Sentenza n. 259 del 2014

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SENTENZA N. 259

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                               Presidente

-           Giuseppe                     FRIGO                                             Giudice

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ˮ

-           Paolo                           GROSSI                                                   ˮ

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ˮ

-           Aldo                            CAROSI                                                   ˮ

-           Marta                           CARTABIA                                             ˮ

-           Sergio                          MATTARELLA                                                  ˮ

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ˮ

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ˮ

-           Giuliano                       AMATO                                                   ˮ

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, 10, comma 6, e 11, commi 1 e 2 della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia di urbanistica ed edilizia), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 29 gennaio – 3 febbraio 2014, depositato in cancelleria il 4 febbraio 2014 ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

udito nell’udienza pubblica del 7 ottobre 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella;

uditi l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Bruno Barel e Andrea Manzi per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso spedito per la notifica in data 29 gennaio 2014, ricevuto dalla resistente il 3 febbraio 2014 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 24 aprile 2014 (reg. ric. n. 6 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, e 10, comma 6, fra loro in combinato disposto, nonché dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia di urbanistica ed edilizia).

Il testo della prima disposizione impugnata (art. 7, comma 1) è il seguente: «Dopo l’articolo 3-ter della legge regionale 8 luglio 2009 n.14, così come introdotto dall’art. 6, è inserito il seguente:

Art. 3-quater (Interventi su edifici in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica e idrogeologica).

1. Per gli edifici ricadenti nelle aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica o idrogeologica è consentita l’integrale demolizione e la successiva ricostruzione in zona territoriale omogenea propria non dichiarata di pericolosità idraulica o idrogeologica, anche in deroga ai parametri dello strumento urbanistico comunale, con un incremento fino al 50 per cento del volume o della superficie.

2. Limitatamente agli edifici a destinazione residenziale, la ricostruzione di cui al comma 1 è consentita anche in zona agricola, purché caratterizzata dalla presenza di un edificato già consolidato e sempre che l’area non sia oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici o territoriali che ne impediscano l’edificazione.

3. La demolizione dell’edificio deve avvenire entro tre mesi dal rilascio del certificato di agibilità per gli edifici ricostruiti; in caso di mancata demolizione trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 31 del D.P.R. 380/2001.

4. Agli edifici ricostruiti ai sensi del presente articolo non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4».

Il testo dell’art.10, comma 6, della medesima legge è il seguente: «Alla fine della lettera g) del comma 1 dell’articolo 9 della legge regionale 8 luglio 2009 n.14, sono aggiunte le seguenti parole: “fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 3-quater”».

Il testo dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge impugnata è il seguente:

«1. Alla lettera a) del comma 1 dell’art. 10 della legge regionale 8 luglio 2009 n.14, le parole “e all’interno della sagoma del fabbricato precedente” sono soppresse.

2. Alla lettera b) del comma 1 dell’art. 10 della legge regionale 8 luglio 2009 n.14, le parole “volumi e sagoma” sono sostituite con le parole “i volumi”».

1.1.— Premette l’Avvocatura dello Stato che la legge regionale in esame è finalizzata a consentire la realizzazione di interventi di ampliamento e delocalizzazione in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. In particolare, secondo l’art. 1 della legge impugnata, sono favoriti gli interventi finalizzati al miglioramento della qualità abitativa ed all’adeguamento sismico, all’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici e all’incentivazione della demolizione e della ricostruzione, in area idonea, di edifici esistenti che ricadono in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica.

Dall’esame complessivo, si evince che la legge regionale n. 32 del 2013 è finalizzata a favorire in modo incisivo la rigenerazione e messa in sicurezza attraverso la delocalizzazione delle aree a rischio; ciò in sovrapposizione agli strumenti di pianificazione urbanistica comunale, risultando espressamente abrogate le norme che demandavano ai comuni l’individuazione di limiti e modalità applicative della legge regionale sul proprio territorio.

1.2.— Ritiene l’Avvocatura dello Stato che le censurate disposizioni siano in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela dell’ambiente e di governo del territorio.

Per quanto concerne l’art. 7, comma 1, e l’art. 10, comma 6, tali disposizioni, secondo la prospettazione della parte ricorrente, pur incentivando la demolizione di edifici siti in aree ad alta pericolosità idraulica ed idrogeologica con ricostruzione in zone territoriali omogenee non pericolose, introducono una modifica lesiva della potestà legislativa statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., che attribuisce tali materie in via esclusiva allo Stato. Infatti l’art. 9, comma 1, lettera g), della legge regionale n. 14 del 2009, nell’escludere gli interventi di ampliamento, demolizione e ricostruzione, utilizza il termine «pericolosità idraulica» e non quello più ampio di «pericolosità idrogeologica» (comprensivo anche delle aree a rischio frana e valanga). In quest’ottica, mentre in precedenza il testo della norma regionale era coerente con le prescrizioni del d.P.C.m. 29 settembre 1999 – che esclude alcuni interventi per le aree ad alta pericolosità/ rischio idrogeologico e differenzia le aree a rischio idraulico ed aree a rischio frana – la norma regionale, come modificata, si porrebbe in contrasto con la disciplina statale di riferimento, nella misura in cui è idonea a consentire gli interventi menzionati anche in violazione delle prescrizioni più restrittive contenute negli atti di pianificazione di bacino (di cui all’art. 65, commi 4, 5 e 6, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme in materia ambientale», sovraordinati ai piani territoriali ed ai programmi regionali ed aventi carattere vincolante per le amministrazioni).

Ritiene la parte ricorrente che la Regione Veneto, attraverso l’introduzione delle disposizioni censurate aventi ad oggetto la difesa dal rischio idrogeologico, abbia dettato disposizioni legislative in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ovvero in materie nelle quali è preclusa la potestà legislativa regionale. D’altra parte, anche a voler ritenere che l’intervento legislativo de quo riguardi il governo del territorio, materia di competenza concorrente, sarebbe stato comunque leso il principio del riparto di competenza legislativa, in quanto la Regione è tenuta a rispettare i principi fondamentali dettati dallo Stato, nei quali vanno ricomprese le regole di tutela del rischio idrogeologico – ispirate ad esigenze di salvaguardia del territorio, dell’ambiente e della pubblica incolumità – con carattere di uniformità su tutto il territorio nazionale.

Ne consegue che le disposizioni di cui all’art. 9, lettera g), della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, come modificate dall’art. 10, comma 6, della legge reg. Veneto n. 32 del 2013, sarebbero in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui non prevedono l’esclusione degli interventi citati nei casi in cui le norme di attuazione dei piani di bacino o la normativa di salvaguardia non consentono tale tipologia di intervento; più in generale nelle aree ad alto rischio idrogeologico, nelle quali gli strumenti di pianificazione non consentono l’edificazione.

1.3.— Quanto alle disposizioni di cui all’art. 11, commi 1 e 2, della medesima legge regionale impugnata, l’Avvocatura dello Stato osserva che tali previsioni, nel modificare l’art. 10, comma 1, lettere a) e b), della citata legge regionale n. 14 del 2009, eliminano l’obbligo, per gli interventi di ristrutturazione edilizia, di rispettare la sagoma esistente. Ciò comporta, a parere della ricorrente, un contrasto con il principio fondamentale di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che impone, ai fini della qualificazione degli interventi di ristrutturazione edilizia sottratti al permesso di costruire ed assoggettati a mera s.c.i.a., il rispetto della sagoma dell’edificio preesistente, qualora si tratti di immobili sottoposti ai vincoli di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).

La richiamata norma di cui al T.U. n. 380 del 2001 sarebbe solo formalmente, per ragioni di collocazione, una norma edilizia; sostanzialmente, secondo la parte ricorrente, si tratterebbe di una norma di tutela del patrimonio culturale, finalizzata alla tutela dei beni culturali vincolati, in modo da escludere che interventi di ristrutturazione possano comportare l’alterazione della sagome degli edifici soggetti a vincolo. Ne consegue che la disposizione regionale in esame, incidendo sulla tutela dei beni culturali, andrebbe ad invadere la potestà legislativa esclusiva dello Stato, così violando l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

In ogni caso, analogamente a quanto dedotto per l’altra disposizione censurata, seppure volesse ritenersi che l’intervento legislativo della Regione incida solo su aspetti urbanistici ed edilizi, si avrebbe la lesione del principio fondamentale dettato dallo normativa statale con l’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, che rappresenta un limite per gli apprezzamenti che la Regione fa del proprio territorio e non consente la compromissione di interessi di portata superiore, tanto più che si tratta di interventi realizzabile con la semplice s.c.i.a.

La norma de qua contrasterebbe, quindi, sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio che con una disposizione di tutela dei beni culturali, vincolante per le Regioni in quanto dettata in materia di competenza esclusiva dello Stato.

2.― Si è costituita in giudizio la Regione del Veneto, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

La resistente, previa precisazione che la legge regionale in esame (c.d. “Piano casa ter”) proroga una disciplina speciale già in vigore da anni, introdotta con la legge regionale n. 14 del 2009, ne evidenzia i riscontri positivi all’esito del monitoraggio avviato sin dal 2009, per l’impatto concreto avuto sul territorio e sull’economia. Sottolinea che i Comuni, lungi dall’essere esautorati dalle tradizionali funzioni in materia di governo del territorio, hanno potuto, grazie a detti interventi, adattare la disciplina regionale alle differenti esigenze locali. Le modifiche introdotte dalla legge n. 32 del 2013 vanno inquadrate nella medesima ottica, essendo stato previsto solo un diverso strumento di coordinamento: si sarebbe circoscritto l’ambito di applicazione della disciplina regionale (art. 9), facendo salve le misure specifiche di tutela previste dagli strumenti urbanistici comunali, sia per i centri storici (art. 9, comma 1, lettera a) che per le altre parti del territorio (art. 9, comma 1, lettera c). In questo modo si sarebbe assicurata in linea di principio l’uguaglianza tra i cittadini, salvaguardando contestualmente le specifiche misure di tutela stabilite dai piani regolatori.

Per quanto concerne i rapporti con il diritto statale, la legge censurata non lederebbe neanche implicitamente, le competenze proprie dello Stato; anzi, escluderebbe dal proprio ambito di applicazione i beni culturali (art. 9, comma 1, lettera b), le aree di inedificabilità assoluta (art. 9, comma 1, lettera d) e stabilirebbe in termini generali, all’art. 1, commi 2 e 3, che «le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche agli edifici soggetti a specifiche forme di tutela a condizione che gli interventi possano essere autorizzati ai sensi della normativa statale, regionale o dagli strumenti urbanistici e territoriali».

2.1.― Passando al merito, la Regione Veneto osserva che la prima delle censure è rivolta contro due disposizioni della legge n. 32 del 2013 relative alle aree ad elevata pericolosità idrogeologica. Non sarebbe chiaro, tuttavia, in che modo tali disposizioni abbiano leso la competenza statale, poiché viene di fatto incentivata la demolizione di edifici esistenti in aree classificate ad alta pericolosità idrogeologica, consentendone la ricostruzione con una diversa volumetria in altro sito sicuro; con ciò rafforzando la tutela delle aree di alta pericolosità idrogeologica attraverso una misura di natura urbanistico-edilizia, in piena armonia con la legislazione, sia statale che regionale, posta a tutela delle situazioni eccezionali e di rischio.

Quanto alla seconda disposizione impugnata (art. 10, comma 6), la Regione osserva che la censura ha ad oggetto le parole dalla medesima aggiunte alla fine della norma modificata (ossia il citato art. 9 della legge regionale n. 14 del 2009), cioè l’espressione «fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 3-quater». Con tale previsione, secondo la Regione, si sarebbe inteso assicurare il coordinamento tra la disposizione che esclude dall’ambito di applicazione della legge gli edifici esistenti in aree a vincolo idrogeologico e la nuova disposizione che consente, in relazione a quegli stessi edifici, la possibilità di incentivarne il «trasferimento» in altra area sicura. La modifica, dunque, non inciderebbe sulla disciplina in vigore (inapplicabilità della legge nelle zone a rischio idrogeologico), ma piuttosto chiarirebbe che essa non preclude l’applicabilità del nuovo art. 3-quater.

Anche in questo caso, non sarebbe stato chiarito dal ricorrente in quale modo le parole aggiunte dalla legge regionale n. 32 del 2013 violino l’art. 117 Cost. In sostanza, sembra che la ricorrente censuri il testo originario dell’art. 9 della legge regionale n. 14 del 2009 e, in particolare, si dolga della mancata esclusione dall’ambito di applicazione della legge di altre aree ad elevato rischio idrogeologico.

Ne deriverebbe l’inammissibilità della censura sotto un duplice profilo: da un lato, in quanto diretta ad impugnare una disposizione estranea alla legge n. 32 del 2013 e già introdotta dalla legge n. 14 del 2009; da un altro, in quanto estranea al contenuto precettivo e rivolta contro un’asserita omissione, originaria, di una situazione ritenuta assimilabile a quella espressamente contemplata.

Anche volendo superare tale profilo preliminare, la questione sarebbe comunque priva di fondamento. A tale conclusione si perviene evidenziando che sin dal 2009 il c.d. “Piano casa” della Regione Veneto ha sempre fatto salva la legislazione statale: così, all’art. 9, comma 1, lettera g), della legge regionale n. 14 del 2009, il legislatore ha inteso escludere dall’ambito di applicazione della medesima tutte le aree a rischio, come si evince anche dal rinvio alla disciplina del d.lgs. n. 152 del 2006 (incluso l’art. 65 sui piani di bacino e i piani stralcio sull’assetto idrogeologico), nonché dall’ampia formulazione dettata dall’articolo 3-quater oggetto di ricorso.

2.2.― In riferimento all’impugnazione dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge reg. n. 32 del 2013, osserva la Regione Veneto che le modifiche riguardano il primo comma dell’art. 10 della legge reg. n. 14 del 2009, e consistono nell’eliminazione di alcune parole sia dalla disposizione di cui alla lettera a) che dalla disposizione di cui alla lettera b), in particolare con riferimento alla parola «sagoma». La disposizione della legge, premesso che gli interventi di ristrutturazione edilizia possono essere effettuati anche con integrale sostituzione edilizia, contempla due ipotesi, a seconda che ciò avvenga con o senza ampliamento del volume originario.

In realtà, osserva la Regione Veneto, la norma statale che conterrebbe il principio fondamentale che si assume violato – ossia l’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001 – è stata recentemente modificata con legge statale: l’art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha modificato il citato art. 3 proprio con l’eliminazione del riferimento al mantenimento della «sagoma» originaria dell’edificio. Sicché la censura, in sostanza, si rivolgerebbe contro un solo profilo, ossia quello della eliminazione del vincolo del rispetto della sagoma dell’edificio preesistente anche in relazione alle ristrutturazioni che hanno per oggetto gli immobili soggetti a vincolo secondo il codice per i beni culturali.

La ricorrente, cioè, sembrerebbe dolersi del fatto che la modifica apportata dalla legge regionale impugnata – volta ad adeguare l’art. 10 della legge regionale n. 14 del 2009 al nuovo testo della disposizione statale, mediante l’eliminazione del limite della sagoma originaria – non abbia riprodotto la frase finale relativa alla ristrutturazione dei beni culturali. Se così fosse, osserva la resistente, la censura sarebbe frutto di un equivoco, in quanto l’art. 10 della legge regionale n. 14 del 2009 non ha introdotto una definizione regionale degli interventi di ristrutturazione edilizia sostitutiva di quella statale, né è ipotizzabile che abbia inteso sopprimere – per il solo fatto di non averla riprodotta – la parte finale della disposizione statale relativa alla ristrutturazione dei beni culturali (con mantenimento della sagoma). Ciò in quanto, trattandosi di disposizione avente ad oggetto i beni culturali, questi non potevano essere oggetto di legislazione regionale, né può la norma regionale essere censurata per mancata riproduzione di quella statale.

In conclusione, le modifiche apportate dalle disposizione censurate al dettato originario dell’art. 10 della legge reg. n. 14 del 2009 sarebbero in piena sintonia con i principi fondamentali di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001.

2.3.― In prossimità dell’udienza la Regione Veneto ha presentato memoria, insistendo per l’accoglimento delle già rassegnate conclusioni.

Considerato in diritto

1.― Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, e 10, comma 6, fra loro in combinato disposto, nonché dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia di urbanistica ed edilizia).

In particolare, la parte ricorrente ritiene che gli artt. 7, comma 1, e 10, comma 6, della legge regionale impugnata – introducendo, rispettivamente, un nuovo art. 3-quater e modificando l’art. 9, comma 1, lettera g), della legge della Regione Veneto 8 luglio 2009, n. 14 – siano in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nella parte in cui consentono gli interventi di demolizione e ricostruzione anche in violazione delle prescrizioni più restrittive contenute negli atti di pianificazione di bacino le quali, ai sensi dell’art. 65, commi 4, 5 e 6, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), hanno carattere vincolante e sono sopraordinate ai piani territoriali ed ai programmi regionali.

Quanto alla seconda censura, l’Avvocatura dello Stato ritiene che l’art. 11, commi 1 e 2, della medesima legge regionale – modificando, rispettivamente, la lettera a) e la lettera b) dell’art. 10, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 14 del 2009, nel senso di eliminare il riferimento, in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia, all’obbligo di rispetto della sagoma dell’edificio preesistente – siano in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., nella parte in cui consentono, in relazione alle modifiche aventi ad oggetto beni immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), interventi di ristrutturazione edilizia che non rispettino il limite della sagoma dell’edificio preesistente, in tal modo violando la potestà esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali ed il principio fondamentale di governo del territorio contenuto nell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)».

2.― Si osserva innanzitutto che, conformemente a quanto eccepito dalla Regione Veneto nel proprio atto di costituzione, la prima delle due questioni oggetto del ricorso è inammissibile.

Costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte – recentemente ribadita dalle sentenze n. 41 del 2013 e n. 36 del 2014 – il principio secondo cui il ricorso in via principale non solo deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139 del 2006, n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999), ma deve, altresì, contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge (si vedano, oltre alle pronunce già citate, anche le sentenze n. 261 del 1995 e n. 85 del 1990), tenendo conto che l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali (sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005).

Nel caso di specie, invece, il ricorso dell’Avvocatura dello Stato ha prospettato, in riferimento alla questione in esame, censure poco chiare e non sufficientemente motivate; in particolare, non è chiaro, alla luce della stringata motivazione a supporto del ricorso, in quali termini la possibilità di demolire edifici ricadenti nelle aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica o idrogeologica e di ricostruirli in zona territoriale omogenea propria, non dichiarata di pericolosità idraulica o idrogeologica, possa ledere le previsioni contenute nei piani di bacino di cui agli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Ne consegue l’inammissibilità di tale prima questione per le evidenti carenze della motivazione del ricorso.

3.― In riferimento alla seconda prospettata questione, avente ad oggetto l’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto n. 32 del 2013, osserva la Corte che è necessario compiere una premessa.

Tali disposizioni, come si è visto, modificano le lettere a) e b) dell’art. 10, comma 1, della legge reg. Veneto n. 14 del 2009, le quali regolano gli interventi di ristrutturazione edilizia previsti dall’art. 3 e dall’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001; e la novità introdotta dalla legge regionale n. 32 del 2013 sta nell’aver eliminato il richiamo obbligatorio al rispetto della sagoma dell’edificio preesistente. In altre parole, può aversi ristrutturazione edilizia – senza ampliamento nel caso della lettera a) e con ampliamento nel caso della lettera b) – anche se la costruzione che ne risulta non rispetti più la sagoma dell’edificio preesistente, bensì soltanto il volume.

La questione sulla quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi, pertanto, consiste nello stabilire se tale soppressione comporti o meno la violazione dei criteri di riparto delle competenze invocati dalla parte ricorrente; tenendo presente, a questo proposito, che la censura proposta dall’Avvocatura dello Stato presenta due diversi profili: da un lato, quello della lesione di un principio fondamentale in materia di competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.) e, dall’altro, quello della lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali.

3.1.― In riferimento alla prima delle due ipotizzate violazioni – cioè quella relativa alla competenza concorrente in materia di governo del territorio – è necessario ribadire che, per costante giurisprudenza di questa Corte, rientrano «nell’ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto 11.2 del Considerato in diritto): a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali» (così la sentenza n. 309 del 2011), sicché la definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta allo Stato (sentenze n. 102 e n. 139 del 2013). Più specificamente, la sentenza n. 309 del 2011, occupandosi di una legge della Regione Lombardia, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale proprio in quanto definiva come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, in contrasto con il principio fondamentale stabilito (allora) dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001.

Tuttavia, come correttamente rilevato dalla Regione Veneto, il recente intervento legislativo di cui all’art. 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, nell’apportare una serie di modifiche al d.P.R. n. 380 del 2001, ha disposto la soppressione – sia all’interno dell’art. 3, comma 1, lettera d), che all’interno dell’art. 10, comma 1, lettera c), del d.P.R. stesso – del riferimento al rispetto della sagoma; in altri termini, la normativa statale non contiene più, in relazione alla definizione della ristrutturazione edilizia, l’obbligo di rispetto della sagoma precedente, ma solo quello di rispetto del volume.

Di tale modifica legislativa il ricorso dell’Avvocatura dello Stato sembra non tenere conto, mentre è chiaro che, proprio in considerazione del riparto di competenze in materia di governo del territorio, la modifica della norma statale contenente il principio fondamentale, fa sì che le disposizioni della legge reg. Veneto n. 32 del 2013, ora in esame, si presentino piuttosto come l’attuazione, anziché la violazione, della normativa statale di riferimento. Ciò comporta, quindi, che la prospettata questione non sia fondata in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., giacché la disposizione regionale impugnata non si è discostata dal principio fondamentale contenuto nella norma statale così come di recente modificata.

3.2.― Rileva la Corte, comunque, che la prospettata violazione della competenza concorrente assume, in relazione al ricorso in esame, un ruolo secondario, perché esso fissa prevalentemente la propria attenzione sulla presunta violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali. L’Avvocatura dello Stato, infatti, ritiene che l’eliminazione dell’obbligo di rispetto della sagoma in relazione alle attività di ristrutturazione edilizia comporti una lesione di tale competenza per ciò che riguarda i beni culturali, vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004; e, a questo proposito, il ricorso richiama, fra l’altro, la particolare situazione della città di Venezia i cui edifici, patrimonio dell’umanità, potrebbero essere alterati sulla base della censurata disposizione.

3.3.― Osserva la Corte che tale doglianza non è fondata, nei sensi che saranno ora precisati.

Il testo attuale dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001 – come risultante dalle modifiche apportate dal citato art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 – oltre ad aver eliminato, come detto, il riferimento all’obbligo di rispetto della sagoma nella definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, ha tuttavia mantenuto fermo che, «con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente». Il che corrisponde ad una scelta obbligata, poiché sarebbe inimmaginabile la ristrutturazione di un’opera edilizia, che sia anche vincolata con l’alterazione della relativa sagoma.

Pertanto, interpretando sul punto il ricorso che, come detto, non contiene alcun espresso riferimento alla modifica legislativa del 2013, deve ritenersi che la censura realmente prospettata dall’Avvocatura dello Stato consista nella presunta illegittimità costituzionale dell’omessa previsione, da parte della disposizione regionale in esame, di una norma di contenuto identico (o almeno analogo) a quella statale. In altre parole, non aver previsto, da parte della Regione Veneto, che l’obbligo di rispetto della sagoma preesistente debba comunque considerarsi vigente in relazione alla ristrutturazione dei beni assoggettati a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, avrebbe comportato il venire meno di tale vincolo e la conseguente illegittimità costituzionale della disposizione.

Tale conclusione, peraltro, non è condivisibile.

Come la giurisprudenza di questa Corte ha già in passato chiarito, quando una norma è riconducibile ad un ambito materiale di esclusiva competenza statale – nella specie, la tutela dei beni culturali – le Regioni non possono emanare alcuna normativa, neppure meramente riproduttiva di quella statale (sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006). In altri termini, ove la Regione Veneto, nel rimodellare il concetto di ristrutturazione edilizia, avesse esplicitamente aggiunto che l’obbligo di rispetto della sagoma permane per i beni culturali assoggettati a vincolo, la norma regionale sarebbe stata costituzionalmente illegittima, perché sarebbe andata ad interferire in un ambito di competenza esclusiva dello Stato, come tale sottratto alla potestà normativa delle Regioni.

Nel caso in esame, invece, il silenzio della legge reg. Veneto n. 32 del 2013 sul punto non può che essere interpretato – come correttamente osservato dalla Regione – nel senso della vigenza della disposizione statale di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001; e, quindi, nel senso che la disposizione statale in materia di obbligo di rispetto della sagoma preesistente nelle ristrutturazioni aventi ad oggetto beni culturali vincolati è necessariamente operativa anche nell’ambito regionale.

Così interpretata, la disposizione dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto n. 32 del 2013 è immune dalle censure di illegittimità costituzionale prospettate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. Il che comporta che la relativa questione sia da dichiarare non fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, e 10, comma 6, della legge della Regione Veneto 29 novembre 2013, n. 32 (Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia di urbanistica ed edilizia), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto n. 32 del 2013, sollevata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe;

3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto n. 32 del 2013, sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2014.

F.to:

Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2014.