni numeriche delle classi in cui costoro sono inseriti, predisposizione di particolari servizi ed impiego di docenti specializzati. Con la medesima legge (art. 7, ultimo comma) sono abolite le classi differenziali. La successiva legge 20 maggio 1982, n. 270 provvede poi (art. 12) circa le dotazioni organiche, nei ruoli di dette scuole, degli insegnanti di sostegno (di regola, uno ogni quattro alunni portatori di handicaps).
La disciplina così sommariamente richiamata concerne peraltro solo la scuola materna, elementare e media; mentre per la scuola secondaria superiore non ha avuto sviluppi, nella legislazione nazionale, l'indicazione contenuta nel già citato terzo comma dell'art. 28 l. n. 118 del 1971.
Per la verità, la previsione di "forme di integrazione educativa" atte a facilitare l'inserimento e la formazione degli handicappati anche in tale ordine di scuola é diffusamente presente al livello di legislazione regionale (cfr., in particolare, l. r. Veneto 8 maggio 1980, n. 46; l.r. Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 1981, n. 87; l.r. Sicilia 18 aprile 1981, n. 68; l.r. Calabria 3 settembre 1984, n. 28; ecc.).
Spazi per concrete iniziative di inserimento dei portatori di handicaps nelle scuole superiori sono inoltre individuabili nella definizione normativa dei compiti degli organi collegiali della scuola (cfr. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, artt. 3, 6, 12 e 15). Specifiche prescrizioni in tal senso sono inoltre contenute nelle circolari ministeriali nn.129 del 28 aprile 1982 e 163 del 16 giugno 1983 (quest'ultima relativa alle prove di esame di maturità da parte di candidati portatori di handicaps).
Nell'ottava e nella nona legislatura, infine, sono state assunte molteplici iniziative legislative volte a disciplinare la frequenza, da parte degli handicappati, delle scuole secondarie superiori e dell'università, con la previsione di misure atte a realizzarla concretamente: ma esse non sono riuscite a tradursi in provvedimenti legislativi.
3. - Al fine di puntualizzare l'oggetto del presente giudizio di costituzionalità, giova ricordare che il giudice rimettente, nel dare inizialmente conto delle prospettazioni della parte privata, sembra lamentare (senza però fare inequivocabilmente propria la censura) che le disposizioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 28 l. n. 118 del 1971 concernano solo i mutilati ed invalidi civili, e ne siano viceversa esclusi i portatori di handicaps.
Così intesa, la questione muoverebbe però da un erroneo presupposto. Dispone invero l'art. 2, secondo comma, di tale testo legislativo che "Agli effetti della presente legge, si considerano mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subìto una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età"; ed é pacifico in dottrina e giurisprudenza che in tale ampia nozione sono ricompresi i soggetti affetti da menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali comportanti sensibili difficoltà di sviluppo, apprendimento ed inserimento nella vita lavorativa e sociale, cui il concetto di "portatore di handicaps" comunemente si riferisce (anche se al riguardo non esiste, allo stato - salvo che in talune leggi regionali - una precisa definizione legislativa).
Dopo il suddetto cenno iniziale, peraltro, l'ordinanza di rimessione prosegue con una diffusa esposizione della sopra richiamata normativa in materia e nella parte finale incentra le proprie censure sulla genericità della previsione di cui all'impugnato art. 28, lamentando la carenza di disposizioni, quali quelle di cui alle citate leggi nn. 517 del 1977 e 270 del 1982, idonee a garantire ai portatori di handicaps, con la predisposizione di strumenti all'uopo idonei, la frequenza della scuola secondaria superiore.
La questione dedotta investe, perciò, il terzo comma del citato art. 28, in quanto, limitandosi a disporre che "sarà facilitata" tale frequenza, non assicura l'effettiva e concreta realizzazione di tale diritto: nel che il giudice rimettente ravvisa una violazione degli artt. 3, 30, 31 e 34 Cost.
4. - La disposizione impugnata ha indubbiamente un contenuto esclusivamente programmatorio, limitandosi ad esprimere solo un generico impegno ed un semplice rinvio ad imprecisate e future facilitazioni. Il suo tenore non é perciò idoneo a conferire certezza alla condizione giuridica dell'handicappato aspirante alla frequenza della scuola secondaria superiore; a garantirla, cioè, come diritto pieno pur ove non sussistano (come nel caso oggetto del giudizio a quo) le condizioni che - se concretamente verificate - ne limitano la fruizione per la scuola dell'obbligo a termini del precedente secondo comma del medesimo articolo. Per la scuola secondaria superiore, inoltre, non solo mancano norme che apprestino gli strumenti atti a corredare tale diritto di opportuni supporti organizzativi e specialistici - come avviene per la scuola dell'obbligo ai sensi dei richiamati articoli delle leggi nn. 517 del 1977 e 270 del 1982 -; ma la disposizione impugnata, non é, per la sua formulazione, idonea a costituire il fondamento cogente né della disciplina, che - pur se in modo parziale e disorganico - é stata finora emanata a livello di normazione regionale o secondaria, né delle iniziative che sul piano della gestione concreta competono, come si é detto, agli organi scolastici.
5. - La questione, nei termini anzidetti, é fondata.
Per valutare la condizione giuridica dei portatori di handicaps in riferimento all'istituzione scolastica occorre innanzitutto considerare, da un lato, che é ormai superata in sede scientifica la concezione di una loro radicale irrecuperabilità, dall'altro che l'inserimento e l'integrazione nella scuola ha fondamentale importanza al fine di favorire il recupero di tali soggetti. La partecipazione al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato, al dispiegarsi cioè di quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione.
Insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia, la frequenza scolastica é dunque un essenziale fattore di recupero del portatore di handicaps e di superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull'altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità.
Da siffatto ordine concettuale ha indubbiamente preso le mosse il legislatore ordinario allorquando, con le già richiamate disposizioni delle leggi del 1971 e 1977, ha da un lato previsto l'inserimento in via di principio dei minorati nella normale scuola dell'obbligo - onde evitare i possibili effetti di segregazione ed isolamento ed i connessi rischi di regressione - dall'altro ha concepito le forme di integrazione, sostegno ed assistenza ivi previste come strumenti preordinati ad agevolare non solo l'attuazione del diritto allo studio ma anche la piena formazione della personalità degli alunni handicappati.
Ora, é innegabile che le esigenze di apprendimento e socializzazione che rendono proficua a questo fine la frequenza scolastica non vengono meno col compimento della scuola dell'obbligo; anzi, proprio perché si tratta di complessi e delicati processi nei quali il portatore di handicaps incontra particolari difficoltà, é evidente che una loro artificiosa interruzione, facendo mancare uno dei fattori favorenti lo sviluppo della personalità, può comportare rischi di arresto di questo, quando non di regressione.
Altrettanto innegabile é, d'altra parte, che l'apprendimento e l'integrazione nella scuola sono, a loro volta, funzionali ad un più pieno inserimento dell'handicappato nella società e nel mondo del lavoro; e che lo stesso svolgimento di attività professionali più qualificate di quelle attingibili col mero titolo della scuola dell'obbligo - e quindi il compimento degli studi inferiori - può favorire un più ricco sviluppo delle potenzialità del giovane svantaggiato e quindi avvicinarlo alla meta della piena integrazione sociale.
6. - Dalle considerazioni ora svolte é agevole arguire come sul tema della condizione giuridica del portatore di handicaps confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale; e che, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia é essenzialmente dato dall'interrelazione e integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela.
Statuendo che "la scuola é aperta a tutti", e con ciò riconoscendo in via generale l'istruzione come diritto di tutti i cittadini, l'art. 34, primo comma, Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo "nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità" apprestata dall'art. 2 Cost. trova espressione in riferimento a quella formazione sociale che é la comunità scolastica. L'art. 2 poi, si raccorda e si integra con l'altra norma, pure fondamentale, di cui all'art. 3, secondo comma, che richiede il superamento delle sperequazioni di situazioni sia economiche che sociali suscettibili di ostacolare il pieno sviluppo delle persone dei cittadini.
Lette alla luce di questi principi fondamentali, le successive disposizioni contenute nell'art. 34 palesano il significato di garantire il diritto all'istruzione malgrado ogni possibile ostacolo che di fatto impedisca il pieno sviluppo della persona. L'effettività dell'istruzione dell'obbligo é, nel secondo comma, garantita dalla sua gratuità; quella dell'istruzione superiore é garantita anche a chi, capace e meritevole, sia privo di mezzi, mediante borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze (terzo e quarto comma). In tali disposizioni, l'accento é essenzialmente posto sugli ostacoli di ordine economico, giacché il Costituente era ben consapevole che é principalmente in queste che trova radice la disuguaglianza delle posizioni di partenza e che era perciò indispensabile dettare al riguardo espresse prescrizioni idonee a garantire l'effettività del principio di cui al primo comma. Ciò però non significa che l'applicazione di questo possa incontrare limiti in ostacoli di altro ordine, la cui rimozione é postulata in via generale come compito della Repubblica nelle disposizioni di cui agli artt. 2 e 3, secondo comma: sostenere ciò significherebbe sottacere il fatto evidente che l'inserimento nella scuola e l'acquisizione di una compiuta istruzione sono strumento fondamentale per quel "pieno sviluppo della persona umana" che tali disposizioni additano come meta da raggiungere.
In particolare, assumere che il riferimento ai "capaci e meritevoli" contenuto nel terzo comma dell'art. 34 comporti l'esclusione dall'istruzione superiore degli handicappati in quanto "incapaci" equivarrebbe a postulare come dato insormontabile una disuguaglianza di fatto rispetto alla quale é invece doveroso apprestare gli strumenti idonei a rimuoverla, tra i quali é appunto fondamentale - per quanto si é già detto - l'effettivo inserimento di tali soggetti nella scuola.
Per costoro, d'altra parte, capacità e merito vanno valutati secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di minorazione, come le stesse circolari ministeriali dianzi citate si sono in certa misura sforzate di prescrivere (cfr. par. 2); ed il precludere ad essi l'inserimento negli istituti d'istruzione superiore in base ad una presunzione di incapacità - soprattutto, senza aver preventivamente predisposto gli strumenti (cioè le "altre provvidenze" di cui all'art. 34, quarto comma) idonei a sopperire all'iniziale posizione di svantaggio - significherebbe non solo assumere come insuperabili ostacoli che é invece doveroso tentare di eliminare, o almeno attenuare, ma dare per dimostrato ciò che va invece concretamente verificato e sperimentato onde assicurare pari opportunità a tutti, e quindi anche ai soggetti in questione. Inoltre, se l'obiettivo é quello di garantire per tutti il pieno sviluppo della persona e se, dunque, compito della Repubblica é apprestare i mezzi per raggiungerlo, non v'ha dubbio che alle condizioni di minorazione che tale sviluppo ostacolano debba prestarsi speciale attenzione e che in quest'ottica vadano individuati i compiti della scuola quale fondamentale istituzione deputata a tal fine. Di ciò si é mostrato consapevole il legislatore ordinario, che non a caso nelle leggi del 1971 e 1977 dianzi citate ha al riguardo congiuntamente indicato i fini dell'"istruzione" e della "piena formazione della personalità" (ovvero - il che é lo stesso - quelli dell'"apprendimento" e dell'"inserimento"), inquadrando in tale contesto le specifiche disposizioni dettate in favore dei minorati. Che poi ai medesimi compiti sia deputata anche l'istruzione superiore é dimostrato, prima ancora che da specifiche disposizioni in tal senso (cfr. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 1 e 2), dall'ovvia constatazione che essa stessa é strumento di piena formazione della personalità.
7. - Per i minorati, d'altra parte - a dimostrazione della speciale considerazione di cui devono essere oggetto - il perseguimento dell'obiettivo ora indicato non é stato dal Costituente rimesso alle sole disposizioni generali. L'art. 38, terzo comma, prescrive infatti che "gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione ed all'avviamento professionale". Attesa la chiara formulazione della norma, che sancisce un duplice diritto, non potrebbe dedursi dalla sua collocazione nel titolo dedicato ai rapporti economici che essa garantisca l'educazione solo in quanto funzionale alla formazione professionale e che quindi solo per questa via sia a tali soggetti assicurato l'inserimento nella vita produttiva: se così fosse, il primo termine sarebbe evidentemente superfluo. Certo, la seconda garanzia - che nei confronti dei portatori di handicaps trova specifica attuazione nella legge quadro in materia di formazione professionale, attraverso la prescrizione alle regioni di "idonei interventi" atti ad "assicurarne il completo inserimento nell'attività formativa e favorirne l'integrazione sociale": art. 3, lett. m), l. n. 845 del 1978 - ha per costoro fondamentale importanza, specie per quei casi di handicaps gravi o gravissimi per i quali risulti concretamente impossibile l'apprendimento e l'integrazione nella scuola secondaria superiore: impedimenti che peraltro - alla stregua di quanto s'é detto, ed in coerenza con quanto chiaramente prescrive, per la scuola dell'obbligo, l'art. 28 della legge n. 118 del 1971 - vanno valutati esclusivamente in riferimento all'interesse dell'handicappato e non a quello ipoteticamente contrapposto della comunità scolastica, misurati su entrambi gli anzidetti parametri (apprendimento ed inserimento) e non solo sul primo e concretamente verificati alla stregua di già predisposte strutture di sostegno, senza cioé che la loro permanenza possa imputarsi alla carenza di queste.
Se, quindi, l'educazione che deve essere garantita ai minorati ai sensi del terzo comma dell'art. 38 é cosa diversa da quella propedeutica o inerente alla formazione professionale - che si rivolge a chi ha assolto l'obbligo scolastico o ne é stato prosciolto (art. 2, secondo comma, legge n. 845 del 1978 cit.) - é giocoforza ritenere che la disposizione sia da riferire all'educazione conseguibile anche attraverso l'istruzione superiore. Benché non si esaurisca in ciò, l'educazione é infatti "l'effetto finale complessivo e formativo della persona in tutti i suoi aspetti" che consegue all'insegnamento ed all'istruzione con questo acquisita (cfr. sent. n. 7 del 1967).
Sotto quest'aspetto, dunque, la disposizione in discorso integra e specifica quella contenuta nell'art. 34, per quanto concerne l'istruzione che va garantita ai minorati; e la sua collocazione nel III, anziché nel II titolo della I parte della Costituzione ben si giustifica coll'essere l'istruzione in questione finalizzata anche all'inserimento di tali soggetti nel mondo del lavoro.
Garantire a minorati ed invalidi tale possibilità anche attraverso l'istruzione superiore corrisponde perciò ad una precisa direttiva costituzionale: e non a caso questa Corte, decidendo in ordine ad una situazione per molti versi analoga, nella quale era stato posto in discussione il rapporto tra il cittadino invalido e il suo inserimento nel mondo del lavoro, ha affermato (sent. n. 163 del 1983) che "non sono costituzionalmente, oltre ché moralmente ammissibili esclusioni e limitazioni dirette a relegare sul piano di isolamento e di assurda discriminazione soggetti che, particolarmente colpiti nella loro efficienza fisica e mentale, hanno invece pieno diritto di inserirsi nel mondo del lavoro".
8. - Ciò che va ancora sottolineato, poi, é che, onde garantire l'effettività del diritto all'educazione (nel senso ora precisato) di minorati ed invalidi - e quindi dei portatori di handicaps - lo stesso art. 38 dispone, al quarto comma, che ai compiti a ciò inerenti debbano provvedere "organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato". Ciò, per un verso, evidenzia la doverosità delle misure di integrazione e sostegno idonee a consentire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d'istruzione anche superiore: dimostrando, tra l'altro, che é attraverso questi strumenti, e non col sacrificio del diritto di quelli, che va realizzata la composizione tra la fruizione di tale diritto e le esigenze di funzionalità del servizio scolastico.
Per altro verso, la disposizione pone in risalto come all'assolvimento di tali compiti siano deputati primariamente gli organi pubblici. Di ciò si ha, sotto altro e più generale profilo, significativa conferma nella disposizione di cui all'art. 31, primo comma, Cost., che, facendo carico a tali organi di agevolare, con misure economiche e "altre provvidenze", l'assolvimento dei compiti della famiglia - tra i quali é quello dell'istruzione ed educazione dei figli (art. 30) - presuppone che esso possa per vari motivi risultare difficoltoso: ed é evidente che se vi é un settore in cui la dedizione della famiglia può risultare in concreto inadeguata, esso é proprio quello dell'educazione e sostegno dei figli handicappati. Ciò dà la misura dell'impegno che in tale campo é richiesto tanto allo Stato quanto alle Regioni, alle quali ultime spetta in particolare provvedere, con i necessari supporti, all'assistenza scolastica in favore dei "minorati psico-fisici" (art. 42 d.P.R. n. 616 del 1977).
Nello stesso senso depongono, del resto, i compiti posti alla Repubblica dall'art. 32 Cost., atteso l'ausilio al superamento od attenuazione degli handicaps (ovvero ad evitare interruzioni di tali positive evoluzioni) che può essere fornito, come si é già detto, dall'integrazione negli istituti d'istruzione superiore: non a caso la legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978 pone l'obiettivo, tra l'altro, della "promozione della salute nell'età evolutiva... favorendo con ogni mezzo l'integrazione dei soggetti handicappati" (art. 2, secondo comma, lett. d).
9. - Alla stregua delle suesposte considerazioni, l'art. 28, terzo comma, della legge n. 118 del 1971 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che "Sarà facilitata", anziché disporre che "É assicurata", la frequenza alle scuole medie superiori.
In questo modo, la disposizione acquista valore immediatamente precettivo e cogente, ed impone perciò ai competenti organi scolastici sia di non frapporre a tale frequenza impedimenti non consentiti alla stregua delle precisazioni sopra svolte, sia di dare attuazione alle misure che, in virtù dei poteri-doveri loro istituzionalmente attribuiti, ovvero dell'esistente normazione regionale, secondaria o amministrativa (cfr. par. 2), possano già allo stato essere da essi concretizzate o promosse.
Spetta ovviamente al legislatore il compito - la cui importanza ed urgenza é sottolineata dalle considerazioni sopra svolte - di dettare nell'ambito della propria discrezionalità una compiuta disciplina idonea a dare organica soluzione a tale rilevante problema umano e sociale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, terzo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 - recante "Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili" - nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che "Sarà facilitata", anziché disporre che "É assicurata" la frequenza alle scuole medie superiori.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 3 giugno 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: SPAGNOLI
Depositata in cancelleria l'8 giugno 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE