SENTENZA N. 82
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo
Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO
”
- Paolo GROSSI
”
- Giorgio LATTANZI
”
- Aldo CAROSI
”
- Marta CARTABIA
”
- Mario
Rosario MORELLI
”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO
”
- Silvana SCIARRA
”
- Daria de
PRETIS
”
- Nicolò ZANON
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
artt. 28, commi 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10 e 11-ter,
e 48 del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214,
promossi dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dalla
Provincia autonoma di Trento, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Regione siciliana, dalla Provincia autonoma di
Bolzano, dalla Regione autonoma Sardegna e dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, con ricorsi notificati il 24, il 23-28, il 25, il 24 e
il 25 febbraio 2012, depositati in cancelleria il 28 e il 29 febbraio, il
1°, il 2 e il 5 marzo 2012 e rispettivamente iscritti ai nn. 33, 34, 38, 39, 40, 47 e 50 del
registro ricorsi 2012.
Visti gli atti di costituzione (di cui quattro fuori
termine) del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2015 il
Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Luigi Manzi per la Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol, per la Provincia autonoma di Trento e per la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, Francesco Saverio Marini per la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, Beatrice
Fiandaca per la Regione siciliana, Massimo Luciani per la Regione autonoma
Sardegna e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato in data
24 febbraio 2012 e depositato il successivo 28 febbraio 2012 (reg. ric. n. 33
del 2012), la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha promosso
questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt.
28, comma 3, e 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214, per violazione del Titolo VI, e in particolare
degli artt. 69 e 79, nonché degli artt. 103, 104 e 107 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige); degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo
1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e
coordinamento); degli artt. 9, 10 e 10-bis
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e
provinciale); degli artt.
3, 117, 118 e 119 della Costituzione,
«in combinato disposto» con l’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell’art. 2, comma 108, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010),
nonché del principio di leale collaborazione.
1.1.– La Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in
riferimento agli artt. 69, 79, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che con
l’art. 3 Cost.
Dopo aver ricordato che l’art. 28
ha ad oggetto il concorso alla manovra degli enti territoriali e ulteriori
riduzioni di spese, la ricorrente riporta il contenuto del comma 3,
sottolineando come esso configuri una ulteriore rilevante sottrazione di
risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a quelle già stabilite
con altri interventi del legislatore statale. In particolare, la disposizione
impugnata prevede che: «Con le procedure previste dall’articolo 27,
della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province
autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall’anno 2012, un
concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui. Con le medesime
procedure le Regioni Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province
autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall’anno 2012, un
concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei Comuni
ricadenti nel proprio territorio. Fino all’emanazione delle norme di
attuazione di cui al predetto articolo 27, l’importo complessivo di 920
milioni è accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali
registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote
di compartecipazione ai tributi erariali. Per la Regione siciliana si tiene
conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del
comma 2».
Ad avviso della ricorrente, il concorso
richiesto, a decorrere dall’anno 2012, alle Regioni a statuto speciale e
alle Province autonome di Trento e di Bolzano, oltre che ai Comuni ricadenti
nel territorio di alcune di esse (incluse le due Province autonome), non
avrebbe alcuna base statutaria. Anzi, l’impugnato art. 28, comma 3,
contrasterebbe sia con l’art. 69 dello statuto, laddove assicura alla
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol le risorse finanziarie
necessarie all’esercizio delle sue funzioni, in particolare mediante la
devoluzione di quote del gettito di talune entrate tributarie dello Stato
riscosse nella Regione; sia, soprattutto, con l’art. 79 del medesimo statuto
(come sostituito dalla lettera h del
comma 107 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191), che
disciplinerebbe in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le regole secondo cui
la Regione autonoma assolve gli «obblighi di carattere finanziario posti
dall’ordinamento comunitario, dal patto di stabilità interno e
dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale».
La ricorrente, inoltre, sottolinea come
quest’ultima disposizione configuri un regime speciale, che non
può essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario – i
cui interventi in materia non troverebbero dunque applicazione nella Regione
speciale (art. 79, comma 4) – ma che potrebbe essere configurato solo con
la procedura prevista dall’art. 104, primo comma, dello statuto, ossia
«con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per
quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province».
Ciò, in coerenza con il principio dell’accordo che, ad avviso
della ricorrente, dominerebbe tutto il regime dei rapporti finanziari tra lo
Stato e le Regioni speciali, riconosciuto anche nella giurisprudenza
costituzionale (si richiamano le sentenze di questa Corte n. 133 del 2010;
n. 82 del 2007;
n. 353 del 2004;
n. 98 del 2000;
n. 39 del 1984).
La ricorrente ritiene che il rinvio alle
norme di attuazione dello statuto, in base all’art. 27 della legge 5
maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in
attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), non dovrebbe trarre in
inganno, per tre ordini di ragioni: in primo luogo, dal momento che già
l’accantonamento di risorse finanziarie – pari complessivamente a
920 milioni – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi
erariali, sarebbe di per sé lesivo delle prerogative regionali; in
secondo luogo, perché l’art. 79 dello statuto, che così
verrebbe ad essere derogato, sarebbe modificabile solo con l’apposita
procedura di cui all’art. 104 del medesimo statuto (ossia «con
legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di
rispettiva competenza, della regione o delle due province»), e non in
sede di attuazione; in terzo e ultimo luogo, posto che in tal modo si verrebbe
a determinare un vincolo di contenuto per le norme di attuazione dello statuto.
Su questi ultimi due elementi si fonda perciò la pretesa violazione
degli artt. 104 e 107 dello statuto speciale.
È oggetto di censura
altresì il criterio di riparto dell’accantonamento determinato dal
terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, che deve aver luogo
«proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per
ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009», in quanto non risulta essere
stato in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali.
Ulteriori profili di
illegittimità riguarderebbero, infine, il quarto periodo del medesimo
art. 28, comma 3, impugnato, sulla base del quale «[p]er
la Regione siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario
nazionale, per effetto del comma 2». Ad avviso della ricorrente la
disposizione, ancorché oscura, sarebbe interpretabile nel senso che la
quota di risorse da addossare alla Regione siciliana andrebbe ridotta in
corrispondenza delle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla medesima
Regione. Se così fosse, si configurerebbe un’alterazione in peggio
per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, che sarebbe chiamata
a contribuire al finanziamento parziale della sanità siciliana, in
violazione dell’art. 3 della Cost. – con censura reputata analoga
ad altra già ritenuta ammissibile (e infondata) dalla Corte nella sentenza n. 16 del
2010 – e dell’autonomia finanziaria e amministrativa della
Regione.
La Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol dubita altresì della legittimità
costituzionale dell’art. 48, commi 1 e 1-bis, del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli
artt. 69, 79, 103, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che delle relative
norme di attuazione (in particolare gli artt. 9, 10 e 10-bis del d.lgs. n. 268 del 1992), e del principio di leale
collaborazione.
L’art. 48 si compone di due commi
che contengono due distinte disposizioni.
Al comma 1 è dettata una generale
«clausola di finalizzazione», in base alla quale le maggiori
entrate erariali derivanti dal decreto-legge «sono riservate
all’Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle
esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della
situazione economica internazionale. Con apposito decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e da
trasmettere alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, sono
stabilite le modalità di individuazione del maggior gettito, attraverso
separata contabilizzazione».
Ad avviso della ricorrente tale
disposizione risulterebbe in contrasto anzitutto con l’art. 69, comma 2,
lettera b), dello statuto del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, che garantisce alla Regione una precisa
compartecipazione all’IVA.
Inoltre, essa non rispetterebbe due dei
tre requisiti, stabiliti dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992,
necessari affinché il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o
dall’istituzione di nuovi tributi possa essere riservato
all’erario, e che questa Corte ha enunciato nella sentenza n. 182 del
2010. Mancherebbero, infatti, nella specie: in primo luogo, la
finalizzazione del maggior gettito a finalità diverse tanto dal
raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (art. 10,
comma 6, del d.lgs. n. 268 del 1992), quanto dalla copertura di spese derivanti
dall’esercizio delle funzioni statali delegate alla Regione (art. 10-bis, comma 1, lettera b, del medesimo decreto legislativo),
posto che le finalità individuate («raggiungimento degli obiettivi
di finanza pubblica concordati in sede europea») coinciderebbero con il
riequilibrio della finanza pubblica; in secondo luogo, la destinazione del
maggior gettito alla copertura di nuove specifiche spese di carattere non
continuativo che non rientrino nelle materie di competenza della Regione o
delle Province, visto che nella specie, diversamente dall’art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1°
luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e
della partecipazione italiana a missioni internazionali), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 102, e
scrutinato nella già citata sentenza n. 182 del
2010, ciò non accadrebbe.
L’impugnato art. 48, comma 1, non
potrebbe neppure trovare fondamento, sempre ad avviso della ricorrente,
nell’art. 10 del d.lgs. n. 268 del 1992. Anzitutto perché tale
disposizione risulterebbe inapplicabile una volta abrogato –
dall’art. 2, comma 107, lettera a),
della legge 23 dicembre 2009, n. 191, a decorrere dal 1° gennaio 2010
– l’art. 78 dello statuto speciale, cui tale disposizione dà
attuazione. Anche qualora il suddetto art. 10 si ritenesse tuttora applicabile,
limitatamente al suo comma 6, la norma impugnata risulterebbe non in linea con
esso, posto che mentre in quest’ultimo si ribadisce il principio
consensuale che regola i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali e
comunque e si fa riferimento ad «una quota del previsto incremento del
gettito tributario», nella norma impugnata lo Stato riserverebbe
unilateralmente all’erario tutte «le maggiori entrate»
derivanti dal d.l. n. 201 del 2011.
L’art. 48, comma 1, risulterebbe
in contrasto altresì con l’art. 79 dello statuto speciale (come
sostituito dalla lettera h del comma
107 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191), già richiamato,
che configurerebbe un sistema completo di concorso della Regione agli obiettivi
di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalità previste
dallo Statuto.
Proprio in quanto configurerebbe una
deroga agli artt. 69 e 79 dello statuto speciale e alle relative norme di
attuazione, perché disposta con una fonte primaria
“ordinaria” – ossia un decreto-legge convertito –,
l’art. 48, comma 1, impugnato, violerebbe altresì, ad avviso della
ricorrente, gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto speciale che,
rispettivamente, disciplinano: il procedimento di revisione costituzionale per
modificare lo statuto speciale in via ordinaria; la modifica della disciplina
finanziaria con legge statale, ma «su concorde richiesta del Governo e,
per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province»;
la procedura per l’adozione delle norme di attuazione dello statuto
speciale.
Una specifica censura è poi
rivolta dalla ricorrente nei confronti del secondo periodo dell’art. 48,
comma 1, che demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze le modalità di individuazione del maggiore gettito. Oltre ad
essere affetta dai medesimi vizi che caratterizzerebbero il periodo precedente,
la disposizione sarebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione,
in quanto, in una materia dominata dal principio consensuale, prevede un
decreto ministeriale senza intesa con la Regione.
L’impugnato art. 48, comma 1-bis, reca la cosiddetta «clausola
di salvaguardia», rinviando alle norme di attuazione degli statuti
speciali di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 la definizione
delle modalità di applicazione del decreto-legge e i suoi effetti
finanziari per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e
di Bolzano, stabilendo peraltro che restano ferme le disposizioni previste
dagli artt. 13, 14 e 28, nonché quelle del medesimo art. 48 (comma 1).
A parte la difficoltà di
individuare un contenuto alle norme di attuazione ivi prefigurate, la ricorrente
argomenta per l’illegittimità costituzionale anche di tale
disposizione, in quanto non spetterebbe alla legge ordinaria disciplinare il
contenuto delle norme di attuazione dello statuto.
1.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha depositato, in data 11 maggio 2012, e dunque fuori termine (trenta
giorni dal termine perentorio di trenta giorni dalla scadenza del termine
stabilito per il deposito del ricorso, ai sensi dell’art. 19, comma 3,
delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale), una
propria memoria, argomentando per l’infondatezza del ricorso e
chiedendone il rigetto.
1.3.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per il 29 gennaio 2014, la Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol ha depositato, in data 7 gennaio 2014, una
memoria, nella quale reitera le censure rivolte agli artt. 28, comma 3, e 48
del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 214 del 2011.
Riguardo all’art. 28, comma 3, la
ricorrente sostiene che la fondatezza delle censure sollevate sarebbe
avvalorata dalle sentenze
n. 118 del 2012 e n. 241 del 2012,
che hanno confermato l’importanza del principio pattizio nei rapporti tra
lo Stato e le Regioni speciali in materia finanziaria.
Riguardo all’art. 48, la
ricorrente rileva che l’illegittimità costituzionale delle
«riserve all’erario» sarebbe confermata dalle sentenze n. 142
e n. 241 del
2012, che hanno accolto le censure relative, rispettivamente, alla riserva
allo Stato del gettito dell’addizionale erariale sulla tassa
automobilistica e ad una riserva integrale di entrate erariali avente analoga
destinazione rispetto a quella oggetto di impugnazione.
1.4.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per il 22 ottobre 2014, la Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol ha depositato, in data 30 settembre 2014, una
ulteriore memoria, richiamando in particolare, la sentenza n. 23 del
2014 della Corte costituzionale, che confermerebbe
l’illegittimità dell’art. 28, comma 3, impugnato, per
violazione dell’art. 69 dello statuto.
1.5.– La Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol, in data 28 gennaio 2015, ha depositato il
proprio atto di rinuncia all’impugnazione degli artt. 28, comma 3, e 48
del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 214 del 2011. In data 4 febbraio 2015 la medesima Regione
ha depositato altresì la delibera con cui il Consiglio regionale del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, il 21 gennaio 2015, ha ratificato la
delibera con cui la Giunta rinunciava al ricorso.
1.6.– Con memoria depositata il 19
febbraio 2015, l’Avvocatura generale dello Stato, sulla base della
delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di
accettare, a nome del Presidente del Consiglio dei ministri, la rinuncia al
giudizio da parte della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.
2.– Con ricorso notificato in data
24 febbraio 2012 e depositato il successivo 28 febbraio 2012 (reg. ric. n. 34
del 2012), la Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di
legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3,
e 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la
crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22
dicembre 2011, n. 214, per violazione del Titolo VI, e in particolare degli
artt. 75, 79, 80, 81 e 82, nonché degli artt. 103, 104 e 107 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige); degli artt. 9, 10 e 10-bis del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di
finanza regionale e provinciale); degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e
leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di
indirizzo e coordinamento); degli artt. 3, 117, 118 e 119 della Costituzione,
«in combinato disposto» con l’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dell’art. 2, comma 108, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010),
nonché del principio di leale collaborazione.
2.1.– La Provincia autonoma di
Trento sospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 28,
comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli
artt. 69, 79, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che all’art. 3
della Costituzione.
Con riguardo all’art. 28, comma 3,
la ricorrente, dopo aver sottolineato come esso, nel determinare il concorso
alla finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano, configuri una rilevante sottrazione di risorse
alle Regioni speciali, evidenzia come venga stabilito altresì, per
effetto del terzo periodo di tale comma («le Regioni Valle d’Aosta
e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e di Bolzano
assicurano, a decorrere dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica
di 60 milioni di euro annui, da parte dei Comuni ricadenti nel proprio
territorio»), un taglio di risorse anche a carico degli enti locali
situati nel territorio della Provincia autonoma. Tale taglio, ad avviso della
ricorrente, inciderebbe in sostanza sempre sulla Provincia autonoma, visto che
ai sensi dell’art. 81, comma 2, dello statuto speciale la Provincia
autonoma deve finanziare adeguatamente i Comuni, e sarebbe comunque impugnabile
anche ad opera della Provincia (ex multis,
le sentenze di questa Corte n. 278 del 2010;
n. 298 del 2009;
n. 169 del 2007;
n. 95 del 2007;
n. 417 del 2005;
n. 196 del 2004;
n. 533 del 2002).
La sottrazione di risorse operata
dall’art. 28, comma 3, impugnato, non avrebbe alcuna base statutaria e si
porrebbe in contrasto con gli artt. 75, laddove assicura alla Provincia
autonoma di Trento le finanze necessarie all’esercizio delle sue
funzioni, e 79 dello statuto speciale. Quest’ultima disposizione
definirebbe infatti in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le modalità
con cui le Province autonome assolvono gli obblighi di carattere finanziario
derivanti dalle misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
legislazione statale, con regole che possono essere modificate esclusivamente
con la procedura prevista dall’art. 104 dello statuto speciale,
configurando un regime speciale che non può essere unilateralmente
alterato dal legislatore statale, in violazione del principio
dell’accordo circa il regime dei rapporti finanziari tra Stato e Regioni
speciali, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 133 del
2010; n. 82
del 2007; n.
353 del 2004; n.
98 del 2000; n.
39 del 1984).
Per quel che specificamente riguarda le
Province autonome, viene invocato, poi, l’art. 79, comma 3, dello
statuto, il quale, nel quadro della generale competenza legislativa provinciale
in materia di finanza locale di cui all’art. 80 dello statuto,
attribuisce alle medesime Province poteri di coordinamento finanziario con
riferimento agli enti locali: questa competenza è stata esercitata con
la legge provinciale 15 novembre 1993, n. 36 (Norme in materia di finanza
locale), il cui art. 3 dispone che le misure necessarie a garantire il
coordinamento della finanza comunale con quella provinciale, incluse quelle per
il perseguimento degli obiettivi correlati al patto di stabilità
interno, sono stabilite in sede di definizione dell’accordo di cui
all’art. 81 dello statuto speciale, fra il Presidente della Provincia
autonoma e una rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni.
La ricorrente ritiene che il rinvio alle
norme di attuazione dello statuto speciale, in base all’art. 27 della
legge n. 42 del 2009, non dovrebbe trarre in inganno, per tre ordini di
ragioni: in primo luogo, dal momento che già l’accantonamento di
risorse finanziarie – pari complessivamente a 920 milioni – a
valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali, sarebbe
autonomamente lesivo; in secondo luogo, perché l’art. 79 dello
statuto, che così verrebbe ad essere derogato, sarebbe modificabile solo
con l’apposita procedura di cui all’art. 104 del medesimo statuto
(ossia «con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo
e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due
province»), e non in sede di attuazione; in terzo e ultimo luogo, posto
che in tal modo si verrebbe a determinare un vincolo di contenuto per le norme
di attuazione dello statuto. Su questi ultimi due elementi si fonda perciò
la pretesa violazione degli artt. 104 e 107 dello statuto speciale.
Analoghe censure possono essere rivolte
alla quota di 60 milioni di euro che, ai sensi dell’impugnato art. 28,
comma 3, terzo periodo, lo Stato esige (anche) dalla Provincia autonoma di
Trento «da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio», dal
momento che non rientrerebbe tra i compiti della Provincia autonoma quello di
fungere da esattore per conto dello Stato, né lo Stato avrebbe titolo
per esigere dalla medesima Provincia somme che ritenga a qualsiasi titolo
dovute dai Comuni.
È oggetto di censura
altresì il criterio di riparto dell’accantonamento determinato dal
terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, secondo cui esso deve
aver luogo «proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata
per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009», in quanto non
risulterebbe essere stato in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e
Regioni speciali.
Ulteriori profili di
illegittimità riguarderebbero, infine, il quarto periodo del medesimo
art. 28, comma 3, impugnato, sulla base del quale «Per la Regione
Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale,
per effetto del comma 2». Ad avviso del ricorrente la disposizione,
ancorché oscura, sarebbe interpretabile nel senso che la quota di
risorse da addossare alla Regione siciliana andrebbe ridotta in corrispondenza
delle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla medesima Regione. Se
così fosse, si configurerebbe un’alterazione in peggio per la
Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, che sarebbe chiamata a
contribuire al finanziamento parziale della sanità siciliana, in
violazione dell’art. 3 della Cost. e dell’autonomia finanziaria e
amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.
La Provincia autonoma di Trento
sospetta, altresì, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 48, commi 1 e 1-bis,
del medesimo d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt.
69, 79, 103, 104 e 107 dello statuto speciale, oltre che alle relative norme di
attuazione (in particolare gli artt. 9, 10 e 10-bis del d.lgs. n. 268 del 1992), e al principio di leale
collaborazione.
Ad avviso della ricorrente il comma 1,
il quale, con una «clausola di finalizzazione», riserva il maggior
gettito all’Erario, per un periodo di cinque anni, destinandolo alle
esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea e demanda ad un decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze le modalità di individuazione del
maggior gettito, risulterebbe in contrasto con l’art. 75 dello statuto
del Trentino-Alto Adige/Südtirol, che garantisce alla Provincia ben
precise compartecipazione a tutti i tributi erariali.
Inoltre, tale disposizione non
rispetterebbe due dei tre requisiti, stabiliti dall’art. 9 del d.lgs. n.
268 del 1992, necessari affinché il gettito derivante da maggiorazioni
di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi possa essere riservato
all’erario (sentenza
n. 182 del 2010). Mancherebbero, infatti, nella specie: in primo luogo, la
finalizzazione del maggior gettito a finalità diverse tanto dal
raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica quanto
dalla copertura di spese derivanti dall’esercizio delle funzioni statali
delegate alla Regione – ai sensi, rispettivamente, dell’art. 10,
comma 6, e dell’art. 10-bis,
comma 1, lettera b), del d.lgs. n.
268 del 1992 –, posto che le finalità individuate
(«raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea») coinciderebbero con il riequilibrio della finanza pubblica; e,
in secondo luogo, la destinazione del maggior gettito alla copertura di nuove
specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrino nelle materie
di competenza della Regione o delle Province autonome, visto che in questo
caso, diversamente dall’art. 13-bis,
comma 8, del d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 102 del 2009, e scrutinato nella
già citata sentenza
n. 182 del 2010, ciò non accadrebbe.
L’impugnato art. 48, comma 1, non
potrebbe neppure trovare fondamento, sempre ad avviso della ricorrente,
nell’art. 10 del d.lgs. n. 268 del 1992. Anzitutto perché tale
disposizione risulterebbe inapplicabile una volta abrogato –
dall’art. 2, comma 107, lettera a),
della legge n. 191 del 2009, a decorrere dal 1° gennaio 2010 –
l’art. 78 dello statuto speciale, cui tale disposizione dà
attuazione. Anche qualora il suddetto art. 10 si ritenesse tuttora applicabile,
limitatamente al suo comma 6, la norma impugnata risulterebbe non in linea con
esso, posto che mentre in quest’ultimo si ribadisce il principio
consensuale che regola i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali e
comunque e si fa riferimento ad «una quota del previsto incremento del
gettito tributario», nella norma impugnata lo Stato riserverebbe
unilateralmente all’erario tutte «le maggiori entrate»
derivanti dal d.l. n. 201 del 2011.
L’impugnato art. 48, comma 1,
risulterebbe in contrasto altresì con l’art. 79 dello statuto
speciale – come sostituito dalla lettera h) del comma 107 dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009
–, già richiamato, che configurerebbe un sistema completo di
concorso della Regione agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se
non con le modalità previste dallo statuto.
Proprio in quanto configurerebbe una deroga
agli artt. 75 e 79 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione,
disposta con una fonte primaria “ordinaria” – ossia un
decreto-legge convertito –, l’art. 48, comma 1, impugnato,
violerebbe altresì, ad avviso della ricorrente, gli artt. 103, 104 e 107
dello statuto che, rispettivamente, disciplinano: il procedimento di revisione
costituzionale per modificare lo statuto in via ordinaria; la modifica della
disciplina finanziaria con legge statale, ma «su concorde richiesta del
Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due
province»; la procedura per l’adozione delle norme di attuazione
dello statuto.
Una specifica censura è poi
rivolta dalla ricorrente nei confronti del secondo periodo dell’art. 48,
comma 1, che demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze le modalità di individuazione del maggiore gettito. Oltre ad
essere affetta dai medesimi vizi che caratterizzerebbero il periodo precedente,
la disposizione sarebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione,
in quanto, in una materia dominata dal principio consensuale, prevede un
decreto ministeriale senza intesa con la Provincia autonoma di Trento.
L’impugnato art. 48, comma 1-bis, reca la cosiddetta «clausola
di salvaguardia», rinviando alle norme di attuazione degli statuti
speciali di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 la definizione
delle modalità di applicazione del decreto-legge e i suoi effetti
finanziari per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e
di Bolzano, stabilendo peraltro che restano ferme le disposizioni previste
dagli artt. 13, 14 e 28, nonché quelle del medesimo art. 48 (comma 1).
A parte la difficoltà di
individuare un contenuto alle norme di attuazione ivi prefigurate, la ricorrente
argomenta per l’illegittimità costituzionale anche di tale
disposizione, in quanto non spetterebbe alla legge ordinaria disciplinare il
contenuto delle norme di attuazione dello Statuto.
2.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha depositato, in data 11 maggio 2012, e dunque fuori termine, una
propria memoria, argomentando per l’infondatezza del ricorso e
chiedendone il rigetto.
2.3.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per il 29 gennaio 2014, la Provincia
autonoma di Trento ha depositato, in data 7 gennaio 2014, una memoria, nella
quale reitera le censure rivolte agli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201
del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 214 del 2011.
Riguardo all’art. 28, comma 3, la
ricorrente sostiene che la fondatezza delle censure sollevate sarebbe
avvalorata dalle sentenze
n. 118 del 2012 e n. 241 del 2012
di questa Corte, che hanno confermato l’importanza del principio pattizio
nei rapporti tra lo Stato e le Regioni speciali in materia finanziaria.
Riguardo all’art. 48, la ricorrente
rileva che l’illegittimità costituzionale delle «riserve
all’erario» sarebbe confermata dalle sentenze n. 142
e n. 241 del
2012, che hanno accolto le censure relative, rispettivamente, alla riserva
allo Stato del gettito dell’addizionale erariale sulla tassa
automobilistica e ad una riserva integrale di entrate erariali avente analoga
destinazione rispetto a quella oggetto di impugnazione.
2.4.– La Provincia autonoma di
Trento, in data 28 gennaio 2015, ha depositato il proprio atto di rinuncia
all’impugnazione degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214
del 2011. In data 24 febbraio 2015 la medesima Provincia autonoma ha depositato
altresì, la delibera con cui il Consiglio provinciale di Trento, il 3
febbraio 2015, ha ratificato la delibera con cui la Giunta rinunciava al
ricorso.
2.5.– Con memoria depositata il 19
febbraio 2015, l’Avvocatura generale dello Stato, sulla base della
delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di
accettare, a nome del Presidente del Consiglio dei ministri, la rinuncia al giudizio
da parte della Provincia autonoma di Trento.
3.– Con ricorso notificato in data
23-28 febbraio 2012 e depositato il successivo 29 febbraio 2012 (ric. n. 38 del
2012), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste ha promosso questioni di legittimità
costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n.
201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 214 del 2011, per violazione: nel caso della prima disposizione, del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.,
degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale
della Regione Valle d’Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4)
e della relativa normativa di attuazione di cui agli artt. da 2 a 7 della legge
26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della
regione Valle d’Aosta), nonché del principio di ragionevolezza di
cui all’art. 3 Cost.; nel caso della seconda disposizione, degli artt.
3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 del medesimo statuto e
delle relative norme di attuazione – in particolare, dell’art. 8
della legge n. 690 del 1981 – nonché del principio di leale collaborazione
di cui agli artt. 5
e 120 Cost.
3.1.– Ad avviso della ricorrente,
il censurato art. 28, comma 3, che definisce unilateralmente la misura puntuale
delle entità finanziarie cui sono tenute le singole autonomie speciali,
aggiuntive rispetto a quelle già stabilite dalla legislazione vigente, e
altresì, senza alcun criterio di proporzionalità, la quota
gravante sui Comuni ricadenti nei territori delle Regioni a statuto speciale,
sarebbe manifestamente illegittimo per violazione del principio costituzionale
di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., e quindi della
particolare autonomia finanziaria, sia regionale che locale, di cui gode la
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, alla luce degli artt. 2, comma 1,
lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f),
12, 48-bis e 50 del suo statuto e
della relativa normativa di attuazione, in base a cui occorrerebbe privilegiare,
nei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma, il metodo
dell’accordo. Dello strumento preferenziale dell’accordo, che in
base alla giurisprudenza costituzionale sarebbe da ritenersi espressione della
particolare autonomia finanziaria di cui godono le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 74 del
2009; n. 82
del 2007; n.
353 del 2004), non vi sarebbe traccia nella disposizione impugnata.
L’impugnato art. 28, comma 3,
sarebbe in contrasto altresì con il principio di ragionevolezza di cui
all’art. 3 Cost., in particolare laddove determina la misura puntuale del
contributo dovuto dalla Regione e dai Comuni del suo territorio a prescindere
dalla necessaria preventiva enunciazione dei criteri sulla cui base
l’individuazione è stata fatta.
La ricorrente evidenzia poi che la
lesione delle prerogative regionali deriverebbe dal fatto che la disposizione
impugnata determina immediatamente l’accantonamento delle risorse
così individuate, e quindi una riduzione delle quote di partecipazione
ai tributi erariali, ponendosi perciò in contrasto con la normativa di
attuazione di cui agli articoli da 2 a 7 della legge n. 690 del 1981, cui
sarebbe riservata la disciplina relativa alle modalità di
compartecipazione regionale ai tributi erariali, e che non potrebbe essere
modificata con legge ordinaria: quest’ultima normativa, adottata previo
accordo con la Giunta regionale ai sensi dell’art. 50, comma 5, dello
statuto della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, rientrerebbe nel novero delle norme
modificabili esclusivamente con il particolare procedimento previsto
dall’art. 48-bis dello statuto
(decreti legislativi elaborati da una commissione paritetica e sottoposti al
parere del Consiglio stesso), richiamato, con specifico riferimento
all’ordinamento finanziario della Regione, dall’art. 1 del decreto
legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale
della regione Valle d’Aosta).
Quanto all’indicazione, collocata
in apertura del terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, secondo
cui la disciplina ivi dettata si applicherebbe «[f]ino
all’emanazione delle norme di attuazione» di cui all’art. 27
della legge n. 42 del 2009, la Regione autonoma rileva come si tratterebbe di
una disposizione temporalmente illimitata, dal momento che il termine di trenta
mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 42 del
2009, originariamente previsto per l’adozione della disciplina di
attuazione degli statuti speciali, è stato abrogato dal comma 4 della
disposizione qui considerata.
Ad avviso della ricorrente, anche
l’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, laddove prevede una
riserva generale all’erario, per cinque anni, delle maggiori entrate
derivanti dal medesimo decreto-legge, configurerebbe una lesione
dell’autonomia legislativa e finanziaria della Regione autonoma. Tale
disposizione, infatti, altererebbe unilateralmente l’assetto finanziario
della ricorrente e si porrebbe in contrasto con l’art. 8 della legge n.
690 del 1981, laddove dispone che l’ammontare delle maggiori entrate
derivanti da tributi devoluti alla Regione autonoma da riversare al bilancio
dello Stato sia determinato per ciascun esercizio finanziario con decreto
ministeriale, «d’intesa con il presidente della giunta
regionale», originando anche la lesione del principio di leale
collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Questi vizi, ad avviso della ricorrente,
non sarebbero esclusi dal contenuto dell’art. 48, comma 1-bis, impugnato, che, ferme restando le
disposizioni previste dagli artt. 13, 14, 28 e dello stesso art. 48, demanda
alle norme di attuazione statutaria di cui all’art. 27 della legge n. 42
del 2009 le modalità di applicazione del decreto-legge per le Regioni a
statuto speciale. In tal modo, infatti, il legislatore ribadirebbe la
volontà di incidere in via unilaterale sui rapporti finanziari con le
autonomie speciali.
3.2.– Con atto depositato in data
10 aprile 2012, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque
rigettato.
Premesso che tutte le censure addotte nei confronti
delle varie disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, non
sarebbero articolate in modo sufficientemente specifico – con riguardo
sia alle norme censurate e alla loro interpretazione, sia ai parametri evocati
– e che, pertanto, il ricorso risulterebbe complessivamente
inammissibile, nel merito, con specifico riguardo all’impugnato art. 28,
comma 3, la difesa erariale deduce che quest’ultimo, nel determinare il
contributo da versare al bilancio dello Stato, lascia all’autonoma
determinazione delle Regioni e degli enti locali le modalità di
reperimento di tali risorse. D’altra parte, tale contribuzione sarebbe
inquadrata nel processo di attuazione negoziata del coordinamento finanziario
Stato-autonomie speciali, di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009,
e il meccanismo di accantonamento automatico costituirebbe una misura di
salvaguardia temporanea, giustificata dall’urgenza sottesa
all’intero d.l. n. 201 del 2011 e destinata a durare solo sino
all’attuazione del citato art. 27.
Con riguardo al censurato art. 48,
l’Avvocatura generale dello Stato osserva che appunto l’urgenza di
conformare la finanza pubblica agli obblighi assunti in sede europea giustifica
la riserva allo Stato delle maggiori entrate di natura erariale, derivanti
dall’applicazione dello stesso decreto-legge; e che anche questa è
una misura temporanea, della quale non sarebbe dimostrata la manifesta
eccessività o sproporzione, né l’efficacia pregiudizievole
rispetto all’equilibrio finanziario della ricorrente.
3.3.– L’11 giugno 2013, in
prossimità dell’udienza pubblica del 2 luglio 2013, la ricorrente
ha depositato memoria, ribadendo che il censurato art. 28, comma 3,
risulterebbe costituzionalmente illegittimo in quanto stabilisce
unilateralmente il criterio di quantificazione dell’entità del contributo
dovuto, in violazione del principio consensuale che deve presiedere alla
regolamentazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione, a tutela
della specialità, anche finanziaria, dell’ente autonomo. La
ricorrente reitera anche le censure sull’art. 48 del medesimo
decreto-legge, riaffermando di essere titolare di un interesse processuale al
ricorso giustificato dal fatto che la norma censurata comporta una minore
entrata rispetto al gettito che sarebbe spettato, in sua assenza, alla Regione.
Nel merito, rileva che si tratterebbe di una riserva di risorse in favore
dell’erario ampia, generica e lesiva dell’autonomia finanziaria
delle Regioni speciali, contrastante con i presupposti di cui all’art. 8
della legge n. 690 del 1981, dal momento che i relativi proventi non sono
destinati alla copertura di nuovi o maggiori spese e che la loro determinazione
non è stabilita di intesa con la Regione. L’esclusione di tale
riserva, disposta per un periodo di cinque anni e dunque non qualificabile come
transitoria, dall’ambito di applicazione del meccanismo di cui
all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, perciò, determinerebbe una
violazione dell’autonomia finanziaria della Regione autonoma della Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste, garantita dagli 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50, comma 5, del suo statuto.
4.– Con ricorso notificato in data
25 febbraio 2012 e depositato il successivo 1° marzo (reg. ric. n. 39 del
2012) la Regione siciliana ha promosso questioni di legittimità
costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, commi 2, 3, 6, 7, 8, 9 e 10,
e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 17, primo
comma, lettera b), 36, 37 e 43 dello statuto della
Regione siciliana (approvato con il regio decreto legislativo 15 maggio 1946,
n. 455, convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 2); all’art. 2 delle relative norme di attuazione
in materia finanziaria (si intende quelle di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074); nonché al principio di leale
collaborazione.
4.1.– Una prima censura, riferita
agli artt. 28 e 48 – oltre che agli artt. 13 e 14 – del d.l. n. 201
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, si
fonderebbe sul fatto che tali disposizioni siano immediatamente applicabili
alla Regione siciliana, senza il previo espletamento delle modalità attuative
di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, per espressa previsione
dell’art. 48, comma 1-bis, del
decreto-legge impugnato. Esse darebbero origine a una violazione
dell’art. 43 dello statuto siciliano, laddove demanda ad una commissione
paritetica la determinazione delle norme di attuazione dello statuto;
nonché del principio di leale collaborazione, del quale le procedure di
cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, con la previsione del tavolo
di confronto per il coordinamento della finanza delle Regioni a statuto
speciale e delle Province autonome, sarebbero espressione. Ad avviso della
ricorrente, lo Stato avrebbe dovuto concordare le modalità applicative
dei censurati artt. 13, 14, 28 e 48 nell’ambito di tale tavolo di confronto,
così conformandosi alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza
costituzionale, che in più occasioni ha evidenziato il rilievo del
principio di leale collaborazione.
Una seconda censura riguarda, ad avviso
della ricorrente, i commi 2 e 3 del citato art. 28, laddove prevedono che
l’aumento dell’aliquota di base dell’addizionale IRPEF
– elevata, a norma del comma 1 dello stesso art. 28, dallo 0,9
all’1,23 per cento retroattivamente dall’anno 2011 – si
applica anche alle Regioni a statuto speciale, compresa la ricorrente, ma non
destinano il conseguente aumento di gettito a quest’ultima, bensì
rideterminano a vantaggio dell’erario il Fondo sanitario nazionale, per
assicurare da parte della Regione siciliana l’apporto di cui al censurato
comma 3. In tal modo, la contribuzione statale necessaria a coprire il
fabbisogno sanitario regionale sarebbe stata ulteriormente ridotta, sino a
essere annullata, senza il rispetto delle procedure di cui all’art. 27
della legge n. 42 del 2009 e, quindi, senza considerare le peculiari esigenze
della Regione. Tale intervento legislativo contrasterebbe con il principio di
leale collaborazione, in quanto la riduzione dello stanziamento avrebbe dovuto
essere determinata quantomeno sentita la Regione; degli artt. 36 e 37 dello
statuto e dell’art. 2 delle relative norme di attuazione (di cui al
d.P.R. n. 1074 del 1965), che delineano l’autonomia finanziaria della
Regione; nonché dell’art. 17, primo comma, lettera b), dello statuto, che assegna alla
Regione la competenza legislativa concorrente in materia sanitaria.
Una terza censura è riferita al
comma 6 del censurato art. 28, che si ritiene violi i già ricordati
artt. 36 e 17, primo comma, lettera b),
dello statuto e art. 2 delle relative norme di attuazione (di cui al d.P.R. n.
1074 del 1965).
La disposizione aggiunge un periodo, del
medesimo tenore, ai commi 4 e 5 dell’art. 77-quater del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività,
la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto
2008, n. 133. In particolare, a seguito di tale novella, il comma 5 risulta
così formulato: «Alla Regione siciliana sono erogate le somme spettanti
a titolo di Fondo sanitario nazionale, quale risulta dall’Intesa
espressa, ai sensi delle norme vigenti, dalla Conferenza permanente per i
rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
sulla ripartizione delle disponibilità finanziarie complessive destinate
al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, previo accantonamento di un
importo corrispondente alla quota del finanziamento indistinto del fabbisogno
sanitario condizionata alla verifica degli adempimenti regionali, ai sensi
della legislazione vigente. Le risorse corrispondenti al predetto importo,
condizionate alla verifica positiva degli adempimenti regionali, rimangono
accantonate in bilancio fino alla realizzazione delle condizioni che, ai sensi
della vigente legislazione, ne consentono l’erogabilità alle
regioni e comunque per un periodo non superiore al quinto anno successivo a
quello di iscrizione in bilancio».
Ad avviso della ricorrente,
l’aggiunta dell’ultimo periodo, subordinando l’erogazione
alla Regione siciliana delle risorse destinate al finanziamento del Servizio
sanitario nazionale alla verifica positiva degli adempimenti regionali,
sottrarrebbe alla Regione medesima l’immediata disponibilità delle
risorse in questione, per un periodo massimo di un quinquennio.
Una quarta censura riguarda, infine, i
commi 7, 8, 9 e 10 dell’art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per
violazione del principio di leale collaborazione. Sostiene infatti la
ricorrente che le suddette disposizioni, riducendo il finanziamento dello Stato
agli enti locali siciliani, in misura proporzionale alla distribuzione
territoriale dell’imposta municipale propria (IMU) di cui all’art.
13 dello stesso d.l. n. 201 del 2011, determinerebbero una diminuzione di fondi
il cui importo non è stato previamente quantificato e che non terrebbe
in alcuna considerazione le peculiari condizioni economiche della Regione
siciliana e dei suoi enti locali.
4.2.– Con atto depositato in data
8 maggio 2012, fuori termine, si è costituito nel giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le censure dedotte, tra l’altro,
contro l’art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, siano dichiarate
infondate.
Premesso che l’intero
decreto-legge impugnato sarebbe riconducibile all’armonizzazione dei
bilanci pubblici e al coordinamento delle pubbliche finanze, anche nella
prospettiva del rispetto degli obblighi comunitari, la difesa erariale, con
riguardo all’art. 28, osserva che la determinazione del contributo
richiesto alle Regioni a statuto speciale non entra nel merito delle scelte sul
reperimento di tali risorse; che l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965
consente di riservare all’erario l’incremento di gettito delle
imposte riscosse nel territorio regionale, per far fronte a esigenze specifiche
e contingenti, come quelle di carattere finanziario risultanti dal censurato
art. 48; che il comma 1-bis di tale
articolo prevede una norma di salvaguardia per le Regioni a statuto speciale;
che lo stesso art. 28, censurato, richiama le procedure di cui all’art.
27 della legge n. 42 del 2009; che in tale contesto andrebbe inquadrato anche
il comma 3 del citato art. 28, in virtù del quale, per la Regione
siciliana, il maggior gettito derivante dall’aumento
dell’addizionale IRPEF finanzierebbe una parte della quota della spesa
sanitaria ancora a carico dello Stato.
5.– Con ricorso notificato in data
24 febbraio 2012 e depositato il successivo 1° marzo (reg. ric. 40 del
2012) la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso questioni di
legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3,
e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per violazione del Titolo VI, e, in
particolare, degli artt. 75, 79, 80, 81, 82 e 83, nonché degli artt.
103, 104 e 107 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige); del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il
rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali,
nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), degli
artt. 9, 10 e 10-bis, del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale);
dell’art. 2, comma 108, della legge 23 dicembre 2009, n. 191
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2010), nonché dei principi di ragionevolezza e
di leale collaborazione.
5.1.– La Provincia autonoma di
Bolzano censura l’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in
riferimento all’art. 79 dello statuto speciale.
Ad avviso della ricorrente, infatti, la
disposizione impugnata, prevedendo un ulteriore concorso alla riduzione della
spesa pubblica, solo a carico delle autonomie speciali – dopo le misure
già assunte in precedenti decreti-legge adottati nel 2010 e nel 2011
– si porrebbe in contrasto con l’art. 79 dello statuto speciale,
che già disciplina il concorso della Provincia autonoma al conseguimento
degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, all’assolvimento
degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento
comunitario, dal patto di stabilità interno e dalle altre misure di
coordinamento della finanza pubblica disposte dalla normativa statale.
La Provincia autonoma di Bolzano dubita poi
della legittimità costituzionale dell’art. 48 del d.l. n. 201 del
2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
214 del 2011, in riferimento agli artt. 75 e 79 dello statuto speciale e delle
relative norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 268 del 1992,
oltre che con l’art. 2, comma 108, della legge n. 191 del 2009.
Dopo aver ricordato il contenuto dei
commi 1 e 1-bis dell’impugnato
art. 48, sottolineando che esso è diretto a riservare al bilancio dello
Stato il maggior gettito derivante dalle maggiori entrate tributarie previste
dal decreto-legge, introducendo apposite modalità di contabilizzazione
delle stesse, la ricorrente sintetizza la disciplina contenuta nei parametri
invocati, che, all’art. 75 dello statuto speciale riconosce alle Province
autonome quote di compartecipazione al gettito delle entrate tributarie dello
Stato percette nei relativi territori; nella normativa di attuazione, individua
tassativamente le ipotesi di riserva allo Stato delle entrate tributarie
erariali; all’art. 79 dello statuto speciale definisce in modo completo
ed esaustivo i termini e le modalità del concorso delle Province
autonome al conseguimento degli obiettivi stabiliti dalla normativa statale.
Quest’ultima disposizione stabilisce altresì che tali misure
possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista
dall’art. 104 dello statuto speciale, in ossequio della quale è
stato in effetti approvato l’art. 2, comma 108, della legge n. 191 del
2009.
5.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha depositato, in data 4 aprile 2012, una propria memoria, argomentando
per l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. In particolare,
si sostiene che le norme impugnate non si porrebbero in contrasto con i
parametri statutari invocati, perché si richiamerebbero alle procedure
di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e perché sarebbero
giustificate dalla necessità di fronteggiare temporaneamente la difficile
situazione economica in cui versa il Paese, allo scopo di raggiungere nei tempi
concordati in sede comunitaria gli obiettivi di finanza pubblica imposti a
livello europeo.
5.3.– In prossimità
dell’udienza pubblica originariamente fissata per il 6 novembre 2012, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ed intervenuto in giudizio, ha
depositato, in data 16 ottobre 2012, una propria memoria.
Riguardo all’art. 28, comma 3, la
difesa statale rileva che la disposizione non entrerebbe nel merito delle
modalità di reperimento delle risorse attraverso cui la Provincia
autonoma è chiamata a concorrere al risanamento dei conti pubblici e,
pertanto, non potrebbe ritenersi lesiva delle prerogative provinciali in
materia di destinazione delle risorse finanziarie provenienti dal territorio:
verrebbe predeterminata solo l’entità della somma da versare,
lasciandosi all’accordo tra la Provincia autonoma e il Ministro
dell’economia i criteri del riparto interno. Sottolinea poi che
l’ordinamento finanziario delle autonomie speciali, per come disciplinato
dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, prevedrebbe la
possibilità di riservare allo Stato l’incremento di gettito delle
imposte riscosse nel territorio delle Regioni, disposto dalla legge statale per
far fronte a specifiche esigenze, in particolare, per le autonomie speciali,
attraverso le procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Spetterebbe alla ricorrente, perciò, provare l’invocata lesione
all’equilibrio finanziario regionale, dimostrando che l’intervento
normativo in questione abbia dato luogo a una complessiva insufficienza dei
mezzi finanziari a disposizione della Provincia autonoma per l’adempimento
dei propri compiti (sentenze n. 145 del
2008 e n.
431 del 2004).
Relativamente all’art. 48, la
difesa statale reputa adeguatamente giustificate le ragioni della destinazione,
temporanea, del maggior gettito esclusivamente allo Stato, consistenti nelle
esigenze prioritarie del «pareggio di bilancio» e nella riduzione
del debito in un periodo di eccezionale gravità della situazione
economica interna. E si richiama all’art. 48, comma 1-bis, del decreto-legge impugnato, che
porrebbe una precisa clausola di salvaguardia delle Regioni ad autonomia
speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, che a suo avviso
sarebbe applicabile anche all’art. 48, comma 1.
5.4.– In data 15 ottobre 2012 la
Provincia autonoma di Bolzano ha depositato una propria memoria nella quale
insiste per l’illegittimità costituzionale delle disposizioni
impugnate.
Oltre a ribadire le ragioni del ricorso,
la Provincia autonoma evidenzia che il rinvio, contenuto nell’art. 28 del
d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge n. 214 del 2011, alla procedura di cui all’art. 27 della
legge n. 42 del 2009 non sarebbe idoneo a superare il profilo di
incostituzionalità, in quanto tale rinvio risulterebbe svuotato dalla
immediata previsione di una nuova misura di compartecipazione al perseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica – unilaterale, puntuale e stabile, e
dunque non rientrante nella competenza concorrente in materia di finanza
pubblica – posta a carico della Provincia autonoma, con conseguente
immediata alterazione dell’assetto delineato dall’art. 79 dello
statuto speciale. La sostanziale inconsistenza del rinvio suddetto sarebbe poi
ulteriormente vanificato dal fatto che l’art. 48, comma 1-bis, del decreto-legge impugnato fa
espressamente salve le previsioni dell’art. 28 dalla clausola di
salvaguardia in cui si stabilisce che le modalità di applicazione e gli
effetti finanziari del decreto-legge siano definiti con le norme di attuazione
statutaria di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Riguardo poi all’art. 48 del
decreto-legge impugnato, la Provincia autonoma ribadisce come tale articolo,
nell’imporre indiscriminatamente che siano destinate allo Stato tutte le
maggiori entrate da esso derivanti, contrasterebbe frontalmente con
l’art. 75 dello statuto speciale, il quale stabilisce che siano
attribuite alle Province autonome di Trento e di Bolzano i nove decimi di tutte
le entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate,
diverse da quelle espressamente indicate in tale articolo. Né sarebbero
invocabili l’eccezionale gravità della situazione economica o la
natura transitoria della destinazione, alla luce del carattere tassativo del
sistema pattizio nel delineare l’autonomia finanziaria delle Regioni a
statuto speciale e delle Province autonome (sentenza n. 133 del
2010).
5.5.– La Provincia autonoma di
Bolzano, in data 21 gennaio 2015, ha depositato il proprio atto di rinuncia
all’impugnazione degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214
del 2011.
5.6.– Con memoria depositata il 19
febbraio 2015, l’Avvocatura generale dello Stato, sulla base della
delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2015, ha comunicato di
accettare, a nome del Presidente del Consiglio dei ministri, la rinuncia al giudizio
da parte della Provincia autonoma di Bolzano.
6.– Con ricorso notificato in data
24 febbraio 2012 e depositato il successivo 2 marzo (reg. ric. 47 del 2012) la
Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimità
costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, commi 3, 7, 8, 9 e 11-ter, e 48 del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214
del 2011, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto della
Regione Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3),
nonché degli artt.
3, 116, 117 e 119 Cost.
6.1.– Quale premessa generale a
tutte le censure svolte contro le singole disposizioni del decreto-legge
impugnato, la Regione richiama l’attenzione sull’art. 8 del proprio
statuto, come modificato, in applicazione dell’art. 54, comma 5, dello
stesso statuto, dall’art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge finanziaria 2007): tale revisione ha determinato rilevanti
modifiche al sistema delle entrate regionali, per consentire alla ricorrente di
assolvere ai propri compiti istituzionali; ma essa non è stata correttamente
attuata da parte dello Stato, con grave vulnus
all’autonomia regionale.
6.1.1.– L’art. 28 del d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge n. 214 del 2011, fissa un ulteriore concorso delle Regioni speciali
alla finanza pubblica, stabilendo – senza alcuna intesa o forma di
cooperazione – che, fino all’emanazione delle norme di attuazione
degli statuti, come richiamate anche dall’art. 27 della legge n. 42 del
2009, ciascuna Regione, in misura proporzionale alla media degli impegni nel
triennio 2007-2009, sopporti questi oneri attraverso l’accantonamento
delle somme corrispondenti a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi
erariali. Così facendo, ad avviso della ricorrente, il legislatore
sarebbe incorso in una duplice violazione dell’art. 8 dello statuto della
Sardegna: il contributo della Regione sarebbe equiparato a quello delle altre
autonomie speciali, benché proprio la citata modifica del parametro
statutario, disposta nel 2006, attesti la particolare necessità di
adeguare il quadro normativo regionale alla mutata realtà
economico-finanziaria; inoltre, incorrendo in una contraddizione intrinseca
censurabile anche in relazione al principio di ragionevolezza di cui
all’art. 3 Cost., sarebbero stati fissati obiettivi di finanza pubblica
incoerenti con la novella statutaria.
Sarebbero violati anche gli artt. 117 e
119 Cost., ed altresì gli artt. 3, 4 e 5, nonché 7 e 8 dello
statuto della Sardegna – i quali, rispettivamente, enumerano le
competenze legislative della Regione e garantiscono la sua autonomia
finanziaria, anche mediante specifiche entrate tributarie e patrimoniali
– giacché, in mancanza di una completa e corretta attuazione del
citato art. 8, l’aggravio degli oneri finanziari impedirebbe alla Regione
e agli enti locali del suo territorio di adempiere alle proprie funzioni senza
essere condizionati da “vincoli eterodeterminati”
e irragionevoli. È richiamato, al riguardo, il principio, affermato
nella giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 245 del
1984), che vieterebbe di imporre alle Regioni oneri senza corrispondente
attribuzione di risorse: a maggior ragione, visto che, contestualmente alla
riscrittura dell’art. 8 dello statuto sardo, lo stesso legislatore
statale, con l’art. 1, commi 836 e 837, della legge n. 296 del 2006,
avrebbe ulteriormente ampliato il catalogo delle funzioni pubbliche che la
Regione è tenuta a finanziare.
Ancora gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello
statuto della Sardegna, nonché gli artt. 116, 117 e 119 Cost., anche in
relazione al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.,
sarebbero violati in quanto l’art. 28 impugnato avrebbe creato uno
“pseudo-comparto”, composto dalle autonomie regionali speciali,
accomunando in un’unica voce realtà diverse sia in punto di fatto,
per la localizzazione geografica, condizione di sviluppo economico, popolazione
residente, sia in punto di diritto, per il diverso regime di compartecipazione
alle entrate erariali fissato per ciascun ente dal rispettivo statuto.
Per questo specifico profilo, la
ricorrente specifica poi che l’ultimo periodo dell’art. 28, comma
3, impugnato, laddove stabilisce che «Per la Regione Siciliana si tiene
conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale», violerebbe
l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio d’eguaglianza,
sia sotto il profilo del principio di ragionevolezza, oltre all’art. 7
dello statuto della Sardegna, che ne tutela l’autonomia finanziaria, e
all’art. 119 Cost.: si sarebbe imposto alla Sardegna, assieme alle altre
autonomie speciali (ma non anche alle Regioni ordinarie), di farsi carico pro parte della spesa sanitaria della
Regione siciliana.
6.1.2.– In contrasto con
l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo del principio d’eguaglianza,
sia sotto il profilo del principio di ragionevolezza, e con l’art. 7
dello statuto della Sardegna, si porrebbero anche – sempre ad avviso
della ricorrente – i commi 7 e 8 dell’impugnato art. 28.
Essi dispongono una riduzione
rispettivamente pari a 1.450 milioni di euro e di 415 milioni di euro, per il
2012 e per gli anni successivi, da un lato, del fondo sperimentale di
riequilibrio e del fondo perequativo di cui agli artt. 2 e 13 del decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo
fiscale municipale) e dei trasferimenti erariali dovuti ai Comuni della Regione
siciliana e della Regione autonoma della Sardegna; dall’altro, del fondo
sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo di cui agli artt. 21 e 23
del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di
autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province,
nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore
sanitario) e dei trasferimenti erariali dovuti alle Province della Regione
siciliana e della Regione autonoma della Sardegna.
La ricorrente sottolinea che in tal modo
il legislatore statale avrebbe introdotto una misura che graverebbe soltanto
sugli enti locali delle due Regioni, senza che tale limitazione sia legata a
specifici elementi o a parametri obiettivi. Sarebbero dunque violati gli stessi
parametri in relazione ai quali sono censurati gli artt. 13 e 14, comma 13-bis, del decreto-legge impugnato, e
dunque gli artt. 3, 5, 117 e 119 Cost., nonché gli artt. 3, comma primo,
lettera b), 7 e 8 dello statuto della
Sardegna: in particolare, l’art. 3 Cost., sotto il profilo dei principi
di eguaglianza e ragionevolezza, in relazione all’art. 7 dello statuto
della Sardegna, che tutela l’autonomia finanziaria della Regione,
pregiudicata anche dalla necessità per la stessa Regione autonoma di
sovvenire agli enti locali depauperati dalla misura in questione.
6.1.3.– Una specifica censura
è poi rivolta al comma 11-ter
dell’impugnato art. 28, in cui si prevede che «[a]l fine di
potenziare il coordinamento della finanza pubblica è avviata la
ridefinizione delle regole del patto di stabilità interno», senza
tenere conto, ad avviso della ricorrente, del principio dell’accordo con le
Regioni e senza prevedere alcun contraddittorio con esse.
Sarebbero in tal modo violati il
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., il principio di
leale collaborazione di cui all’art. 5 Cost. e all’intero Titolo V
della parte seconda Cost., e in particolare gli artt. 117 e 119 Cost. e
l’art. 7 dello statuto della Sardegna, tenuto conto anche della rilevanza
del metodo dell’accordo, affermata altresì nella giurisprudenza
costituzionale con la sentenza n. 82 del
2007.
Gli art. 3 e 117 Cost., nonché
gli artt. 3, comma primo, lettera b),
e 7 dello statuto della Sardegna sarebbero altresì violati dalla norma
in questione, giacché la declinazione per gli enti locali del patto di
stabilità interno non potrebbe prescindere da un intervento regolativo
delle Regioni e, specialmente, di quelle a statuto speciale, come riconosciuto
dallo stesso legislatore statale mediante la cosiddetta territorializzazione
del patto di stabilità prevista, tra l’altro, all’art. 1,
comma 141, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilità 2011), nonché in analoghe disposizioni anteriori.
6.1.4.– La Regione dubita poi
della legittimità costituzionale dell’art. 48 del d.l. n. 201 del
2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
214 del 2011, in riferimento agli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e degli
artt. 3, 117 e 119 Cost.
Nel riservare allo Stato le maggiori
entrate erariali derivanti dall’impugnato decreto-legge, infatti,
l’art. 48, comma 1, acquisirebbe alla disponibilità dello Stato
maggiori entrate che, almeno in notevole misura, dovrebbero essere di spettanza
regionale, in violazione dei principi affermati, proprio con riferimento alla
Regione autonoma Sardegna, dalla sentenza n. 198 del
1999. Ciò vale in particolare per le maggiori entrate derivanti da
diverse misure, previste nel d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, per il
contrasto dell’evasione fiscale: ad avviso della ricorrente, sarebbe
paradossale che la Regione subisse la diminuzione di entrate cui avrebbe avuto
diritto, se le somme dovute fossero state regolarmente versate. Inoltre,
poiché l’attuale regime delle risorse della Regione è stato
riconosciuto come insufficiente attraverso la richiamata revisione
dell’art. 8 dello statuto, riservare allo Stato entrate che dovrebbero
sopperire a tali insufficienze comporterebbe una violazione, oltre che della
disposizione appena citata, dell’art. 7 dello statuto della Sardegna,
degli artt. 117 e 119 Cost. e del principio di ragionevolezza, di cui
all’art. 3 Cost. Inoltre, la censurata riserva sarebbe prevista per un
periodo di tempo (cinque anni), ad avviso della ricorrente,
“lunghissimo”, né sarebbe previsto uno scopo specifico al
quale destinare il sacrificio imposto alla Regione.
La disposizione di cui all’art.
48, comma 1-bis, del decreto-legge
impugnato non sarebbe idonea ad escludere i vizi di legittimità
costituzionale ipotizzati, visto che rinvia a future determinazioni, da
adottarsi ai sensi dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, solo le
modalità di applicazione e gli effetti finanziari del decreto-legge,
senza prevedere che la Regione possa fruire della quota di compartecipazione
che le spetterebbe in applicazione delle norme statutarie.
6.2.– Con atto depositato in data
4 aprile 2012, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato o,
comunque, sia rigettato.
Premesso che, in generale, le misure
previste nel d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, tendono a contenere il
deficit di bilancio, in un momento particolarmente difficile per la tenuta del
sistema finanziario italiano, in assolvimento anche degli obblighi derivanti
dall’ordinamento europeo, e appaiono riconducibili
all’armonizzazione dei bilanci pubblici e al coordinamento della finanza
pubblica, con particolare riguardo al censurato art. 28, la difesa erariale
sottolinea che le prerogative regionali sono salvaguardate dall’assenza
di vincoli in merito al reperimento delle risorse da versare allo Stato e dalla
prevista necessità che gli obblighi relativi al patto di
stabilità, con riguardo ai saldi di bilancio da conseguire, e
segnatamente i criteri di riparto della somma da versare, siano concordati con
il Ministro dell’economia e delle finanze.
L’ordinamento finanziario delle
Regioni a statuto speciale consentirebbe la riserva all’erario
dell’incremento di gettito di imposte riscosse nei territori regionali,
per far fronte a esigenze specifiche e contingenti. Dal canto suo, il censurato
art. 28 richiama le previsioni dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009,
in merito al concorso di tali enti al conseguimento degli obiettivi di finanza
pubblica. Proprio la necessità di fronteggiare temporaneamente la
difficile situazione finanziaria sorreggerebbe la previsione di cui al comma 6
del citato art. 28, in merito all’accantonamento di somme destinate al
finanziamento del fabbisogno sanitario, e quelle di cui ai successivi commi da
7 a 10, in merito alla riduzione di alcuni tradizionali trasferimenti erariali.
Analoga giustificazione varrebbe per il
censurato art. 48, il cui comma 1-bis
conterrebbe comunque una clausola di salvaguardia idonea a garantire che
l’attuazione del precedente comma 1 avvenga nel rispetto degli statuti
speciali e delle relative norme di attuazione.
6.3.– In data 16 ottobre 2012, in
prossimità delle udienze pubbliche fissate per il 6 e 7 novembre 2012,
la Regione autonoma Sardegna ha depositato due memorie di identico contenuto in
cui, insistendo nelle conclusioni già formulate, si sofferma su alcuni
principi affermati nella più recente giurisprudenza costituzionale e
replica a talune argomentazioni presenti nell’atto di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri.
Pur riconoscendo la difficile
congiuntura e la delicata situazione economico-finanziaria della Repubblica,
che del resto costituiscono i presupposti, ai sensi dell’art. 77 Cost.,
del d.l. n. 201 del 2011, e dichiarando di non volersi sottrarre al contributo
dovuto da tutti gli enti territoriali per migliorare lo stato della finanza
pubblica, la ricorrente ricorda anzitutto come la stessa giurisprudenza
costituzionale, nella sentenza n. 151 del
2012, abbia affermato che l’emergenza finanziaria deve essere
affrontata dallo Stato con rimedi consentiti dall’ordinamento e
compatibili con le garanzie di autonomia spettanti agli enti territoriali.
In merito al censurato art. 28, la
Regione autonoma sottolinea che sia il contributo obbligatorio, di cui al comma
3, sia le riduzioni ai finanziamenti per gli enti locali, di cui ai commi 7 e 8
(da praticare secondo i criteri di cui ai commi 9 e 10, ritenuti ancillari),
sono previsti per tutti gli anni a partire dal 2012: quindi, a tempo
indeterminato. Si tratterebbe perciò di vincoli posti in via definitiva,
in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, che
ha ammesso analoghe limitazioni soltanto in caso di vincoli stabiliti in via
transitoria (oltre alla sentenza n. 82 del
2007, viene invocata la sentenza n. 193 del
2012).
La ricorrente ribadisce poi che
l’art. 28, impugnato, violerebbe l’art. 7 dello statuto della
Sardegna e l’art. 119 Cost., che tutelano l’autonomia finanziaria
della Regione, nonché l’art. 8 dello stesso statuto e il principio
di leale collaborazione di cui all’art. 117 Cost., dal momento che il
contributo ivi previsto sarebbe fatto valere direttamente sulle quote di
compartecipazione alle entrate erariali, nonostante che lo Stato non abbia dato
ancora completa esecuzione al nuovo regime di tali entrate, per come previsto
dal citato art. 8.
In replica all’argomentazione
secondo cui la riserva all’erario statale dell’aumento di gettito
sarebbe prevista dall’ordinamento finanziario delle Regioni a statuto
speciale, la ricorrente replica che la propria situazione normativa sarebbe ben
diversa da quella di altre Regioni a statuto speciale e fa presente che lo
Stato non sarebbe stato in grado di citare alcuna disposizione dello statuto
speciale, o di attuazione del medesimo, che valga da base normativa
dell’intervento contestato.
Il medesimo profilo viene fatto valere
anche riguardo all’art. 48, comma 1, impugnato, in quanto non vi sarebbe
alcuna norma statutaria, o di attuazione dello statuto, idonea a consentire
allo Stato di riservarsi il maggior gettito derivante da modificazioni del
sistema tributario. Alla Regione ricorrente, pertanto, non sarebbe applicabile
quella giurisprudenza costituzionale che ha fatto applicazione di norme di tal
tipo, esistenti negli ordinamenti di altre autonomie speciali (sentenze n. 143,
n. 142 e n. 135 del 2012,
n. 182 del 2010).
6.4.– Anche il Presidente del
Consiglio dei ministri ha depositato una memoria in data 16 ottobre 2012.
Ribadite le finalità del d.l. n.
201 del 2011, come convertito, la loro rilevanza costituzionale e
l’attinenza delle misure adottate alle competenze dello Stato, la difesa
erariale sottolinea come, secondo la giurisprudenza costituzionale, anche le
Regioni a statuto speciale potrebbero essere assoggettate a vincoli di bilancio
introdotti in via transitoria o in vista del conseguimento di specifici
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica né, d’altra
parte, sarebbe vietato allo Stato disporre in merito a tributi da esso
istituiti, benché il loro gettito sia destinato alle Regioni,
purché non sia alterato il rapporto tra i complessivi bisogni regionali
e le risorse per farvi fronte.
Ciò premesso, in merito al
censurato art. 28, oltre a reiterare argomenti già enunciati, il
Presidente del Consiglio dei ministri osserva che spetterebbe alla ricorrente
provare l’invocata lesione all’equilibrio finanziario regionale,
dimostrando che l’intervento normativo in questione abbia dato luogo a
una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione della Regione
per l’adempimento dei propri compiti (sentenza n. 431 del
2004). Da ciò deriverebbe la genericità delle doglianze della
ricorrente, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate.
Anche in merito all’art. 48,
censurato, sono ribaditi gli argomenti già enunciati, soggiungendosi in
conclusione che tale disposizione altro non è se non la logica
conseguenza della ratio
dell’intero d.l. n. 201 del 2011: predisporre
una serie di misure che, in una difficile congiuntura, consentano di conseguire
nei tempi concordati gli obiettivi di finanza pubblica imposti a livello
europeo.
6.5.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per il 29 gennaio 2014, la Regione autonoma
Sardegna ha depositato, in data 27 dicembre 2013, un’ulteriore memoria,
tutta incentrata sulle censure rivolte agli artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del
2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
214 del 2011, che in parte ribadisce argomenti già esposti, in parte li
sviluppa e correda di ulteriori riferimenti.
Con riguardo all’art. 28, comma 3,
la Regione Sardegna si richiama alle sentenze n. 99
e n. 118 del
2012 e alla sentenza
n. 95 del 2013 di questa Corte, oltre che alle considerazioni svolte dalla
Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Sardegna, nel giudizio di
parificazione del bilancio regionale per l’esercizio 2011. In
particolare, i passaggi della sentenza n. 95 del
2013 in cui questa Corte ha rilevato che «l’inerzia statale
troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina
conseguenze negative sulle finanze regionali», e che «il ritardo
accumulato sta determinando una emergenza finanziaria», rafforzerebbero
la censura secondo cui la disposizione impugnata, imponendo un ulteriore
contributo di finanza pubblica, comporterebbe la violazione degli artt. 3, 4,
5, 7 e 8 dello statuto della Sardegna, degli artt. 3, 117 e 119 Cost.: si
impedirebbe alla Regione di disporre di risorse idonee a finanziare
integralmente le funzioni pubbliche a essa attribuite. La Corte dei conti, nel
citato giudizio di parificazione, ha evidenziato come il quadro di riferimento
finanziario della Regione ricorrente sia stato cristallizzato alle disponibilità
del 2005, e, nella requisitoria del Procuratore regionale, ha rinnovato
l’auspicio che “le problematiche connesse al regime di
compartecipazione al gettito dei tributi erariali siano risolte al più
presto”.
Quanto alle censure relative ai commi 3,
7 e 8 dell’impugnato art. 28, la memoria replica alle argomentazioni
dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui tali disposizioni
sarebbero legittime, in quanto non entrerebbero nel merito delle
modalità di reperimento delle risorse da versare allo Stato e salvaguarderebbero
comunque, nell’ambito del patto di stabilità interno, la
partecipazione paritetica della Regione alla determinazione
dell’obiettivo, in termini di saldi di bilancio, di finanza pubblica. In
senso contrario, la difesa regionale osserva che le disposizioni in questione,
ponendo vincoli non transitori ma definitivi alla sua autonomia di spesa, senza
delineare meccanismi di interlocuzione con il Ministero dell’economia e
delle finanze che possano condurre ad una modulazione né del quantum né del quando del contributo ivi previsto,
violerebbero l’autonomia finanziaria della Regione. A maggior ragione
sussisterebbe il contrasto con l’art. 8 dello statuto della Sardegna,
visto che – come riconosciuto dalla sentenza n. 241 del
2012 – nessuna norma dello statuto speciale o di attuazione del
medesimo prevede la possibilità di derogare al regime delle
compartecipazioni fisse alle entrate tributarie.
Nel ribadire le censure nei confronti
del comma 11-ter dell’art. 28
impugnato, circa l’avvio di una ridefinizione unilaterale delle regole
del patto di stabilità interno, la ricorrente sottolinea come,
successivamente all’entrata in vigore di tale disposizione, la disciplina
del patto di stabilità sia stata effettivamente modificata
dall’art. 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di
stabilità 2012), e dall’art. 1, commi 428 e seguenti, della legge
24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), nel senso, tra
l’altro, di imporre il rispetto dei limiti derivanti anche dai contributi
finanziari imposti dallo Stato; nonché dall’art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8 aprile 2013, n.
35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica
amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali,
nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno
2013, n. 64. Dopo aver ricordato di avere impugnato le citate disposizioni di
cui alla legge n. 228 del 2012 e al d.l. n. 35 del 2013, la Regione osserva come
esse renderebbero ancora più evidente la lesività del censurato
art. 28, comma 11-ter, che ha posto
un principio metodologico, senza definire i principi che dovrebbero
necessariamente ispirare la ridefinizione delle regole del patto di
stabilità, con riferimento alla Regione autonoma Sardegna e agli enti
locali in essa ricompresi.
In particolare, il suddetto comma 11-ter sarebbe costituzionalmente
illegittimo, in quanto non menziona principi quali: la necessità di un
accordo sui limiti alla spesa della Regione; il rispetto delle quote di
compartecipazione ai tributi erariali di cui all’art. 8 dello statuto; la
facoltà della Regione di operare quale “camera di
compensazione” della capacità di impiego delle risorse da parte
degli enti locali del proprio territorio; il dovere per lo Stato di cercare un
accordo con la Regione sul contenuto del patto di stabilità, nel
rispetto dello statuto e ferma restando la possibilità per lo Stato di
fissare unilateralmente un regime transitorio in caso di mancato accordo.
Quanto infine alle censure relative
all’art. 48, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, la
ricorrente, ricapitolando i rilievi della difesa erariale e riproponendo, in
replica a essi, argomenti già illustrati in precedenza, richiama
l’attenzione soprattutto sulla sentenza n. 241 del
2012 di questa Corte. Le disposizioni allora in questione, che riservavano
allo Stato per un periodo di cinque anni le maggiori entrate da esse previste,
sono state giudicate incompatibili con la disciplina delle compartecipazioni
regionali di cui all’art. 8 dello statuto della Sardegna, sul presupposto
che non risultino eccezioni poste da norme di rango statutario a tale
attribuzione di gettito alla Regione autonoma.
6.6.- Sempre in prossimità dell’udienza
fissata per il 29 gennaio 2014, anche l’Avvocatura generale dello Stato
ha depositato, in data 8 gennaio 2014, una propria memoria, in cui richiama e
ribadisce, in replica alle ragioni illustrate dalla ricorrente, le
argomentazioni formulate in precedenza.
In aggiunta a quanto già dedotto,
la difesa erariale osserva che l’obbligo di solidarietà di cui
all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 non potrebbe essere paralizzato,
per la ricorrente, da un’eccezione, da parte di quest’ultima, di
inadempienza dello Stato ai doveri connessi con la riforma dello statuto
speciale. Sarebbe in proposito necessario che la Regione dimostrasse –
secondo quanto richiesto dalla sentenza n. 431 del
2004 di questa Corte – che la riduzione delle risorse finanziarie
abbia dato luogo ad una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione
per l’adempimento dei propri compiti, mentre le doglianze della
ricorrente sarebbero, sul punto, generiche, e pertanto inidonee a documentare
tale insufficienza. Quanto infine alla sentenza n. 95 del
2013 di questa Corte, richiamata nella memoria della ricorrente, la difesa
erariale rileva che essa riconosce che l’inadempimento dello Stato
è solo parziale e dichiara inammissibile il ricorso proprio in base alla
considerazione che il legislatore statale ha già operato, con la legge
16 ottobre 2012, n. 182 (Disposizioni per l’assestamento del bilancio
dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l’anno
finanziario 2012), gli aggiustamenti contabili necessari all’esecuzione
dell’art. 8 dello statuto della Sardegna.
6.7.– La Regione autonoma Sardegna
in data 17 marzo 2015 (con successiva correzione di errore materiale depositata
il 24 marzo 2015) ha depositato la delibera della Giunta regionale del 10 marzo
2015 di rinuncia al ricorso, limitatamente all’art. 28, commi 3, da 7 a
10, e 11-ter, e all’art. 48 del
decreto-legge impugnato.
7.– Con ricorso notificato in data
25 febbraio 2012 e depositato il successivo 5 marzo (reg. ric. n. 50 del 2012)
la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di
legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 28, comma 3,
e 48 del d.l. n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 214 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 116, primo comma, e 119 della Costituzione;
agli artt. 48, 49, 51, 54, 63 e 65 dello statuto speciale
adottato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, dell’art. 9
del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli
enti locali e delle relative circoscrizioni), all’art. 4 del decreto del
Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello
Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza
regionale), nonché al principio di leale collaborazione.
7.1.– In merito al censurato art.
28, comma 3, la ricorrente premette che esso determina una rilevante
sottrazione di risorse per le Regioni speciali, aggiuntiva rispetto a quelle
già previste con precedenti interventi dello Stato, ed estesa anche agli
enti locali ricompresi nel territorio di tali Regioni. La ricorrente si ritiene
legittimata ad agire anche a tutela di tali enti, il cui concorso, peraltro, incide
comunque sulla Regione, in forza dell’art. 54 dello statuto del
Friuli-Venezia Giulia e dell’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997.
La disposizione censurata, ad avviso
della difesa regionale, non avrebbe alcuna base statutaria e, anzi, contrasterebbe
con le disposizioni dello statuto speciale, a partire dall’art. 49, le
quali assicurano alla Regione le finanze necessarie all’esercizio delle
funzioni e, ad avviso della ricorrente, non avrebbero senso, ove fosse
consentito alla legge ordinaria dello Stato di riportare, con deliberazione
unilaterale, riportare all’erario tali risorse. Ciò a maggior
ragione se si considera che lo Stato avrebbe già ridefinito, con
l’art. 1, commi da 152 a 155, della legge n. 220 del 2010, con norme che
hanno recepito il cosiddetto «accordo di Roma» del 29 ottobre 2010,
le modalità con cui la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia concorre
al risanamento della finanza pubblica. In tal modo il legislatore statale
avrebbe invaso la generale competenza legislativa regionale in materia di
finanza locale prevista dagli artt. 51 e 54 dello statuto speciale e
dall’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, e avrebbe operato in contrasto con
il principio dell’accordo che, ad avviso della ricorrente, dominerebbe i
rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni speciali, riconosciuto anche
nella giurisprudenza costituzionale.
La ricorrente ritiene che il rinvio alle
norme di attuazione dello statuto, in base all’art. 27 della legge n. 42
del 2009, non sia sufficiente a nascondere l’illegittimità della
disposizione impugnata: in primo luogo, l’accantonamento di risorse
finanziarie, previsto in attesa delle norme di attuazione, sarebbe
autonomamente lesivo; in secondo luogo, nemmeno con le norme di attuazione si
potrebbe derogare all’art. 49 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia,
modificabile solo con l’apposita procedura di cui all’art. 104 (recte: 63, quinto
comma) dello statuto speciale (secondo cui «Le disposizioni contenute nel
titolo IV possono essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun
membro delle Camere, del Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita la
Regione»); in terzo luogo, il censurato art. 28, comma 3, porrebbe un
vincolo di contenuto alle norme di attuazione. Sarebbero dunque violate diverse
previsioni dello statuto della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia:
l’art. 49, perché sarebbe ridotto l’importo delle
compartecipazioni spettanti in virtù di tale previsione statutaria;
l’art. 63, comma quinto, che richiederebbe il consenso della Regione per
la modifica delle disposizioni del Titolo VI (recte: IV) dello statuto;
l’art. 65, perché una fonte primaria pretenderebbe di vincolare il
contenuto delle norme di attuazione.
Analoghe censure possono essere rivolte
alla quota di 60 milioni di euro che, ai sensi dell’impugnato art. 28,
comma 3, secondo periodo, lo Stato esige dalla Regione come «da parte dei
Comuni ricadenti nel proprio territorio», dal momento che non
rientrerebbe tra i compiti della Regione quello di fungere da esattore per
conto dello Stato, né quest’ultimo avrebbe titolo per esigere
dalla prima somme che ritenga a qualsiasi titolo dovute dai Comuni.
È oggetto di censura
altresì il criterio di riparto dell’accantonamento determinato dal
terzo periodo dell’art. 28, comma 3, impugnato, che deve aver luogo
«proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per
ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009», in quanto non risulta essere
stato in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali.
Ulteriori profili di
illegittimità riguarderebbero, infine, il quarto periodo del medesimo
art. 28, comma 3, impugnato, sulla base del quale per la Regione siciliana
«si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale, per
effetto del comma 2». Ad avviso del ricorrente la disposizione,
ancorché oscura, sarebbe interpretabile nel senso che la quota di
risorse da addossare alla Regione siciliana andrebbe ridotta in corrispondenza
delle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla medesima Regione. Se
così fosse, si configurerebbe un’alterazione peggiorativa per la
ricorrente, che sarebbe chiamata a contribuire al finanziamento parziale della
sanità siciliana, in violazione dell’art. 3 Cost. – con
censura reputata analoga ad altra già ritenuta ammissibile nella sentenza n. 16 del
2010 – e dell’autonomia finanziaria e amministrativa della
Regione.
In subordine alle deduzioni incentrate
sulla mancanza di una base statutaria per i censurati interventi del
legislatore statale, la ricorrente sviluppa ulteriori argomenti.
Anzitutto, in relazione al
“principio di corrispondenza tra autonomia finanziaria ed esercizio delle
funzioni”, la ricorrente sostiene che il “taglio” di risorse
previsto nel censurato art. 28, comma 3, se considerato insieme alle riduzioni
di cui alla legge n. 220 del 2010, pregiudica la possibilità per la
Regione autonoma di assolvere alle proprie funzioni, in violazione
dell’art. 119 Cost. e dell’art. 48 dello statuto del Friuli Venezia-Giulia.
Tale duplice violazione sarebbe dimostrata anche dal denunciato contrasto con
l’art. 116, primo comma, Cost.: la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
finirebbe per ricevere un trattamento deteriore rispetto alle Regioni
ordinarie, dato che solo alla prima l’art. 1, comma 152, della legge n.
220 del 2010 ha imposto un maggiore onere di 370 milioni di euro annui.
Né tali compressioni delle
prerogative regionali potrebbero essere giustificate richiamando la competenza
dello Stato a stabilire principi di coordinamento della finanza pubblica; o
l’eventualità che le manovre finanziarie statali determinino un
maggior gettito di tributi erariali dei quali, in quote fisse, beneficiano le
Regioni; o ancora le esigenze di solidarietà nazionale. Anche la
considerazione di questi valori deve avvenire mediante strumenti previsti
dall’ordinamento, come la possibilità di riservare allo Stato il gettito derivante da modificazioni in ordine ai tributi
devoluti alla Regione, a norma dell’art. 4 del d.P.R. n. 114 del
1965, alle condizioni ivi stabilite, o ulteriori strumenti da introdurre in via
di modifica alle pertinenti disposizioni statutarie.
In generale, poi, i rapporti finanziari
tra Stato e Regione autonoma sarebbero governati dal “principio della
determinazione consensuale”: in particolare, nella sentenza n. 82 del
2007 di questa Corte si afferma la necessità di contemperare
l’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese
quelle a statuto speciale, all’azione di risanamento della finanza
pubblica con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le
Regioni speciali, in forza dei loro statuti, qualificando perciò il
metodo dell’accordo tra il Ministero dell’economia e delle finanze
e le Regioni a statuto speciale come espressione della loro autonomia
finanziaria; e questo principio ha trovato attuazione sia nell’art. 27
della legge n. 42 del 2009, sia nelle misure di cui all’art. 1, commi da
152 a 156, della legge n. 220 del 2010, che sono state oggetto di confronto e
discussione tra Stato e Regione autonoma.
La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia sospetta altresì l’illegittimità costituzionale
dell’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011.
La ricorrente sottolinea anzitutto che
l’art. 1-bis avrebbe solo
l’apparenza di una clausola di salvaguardia delle autonomie speciali,
visto che, in realtà, essa ribadirebbe la diretta applicabilità
sia degli artt. 13, 14 e 28 dell’impugnato decreto-legge, sia del
medesimo art. 48, comma 1.
Il citato comma 1, che, con una
«clausola di finalizzazione», riserva all’erario, per un
periodo di cinque anni, il maggior gettito derivante dal decreto-legge,
destinandolo alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica concordati in sede europea e demanda ad un decreto del
Ministero dell’economia e delle finanze le modalità di
individuazione del maggior gettito, risulterebbe in contrasto con l’art.
49 dello statuto speciale, che garantisce alla Regione ben precise
compartecipazioni a tutti i tributi erariali.
Inoltre, a rendere legittima tale
disposizione non sarebbe sufficiente invocare l’art. 4, comma 1, del
d.P.R. n. 114 del 1965, il quale consente che il gettito derivante da
maggiorazioni di aliquote o da altre modificazioni in ordine ai tributi
devoluti alla Regione possa essere riservato all’erario, a condizione,
tra l’altro, che tale gettito sia destinato per legge «alla
copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo, che non
rientrano nelle materie di competenza della regione, ivi comprese quelle
relative a calamità naturali»: ad avviso della ricorrente, che a
supporto della propria argomentazione richiama la sentenza n. 182 del
2010 di questa Corte, non si tratterebbe, nel caso di specie, di
«spese» e le situazioni alle quali si intende fare fronte non
sarebbero né «nuove», né «specifiche».
Né l’impugnato art. 48, comma 1, potrebbe trovare fondamento,
sempre ad avviso della ricorrente, nell’art. 6, comma 2, del decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al
D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale). Tale
disposizione risulterebbe non applicabile nel caso di specie, perché
priva di portata generale. Quand’anche fosse ritenuta applicabile, con
essa non risulterebbe coerente la disposizione censurata: sia perché
quest’ultima disporrebbe una riserva all’erario di tutte le
maggiori entrate derivanti dal decreto-legge; sia per il carattere unilaterale
di tale riserva, mentre il citato art. 6, comma 2, presuppone comunque un
accordo, in applicazione del principio di leale collaborazione e del principio
consensuale.
L’impugnato art. 48, comma 1, in
quanto configurerebbe una deroga agli artt. 48 e 49 dello statuto, disposta con
una «fonte primaria “ordinaria”», violerebbe
altresì, ad avviso della ricorrente, gli artt. 63, commi primo e quinto,
e 65 dello statuto che, rispettivamente, disciplinano: il procedimento di
revisione costituzionale per modificare lo statuto in via ordinaria; la
modifica della disciplina finanziaria con legge statale, ma «su proposta
di ciascun membro delle Camere, del Governo e della Regione e, in ogni caso,
sentita la Regione»; la procedura per l’adozione delle norme di
attuazione dello statuto. Su un piano più generale, la ricorrente sostiene
che l’impugnato art. 48 altererebbe unilateralmente la relazione
strutturale che intercorre tra il tributo erariale e la compartecipazione
statutaria regionale, violando il carattere automatico della compartecipazione
nel momento in cui esclude che talune innovazioni fiscali possano tradursi in
beneficio per l’entrata della Regione. Se, come affermato nella sentenza n. 155 del
2006, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia non può contestare
nuove norme tributarie statali che, incidendo su tributi erariali cui la
Regione compartecipa, riducano il gettito per la Regione, reciprocamente anche
i vantaggi economici che derivino dalla modifica di aliquote o da altre
novità relative ai tributi erariali dovrebbero andare, pro quota, a beneficio della Regione,
secondo quanto stabilito nello statuto speciale.
Una specifica censura è infine
rivolta dalla ricorrente nei confronti del secondo periodo dell’art. 48,
comma 1, che demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze le modalità di individuazione del maggiore gettito. Oltre ad
essere affetta dai medesimi vizi che caratterizzerebbero il periodo precedente,
la disposizione sarebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione,
in quanto, in una materia dominata dal principio consensuale, prevede un
decreto ministeriale senza intesa con la Regione autonoma.
7.2.– Con atto depositato in data
11 maggio 2012, fuori termine, si è costituito nel giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le censure dedotte,
tra l’altro, contro gli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214
del 2011, siano dichiarate infondate.
Riproponendo argomenti analoghi a quelli
con cui ha replicato alle censure dedotte in altri ricorsi contro le stesse
disposizioni, la difesa erariale deduce che il censurato art. 28, comma 3,
demanda a un accordo tra la ricorrente e il Ministro dell’economia e
delle finanze la determinazione dei criteri di riparto del contributo da
versare allo Stato e, infatti, richiama le procedure di cui all’art. 27
della legge n. 42 del 2009; e che sarebbe onere della ricorrente provare che
l’intervento legislativo in questione abbia reso complessivamente
insufficienti i mezzi finanziari con cui la Regione autonoma dovrebbe adempiere
ai propri compiti. Quanto all’art. 48, e precisamente al suo comma 2 (recte: 1),
l’Avvocatura generale dello Stato rileva che la riserva all’erario
degli incrementi di gettito ivi previsti è giustificata, come tutte le
misure di cui al d.l. n. 201 del 2001, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, dall’esigenza di
raggiungere il pareggio del bilancio in un periodo di eccezionale crisi
economica; e che, comunque, tale previsione va coordinata con quella di cui al
comma 1-bis, che contiene una
clausola di salvaguardia per le Regioni e le Province ad autonomia speciale.
7.3.– In data 16 ottobre 2012, in
prossimità dell’udienza pubblica originariamente fissata per il 6
novembre 2012, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato una
memoria a integrazione di quanto già dedotto nel proprio ricorso.
Riguardo al censurato art. 28, comma 3,
la ricorrente ricorda che il concorso alla finanza pubblica è stato
rideterminato prima dall’art. 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio
2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27; poi
dall’art. 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di
accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 26 aprile 2012, n. 44; resterebbero però ferme tutte le censure
proposte nel ricorso. A sostegno di esse la ricorrente rinviene, peraltro,
ulteriori argomenti nella sentenza n. 193 del
2012 di questa Corte, che riconosce una portata generale al meccanismo di
cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009; nella sentenza n. 118 del
2012 di questa Corte, che ha ribadito come lo strumento dell’accordo
si sia ormai consolidato come idoneo a conciliare e regolare in modo negoziato
il doveroso concorso delle Regioni a statuto speciale alla manovra di finanza
pubblica e la tutela della loro autonomia finanziaria, costituzionalmente
rafforzata; e infine nella sentenza n. 142 del
2012 di questa Corte, che ha dichiarato illegittima la riserva allo Stato
del gettito derivante dall’addizionale erariale sulla tassa
automobilistica.
Riguardo al censurato art. 48, e al suo
comma 1, la Regione autonoma sottolinea che esso è stato attuato dal
decreto del Direttore generale delle finanze e del Ragioniere generale dello
Stato 20 luglio 2012 (Modalità di individuazione del maggior gettito da
riservare all’Erario, ai sensi dell’art. 2, comma 36, del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148, e dell’art. 48, comma 1, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214) e ritiene che l’illegittimità
costituzionale della riserva ivi contemplata sia confermata dalla citata sentenza n. 142 del
2012, che ha dichiarato illegittima la riserva allo Stato del gettito
dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica, per la mancanza
dei presupposti di cui all’art. 9 del decreto legislativo 16 marzo 1992,
n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
in materia di finanza regionale e provinciale),
7.4.– In data 3 gennaio 2014, in
prossimità dell’udienza pubblica del 29 gennaio 2014, la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato un’ulteriore memoria, nella
quale svolge talune considerazioni integrative.
Riguardo all’art. 28, comma 3,
impugnato, ricorda che è intervenuta la sentenza n. 241 del
2012 di questa Corte, che ha ribadito il principio pattizio nei rapporti in
materia finanziaria tra Stato e Regioni speciali, rilevando che l’art. 27
della legge n. 42 del 2009, laddove pone una vera e propria riserva di
competenza alle norme di attuazione degli statuti, si configura «quale
autentico presidio procedurale della specialità finanziaria di tali
enti». La medesima sentenza viene richiamata anche riguardo
all’art. 48, impugnato. Con essa infatti questa Corte ha accertato
– riguardo alla riserva all’erario prevista dall’art. 2,
comma 36, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n.
148, avente la medesima destinazione della disposizione impugnata – la
non ricorrenza di uno dei requisiti prescritti dall’art. 4 del d.P.R. n.
114 del 1965: ossia, quello consistente nella «copertura di nuove
specifiche spese di carattere non continuativo», posto che gli obiettivi
ai quali è destinato il maggior gettito sono stati ritenuti privi della
specificità richiesta dalla norma di attuazione statutaria. Tali
obiettivi sarebbero uguali a quelli cui si riferirebbe il censurato art. 48.
7.5.– In data 30 settembre 2014,
in prossimità dell’udienza pubblica del 22 ottobre 2014, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato un’altra memoria,
nella quale, insistendo per l’accoglimento del ricorso, svolge ulteriori
considerazioni integrative, segnatamente in merito al censurato art. 28, comma
3.
L’illegittimità
costituzionale di questa disposizione sarebbe confermata dalla sentenza n. 23 del
2014 di questa Corte, relativa al taglio di alcuni trasferimenti erariali,
nella misura dell’ottanta per cento, a titolo di sanzione per il caso di
mancata tempestiva adozione di una serie di provvedimenti. Il taglio era stato
impugnato dalla ricorrente Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia per
violazione dell’art. 49 del proprio statuto, per il caso che esso
comprendesse le spettanze finanziarie garantite da tale norma statutaria.
Secondo la Regione, questa Corte ha ritenuto doveroso interpretare le
disposizioni censurate in modo da escludere effetti sulle compartecipazioni ai
tributi erariali spettanti alle Regioni ad autonomia speciale, giacché
altrimenti si sarebbe dovuto concludere che una legge ordinaria avesse imposto
limiti o condizioni a una fonte di rango costituzionale.
7.6.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia in data 23 marzo 2015 ha depositato la delibera della
Giunta regionale del 13 marzo 2015 di rinuncia al ricorso, limitatamente agli
artt. 28, comma 3, e 48 del decreto-legge impugnato.
Considerato in diritto
1.– Con sette ricorsi
(rispettivamente iscritti ai nn. 33, 34, 38, 39, 40,
47 e 50 del registro ricorsi 2012), la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol,
la Provincia autonoma di Trento, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, la
Regione siciliana, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione autonoma
Sardegna e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno promosso questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 48 del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Riservata a separate pronunce la
decisione delle ulteriori questioni promosse nei confronti di altre
disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, i richiamati ricorsi
devono essere riuniti e qui esaminati congiuntamente, limitatamente agli artt.
28 e 48, censurati da tutte le ricorrenti in riferimento a parametri e per
motivi almeno in parte coincidenti (ex plurimis, sentenze n. 144,
n. 44, n. 28 e n. 23 del 2014).
Il Presidente del Consiglio dei ministri
si è costituito in tutti i giudizi. Tuttavia, in relazione ai citati
ricorsi n. 33, n. 34, n. 39 e n. 50, gli atti di costituzione del Governo sono
stati depositati oltre il termine perentorio di cui
all’art. 19, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
la Corte costituzionale e sono pertanto inammissibili.
2.– La Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le due Province autonome di
Trento e di Bolzano hanno rinunciato ai propri ricorsi. Previa deliberazione del Consiglio dei
ministri, il Presidente del Consiglio
dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha dichiarato di accettare le rinunce. Pertanto, a prescindere
dalla tardività della costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri in due di questi giudizi, i relativi processi devono essere dichiarati
estinti, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
3.– Successivamente, anche la
Regione autonoma Sardegna e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia hanno
rinunciato ai rispettivi ricorsi, in seguito ad accordi stipulati con lo Stato
in materia di finanza pubblica. Dette rinunce, non avendo riportato la formale
accettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, comportano la cessazione
della materia del contendere in relazione alle parti dei ricorsi oggetto del
presente giudizio (ex plurimis,
sentenza n. 19
del 2015).
4.– Restano da esaminare i ricorsi
presentati dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste e dalla Regione siciliana.
4.1.– La Regione autonoma Valle
d’Aosta ha censurato anzitutto l’art. 28, comma 3, del d.l. n. 201
del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 214 del 2011. Tale disposizione prevede che le Regioni a statuto
speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurino, a decorrere
dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni
annui; che le Regioni Valle d’Aosta e
Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurino,
parimenti a decorrere dall’anno 2012, un concorso alla finanza pubblica
di 60 milioni di euro annui da parte dei Comuni ricadenti nel proprio
territorio; che, in entrambe le sue forme, il previsto concorso si realizzi con
le procedure di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega
al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo
119 della Costituzione), vale a dire «secondo criteri e modalità
stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le
procedure previste dagli statuti medesimi» (comma 1); e che, fino
all’emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto art. 27,
l’importo complessivamente corrispondente all’anzidetto concorso
sia accantonato, in misura proporzionale alla media degli impegni finali
registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote
di compartecipazione ai tributi erariali.
Ad avviso della ricorrente, il censurato
comma 3 violerebbe, in primo luogo, il principio di leale collaborazione, di
cui agli artt. 5 e 120 della Costituzione, in quanto definisce unilateralmente
l’assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione; in secondo
luogo, gli artt. 2, comma 1, lettere a)
e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale e della relativa normativa di
attuazione (articoli da 2 a 7 della legge 26 novembre 1981, n. 690, recante
«Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle
d’Aosta»), in quanto lede la particolare autonomia finanziaria,
anche con riguardo all’ambito locale, della Regione autonoma, senza
rispettare il metodo dell’accordo e determinando l’immediato
accantonamento di somme spettanti alla stessa Regione; in terzo luogo, il
principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., in quanto non
enuncia i criteri in base ai quali è determinata la misura del
contributo dovuto dalla Regione autonoma e dai Comuni valdostani. Il rinvio
operato dall’art. 28, comma 3, alla futura emanazione delle norme di
attuazione statutaria di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, non
sarebbe una garanzia sufficiente, dal momento che il termine di trenta mesi,
decorrenti dalla data di entrata in vigore della medesima legge n. 42 del 2009,
originariamente previsto per l’adozione delle norme anzidette, è
stato abrogato dal comma 4 del censurato art. 28.
La stessa ricorrente ha censurato,
altresì, l’art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, il
quale, dopo aver riservato all’erario, per cinque anni, le maggiori
entrate derivanti dal decreto-legge, dispone che con decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze siano stabilite le modalità di
individuazione del maggior gettito, attraverso apposita contabilizzazione. La
disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 della l. cost. n. 4 del 1948, nonché con
l’art. 8 della legge n. 690 del 1981 e, altresì, con il principio
di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in particolare in
quanto non stabilisce che l’apposito decreto sia emanato previa intesa
con il Presidente della Giunta regionale.
4.2.– La Regione siciliana ha
impugnato gli artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, in
quanto immediatamente applicabili a essa ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 48. Tali articoli
violerebbero, in primo luogo, l’art. 43 dello statuto speciale, il quale
demanda la determinazione delle norme per la propria attuazione a una
commissione paritetica; in secondo luogo, il principio di leale collaborazione,
come espresso dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, il quale prevede
un tavolo di confronto per il coordinamento della finanza delle Regioni a
statuto speciale e delle Province autonome.
La medesima Regione siciliana ha
censurato poi, più specificamente, l’art. 28, il quale, dopo aver
previsto, al comma 2, l’applicabilità anche alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano dell’aumento
dell’aliquota di base dell’addizionale IRPEF, impone alle suddette
autonomie speciali di assicurare il già descritto concorso alla finanza
pubblica di cui al comma 3, con il pure già descritto accantonamento
dell’importo complessivo a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali; e precisa, sempre al comma 3, ultimo periodo, che per la sola
Regione siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale
conseguente all’applicazione dell’incrementata aliquota di base
dell’addizionale IRPEF.
Ad avviso della ricorrente, tali
disposizioni si porrebbero in contrasto con il principio di leale
collaborazione, con gli artt. 36 e 37 dello statuto speciale e con l’art.
2 delle relative norme di attuazione in materia finanziaria – si intende,
del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1065, n. 1074 (Norme di
attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) –
nonché con l’art. 17, primo comma, lettera b), dello statuto speciale. In particolare, secondo la ricorrente,
«l’aumento del detto gettito non è destinato alla Regione
siciliana per il soddisfacimento dei suoi bisogni indistinti» e,
«contemporaneamente, la rideterminazione del Fondo sanitario nazionale
[…] viene destinata all’erario statale»; tale
rideterminazione; ridurrebbe, fino ad azzerarlo, il contributo dello Stato alla
spesa sanitaria regionale; non sarebbero rispettate le procedure previste dall’art.
27 della legge n. 42 del 2009, né sarebbe contemplata una previa
consultazione della Regione autonoma.
Oggetto di impugnazione è anche
l’art. 28, comma 6, del citato d.l. n. 201 del 2011, come convertito,
nella parte in cui prevede l’accantonamento delle somme spettanti alla
Regione siciliana a titolo di Fondo sanitario nazionale, per un periodo non
superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio,
subordinandone l’erogazione alla verifica positiva degli adempimenti
regionali, ai sensi della legislazione vigente. Tale disposizione violerebbe,
in primo luogo, l’art. 36 dello statuto speciale e l’art. 2 del
d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto sottrarrebbe alla Regione, per un periodo di
un quinquennio, l’immediata disponibilità delle risorse in
questione; in secondo luogo, l’art. 17, primo comma, lettera b), dello statuto speciale, in quanto
inciderebbero sulla competenza concorrente in materia sanitaria.
La Regione siciliana ha censurato,
altresì, i commi da 7 a 10 dell’impugnato art. 28, i quali prevedono
una riduzione del finanziamento dello Stato ai Comuni (commi 7 e 9) e alle
Province (commi 8 e 10) ricompresi sia nel territorio delle Regioni ordinarie,
sia nel territorio della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna,
per gli anni 2012 e successivi.
In particolare, la riduzione opera, da
un lato, sui trasferimenti erariali dovuti ai Comuni e alle Province delle due
Regioni insulari e, dall’altro, sulle dotazioni di due Fondi, entrambi
istituiti in attuazione della legge n. 42 del 2009: il Fondo sperimentale di
riequilibrio, determinato, per i Comuni, dall’art. 2 del decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo
fiscale municipale) e, per le Province, dall’art. 21 del decreto
legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di
entrata delle regioni a statuto ordinario e delle Province, nonché di
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario); il
Fondo perequativo, determinato, per i Comuni, dall’art. 13 del d.lgs. n.
23 del 2011 e, per le Province, dall’art. 23 del d.lgs. n. 68 del 2011.
Ai sensi del comma 9 del censurato art. 28, il riparto tra i Comuni della
riduzione in questione avviene in proporzione all’imposta municipale
propria (IMU), istituita dall’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011,
impugnato. Il successivo comma 10 stabilisce che il riparto tra le Province
della relativa riduzione avvenga «proporzionalmente».
Ad avviso della Regione siciliana,
sarebbe violato il principio di leale collaborazione, in quanto gli importi
delle descritte riduzioni non sarebbero stati previamente quantificati,
né si sarebbe tenuto conto delle peculiari condizioni economiche della
Regione siciliana e degli enti locali del suo territorio.
5.– Procedendo all’esame
delle singole censure, occorre anzitutto esaminare quella rivolta dalla Regione
siciliana nei confronti dell’intero testo degli artt. 28 e. 48 del d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge n. 214 del 2011 –
oltre che degli artt. 13 e 14 del medesimo atto normativo, i quali sono
però oggetto di separato giudizio.
Nei termini in cui è formulata,
la doglianza è inammissibile.
Questa Corte
ha già più volte chiarito che il ricorso in via principale deve
identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le
norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di
compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della
questione e che, inoltre, deve contenere una argomentazione di merito a sostegno
della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale,
giacché l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della
impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti
rispetto a quelli incidentali (ex plurimis, sentenza n. 259 del
2014). La censura ora in esame è generica, perché rivolta indiscriminatamente contro l’intero
contenuto normativo di entrambi questi articoli, i quali sono composti da una
pluralità di proposizioni normative e solo in parte riguardano la
Regione siciliana.
6.– La Regione siciliana ha
impugnato, altresì, l’art. 28, comma 3, ultimo periodo, del d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 214 del 2011, in quanto esso disporrebbe una rideterminazione del
fondo sanitario nazionale, tale da ridurre sino ad annullarla la contribuzione
statale alla spesa sanitaria della ricorrente.
La censura è inammissibile, per
un duplice ordine di motivi.
Anzitutto, più volte questa Corte
ha chiarito che non è possibile considerare in modo atomistico singole
disposizioni incidenti su entrate tributarie delle Regioni, senza valutare nel
suo complesso la manovra fiscale entro la quale esse trovano collocazione, ben
potendosi verificare che, per effetto di plurime disposizioni, contenute nella
stessa legge oggetto di impugnazione principale, o in altre leggi dirette a
governare la medesima manovra, il gettito complessivo destinato alla finanza
regionale non subisca riduzioni (ex plurimis, sentenza n. 26 del
2014). Nel caso, la ricorrente trascura che lo stesso art. 28, pur
richiamando le Regioni speciali e le Province autonome a un maggiore concorso
agli obiettivi nazionali di finanza pubblica, prevede altresì, al comma
2, che anche a questi enti si applichi l’aumento dell’aliquota di
base dell’addizionale IRPEF disposta dal comma 1, incrementandone le
entrate.
Inoltre, nel lamentare la riduzione dei
finanziamenti alla propria spesa sanitaria, la ricorrente trascura che
l’ultimo periodo del comma 3 si limita a presupporre la
«rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma
2», cui fa riferimento allo scopo di ridurre in pari misura il concorso
dovuto dalla Regione autonoma a norma dei periodi precedenti dello stesso comma
3. Non si comprende, dunque, dove risieda la lesività della disposizione
impugnata.
La censura è dunque inammissibile
per insufficienza della motivazione e incompleta ricostruzione del quadro
normativo (ex plurimis,
sentenza n. 165
del 2014).
7.– Comune ad entrambi i ricorsi
è un gruppo di censure che hanno ad oggetto l’art. 28, comma 3, i
cui contenuti possono essere sintetizzati come segue. A decorrere dal 2012
– e quindi per ciascun anno a partire da questo – è dovuto
un concorso agli obiettivi nazionali di finanza pubblica da parte delle Regioni
a statuto speciale e delle Province autonome, specificato nella sua dimensione
quantitativa. Il concorso è assicurato con le procedure previste
dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, quindi, secondo criteri e
modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti.
Tuttavia, fino all’emanazione delle suddette norme di attuazione
l’importo dovuto è accantonato, proporzionalmente alla media degli
impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a
valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Il predetto
accantonamento perdura fino al completamento delle procedure di cui al
richiamato art. 27 della legge n. 42 del 2009.
7.1.– Per una corretta
comprensione della normativa impugnata, occorre ricordare che il d.l. n. 201
del 2011 è stato adottato in applicazione del comma 6 dell’art.
10-bis della legge di
contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), come
introdotto dall’art. 2, comma 3, della legge 7 aprile 2011, n. 39
(Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole
adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche
economiche degli Stati membri). Esso è il primo provvedimento che, pur
successivo alla legge di stabilità, può qualificarsi come a essa collegato,
in quanto reca gli interventi correttivi necessari per garantire
l’equilibrio della manovra (sentenza n. 6 del
2015). Infatti, il Governo, nella Relazione al Parlamento presentata il 4
dicembre 2011, rilevava la gravità della congiuntura economica e
riteneva indispensabile una manovra ulteriore, correttiva rispetto a quella di
cui alla legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità
2012), comprensiva anche di interventi sulla finanza degli enti territoriali,
anche al fine di rispettare gli impegni assunti in seno all’Unione
europea. Tali specifiche contingenze si riflettono anche nel titolo e nel
preambolo del decreto-legge, oltre che nel suo contenuto e nel collegamento
procedurale con la legge di stabilità.
7.2.– Venendo, poi, più
specificamente all’art. 28, di cui fa parte l’impugnato comma 3,
è bene dare conto anche delle previsioni di cui ai commi 1 e 2, il cui
contenuto concorre ad una corretta comprensione della manovra nel suo insieme.
Infatti, il comma 1 dispone un
incremento da 0,9 a 1,23 per cento dell’aliquota base
dell’addizionale regionale all’IRPEF, a decorrere dall’anno
di imposta 2011: quindi, anche con riguardo all’anno solare nel cui
ultimo mese il decreto-legge è stato emanato. Il comma 2 prevede che l’aliquota così incrementata si
applica anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di
Trento e di Bolzano. Pertanto, i primi due commi determinano un incremento
delle entrate delle Regioni ordinarie e speciali, per effetto della
maggiorazione dell’aliquota di base dell’addizionale IRPEF.
È in questo contesto che si
collocano il concorso delle Regioni a statuto speciale disposto
dall’impugnato comma 3 e il relativo accantonamento.
7.3.– Ancora in via preliminare,
va osservato che il concorso delle Regioni speciali e delle Province autonome
di cui al citato art. 28, comma 3, oggetto del presente giudizio, è
stato successivamente più volte rideterminato, anzitutto con
l’art. 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, oggetto di un giudizio già deciso
da questa Corte con sentenza n. 65 del
2015. In seguito, a tale disposizione hanno fatto riferimento ulteriori
norme volte a disciplinare il contributo delle Regioni speciali e delle
Province autonome agli obiettivi nazionali di finanza pubblica, a cominciare
dall’art. 16, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95
(Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi
ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, oggetto di separato giudizio. Tuttavia,
tali evoluzioni legislative non interferiscono con l’esame dei ricorsi
qui in esame, dato che esse non hanno portata retroattiva né,
soprattutto, contenuto satisfattivo rispetto alle doglianze delle ricorrenti.
7.4.– Nel merito, il principale nucleo
tematico delle censure rivolte, da parte di entrambe le ricorrenti, nei
confronti dell’art. 28, comma 3, riguarda l’unilateralità
della decisione statale, sia laddove impone un concorso delle Regioni ad
autonomia speciale al risanamento della finanza pubblica, sia laddove richiede
che a tale concorso venga data attuazione mediante l’accantonamento di
quanto dovuto a valere sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali, sia laddove ne determina
l’ammontare complessivo da ripartirsi «proporzionalmente
alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio
2007-2009».
Le questioni non sono fondate.
Questa Corte ha costantemente affermato che di regola i principi fondamentali fissati
dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di
coordinamento della finanza pubblica si applicano anche ai soggetti ad
autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 46 del
2015, n. 54
del 2014, n.
30 del 2012, n.
229 del 2011, n.
120 del 2008, n.
169 e n. 82
del 2007, n.
417 del 2005, n.
353 e n. 36
del 2004), in quanto essi sono funzionali a prevenire disavanzi di
bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso
delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità
economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai
vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione
europea. Tali principi e vincoli sono oggi ancor più pregnanti nel
quadro delineato dall’art. 2, comma 1, della legge costituzionale 20
aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella
Carta costituzionale) che, nel comma premesso all’art. 97 Cost., obbliga
il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare
«l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito
pubblico» (sentenze
n. 175 e n.
39 del 2014; n.
60 del 2013).
Gli obiettivi programmatici del patto di
stabilità e crescita non
possono che essere perseguiti dal legislatore nazionale attraverso norme capaci
d’imporsi all’intero sistema delle autonomie (sentenza n. 284 del
2009). In tale prospettiva, questa
Corte si è pronunciata recentemente con la sentenza n. 19 del
2015, specificamente in merito a disposizioni (art. 32, comma 10,
della legge n. 183 del 2011) che, come quelle impugnate nel presente giudizio,
determinavano i contributi alla finanza pubblica posti a carico di ciascuna
autonomia speciale. Esaminando le censure rivolte a queste disposizioni, in
quanto il contributo ivi previsto era stato determinato in via unilaterale
dallo Stato, la Corte ha attribuito un
preciso rilievo alla tempestività degli adempimenti nazionali rispetto
alle cadenze temporali tipiche del sistema europeo di coordinamento delle
politiche economiche degli Stati membri; tempestività che non può
essere messa in pericolo dalla necessità, per lo Stato, di attendere di
avere completato l’iter di
negoziazione con ciascun ente territoriale.
È vero che anche nella pronuncia
da ultimo citata questa Corte non ha mancato di sottolineare che in riferimento
alle Regioni a statuto speciale merita sempre di essere intrapresa la via
dell’accordo, espressione di un principio generale che governa i rapporti
finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali; è altresì vero,
tuttavia, che tale principio non è stato recepito dagli statuti di
autonomia che vengono in rilievo nel presente giudizio – o dalle norme di
attuazione degli stessi –, cosicché esso può essere
derogato dal legislatore statale (sentenze n. 46 del
2015; n. 23
del 2014 e n.
193 del 2012), tanto più in casi come quello in esame in cui la norma
impugnata si colloca in un più ampio contesto normativo nel quale il
principio pattizio è già largamente adottato per volontà
dello stesso legislatore ordinario.
È sulla base di questo
presupposto che il richiamato art. 27 della legge n. 42 del 2009 prevede che le
autonomie speciali concorrono al patto di stabilità interno sulla base
del principio dell’accordo «secondo criteri e modalità
stabiliti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti»: una tale
previsione non sarebbe necessaria se le fonti dell’autonomia speciale
avessero già provveduto a disciplinare la materia, recependo il
principio dell’accordo in forme opponibili al legislatore ordinario. Con
specifico riguardo all’art. 27
della legge n. 42 del 2009 – rispetto al quale la disciplina oggetto del
presente giudizio esplicitamente e transitoriamente si discosta, in attesa
della sua attuazione – questa Corte ha già osservato (sentenza n. 23 del
2014) che esso pone bensì una riserva di competenza a favore delle
norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina
finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del
2012), così da configurarsi quale presidio procedurale della
specialità finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del
2012). Nondimeno esso ha rango di legge ordinaria, derogabile da atti successivi
aventi pari forza normativa; sicché, specie in un contesto di grave
crisi economica, il legislatore può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità
del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del
2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte
statutaria (sentenza
n. 198 del 2012).
Del resto, già in passato e in
più occasioni, pur riguardanti fattispecie non perfettamente
sovrapponibili a quella oggetto del presente giudizio, la competenza in materia di coordinamento della finanza pubblica ha
consentito allo Stato di imporre all’autonomia finanziaria delle Regioni
speciali e delle Province autonome limiti analoghi a quelli che valgono per le
Regioni a statuto ordinario, nelle more delle trattative finalizzate al
raggiungimento dei necessari accordi (sentenze n. 120 del
2008, n. 169
e n. 82 del 2007,
n. 353 del 2004).
7.5.– Alla luce dei principi sopra
richiamati, appare chiaro che lo Stato
ha stabilito la misura del contributo richiesto alle autonomie speciali,
nonché ai Comuni ricompresi nel territorio di alcune Regioni speciali,
nell’adempimento della propria funzione di coordinamento della finanza
pubblica e nell’esercizio della relativa competenza legislativa. Solo in
via transitoria è disposto che l’importo complessivo sia ripartito
tra i vari enti proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata
per ciascuno di essi nel triennio 2007-2009 e che la somma così
determinata sia accantonata a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali.
L’accantonamento
è disposto al fine di rendere immediatamente effettivo il concorso che
le Regioni speciali e le Province autonome hanno il dovere di assicurare, con i
mezzi di cui sono titolari, il raggiungimento degli obiettivi finanziari
nazionali. Una volta chiarito che il contributo imposto alle ricorrenti
è legittimo, l’accantonamento delle quote di compartecipazione
è il mezzo procedurale attraverso il quale le autonomie speciali
assolvono tempestivamente gli obblighi di partecipazione al risanamento delle
finanze pubbliche. Così come è configurata nella disposizione
impugnata, una simile tecnica non viola i parametri dedotti dalle ricorrenti,
giacché si risolve nell’omessa erogazione di somme che queste
ultime non avrebbero comunque potuto impiegare.
L’accantonamento
avviene sul presupposto che le relative somme appartengano agli enti
territoriali, come previsto dai rispettivi statuti speciali: da questo punto di
vista, non vi è alcuna sostituzione dello Stato alle autonomie speciali
nella titolarità del gettito. Naturalmente, affinché esso non si
tramuti in una definitiva sottrazione e appropriazione di risorse regionali da
parte dello Stato, occorre che tale modalità non si protragga senza
limite. Anche sotto questo profilo la disposizione non incorre in vizi di
incostituzionalità dal momento che essa prevede che, quando saranno
completate le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009,
siano le nuove norme di attuazione statutaria a definire l’entità
e le modalità del concorso dei soggetti ad autonomia speciale agli
obiettivi della finanza pubblica nazionale. La disposizione impugnata si
configura, dunque, come misura transitoria, necessaria per assicurare il
conseguimento effettivo degli obiettivi di coordinamento finanziario,
nell’ambito della particolare contingenza nella quale si inseriva il
decreto-legge impugnato, anche in relazione alle indicazioni provenienti dalle
istituzioni europee.
È appena il caso di ribadire che
nell’attuazione delle previsioni sopra richiamate deve essere rispettato
il principio di leale collaborazione, il quale richiede un confronto autentico,
orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l’autonomia
finanziaria delle Regioni con l’indefettibile vincolo di concorso di
ciascun soggetto ad autonomia speciale alla manovra di stabilità,
sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di
collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche (ex plurimis, sentenza n. 19 del
2015). Non mancano alle Regioni e alle Province autonome gli strumenti per
reagire a eventuali comportamenti, anche omissivi, dello Stato che non appaiano
conformi al principio di leale collaborazione, cosicché nessuna delle
parti possa abbandonarsi ad atteggiamenti arbitrari di inerzia o dilazione
pretestuosa.
8.– L’art. 28, comma 6,
è oggetto di impugnazione da parte della sola Regione siciliana, ad
avviso della quale le somme che le spettano a titolo di Fondo sanitario
nazionale dovrebbero giungere immediatamente nella sua disponibilità e non dovrebbero restare accantonate in bilancio, per un
massimo di cinque anni, fino a che sia stata verificata la realizzazione delle
condizioni che ne consentono l’erogazione.
La questione non è
fondata.
Occorre premettere che la Regione siciliana è l’unica, tra
quelle a statuto speciale, che non autofinanzia integralmente le proprie
prestazioni sanitarie, ma beneficia, come le Regioni a statuto ordinario, di
fondi statali. Pertanto, in analogia con quanto disposto per le Regioni a
statuto ordinario, già prima dell’introduzione della norma in
questione, l’art. 77-quater del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133,
prevedeva, al comma 5, che all’odierna ricorrente fossero erogate le somme spettanti a titolo di Fondo sanitario
nazionale, «previo accantonamento di un importo corrispondente alla quota
del finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario condizionata alla
verifica degli adempimenti regionali, ai sensi della legislazione
vigente». L’accantonamento di cui la Regione lamenta
l’illegittimità costituzionale non è stato dunque
introdotto dal censurato art. 28, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011,
come convertito, ma era già previsto dal citato art. 77-quater del d.l. n. 112 del 2008 come
convertito. Neppure gli adempimenti la cui positiva verifica è
condizione per l’erogabilità delle somme spettanti alla Regione
siciliana a titolo di fondo sanitario nazionale sono stabiliti nella
disposizione impugnata. Quest’ultima si limita, invece, a regolare un
solo aspetto dell’accantonamento, fissando per esso una durata massima
non superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio,
esplicitando così la natura temporanea della misura già prevista
dalla legislazione vigente. In tal modo, la disposizione anzidetta sicuramente
non accresce, e anzi contiene, l’incidenza nei confronti della Regione
del già previsto accantonamento, al quale peraltro va riconosciuta
valenza di sanzione rispetto all’eventuale trasgressione di obblighi
imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della
finanza pubblica allargata, con conseguente riduzione dei margini di autonomia
finanziaria e organizzativa della Regione (sentenza n. 46 del
2015).
9.– Neppure sono fondate le
questioni sollevate dalla Regione siciliana nei confronti dei commi da 7 a 10
dell’art. 28, i quali prevedono una riduzione del finanziamento dello
Stato ai Comuni (commi 7 e 9) e alle Province (commi 8 e 10) ricompresi sia nel
territorio delle Regioni ordinarie, sia nel territorio della Regione siciliana
e della Regione autonoma della Sardegna, per gli anni 2012 e successivi.
Non è dubbio che, per il
finanziamento delle normali funzioni di Regioni ed enti locali, lo Stato possa
erogare fondi senza vincoli specifici di destinazione, in particolare tramite
il fondo perequativo di cui all’art. 119, terzo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza n. 370 del
2003), così esercitando una competenza che pacificamente gli spetta
in via esclusiva, a norma dell’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost., a tutela della coesione e
dell’unità economica della Repubblica. Allo Stato spetta dunque
anche determinare l’entità dei trasferimenti erariali e dei fondi
che alimentano la finanza comunale e provinciale ed eventualmente anche di
ridurli, naturalmente con il vincolo di assicurare a tutti gli enti
territoriali, compresi quelli con minore capacità fiscale per abitante,
risorse sufficienti a finanziare integralmente le funzioni loro attribuite,
come previsto dall’art. 119, quarto comma, Cost.
La ricorrente lamenta che la riduzione
dei finanziamenti, operata in via unilaterale dallo Stato, sia di entità
tale da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni, anche alla luce
delle peculiari condizioni economiche della Regione e dei suoi enti locali.
Tuttavia, a supporto di tale circostanza la ricorrente non fornisce alcun
elemento che dimostri in concreto che l’intervento normativo abbia dato
luogo ad una insufficienza complessiva dei mezzi finanziari a disposizione (ex plurimis, sentenze n. 145 del
2008 e n. 29
del 2004).
D’altra parte, le riduzioni di cui
ai commi da 7 a 10 del censurato art. 28 hanno interessato anche i fondi
destinati a finanziare gli enti locali delle Regioni ordinarie. In relazione
alle altre Regioni ad autonomia speciale, non può considerarsi
irragionevole che la riduzione riguardi solo i Comuni e le Province ricompresi
nel territorio delle due Regioni isolane: infatti, solo in queste, tra tutte le
autonomie speciali, la finanza degli enti locali riceve tuttora contributi a
carico dello Stato; non per caso, il comma 3 del censurato art. 28 prevede che
le Regioni autonome Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia, nonché
le due Province autonome, che provvedono alla finanza dei rispettivi enti
locali, versino anche un contributo aggiuntivo a titolo di concorso alla
finanza pubblica da parte dei Comuni ricadenti nel loro territorio. In forme
diverse, la riduzione dei fondi degli enti locali lamentata dalla ricorrente
riguarda tutti i soggetti dotati di autonomia, ordinaria e speciale.
Neppure è privo di rilievo il
fatto che l’attuazione del riparto delle riduzioni disposte
dall’impugnato comma 6 era da attuarsi, e di fatto è stato attuato
– in base alla normativa che in quel momento regolamentava i fondi in
questione (artt. 2, comma 7, e 13, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011; art. 21
del d.lgs. n. 68 del 2011) – con decreti ministeriali adottati sulla base
di accordi o previa intesa in sede di Conferenza Stato città e
autonomie.
Sotto ogni profilo, dunque, le censure
appaiono destituite di fondamento.
10.– L’art. 48 del d.l. n.
201 del 2011 era ed è, anche dopo la conversione operata dall’art.
1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, rubricato «clausola di
finalizzazione». La rubrica corrisponde al contenuto del comma 1 del
suddetto articolo, in virtù del quale le maggiori entrate erariali
derivanti dall’applicazione del decreto «sono riservate
all’Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle
esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalità della
situazione economica internazionale». Ai sensi del secondo periodo dello
stesso comma 1, un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze,
del quale la legge di conversione ha prescritto la trasmissione alla Camera dei
deputati e al Senato della Repubblica, stabilisce le modalità di
individuazione del maggior gettito, attraverso una contabilizzazione separata.
Il comma 1-bis, introdotto in sede di conversione, reca una clausola di
salvaguardia: essa rinvia alle «norme di attuazione statutaria di cui
all’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive
modificazioni», per la definizione delle modalità di applicazione
e degli effetti finanziari del d.l. n. 201 del 2011 per le Regioni a statuto
speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano. Tuttavia, la stessa
clausola esordisce stabilendo che restano ferme, anche per questi enti,
«le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28»,
nonché quelle recate dallo stesso art. 48, si intende al comma 1.
In riferimento al suddetto art. 48, la
Regione autonoma Valle d’Aosta censura il comma 1, secondo periodo,
lamentando che la disposizione impugnata non ha rispettato le condizioni
previste dall’art. 8, primo comma, della legge n. 690 del 1981, il quale
consente che maggiori entrate erariali siano riservate allo Stato qualora esse
siano destinate per legge alla copertura di nuove o maggiori spese a carico del
bilancio statale, a condizione che il maggior gettito riservato all’erario
sia «determinato per ciascun esercizio finanziario con decreto dei
Ministri delle finanze e del tesoro, d’intesa con il presidente della
giunta regionale»; tale intesa, si deduce, non sarebbe prevista dal
censurato art. 48 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.
La questione è fondata.
Manca infatti, nell’impugnato art.
48, come nel resto del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, qualsivoglia
previsione in merito all’intesa con il Presidente della Regione autonoma
Valle d’Aosta, espressamente richiesta dalla legge n. 690 del 1981: una
legge che questa Corte (nella sentenza n. 133 del
2010) ha già ritenuto modificabile solo con il procedimento previsto
dall’art. 48-bis dello statuto
speciale, prescritto per l’approvazione dei decreti legislativi di
attuazione statutaria, anche in forza di quanto disposto dall’art. 1 del
decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto
speciale della regione Valle d’Aosta).
Neppure in sede attuativa si è
verificata tale intesa. Infatti, il decreto del Direttore generale delle
finanze e del Ragioniere generale dello Stato 20 luglio 2012 (Modalità
di individuazione del maggior gettito da riservare all’Erario, ai sensi
dell’art. 2, comma 36 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e
dell’art. 48, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214),
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 luglio 2012, n. 173, si limita a dare
atto che, con una propria nota trasmessa anche alla Regione autonoma Valle
d’Aosta, il Ministero dell’economia e delle finanze ha
preventivamente comunicato i criteri di contabilizzazione delle riserve
erariali previste dal censurato art. 48, comma 1.
Tuttavia, da tempo la giurisprudenza costituzionale
ha chiarito la differenza tra un semplice onere di informazione da parte dello
Stato, finalizzato a ricercare la cooperazione delle Regioni, e la vera e
propria intesa, la quale costituisce «una tipica forma di coordinamento
paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo
stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che
quest’ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di
una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione è
giuridicamente imputata e quello la cui volontà deve concorrere alla
decisione stessa» (sentenza n. 337 del
1989; in tal senso, sentenza n. 116 del
1994).
Come questa Corte ha recentemente
ribadito nella sentenza
n. 65 del 2015, in relazione all’art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del
2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
27 del 2012, la normativa di attuazione dello statuto della Regione autonoma
Valle d’Aosta richiede l’intesa con il Presidente della Regione ai
fini dell’adozione della determinazione ministeriale per la
quantificazione delle maggiori entrate, riservate allo Stato, rivenienti nel
territorio della Regione autonoma.
Pertanto, ferma restando la spettanza
sostanziale del maggiore gettito così riservato allo Stato, il vizio qui
accertato risiede esclusivamente nella mancata previsione di un’intesa
con il Presidente della Giunta regionale in merito al provvedimento tecnico con
il quale si quantifica l’esatto ammontare di tale gettito, in ordine a
quanto percepito nel territorio della Regione autonoma Valle d’Aosta.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la
decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale
promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 48, comma 1,
secondo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni
urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui non prevede che il decreto
del Ministero dell’economia e delle finanze, che stabilisce le
modalità di individuazione delle maggiori entrate erariali derivanti dal
d.l. n. 201 del 2011, sia emanato d’intesa con il Presidente della
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste per quanto riguarda le maggiori entrate
percepite nel territorio della stessa Regione autonoma;
2) dichiara
estinti, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale e nei limiti di cui sopra, i processi
relativamente alle questioni di legittimità costituzionale promosse
dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (reg. ric. n. 33 del
2012), dalla Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 34 del 2012) e dalla
Provincia autonoma di Bolzano (reg. ric. n. 40 del 2012);
3) dichiara
cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 28, commi 3, 7, 8, 9, 10 e 11-ter, e 48 del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214
del 2011, promosse dalla Regione autonoma Sardegna (reg. ric. n. 47 del 2012);
4) dichiara
cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 28, comma 3, e 48 del d.l. n. 201
del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 214 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
(reg. ric. n. 50 del 2012);
5) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’intero testo degli artt. 28 e 48 del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214
del 2011, promossa dalla Regione siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012);
6) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
28, comma 3, ultimo periodo, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011,
promossa dalla Regione siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012);
7) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
28, commi 2 e 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa, in riferimento
agli artt. 17, primo comma, lettera b),
36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello statuto della Regione siciliana) e all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio
1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in
materia finanziaria) e del principio di leale collaborazione, dalla Regione
siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012);
8) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa, in
riferimento agli artt. 2, comma 1, lettere a)
e b), 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto
speciale per la Valle d’Aosta), agli artt. da 2 a 7 della legge 26
novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della
regione Valle d’Aosta), al principio di leale collaborazione, di cui agli
artt. 5 e 120 della Costituzione, nonché al principio di ragionevolezza,
di cui all’art. 3 Cost., dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg.
ric. n. 38 del 2012);
9) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
28, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa, in
riferimento agli artt. 17, primo comma, lettera b), e 36 del r.d.lgs. n. 455 del 1946 e
all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, dalla Regione siciliana (reg.
ric. n. 39 del 2012);
10) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
28, commi 7, 8, 9 e 10, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011,
promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione
siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012).
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 25 marzo 2015.
F.to:
Alessandro
CRISCUOLO, Presidente
Marta
CARTABIA, Redattore
Gabriella
Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 15 maggio 2015.