Sentenza n. 167/99

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SENTENZA N. 167

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1052, secondo comma, del codice civile promosso con ordinanza emessa il 19 settembre 1997 dal Pretore di La Spezia sul ricorso proposto da Sturlese Giorgio contro Ferrando Santino ed altri, iscritta al n. 532 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento ex art. 700 del codice di procedura civile promosso da un portatore di handicap, invalido civile al 100%, proprietario di un appartamento in condominio, al fine di ottenere l’autorizzazione ad esercitare, in via d’urgenza, il passaggio sino alla via pubblica su un orto confinante con lo stabile condominiale, il Pretore di La Spezia ha sollevato - sospendendo il procedimento cautelare - questione di legittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo comma, del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, 32 e 42, secondo comma, della Costituzione, "nella parte in cui non consente di costituire la servitù di cui al primo comma in favore di edifici di civile abitazione, al fine di garantire un adeguato accesso alla via pubblica per mutilati ed invalidi con difficoltà di deambulazione".

Deduce il giudice rimettente - quanto alla rilevanza della questione - che il ricorrente agisce in via d’urgenza, quale proprietario di un appartamento facente parte di un condominio avente accesso alla via pubblica solamente attraverso una scalinata di settantacinque gradini, al fine di ottenere l’anticipazione degli effetti di una sentenza costitutiva di servitù coattiva di passaggio su di un orto di proprietà di taluni condomini dell’edificio stesso, posto sul retro dello stabile, attraverso il quale sarebbe possibile raggiungere agevolmente la via pubblica con percorso in piano. Ritiene il rimettente che la proposta domanda cautelare sia ammissibile e che sussista, nella fattispecie, il presupposto del pericolo nel ritardo, in quanto la tutela invocata dal ricorrente é strettamente connessa al suo interesse ad una accettabile vita di relazione, nelle more pregiudicato, stante la sua condizione di invalido totale, dalla situazione di difficoltoso accesso alla via pubblica, non adeguabile se non con eccessivo dispendio e disagio.

Osserva tuttavia lo stesso rimettente che, poichè il fondo a favore del quale dovrebbe chiedersi nel giudizio di merito la costituzione di servitù non é intercluso, la norma da prendere in considerazione ai fini della valutazione del fumus boni iuris risulta quella di cui all’art. 1052 cod. civ. (Passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso), secondo la quale la servitù di passaggio a favore di un fondo avente un accesso alla via pubblica che sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo stesso e non sia ampliabile può essere concessa dall’autorità giudiziaria "solo quando questa riconosce che la domanda risponde alle esigenze dell’agricoltura o dell’industria". Ne dovrebbe dunque conseguire il rigetto della domanda cautelare, non ricorrendo nella fattispecie le esigenze di tipo produttivo considerate in via esclusiva dalla norma.

Ritiene tuttavia il giudice a quo che la norma stessa, per la parte in cui consente appunto la costituzione della servitù solo in vista delle esigenze dell’agricoltura e dell’industria e non anche in considerazione delle esigenze di vita di mutilati ed invalidi con difficoltà di deambulazione, sia in contrasto con gli artt. 2, 3, secondo comma, 32 e 42, secondo comma, della Costituzione.

L’interesse del disabile ad ottenere un passaggio sul fondo altrui al fine di accedere agevolmente alla via pubblica sarebbe infatti ricollegabile al diritto inviolabile ad una normale vita di relazione, tutelato dall’art. 2 Cost., ed al diritto alla salute - inteso come interesse del singolo e della collettività alla eliminazione delle discriminazioni dipendenti dalle situazioni invalidanti - tutelato dall’art. 32 Cost. Il diritto di proprietà, ai sensi dell’art. 42, secondo comma, Cost., può d’altro canto subire limitazioni al fine di assicurarne la funzione sociale e ciò giustificherebbe la sua sottomissione ai doveri di solidarietà enunciati dall’art. 2 Cost., anche in relazione all’esistenza di un principio inteso a consentire l'adeguato svolgimento della personalità rimuovendo gli ostacoli che si frappongono al superamento di situazioni di diseguaglianza (art. 3, secondo comma, Cost.).

La vigente legislazione in tema di eliminazione delle barriere architettoniche offrirebbe poi - ad avviso del rimettente - ulteriori elementi a sostegno del dubbio di legittimità, sia perchè essa ha già introdotto limitazioni speciali al diritto di proprietà al fine di garantire l’accessibilità dei disabili agli edifici (quali le deroghe al regime ordinario delle distanze ed a quello delle delibere condominiali) sia soprattutto in quanto l’intero impianto normativo dimostra che l’accessibilità a fini abitativi costituisce non solo un interesse del disabile ma un’utilità ed un carattere intrinseco dell’immobile, non diversamente dalle possibilità di sfruttamento agricolo ed industriale considerate dall’art. 1052 del codice civile.

L’esistenza di una normativa intesa a favorire l’eliminazione delle barriere architettoniche non escluderebbe, d’altro canto, l’interesse alla costituzione della servitù coattiva di passaggio in tutti quei casi in cui - come nella fattispecie sottoposta all’esame del giudice a quo - il passaggio esistente non possa adeguarsi se non con dispendio o disagio eccessivo o comunque notevolmente superiore al pregiudizio che, con l’imposizione della servitù, verrebbe arrecato al fondo limitrofo.

2. - E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità della questione.

Secondo quanto dedotto dall'Avvocatura la norma denunciata sarebbe inapplicabile alla fattispecie oggetto del giudizio, sia perchè diretta a regolamentare (secondo la tradizione romanistica delle servitù prediali) situazioni inerenti alla qualitas dei fondi più che alle contingenti e soggettive esigenze dei proprietari, sia soprattutto perchè dal suo ambito di applicazione risultano escluse, in base al disposto dell’art. 1051, ultimo comma, espressamente richiamato dall’art. 1052, primo comma, "le case, i cortili, i giardini e le aie" e tale esclusione dovrebbe estendersi, sempre ad avviso dell’Avvocatura, anche agli orti.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di La Spezia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo comma, del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, 32 e 42, secondo comma, della Costituzione, "nella parte in cui non consente di costituire la servitù di cui al primo comma in favore di edifici di civile abitazione, al fine di garantire un adeguato accesso alla via pubblica per mutilati ed invalidi con difficoltà di deambulazione".

La norma denunciata contrasterebbe infatti, ad avviso del rimettente, con il principio di eguaglianza in senso sostanziale e sarebbe altresì lesiva, nei confronti dei portatori di handicap, sia del diritto inviolabile ad una normale vita di relazione, sia del diritto alla salute, inteso come interesse del singolo e della collettività alla eliminazione delle discriminazioni dipendenti dalle situazioni invalidanti. Essa inoltre, consentendo la costituzione di servitù coattiva di passaggio a favore di fondo non intercluso solo per finalità produttive e non anche in relazione alle esigenze di vita degli invalidi, si porrebbe in contrasto con la funzione sociale del diritto di proprietà.

2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di irrilevanza e, quindi, di inammissibilità della questione sollevata dall'Avvocatura generale in base all'assunto che l'orto, su cui dovrebbe nella specie costituirsi la servitù coattiva di passaggio, sarebbe, come le "case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti", un bene esente da siffatta servitù ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1051 cod. civ.

Contrariamente a quanto ritenuto dall'Avvocatura, l'esenzione stabilita da tale norma, essendo intesa ad evitare l'eccessiva onerosità che, avuto riguardo alla destinazione abitativa degli immobili, deriverebbe dall'imposizione del passaggio a carico di essi, va, infatti, rigorosamente circoscritta alle case e a quegli immobili, come appunto i cortili, i giardini e le aie, che alle case sono legati da un vincolo pertinenziale. Mentre del tutto estranei allo scopo ed alla previsione della norma devono considerarsi gli orti, intendendosi per tali, secondo il significato comune del termine, quei fondi agricoli, di modeste dimensioni, destinati a soddisfare le esigenze alimentari del coltivatore e dei suoi familiari e privi, in relazione alla loro vocazione tipicamente agricola, del carattere di accessorietà alla casa di abitazione.

La qualificazione in concreto del fondo come orto nel senso precisato, piuttosto che come giardino o aia, costituisce poi questione di fatto rimessa alla esclusiva valutazione del giudice a quo. Sicchè, anche sotto tale aspetto, l'eccezione d'inammissibilità della questione risulta priva di fondamento.

3. - Nel merito, la questione é fondata.

4. - L’art. 1052 cod. civ. disciplina l’ipotesi di costituzione di passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso, che cioé abbia un proprio accesso alla via pubblica, tuttavia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non ampliabile.

Va premesso che l’"ampliabilità" di cui alla citata disposizione deve essere intesa, secondo la giurisprudenza di legittimità, non in senso letterale, cioé con riferimento alla sola larghezza del passaggio, ma nel più ampio e generico significato di riducibilità a sufficienza e adeguatezza. L’accesso alla pubblica via va, d’altro canto, considerato non ampliabile non soltanto quando il suo adeguamento sia materialmente impossibile, ma anche quando risulti eccessivamente oneroso o difficoltoso, secondo la disposizione di cui al primo comma dell’art. 1051 cod. civ., ritenuta dalla giurisprudenza applicabile alla fattispecie disciplinata dall’art. 1052 in virtù dell’espresso richiamo contenuto in quest’ultima norma e della evidente identità di situazione e di ratio giustificatrice.

La concessione del passaggio coattivo é subordinata, dalla norma denunciata, non solo alla inadeguatezza dell’accesso alla via pubblica e alla sua non ampliabilità, ma anche alla sussistenza di una ulteriore condizione, rappresentata dalla circostanza che la domanda risponda "alle esigenze della agricoltura o dell’industria".

Con tale disposizione - ignota al codice civile previgente - il legislatore, per il caso di fondo non intercluso, ha inteso ricollegare la costituzione della servitù coattiva di passaggio non soltanto alle necessità del fondo (come nel caso di costituzione di servitù a favore di fondo intercluso), ma anche alla sussistenza in concreto di un interesse generale, all'epoca identificato nelle esigenze dell'agricoltura o dell'industria. Mentre estranee alla previsione della norma e prive, pertanto, di ogni rilievo ai fini della costituzione del passaggio coattivo risultano le esigenze abitative, pur se riferibili a quegli interessi fondamentali della persona la cui tutela é indefettibile.

Ed é in relazione a quest'ultimo aspetto che la norma si pone, come si vedrà, in contrasto con i principi costituzionali evocati dal rimettente.

5. - Va in proposito ricordato che la più recente legislazione relativa ai portatori di handicap - in particolare la legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), e la legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) - non si é limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma ha segnato, come la dottrina non ha mancato di sottolineare, un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività.

Di tale mutamento di prospettiva é segno evidente l’introduzione di disposizioni generali per la costruzione degli edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone handicappate.

Risulta, allora, chiaro come la tutela di queste ultime sia potuta divenire uno dei motivi di fondo della vigente legislazione abitativa attraverso anche (ma non esclusivamente) la fissazione delle caratteristiche necessarie all'edificio abitativo considerato nella sua oggettività ed astraendo dalla condizione personale del singolo utilizzatore.

Così, l’accessibilità - che l’art. 2 del d.m. 14 giugno 1989, n. 236 (Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e della eliminazione delle barriere architettoniche), definisce come "la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia" - é divenuta una qualitas essenziale degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell’affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici.

Per quanto riguarda poi gli edifici privati già esistenti, vengono in considerazione, come espressione dello stesso indirizzo legislativo, gli interventi previsti dall’art. 2 della citata legge n. 13 del 1989, in virtù dei quali é possibile apportare all’immobile condominiale, a spese dell’interessato ed anche in deroga alle norme sul condominio negli edifici, le modifiche necessarie per renderlo più comodamente accessibile.

E’ peraltro evidente come la citata normativa possa in concreto risultare del tutto insufficiente rispetto al fine perseguito, ove le innovazioni necessarie alla piena accessibilità dell’immobile risultino in concreto impossibili o, come nella specie, eccessivamente onerose o comunque di difficile realizzazione.

Ed é appunto in relazione a tali ipotesi che la non inclusione della accessibilità dell’immobile tra le esigenze che, ai sensi dell’art. 1052, secondo comma, cod. civ., possono legittimare la costituzione della servitù coattiva di passaggio, risulta lesiva di quei principi costituzionali che, come si é accennato, l'accessibilità dell'abitazione é intesa a realizzare.

6. - Più specificamente, la impossibilità di accedere alla pubblica via, attraverso un passaggio coattivo sul fondo altrui, si traduce nella lesione del diritto del portatore di handicap ad una normale vita di relazione, che trova espressione e tutela in una molteplicità di precetti costituzionali: evidente essendo che l'assenza di una vita di relazione, dovuta alla mancanza di accessibilità abitativa, non può non determinare quella disuguaglianza di fatto impeditiva dello sviluppo della persona che il legislatore deve, invece, rimuovere.

L'omessa previsione della esigenza di accessibilità, nel senso già precisato, della casa di abitazione, accanto a quelle, produttivistiche, dell'agricoltura e dell'industria rende, pertanto, la norma denunciata in contrasto sia con l'art. 3 sia con l'art. 2 della Costituzione, ledendo più in generale il principio personalista che ispira la Carta costituzionale e che pone come fine ultimo dell'organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana.

7. - Sotto un diverso aspetto, poi, questa Corte ha già avuto modo di affermare come debba ritenersi ormai superata la concezione di una radicale irrecuperabilità dei portatori di handicap e come la socializzazione debba essere considerata un elemento essenziale per la salute di tali soggetti sì da assumere una funzione sostanzialmente terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione (sentenza n. 215 del 1987).

S'intende allora come la norma denunciata, impedendo od ostacolando la accessibilità dell'immobile abitativo e, quale riflesso necessario, la socializzazione degli handicappati, comporti anche una lesione del fondamentale diritto di costoro alla salute intesa quest'ultima nel significato, proprio dell'art. 32 della Costituzione, comprensivo anche della salute psichica la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica.

8. - Avverso l'affermata incostituzionalità della norma denunciata, non vale opporre, come fa l'Avvocatura, che l’accessibilità propria degli edifici abitativi farebbe riferimento alla persona dei proprietari più che ad una qualitas dei fondi, cosicchè difetterebbe, nella specie, il carattere della predialità, proprio delle servitù. Si é già visto, infatti, che la legislazione in tema di eliminazione delle barriere architettoniche ha configurato la possibilità di agevole accesso agli immobili, anche da parte di persone con ridotta capacità motoria, come requisito oggettivo quanto essenziale degli edifici privati di nuova costruzione, a prescindere dalla loro concreta appartenenza a soggetti portatori di handicap. Mentre dottrina e giurisprudenza hanno, per altro verso, chiarito come la predialità non sia certo incompatibile con una nozione di utilitas che abbia riguardo - specie per gli edifici di civile abitazione - alle condizioni di vita dell'uomo in un determinato contesto storico e sociale, purchè detta utilitas sia inerente al bene così da potersi trasmettere ad ogni successivo proprietario del fondo dominante.

Nè, d'altronde, la previsione della servitù in parola può trovare ostacolo nella garanzia accordata al diritto di proprietà dall'art. 42 della Costituzione. Come osservato dal rimettente, infatti, il peso che in tal modo si viene ad imporre sul fondo altrui può senz'altro ricomprendersi tra quei limiti della proprietà privata determinati dalla legge, ai sensi della citata norma costituzionale, allo scopo di assicurarne la funzione sociale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità - di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap - degli edifici destinati ad uso abitativo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.