Sentenza n. 205 del 2013

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SENTENZA N. 205

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Franco                         GALLO                                            Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             ”

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23-ter, comma 1, lettera g), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 12 ottobre 2012, depositato in cancelleria il 17 ottobre 2012 ed iscritto al n. 151 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato in data 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 17 ottobre 2012, la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale di diverse norme del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e tra queste, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dell’art. 23-ter, comma 1, lettera g), nella parte in cui dispone che «La totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai fondi di cui al presente comma è destinata alla riduzione del debito dell’Ente e, solo in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento».

Riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni, si procede qui all’esame di quella concernente il citato art. 23-ter, comma 1, lettera g).

2.— La ricorrente afferma che la disposizione impugnata violerebbe i seguenti parametri costituzionali, sulla base delle motivazioni di seguito indicate: 1) gli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza e di buon andamento dell’azione amministrativa, in quanto non vi sarebbe motivo di privare una Regione o un ente locale della libertà e discrezionalità di decidere a qual fine destinare le risorse ricavate dall’alienazione e dalla valorizzazione del proprio patrimonio immobiliare e di non consentire che esse siano destinate ad un investimento da cui possano scaturire ulteriori disponibilità, da destinare non solo alla riduzione del debito, ma anche ad altri fini; 2) l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto la valorizzazione e alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli enti territoriali, rientrando nella materia «beni e patrimonio della Regione e degli Enti locali», «è certamente sussumibile nella potestà legislativa regionale residuale di cui all’art. 117, comma 4, Cost.»; la citata materia, infatti, non figurando né nell’elenco di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., né in quello di cui al terzo comma della medesima norma costituzionale, non potrebbe che essere ricompresa nella detta competenza legislativa residuale della Regione, sicché ogni intervento legislativo dello Stato dovrebbe reputarsi costituzionalmente illegittimo; 3) l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, disponendo un preciso vincolo di destinazione (quello finalizzato alla riduzione del debito dell’ente e, soltanto in assenza di debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, destinato a spese di investimento) per le risorse derivanti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli enti locali trasferiti ai fondi comuni di investimento immobiliare, introdurrebbe una disposizione puntuale e di estremo dettaglio, così violando la competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di coordinamento della finanza pubblica; 4) l’art. 118 Cost., perché il vincolo, imposto dal legislatore statale, di destinare ad uno specifico fine le risorse che la Regione o l’ente locale ricava dalla valorizzazione ed alienazione del proprio patrimonio immobiliare, interferirebbe con l’esercizio delle funzioni amministrative regionali (o locali); 5) l’art. 119 Cost., in quanto la disposizione impugnata incide sull’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali (comma 1), i quali hanno risorse autonome (comma 2) ed un proprio patrimonio (comma 6), che gestiscono in piena autonomia.

3.— Con atto depositato il 21 novembre 2013, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o non fondata.

La difesa dello Stato osserva come la norma in esame non imponga alcuno specifico vincolo di destinazione, tanto che le Regioni sono libere di legiferare o comunque di determinare le loro concrete opzioni, bensì la semplice necessità, funzionale alla ratio sottesa al provvedimento normativo in questione, di diminuire il debito pubblico nell’ottica del pareggio di bilancio.

La norma sarebbe, dunque, diretta a contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio e sarebbe espressione della potestà legislativa dello Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica; si tratterebbe di una norma che detta un principio fondamentale, cioè che la dismissione del patrimonio pubblico è diretta alla copertura del debito prima che alle spese di diversa natura.

4.— In prossimità dell’udienza, la Regione ha depositato una memoria con la quale ha posto in rilievo la genericità delle argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato, là dove ha affermato che la disposizione in esame non prevedrebbe uno specifico vincolo di destinazione, ma sarebbe espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Considerato in diritto

1.— La Regione Veneto ha impugnato varie norme del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 e, tra queste, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, l’art. 23-ter, comma 1, lettera g), nella parte in cui dispone che «La totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai fondi di cui al presente comma è destinata alla riduzione del debito dell’Ente e, solo in assenza del debito, o comunque, per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento».

2.— Riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale, viene qui in rilievo il citato art. 23-ter, comma 1, lettera g).

Ad avviso della ricorrente, detta disposizione violerebbe gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.

Essa, disponendo un preciso vincolo di destinazione delle risorse derivanti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli enti locali trasferiti ai fondi comuni di investimento immobiliare (vincolo consistente nella riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza di questo, o, comunque, per la parte eventualmente eccedente, nella destinazione a spese di investimento), si tradurrebbe in una norma irragionevole ed in contrasto con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa; violerebbe, poi, la competenza legislativa residuale della Regione in materia di beni e patrimonio della Regione stessa e degli enti locali, e, inoltre, inciderebbe sull’autonomia amministrativa e finanziaria dell’ente.

In ogni caso, ad avviso della ricorrente, se anche si ritenesse che si versi nella materia, di competenza legislativa concorrente, relativa al coordinamento della finanza pubblica, detta disposizione introdurrebbe una disciplina puntuale e di estremo dettaglio.

3.— La questione promossa in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. è inammissibile.

Questa Corte ha più volte affermato che, nei giudizi in via principale, le Regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato esclusivamente in riferimento a parametri relativi al riparto delle rispettive competenze legislative. Esse possono evocare altri parametri soltanto qualora la violazione di questi comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, sia possibile verificare la ridondanza delle asserite violazioni sul relativo riparto e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis: sentenze n. 311 e n. 151 del 2012; n. 128 del 2011; n. 326 e n. 40 del 2010).

Nel caso di specie la Regione non ha motivato in ordine ai profili di una possibile ridondanza delle lamentate violazioni sul riparto di competenze, né ha indicato le attribuzioni considerate lese e le ragioni dell’asserita lesione; le censure su tali punti, infatti, sono formulate in termini del tutto generici e, peraltro, in forma interrogativa, che non esplicita le argomentazioni a sostegno delle doglianze mosse alla norma impugnata. Ne deriva l’inammissibilità della questione sollevata con riferimento ai menzionati parametri costituzionali.

4.— Nel merito, la questione promossa in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. non è fondata.

La Regione Veneto afferma che l’art. 23-ter, comma 1, lettera g), del d.l. n. 95 del 2012 – il quale, introducendo il comma 8-ter, modifica l’art. 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 –, nella parte in cui stabilisce che la totalità delle risorse, risultanti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli enti locali trasferiti ai fondi comuni di investimento immobiliare (di cui alla medesima disposizione), debba essere destinata alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza di questo, o, comunque, per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento, si porrebbe in contrasto con gli indicati parametri costituzionali, per i motivi sopra riportati.

Al riguardo, si deve osservare come la disciplina censurata, in quanto finalizzata al conseguimento della riduzione del debito pubblico, costituisca espressione di un principio fondamentale nella materia, di competenza concorrente, del coordinamento della finanza pubblica, non introducendo affatto disposizioni puntuali e di dettaglio.

Questa Corte, con la recente sentenza n. 63 del 2013, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 117, terzo comma, 118, 119, Cost. – dell’art. 66, comma 9, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui stabilisce che gli enti territoriali destinano le risorse derivanti dalle operazioni di dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola alla riduzione del proprio debito.

Con riferimento alla previsione, attinente alla destinazione delle risorse all’obiettivo della riduzione del debito dell’ente territoriale proprietario del bene dismesso, la Corte ha affermato che la correlazione funzionale – imposta dal citato art. 66, comma 9, tra operazioni di dismissione dei terreni demaniali, sia dello Stato che delle Regioni ed altri enti territoriali, e riduzione del debito rispettivo – risponde, proprio per tale complessiva estensione, ad una scelta di politica economica nazionale, adottata per far fronte alla eccezionale emergenza finanziaria che il Paese sta attraversando, e si pone, quindi, come espressione del perseguimento di un obiettivo di interesse generale in un quadro di necessario concorso, anche delle autonomie, al risanamento della finanza pubblica.

La Corte, nella medesima pronunzia, ha aggiunto che detta disposizione, «per la sua finalità e per la proporzionalità al fine che intende perseguire, risulta espressiva di un principio fondamentale nella materia, di competenza concorrente, del coordinamento della finanza pubblica. E che, come tale, non è invasiva delle attribuzioni della Regione nella materia stessa, in quanto il finalismo della previsione normativa esclude che possa invocarsi – come fa la Regione − la logica della norma di dettaglio. Invero, una volta assunto l’obiettivo di carattere generale della riduzione dei debiti dei vari enti in funzione del risanamento della finanza pubblica attraverso la dismissione di determinati beni, l’imposizione del vincolo di destinazione appare mezzo necessario al suo raggiungimento».

Come si vede, la fattispecie esaminata dalla Corte con la sentenza sopra richiamata è analoga a quella oggetto della presente questione di legittimità costituzionale, la quale può essere decisa in base ai medesimi argomenti.

Deve, pertanto, affermarsi che l’art. 23-ter del decreto-legge citato, imponendo il vincolo di destinazione delle enunciate risorse alla riduzione del debito dell’ente, al pari dell’art. 66, comma 9, del d.l. n. 1 del 2012, è espressione di un principio fondamentale nella materia, di competenza concorrente, del coordinamento della finanza pubblica.

Sotto tale profilo, peraltro, è costante l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 139 del 2009 e nn. 289 e 120 del 2008)» (sentenza n. 237 del 2009).

La disposizione impugnata, prevedendo l’obbligo per la Regione di destinare le risorse rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di sua proprietà alla riduzione del debito dell’ente medesimo, e soltanto, in assenza del debito, o comunque, per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento, soddisfa entrambe queste condizioni, in quanto rientra tra le scelte di politica economica nazionale adottate per far fronte alla contingente emergenza finanziaria, e, inoltre, non fissa in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento del detto obiettivo.

La seconda parte della norma censurata, secondo la quale le risorse reperite con le modalità di cui sopra, in assenza del debito, o comunque, per la parte eventualmente eccedente, sono destinate a spese di investimento, contiene l’indicazione di un criterio compreso nel principio fondamentale dianzi indicato e non già una previsione di dettaglio, sicché neppure riguardo ad essa può configurarsi violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

5.— Del pari non fondate sono le censure riferite alla violazione degli artt. 118 e 119 Cost.

La lesione dei parametri costituzionali sopra indicati non sussiste in quanto, da un lato, come previsto dal sesto e settimo periodo del comma 8-ter dell’art. 33 del d.l. n. 98 del 2011, la Regione ha facoltà di scegliere se procedere alla riduzione del debito tramite la valorizzazione e dismissione dei beni di cui trattasi; dall’altro, la previsione del vincolo alla destinazione delle risorse, esprimendo, come detto, un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, può legittimamente comportare una limitazione dell’autonomia amministrativa della Regione (sentenza n. 63 del 2013).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23-ter, comma 1, lettera g), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23-ter, comma 1, lettera g), del medesimo d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, promossa, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2013.