Sentenza n. 325 del 1996

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SENTENZA N. 325

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), promosso con ordinanza emessa il 10 agosto 1995 dal Pretore di Livorno nel procedimento civile vertente tra Nunnari Ubaldo e le Ferrovie dello Stato S.p.A., iscritta al n. 683 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione delle Ferrovie dello Stato S.p.A. nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 19 marzo 1996 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

uditi l'avvocato Attilio Maggini per le Ferrovie dello Stato S.p.A. e l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. -- Il Pretore di Livorno, giudicando sul ricorso proposto da Ubaldo Nunnari contro le Ferrovie dello Stato, volto a ottenere il trasferimento definitivo da Livorno a Reggio Calabria per assistere il padre, colà residente, portatore di handicap, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), perché pone una distinzione, ritenuta irrazionale, fra il caso in cui il disabile già riceva assistenza e quello - altrettanto meritevole di tutela - in cui l'esigenza sorga quando il lavoratore non sia convivente e voglia essere trasferito per attendere alle cure del congiunto. Il diverso trattamento di situazioni sostanzialmente simili sarebbe illegittimo alla luce dell'art. 3 della Costituzione.

2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso dell'inammissibilità o, in subordine, dell'infondatezza della questione.

Il giudice a quo - avverte l'Avvocatura - interpreta estensivamente il concetto di assistenza, che l'art. 33, comma 5, della citata legge n. 104 limita a quella in atto. Tale erronea lettura rileva innanzitutto circa l'ammissibilità, giacché - ove ci si riferisca all'astratta potenzialità di assistenza da parte dei genitori, dei parenti o affini entro il terzo grado - la circostanza che l'handicap sopravvenga, ovvero preesista, è ininfluente. La questione sarebbe comunque infondata, dal momento che la finalità perseguita dalla norma denunciata è di garantire il rapporto che si instaura fra il portatore di handicap e il familiare che dà assistenza continuativa, evitando rotture traumatiche della convivenza. Solo l'assistenza in atto, accettata dall'interessato, consente infatti di verificare nella sua effettività la funzione di supplenza affidata alla famiglia, in relazione alla quale si giustificano speciali diritti e agevolazioni.

3. -- Si è costituita in giudizio la S.p.A. Ferrovie dello Stato, concludendo analogamente per la inammissibilità e, nel merito, per l'infondatezza.

Il ricorrente, si osserva, non convive con il familiare, per cui manca il requisito dell'assistenza già prestata e della reale convivenza richiesto dall'art. 33, comma 5, della legge n. 104: norma che tutela il diritto del lavoratore a scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e non quello del disabile a essere assistito, che l'ordinamento assicura mediante altri istituti. La questione sarebbe comunque infondata, perché il legislatore ha voluto salvaguardare le situazioni in atto, valutando i risvolti sociali, tanto da limitare il diritto del datore di lavoro all'autorganizzazione dell'impresa, anch'esso costituzionalmente rilevante (art. 41 della Costituzione).

La difesa delle Ferrovie dello Stato S.p.A. richiama, infine, la sentenza n. 193 del 1994, di non fondatezza, che attiene all'ipotesi del trattamento meno favorevole riservato agli invalidi civili rispetto a quello previsto per gli invalidi di guerra circa l'indennità di accompagnamento.

Considerato in diritto

1. -- Il dubbio di costituzionalità sollevato dal Pretore di Livorno verte sul comma 5 dell'art. 33 della legge n. 104 del 1992 (Legge quadro per l'assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), in base al quale il genitore o familiare, lavoratore con rapporto di lavoro pubblico o privato, il quale assiste con continuità un portatore di handicap, parente o affine entro il terzo grado, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

Il giudice rimettente censura tale norma con riguardo al principio contenuto nell'art. 3 della Costituzione, perché sottende, a suo avviso, una irrazionale disparità di trattamento fra l'ipotesi in cui il portatore di handicap riceva già assistenza e quella - altrettanto meritevole di tutela - in cui l'esigenza sorga quando il lavoratore non è convivente, e si renda quindi necessario il suo trasferimento per attendere alle cure del congiunto.

2. -- La questione non è fondata.

Questa Corte, esaminando alcuni profili della legge n. 104 del 1992, ne ha sottolineato l'ampia sfera di applicazione, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacenti, la tutela dei portatori di handicap. Essa incide sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sull'integrazione scolastica; e in generale, detta misure che hanno il fine di superare, o di contribuire a far superare, i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative, e nell'esercizio di diritti costituzionalmente protetti (sentenza n. 406 del 1992).

La legge n. 104 può dunque considerarsi una prima, significativa risposta al pressante invito, rivolto da questa Corte al legislatore, di garantire la condizione giuridica del portatore di handicap, la cui tutela passa attraverso "l'interrelazione e l'integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale" (in tal senso v. la sentenza n. 215 del 1987). In quella occasione, va ricordato, la Corte non mancò di sottolineare la discrezionalità del Parlamento nell'individuare le diverse misure operative; ma ciò non implica, certo, che non si possa compiere il vaglio di costituzionalità dei meccanismi predisposti dalla legge quadro in esame, al fine di controllare sia la razionalità e congruità delle singole norme denunciate sia la sussistenza di eventuali disparità di trattamento, senza perdere di vista, comunque, l'insieme normativo.

Il giudice a quo appunta le sue censure su una disposizione particolare della legge, l'art. 33, comma 5, che assicura al lavoratore il diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio quando assista con continuità un parente o affine, portatore di handicap, con lui convivente. Ad avviso del Pretore rimettente, essa pone una distinzione irrazionale fra il caso in cui il disabile riceva già assistenza e quello - che sarebbe altrettanto meritevole di considerazione - in cui il bisogno si palesi nella sua entità quando il lavoratore non sia di fatto convivente e voglia pertanto essere trasferito per adempiere quanto ritiene doveroso, e indispensabile.

L'ordinanza solleva una questione che richiede attenzione, tanto sono importanti i valori costituzionali che concorrono alla protezione del portatore di handicap. Ma occorre aggiungere che, seguendo l'impostazione del giudice a quo, si rischia di dare alla norma un rilievo eccessivo, perché non è immaginabile che l'assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella familiare, sì che il legislatore ha, con la legge quadro n. 104, ragionevolmente previsto - quale misura aggiuntiva - la salvaguardia dell'assistenza in atto, accettata dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche, e dannose, della convivenza.

Tale misura è razionalmente inserita nel complesso normativo cui si è accennato, e senza escludere che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, possa in futuro rivedere ed eventualmente ampliare l'art. 33, comma 5, deve qui dichiararsi insussistente la lamentata disparità di trattamento, con conseguente infondatezza della questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Livorno con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 luglio 1996.