SENTENZA N. 163
ANNO 1983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Dott. Michele ROSSANO,
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 18 ottobre 1976 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra l'INPS e Perini Rina, iscritta al n. 747 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 del 2 febbraio 1977;
2) ordinanza emessa il 26 novembre 1976 dal Tribunale di Bolzano nel procedimento civile vertente tra Egger Franz e l'INPS, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 94 del 6 aprile 1977.
Visti l'atto di costituzione di Egger Franz e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1983 il Giudice relatore Francesco Saja;
uditi l'avv. Ugo Novelli per l'Egger e l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento civile tra l'INPS e l'assicurata Perini Rina, avente per oggetto la corresponsione del trattamento pensionistico di invalidità, il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 18 ottobre 1976 (in G.U. n. 31 del 2 febbraio 1977; reg. ord. n. 747 del 1976), sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (modificato dall'art. 24 l. 3 giugno 1975 n. 160), il quale, ai fini del diritto alla pensione di invalidità, richiede una riduzione della capacità di guadagno a meno di un terzo.
Il Tribunale rilevava che la norma suddetta era interpretata dalla giurisprudenza ordinaria nel senso che il lavoratore, già invalido oltre il suddetto limite nel momento della costituzione del rapporto assicurativo, non aveva diritto alla pensione; così intesa, la norma stessa sembrava in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto determinava un'ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti che, pur egualmente in possesso di tutti i requisiti per la pensione di invalidità, venivano diversamente considerati a seconda del momento in cui si era verificata la riduzione della capacità di guadagno; ed appariva inoltre in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost. , che assicura la tutela previdenziale ai lavoratori in caso di invalidità.
La stessa questione di legittimità costituzionale veniva sollevata dal Giudice unico del lavoro presso il Tribunale di Bolzano, con ordinanza del 26 novembre 1976 (in G.U. n. 94 del 6 aprile 1977; reg. ord. n. 63 del 1977), emessa nel procedimento civile tra Egger Franz e l'INPS.
2. - L'Egger si costituiva aderendo alle argomentazioni del giudice rimettente.
La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta nelle cause relative ad entrambe le ordinanze, chiedeva che venisse dichiarata l'infondatezza della sollevata questione, deducendo in relazione all'art. 3 la diversità delle situazioni messe a confronto, e rilevando in relazione all'art. 38 Cost. che a coloro i quali fossero invalidi già prima dell'inizio del rapporto di lavoro spettava la tutela assistenziale prevista dal primo comma e non quella di cui al secondo comma della stessa norma.
Nell'imminenza dell'udienza pubblica l'Egger ha tempestivamente presentato ampia memoria illustrativa.
Considerato in diritto
1. - Le due ordinanze, emesse dal Tribunale di Bolzano e da quello di Venezia, concernono la medesima questione e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. - Con i predetti provvedimenti i giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 10 primo comma r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (il cui testo risulta ora dall'art. 24 l. 3 giugno 1975 n. 160) in base al quale "si considera invalido l'assicurato la cui capacità di guadagno, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo". La norma viene impugnata nella parte in cui implicitamente esclude dalla sua previsione, secondo l'interpretazione corrente, l'ipotesi dell'assicurato che, già al momento dell'inizio del rapporto di lavoro e del conseguente automatico insorgere del rapporto assicurativo, abbia la capacità di guadagno diminuita oltre il detto limite, anche se subisca un'ulteriore riduzione della stessa. Ciò, secondo detta interpretazione, discende dalla mancanza di un "rischio" preesistente, considerato come requisito essenziale comune alle assicurazioni private e a quelle sociali, sicché il rapporto relativo all'assicurazione contro l'invalidità risulta inefficace; con la ulteriore impossibilità da parte dell'assicurato di acquisire il diritto alla pensione.
Tale conseguenza costituisce appunto il presupposto da cui muovono le due ordinanze per denunciare la norma sopra riportata in relazione agli artt. 3 e 38 secondo comma della Costituzione.
3. - Il problema non é nuovo e di esso si é già occupata questa Corte sotto altra angolazione.
Invero, al diniego della pensione di invalidità nell'ipotesi sopra indicata la giurisprudenza ordinaria era pervenuta anche in base ad una diversa prospettazione e precisamente in base all'art. 1895 cod. civile, il quale espressamente esige per la validità della costituzione del rapporto di assicurazione (privata) un rischio preesistente, norma ritenuta applicabile, per il rinvio contenuto nell'art. 1886 stesso codice, anche alle assicurazioni sociali.
Da parte di alcuni giudici si dubitò della legittimità costituzionale di queste norme sostanzialmente per le medesime ragioni ora addotte dalle ordinanze di rimessione dei tribunali di Bolzano e di Venezia, ma questa Corte ritenne che il diniego della pensione di invalidità nella fattispecie considerata non derivava dalle norme predette, bensì dall'art. 10 r.d.l. n. 636 del 1939, sicché ritenne non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale (sent. 12 aprile 1976 n. 91; ord. 5 aprile 1978 n. 31).
Ed é proprio nel solco delle ora indicate pronunzie di questa Corte che ora é stato impugnato il cit. art. 10 del r.d.l. n. 636 del 1939.
4. - La questione prospettata dalle ordinanze di rimessione, come si é accennato, concerne l'ipotesi di chi, pur avendo una capacità di guadagno ridotta oltre il limite stabilito dalla legge per ottenere la pensione di invalidità (alla quale però non ha in concreto diritto a causa della mancanza di una contribuzione assicurativa per il periodo di tempo minimo), non si arrenda a vivere in maniera passiva e parassitaria, ma si inserisca nel mondo del lavoro, operando così attivamente nel settore della produzione. Con l'inizio della prestazione lavorativa sorge automaticamente, in base alla precisa e inderogabile disposizione normativa, l'obbligo relativo alle assicurazioni sociali, tra cui quella concernente l'invalidità, con il conseguente onere del versamento dei contributi da parte del datore di lavoro e del lavoratore. Senonché in base al cit. art. 10 r.d.l. n. 636 del 1939, come interpretato dalla giurisprudenza ordinaria, il rapporto assicurativo non diventa mai operante per la mancanza di un requisito fondamentale dell'assicurazione - cioè la preesistenza del rischio - risalendo la diminuita capacità di guadagno ad un momento anteriore all'inizio della prestazione lavorativa e del connesso rapporto assicurativo.
Ciò posto, si tratta di stabilire se la norma in esame legittimamente escluda la sussistenza di un rapporto assicurativo valido, impedendo così la tutela previdenziale prevista dall'art. 38 secondo comma della Costituzione, la quale ha in detto rapporto il suo indispensabile presupposto.
5. - La risposta, ad avviso della Corte, deve essere negativa.
A parte tutte le riserve, che pur sono state da più parti formulate sulla pretesa di equiparare il rischio delle assicurazioni sociali a quello delle assicurazioni private, va osservato che la ricordata disciplina normativa, come intesa dalla giurisprudenza ordinaria, non trova adeguata giustificazione.
Invero, un'alea é pur sempre presente nell'ipotesi in esame, e consiste precisamente nella eventuale modificazione della situazione preesistente per effetto di un'ulteriore riduzione della capacità di guadagno. É possibile, in altri termini, un fatto nuovo che aggravi la condizione in cui si trovava il lavoratore all'inizio del rapporto e renda, a seconda dei casi, insostenibile ovvero ancor più onerosa la già delicata situazione del lavoratore minorato.
Quando ciò avvenga non é certo rilevante l'entità dell'aggravamento, dato che comunque la capacità di guadagno risulterà ridotta oltre il limite stabilito dalla legge e pertanto ricorrerà necessariamente la condizione a cui la legge stessa subordina l'acquisto del diritto a pensione.
In proposito é appena il caso di osservare che la riduzione della capacità di guadagno non é qualche cosa di fisso ed immutabile, ma ha una propria dinamica, per cui può variare in meglio o in peggio, e la stessa legge (nel secondo comma del cit. art. 10) prevede appunto la perdita della pensione in caso di miglioramento se la capacità di guadagno cessi di essere inferiore al lirnite stabilito dalla norma predetta.
Naturalmente l'aggravamento dovrà essere accertato dall'Istituto previdenziale e dagli organi giudiziari con il necessario rigore in modo da evitare inganni e frodi, come altrettanto rigorosamente dovrà essere accertata allo stesso fine la reale sussistenza del rapporto di lavoro.
6. - In proposito non sembra cogliere nel segno il rilievo della Avvocatura dello Stato secondo cui, nel caso prospettato, il lavoratore, che ha già subito una riduzione della capacità di guadagno a meno di un terzo, dovrebbe trovare la sua tutela non già nel secondo, bensì nel primo comma dell'art. 38 della Costituzione, a norma del quale rientra tra i compiti primari dello Stato quello della pubblica assistenza verso tutti coloro che si trovino in condizioni di indigenza per ragioni di inabilità allo svolgimento di un'attività remunerativa.
In contrario va però rilevato che l'art. 3 della Costituzione attribuisce ad ogni cittadino il diritto fondamentale di realizzare lo sviluppo della sua personalità, il quale viene attuato, come é stato generalmente avvertito, principalmente attraverso il lavoro, a cui pertanto deve essere garantito il libero accesso da parte di tutti. Principio questo energicamente ribadito nel successivo art. 4, per cui "la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto".
Nella specifica materia considerata trova applicazione altresì l'art. 38 terzo comma della Costituzione medesima, secondo cui gli inabili ed i minorati hanno diritto, tra l'altro, "all'avviamento professionale" e va ricordato che tale disposizione ha un preciso riscontro nell'art. 15 della Carta sociale europea (sottoscritta a Torino il 18 ottobre 1961 ed entrata in vigore il 26 febbraio 1965), il quale, anzi, contiene una previsione normativa più compiuta e puntuale.
Di conseguenza non sono costituzionalmente, oltre che moralmente, ammissibili esclusioni e limitazioni dirette a relegare su un piano di isolamento e di assurda discriminazione soggetti che, particolarmente colpiti nella loro efficienza fisica o mentale, hanno invece pieno diritto di inserirsi nel mondo del lavoro. Se così é, non é consentito rifiutare poi le conseguenze che alla prestazione di lavoro immediatamente o mediatamente si ricollegano, ritenendo esclusa dall'obbligatorio e connesso rapporto assicurativo quella tutela previdenziale, la quale, invece, logicamente e ineluttabilmente da esso scaturisce.
7. - L'irrazionalità di una disciplina, come quella della norma denunziata, é stata da tempo rilevata in sede comunitaria ed appunto la Commissione delle Comunità economiche europee, su conforme parere del Comitato economico-sociale, nella Raccomandazione del 27 settembre 1966 ha ritenuto ingiustificata l'esclusione della pensione in conseguenza di un aggravamento di un'infermità preesistente.
Tale sollecitazione é stata raccolta dal Governo, il quale nel presentare un Disegno di legge in subiecta materia, si é richiamato ad essa, nella relazione che l'accompagna, per inserire un'espressa previsione del diritto alla pensione anche quando la ridotta capacità di guadagno oltre il terzo preesista all'insorgere del rapporto assicurativo (vedasi Disegno di legge n. 464 "Revisione della disciplina dell'invalidità pensionabile" presentato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto col Ministro del tesoro al Senato della Repubblica nella seduta del 14 novembre 1979). E va aggiunto che il ricordato Disegno di legge con la disposizione suddetta é stato già approvato dal Senato e trasmesso alla Camera il 17 marzo 1982 - Atto parlamentare n. 3266A, ove in data 10 novembre 1982 ha avuto l'approvazione in sede referente dalla XIII Commissione permanente lavoro e previdenza sociale.
8. - Poiché la sollevata questione risulta fondata, per quanto sopra detto, in relazione all'art. 38 secondo comma della Costituzione, diviene superfluo ogni ulteriore esame sulla denuncia dei giudici a quibus con riferimento al vizio di disparità di trattamento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, primo comma, del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (secondo il testo risultante ora dall'art. 24 della legge 3 giugno 1975 n. 160) nella parte in cui non prevede che si considera invalido anche l'assicurato la cui capacità di guadagno sia ridotta a meno di un terzo precedentemente alla costituzione del rapporto assicurativo e subisca una ulteriore riduzione nel corso del rapporto stesso.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 giugno 1983.
Leopoldo ELIA – Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 2 giugno 1983.