ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'intero Titolo IX del Libro V del codice di procedura penale e dell'art. 550, comma 1, dello stesso codice, promosso dal G.u.p. del Tribunale di Verbania nel procedimento penale a carico di V.M.R. con ordinanza del 5 febbraio 2008, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 maggio 2009 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 5 febbraio 2008, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verbania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'intero Titolo IX del Libro V del codice di procedura penale, nonché dell'art. 550, comma 1, dello stesso codice, nella parte in cui limita i casi di citazione diretta a giudizio, in aggiunta alle ipotesi di cui al comma 2 del medesimo articolo, alle contravvenzioni e ai delitti puniti con la pena della reclusione non superiore a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva;
che il giudice a quo premette di essere chiamato a celebrare, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, l'udienza preliminare nei confronti di una persona imputata del delitto continuato di illecita cessione di sostanze stupefacenti: donde la rilevanza della questione;
che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che la previsione dell'udienza preliminare aveva originariamente una logica, sia per il sistema che per l'imputato, trattandosi di istituto volto ad evitare che, almeno per i reati più gravi, si potesse pervenire al dibattimento in assenza di una concreta prospettiva di affermazione della responsabilità, con conseguente aggravio processuale e inutile «ludibrio» per il giudicabile;
che la situazione sarebbe, tuttavia, radicalmente mutata a seguito dell'introduzione del diritto incondizionato dell'imputato ad essere giudicato nel merito allo stato degli atti, ai sensi dell'art. 438 cod. proc. pen.;
che alla luce dei canoni decisori di cui all'art. 425 cod. proc. pen. – e, in particolare, di quelli di cui al comma 3 – risulterebbe, difatti, indubitabile che ove il giudice pronunci, sulla base degli atti, sentenza di non luogo a procedere, sulla base dei medesimi atti pronuncerebbe anche sentenza assolutoria nel merito;
che, di conseguenza, sarebbe venuta meno una delle originarie ragioni che giustificavano l'udienza preliminare: giacché l'interesse dell'imputato risulterebbe più saldamente garantito dal suo diritto incondizionato a chiedere al giudice del dibattimento, in camera di consiglio, il giudizio abbreviato, ottenendo così – ove del caso – una sentenza nel merito definitivamente assolutoria;
che l'udienza preliminare conserverebbe, pertanto, solo una generica funzione di salvaguardia del sistema rispetto all'eventualità in cui si promuovano azioni penali «massive e indiscriminate», senza che gli imputati, in modo altrettanto «massivo e indiscriminato», utilizzino lo strumento, «ben più utile», del giudizio abbreviato: eventualità che apparirebbe, peraltro, «del tutto scolastica» e, dunque, non suscettibile di essere presa in considerazione da «un serio ordinamento giuridico»;
che l'udienza preliminare si risolverebbe, dunque, in una fase processuale inutile: con la conseguenza che il suo mantenimento verrebbe a porsi in contrasto sia con il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), che impegna il legislatore ad evitare scansioni processuali prive di significato in rapporto al corretto esercizio dell'azione penale e alla piena esplicazione delle esigenze difensive; sia con il principio di «buon andamento ed efficienza», di cui all'art. 97 Cost., tenuto conto segnatamente dei costi che l'udienza preliminare comporta; sia, infine, col più generale principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.);
che la violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento apparirebbe, d'altra parte, tanto più evidente – secondo il giudice a quo – a fronte del fatto che alle funzioni di giudice dell'udienza preliminare risulterebbe adibito circa il dieci per cento dei giudici di primo grado addetti al settore penale: il che si tradurrebbe in uno «spreco del tutto inaccettabile in una moderna visione del processo penale»;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che, con la questione di costituzionalità – che investe un intero titolo del codice di rito, oltre alla disposizione di cui all'art. 550, comma 1, del medesimo codice – il giudice rimettente chiede, nella sostanza, alla Corte di sopprimere l'istituto dell'udienza preliminare: istituto divenuto, a suo avviso, inutile dopo che la legge 16 dicembre 1999, n. 479 ha previsto il diritto incondizionato dell'imputato di accedere al giudizio abbreviato;
che, in tal modo, il giudice a quo viene ad invocare, con ogni evidenza, un intervento manipolativo di sistema, estraneo, in linea di principio, all'ambito della giustizia costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 175 del 2004; ordinanze n. 359 del 2004 e n. 305 del 2001);
che il rimettente mira, infatti, a rimodulare la disciplina del processo penale di primo grado in uno snodo nevralgico, nella prospettiva di dare a esso un diverso assetto, reputato dal giudice a quo preferibile sulla base di una sua personale opzione, opposta a quella adottata, nell'ambito della sua discrezionalità, dal legislatore, il quale, con la citata legge n. 479 del 1999, ha inteso viceversa accrescere la funzione di garanzia e deflattiva dell'udienza preliminare, anche rispetto a quella tradizionale di controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell'azione penale, quantomeno per i reati di maggiore gravità;
che l'auspicato riassetto non potrebbe, d'altronde, esaurirsi nell'ipotizzato intervento ablativo del corpo normativo denunciato e nella declaratoria di parziale incostituzionalità del citato art. 550, comma 1, ma imporrebbe una revisione ad ampio spettro dell'intero sistema processuale, stante il complesso di collegamenti, in esso presenti, con le norme di cui si invoca la rimozione (basti considerare, a titolo di esempio, che la stessa disciplina del giudizio abbreviato è basata su una serie di richiami alle disposizioni regolative dell'udienza preliminare);
che, pertanto – a prescindere da ogni possibile rilievo in ordine al merito della questione – la stessa va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'intero Titolo IX del Libro V del codice di procedura penale e dell'art. 550, comma 1, dello stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verbania con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2009.