SENTENZA N. 36
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, commi 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dalla Regione Piemonte con ricorso notificato il 12-16 ottobre 2012, depositato in cancelleria il 22 ottobre 2012 ed iscritto al n. 161 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi l’avvocato Giovanna Scollo per la Regione Piemonte e l’avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 12-16 ottobre 2012, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 22 ottobre 2012 (reg. ric. n. 161 del 2012), la Regione Piemonte ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 16, commi 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli artt. 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione.
2.– La ricorrente premette di essere legittimata a proporre il ricorso, sia per far valere la diretta lesione derivante dalle norme censurate, sia per tutelare le prerogative costituzionali degli enti locali; a tal fine richiama le sentenze n. 289 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004.
Essa, inoltre, dà atto che il Consiglio delle autonomie locali del Piemonte, istituito con legge regionale 7 agosto 2006, n. 30 (Istituzione del Consiglio delle Autonomie locali «CAL» e modifiche alla legge regionale 20 novembre 1998, n. 34 «Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli Enti locali»), con risoluzione del 21 settembre 2012, ai sensi dell’art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come modificato dall’art. 9, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), ha avanzato al Presidente della Giunta regionale la proposta di impugnare, innanzi alla Corte costituzionale, tra gli altri, l’art. 16, commi 7 e 8, del d.l. n. 95 del 2012.
3.– La ricorrente, dopo aver riportato il disposto dell’art. 16, comma 7, del detto d.l., rileva che esso, prevedendo un drastico taglio delle risorse destinate alle Province, si porrebbe in contrasto con gli artt. 5, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost. e, ancora, con il principio di leale collaborazione.
La Regione pone in evidenza come detta disposizione, comportando una grave compromissione dell’autonomia regionale e dell’assetto ordinamentale, violerebbe l’art. 5 Cost., il quale riconosce rilievo costituzionale alle autonomie locali, il principio del più ampio decentramento amministrativo e l’adeguamento della legislazione statale alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Essa sostiene, inoltre, che il suddetto taglio dei trasferimenti, intervenendo nella programmazione del bilancio in corso, determinerebbe l’impossibilità di far fronte alle spese programmate, con conseguente sforamento del patto di stabilità interno, senza considerare le differenziazioni tra le diverse Regioni, relativamente all’attribuzione delle funzioni alle Province.
A tal riguardo, osserva come anche il Servizio Bilancio del Senato abbia formulato dubbi sulla coerenza di tagli lineari «così pesanti ed indiscriminati», tali da incidere sull’esistenza stessa delle Province; in tal modo, il fondo sperimentale di riequilibrio appena istituito dall’art. 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), ed il fondo perequativo di cui all’art. 13 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), sarebbero neutralizzati proprio nelle specifiche modalità di riparto e di determinazione.
La Regione sottolinea, inoltre, che l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», sicché i tagli lineari decisi dal Governo proprio sul fondo sperimentale di riequilibrio e sul fondo perequativo, per di più «in corso d’opera», non consentirebbero proprio quell’esercizio di funzioni fondamentali garantito e imposto dalla Costituzione; il Governo avrebbe violato le competenze residuali e concorrenti delle Regioni e la stessa potestà regolamentare, in considerazione delle attività trasferite e delegate dalle Regioni alle Province, per conseguenza, anch’esse incise dalla norma impugnata.
La ricorrente richiama anche l’art. 119 Cost., il quale, attraverso la previsione della compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio e con l’istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale, riconoscerebbe l’autonomia finanziaria, di entrata e di spesa, di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Essa osserva, peraltro, che in attuazione dell’art. 119 Cost., con legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), è intervenuta la delega al Governo, a seguito della quale sono stati emanati il d.lgs. n. 68 del 2011 e il d.lgs. n. 23 del 2011. Ad avviso della Regione, dunque, il Governo non avrebbe potuto emanare un decreto-legge al fine di disporre «tagli lineari» in relazione a fondi appena istituiti in attuazione della legge delega.
Quanto alla violazione del principio di leale collaborazione, la Regione osserva che il fondo perequativo di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 23 del 2011 prevede l’intesa, sancita in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, e che anche il fondo di riequilibrio di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 68 del 2011 prevede il «previo accordo».
Le riduzioni dei fondi, previste dalla norma impugnata, invece, ad avviso della ricorrente coinvolgerebbero la Conferenza Stato-città ed autonomie locali solo in un momento successivo, in quello, cioè, delle riduzioni da imputare a ciascuna Provincia.
La norma, inoltre, con la generica espressione, «tenendo conto delle analisi della spesa effettuate […] dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali […] e recepite con decreto del Ministero dell’Interno», decreto, comunque, emanato entro il 15 ottobre 2012, darebbe luogo ad un intervento sostitutivo dello Stato, al di fuori dai casi previsti dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003, e attraverso un mero decreto ministeriale.
3.1.– La ricorrente, dopo aver riportato il contenuto precettivo della disposizione di cui all’art. 16, comma 8, del d.l. citato rileva che essa, intervenendo in materia di dotazione organica degli enti locali, si porrebbe in contrasto con gli artt. 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, con gli artt. 118 e 119 Cost. ed, ancora, con il principio di leale collaborazione.
In particolare, essa osserva che la prevista intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali si riferirebbe ad una fase meramente esecutiva di disposizioni di dettaglio in cui sono già precisati, in modo vincolante, gli stringenti parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali.
Inoltre, la disposizione, adottando il criterio prioritario del rapporto tra dipendenti e popolazione residente, prescinderebbe dalle funzioni e penalizzerebbe i Comuni più piccoli, al di là di ogni diversa considerazione sulla efficienza e «virtuosità». Sarebbe, pertanto, compromessa l’autonomia regionale e sarebbe leso il principio del più ampio decentramento amministrativo (art. 5 Cost.) e del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).
4.– Con atto depositato in data 23 novembre 2013, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o non fondate.
Al riguardo, la difesa statale ritiene che le disposizioni contenute nell’art. 16 del d.l. citato siano finalizzate a disciplinare il concorso degli enti territoriali, ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica e, inoltre, osserva come le stesse siano qualificate dallo stesso legislatore quali principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost.
In tale ambito, il comma 7 dell’art. 16 del d.l. citato dispone la riduzione sia del fondo sperimentale di riequilibrio, sia del fondo perequativo e prevede che le riduzioni da imputare a ciascuna Provincia siano determinate dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, tenendo conto anche delle analisi delle spese effettuate dal commissario straordinario di cui all’art. 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 94. Ove la Conferenza non deliberi, le riduzioni saranno operate in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi da ciascun ente.
La norma, dunque, ad avviso della difesa dello Stato, è norma eccezionale, finalizzata a fronteggiare una situazione economica di emergenza. Essa si colloca, come le precedenti misure, in un complesso percorso di risanamento della finanza pubblica cui sono chiamati a concorrere tutti i livelli di governo e, quindi, anche gli enti locali, non esistendo alcuna disposizione costituzionale che li esenti da tale partecipazione.
L’Avvocatura prosegue osservando come l’urgenza di arginare l’espansione del deficit pubblico, coerentemente con gli impegni assunti dallo Stato in sede europea, si rifletta inevitabilmente sulla finanza locale sulla base di una valutazione comparativa delle esigenze generali che sono riservate al legislatore statale.
Nel contesto economico-finanziario attuale, caratterizzato dalla eccezionalità della situazione economica internazionale, la misura del concorso al risanamento imposto alle autonomie territoriali non solo appare ragionevole, ma sicuramente necessaria e, come tale, non rappresenta un vulnus diretto e concreto alla finanza degli enti locali piemontesi.
La difesa dello Stato osserva, inoltre, come la disposizione censurata preveda, in ogni caso, il pieno coinvolgimento degli enti territoriali per la determinazione delle modalità di raggiungimento degli obiettivi indicati dal legislatore statale, atteso che le riduzioni da imputare a ciascuna Provincia sono determinate dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
La circostanza secondo cui, in caso di mancato accordo in sede di Conferenza, le riduzioni sono effettuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze «in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunti dal SIOPE», non sarebbe lesiva delle prerogative degli enti, giacché la norma introduce una modalità di determinazione delle riduzioni, tramite decreto ministeriale, solo in via eventuale e, comunque, subordinata alla mancata conclusione dell’accordo tra le varie autonomie.
L’intervento sostitutivo del Governo sarebbe, dunque, dettato oltre che dalla mancata conclusione dell’accordo, anche dall’urgenza imposta dalla situazione emergenziale che non consente di procrastinare a tempo indeterminato le interlocuzioni tra gli enti.
Secondo l’Avvocatura, inoltre, il ricorso in esame sarebbe anche inammissibile; a tal riguardo è richiamata la sentenza n. 246 del 2012.
Quanto all’art. 16, comma 8, del d.l. citato, la difesa dello Stato rileva come detta disposizione, fermi restando i vincoli concernenti l’assunzione di personale già predisposti dalla legislazione previgente, preveda che il Presidente del Consiglio dei ministri con proprio decreto, emanato di intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, stabilisca i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo prioritariamente conto del rapporto tra dipendenti e popolazione residente. Al riguardo, rileva come nel ricorso sia affermato che il criterio del rapporto tra popolazione residente e dipendenti penalizzi i piccoli Comuni, così ledendo i principi di cui agli artt. 5 e 97 Cost.
Ad avviso dell’Avvocatura l’estrema sinteticità del rilievo mosso alla disposizione impugnata ne determinerebbe la genericità e, quindi, comporterebbe l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.
In ogni caso, essa osserva che, con riferimento agli enti locali, il Governo ha sviluppato i propri interventi, incidendo sulla spesa complessiva di quei settori nei quali si concentrano i maggiori oneri passivi degli stessi enti, quali la sanità, il personale ed i consumi intermedi.
È noto, prosegue l’Avvocatura, che la spesa per il personale costituisce una voce in cui si sostanzia un rilevante aggregato della spesa di parte corrente, e una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico.
Ad avviso della difesa dello Stato, dunque, le disposizioni censurate devono ritenersi legittime, in quanto perseguono generali obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, incidendo su una complessiva e non minuta voce di spesa ed inoltre, non determinano gli strumenti e le modalità per il perseguimento del predetto obiettivo, essendo prevista una precisa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
5.– Con memoria depositata in data 28 maggio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le difese svolte nell’atto di costituzione in giudizio.
In particolare, per quanto attiene all’art. 16, comma 7, del d.l. n. 95 del 2012, l’Avvocatura pone in rilievo come la disposizione sia stata modificata dall’art. 1, comma 121, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013) che, da un lato, ha elevato l’ammontare del contributo e, dall’altro, ha modificato il secondo capoverso del comma in esame. Inoltre, essa dà atto che è intervenuto l’art. 10, comma 1, lettera a), del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64, il quale ha inciso sugli importi delle riduzioni da imputare a ciascuna Provincia, in caso di mancata deliberazione della Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Ad avviso della difesa statale, anche alla luce delle modifiche introdotte nel testo originario, le disposizioni in esame non violerebbero l’autonomia finanziaria e il principio di leale collaborazione in quanto non demanderebbero allo Stato la determinazione del concorso delle Province, ma delineerebbero piuttosto un percorso consensualistico che costituisce la migliore garanzia dell’autonomia finanziaria della ricorrente e delle Province piemontesi.
Nella memoria si riferisce, altresì, che il Ministro dell’interno, con decreto 25 ottobre 2012 (Riduzione delle risorse alle province, ai sensi dell’articolo 16, comma 7, del decreto-legge n. 95/2012 – spending review – nonché attribuzione del contributo, ai sensi dell’articolo 17, comma 13-bis del predetto decreto n. 95/2012 e relativi allegati), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 259 del 6 novembre 2012, ha determinato la misura del contributo a carico di ciascuna Provincia per l’anno 2012, non essendo stata adottata la deliberazione della Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
Infine, la difesa dello Stato rileva che a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 35 del 2013, con riferimento agli anni 2013 e 2014, in caso di mancata deliberazione della Conferenza Stato-città ed autonomie locali entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente a quello di riferimento, le riduzioni da imputare a ciascuna Provincia sono determinate direttamente dalla legge e non più dal Ministro dell’interno. Il decreto-legge introdurrebbe, dunque, una modifica di carattere sostanziale, limitatamente al biennio 2013-2014, da cui dovrebbe conseguire l’inammissibilità delle censure riferite a dette annualità.
Considerato in diritto
1.– La Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, dell’art. 16, commi 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli artt. 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.
Riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni sollevate, in questa sede si tratterà di quelle concernenti l’art. 16, commi 7 e 8, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012.
2.– Ad avviso della ricorrente, l’art. 16, comma 7, ora citato, determinando un drastico taglio delle risorse destinate al fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell’art. 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) ed al fondo perequativo di cui all’art. 13 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), si porrebbe in contrasto con: a) l’art. 5 Cost., in quanto determinerebbe una grave compromissione dell’autonomia regionale e dell’assetto ordinamentale, poiché il taglio dei trasferimenti, intervenendo nella programmazione del bilancio in corso, comporterebbe l’impossibilità di far fronte alle spese programmate, con conseguente sforamento del patto di stabilità interno, senza tenere conto delle differenziazioni che si verificano nelle varie Regioni relativamente all’attribuzione delle funzioni alle Province; b) con l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in quanto i tagli cosiddetti lineari decisi dal Governo proprio sul fondo sperimentale di riequilibrio e sul fondo perequativo, per di più «in corso d’opera», non consentirebbero l’esercizio delle funzioni fondamentali garantito e imposto dalla Costituzione; c) con gli artt. 117, quarto e sesto comma, e 118 Cost., in quanto violerebbe «le competenze residuali e concorrenti delle Regioni e la stessa potestà regolamentare, in considerazione delle attività trasferite e delegate dalle Regioni alle Province», per conseguenza incise dalla norma impugnata; d) con l’art. 119 Cost., il quale, attraverso la previsione della compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio e con l’istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale, riconosce l’autonomia finanziaria, di entrata e di spesa, di Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni; per conseguenza, il Governo non avrebbe potuto prevedere, con un decreto-legge, tagli lineari a fondi appena istituiti con i decreti legislativi n. 68 e n. 23 del 2011; e) infine, con il principio di leale collaborazione, in quanto le riduzioni del fondo perequativo e del fondo di riequilibrio coinvolgerebbero la Conferenza Stato-città ed autonomie locali solo in un momento successivo, in quello, cioè, delle riduzioni da imputare a ciascuna Provincia; la norma, inoltre, con la generica espressione «tenendo conto anche delle analisi della spesa effettuate […] dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali […] e recepite con decreto del Ministero dell’Interno» (decreto, comunque, emanato entro il 15 ottobre 2012), darebbe luogo ad un intervento sostitutivo dello Stato, al di fuori dai casi previsti dall’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e attraverso un mero decreto ministeriale.
3.– Ad avviso della ricorrente, poi, l’art. 16, comma 8, del d.l. citato, intervenendo sulla determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, si porrebbe in contrasto con gli artt. 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto la prevista intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali avrebbe riguardo ad una fase meramente esecutiva di disposizioni di dettaglio in cui sono già precisati, in modo vincolante, gli stringenti parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali.
Inoltre, la disposizione censurata, adottando il criterio prioritario del rapporto tra dipendenti e popolazione residente, prescinderebbe dalle funzioni e penalizzerebbe i Comuni più piccoli, al di là di ogni diversa considerazione sulla efficienza e «virtuosità».
Pertanto, sarebbe, compromessa l’autonomia regionale e sarebbero lesi i principi del più ampio decentramento amministrativo (art. 5 Cost.) e del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).
4.– In via preliminare, con riferimento al comma 7 dell’art. 16 del d.l. n. 95 del 2012, si deve rilevare che le modifiche legislative, intervenute successivamente alla proposizione del ricorso, risultano indifferenti rispetto al tenore delle censure (ex multis, sentenze n. 219 del 2013, n. 193 e n. 30 del 2012, n. 153 del 2011).
Tali interventi, infatti, hanno modificato la disposizione impugnata con esclusivo riferimento al quantum delle riduzioni delle risorse destinate ai citati fondi provinciali; alla data entro la quale le dette riduzioni debbono essere recepite con decreto del Ministro dell’interno; ai criteri da adottare per la determinazione delle stesse; alla data entro la quale, là dove non intervenga la deliberazione della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, il decreto ministeriale deve essere, comunque, emanato e, in relazione a detta specifica ipotesi, alle modalità di determinazione delle riduzioni.
Pertanto, la mancata alterazione del contenuto precettivo censurato fa sì che le questioni prospettate sul testo, come vigente al momento dell’impugnazione, si trasferiscano su quello attualmente in vigore e, quindi, sull’art. 16, comma 7, del d.l. n. 95 del 2012, nel testo sostituito: a) dall’art. 8, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213; b) dall’art. 1, comma 121, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013); c) dall’art. 10, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64.
5.– Le questioni di legittimità costituzionale, promosse in relazione all’art. 16, comma 7, del d.l. n. 95 del 2012, sono inammissibili.
Con riferimento alla violazione degli artt. 5 e 97 Cost., questa Corte ha più volte affermato che, «nei giudizi in via principale, le Regioni sono legittimate a censurare le leggi dello Stato esclusivamente in riferimento a parametri relativi al riparto delle rispettive competenze legislative. Esse possono evocare altri parametri soltanto qualora la violazione di questi comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, sia possibile verificare la ridondanza delle asserite violazioni sul relativo riparto e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 311 e n. 151 del 2012, n. 128 del 2011, n. 326 e n. 40 del 2010)» (sentenza n. 205 del 2013).
Nel caso di specie la ricorrente non ha motivato in ordine alla ridondanza delle lamentate violazioni sul riparto di competenze, in quanto le censure su tali punti sono formulate in termini del tutto generici ed assertivi. Tale lacuna comporta l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento ai dedotti parametri costituzionali.
Quanto alle censure formulate in riferimento alla violazione dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost., la Regione ha omesso di indicare le materie di competenza legislativa concorrente o residuale, asseritamente violate, né ha dato conto delle ragioni della denunciata lesione. Ciò integra l’inammissibilità della questione promossa con riferimento ai citati parametri costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 252 e n. 175 del 2009, n. 38 del 2007).
Del pari inammissibile è la censura mossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., dal momento che essa è priva di un’adeguata motivazione. Infatti, la ricorrente ha omesso di indicare le funzioni fondamentali il cui esercizio sarebbe impedito dai tagli decisi dal Governo.
In relazione, poi, alla violazione dell’art. 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, ancora una volta, si deve osservare che la ricorrente ha omesso di sviluppare le necessarie argomentazioni dirette a specificare e chiarire la portata di tali asserite violazioni.
Inoltre, con riferimento al principio di leale collaborazione, anche a prescindere dalla evidenziata genericità delle doglianze, deve porsi in evidenza come la disposizione censurata assicuri, invece, un adeguato coinvolgimento delle autonomie locali, sia pure nella fase attuativa delle riduzioni da imputare a ciascuna Provincia. Peraltro, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, «l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alla applicazione di tale principio (ex plurimis, sentenze n. 372 e n. 222 del 2008, n. 401 del 2007)» (sentenza n. 121 del 2013).
Ad analoghe conclusioni si deve pervenire in ordine all’affermazione secondo cui la norma impugnata introdurrebbe un intervento sostitutivo dello Stato fuori dei casi previsti dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003, e attraverso “un mero decreto ministeriale”.
Anche in tal caso la censura si rivela del tutto generica in quanto la ricorrente trascura di argomentare circa la presunta configurabilità, nel caso di specie, di un intervento sostitutivo dello Stato.
Per quanto concerne, infine, la violazione dell’art. 119 Cost., come già rilevato, la Regione afferma che la riduzione delle risorse finanziarie, destinate al fondo sperimentale di riequilibrio ed al fondo perequativo, violerebbe l’autonomia finanziaria degli enti locali, in quanto da detti interventi riduttivi conseguirebbe l’impossibilità, per le Province, di far fronte alle proprie attribuzioni.
Al riguardo, ferma restando la genericità della motivazione sottesa alla censura, deve osservarsi che questa Corte ha più volte affermato che, qualora le Regioni deducano l’illegittimità di norme che prevedono la riduzione dei trasferimenti erariali, debbono dimostrare che tale riduzione determini l’insufficienza dei mezzi finanziari per l’adempimento dei propri compiti (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2013, n. 246 del 2012, n. 27 del 2010 e n. 145 del 2008).
La Regione, infatti, non fornisce prova del presupposto della censura, del fatto, cioè, che il taglio delle risorse destinate ai fondi provinciali abbia determinato una riduzione dell’autonomia finanziaria tale da compromettere lo svolgimento delle funzioni delle Province; la ricorrente si limita ad affermare che l’intervenuta riduzione incide sull’autonomia finanziaria, ma non si sofferma su alcun elemento utile a dimostrare che le dette Province, per effetto di tali interventi, non potranno assolvere in modo adeguato le proprie funzioni.
6.– Del pari inammissibili sono le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012, promosse in riferimento agli artt. 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost., e al principio di leale collaborazione.
Anche nel caso di specie, in relazione agli artt. 5 e 97 Cost., la ricorrente non ha motivato in ordine alla ridondanza delle lamentate violazioni sul riparto di competenze; le censure su tali punti sono formulate in termini generici. Come sopra rilevato, detta carenza motivazionale, secondo il costante orientamento di questa Corte, determina l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.
Con riferimento alla violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost., si deve rilevare come la Regione si sia limitata soltanto ad indicare detto parametro, omettendo di motivare in ordine all’asserita lesione dello stesso da parte della disposizione censurata.
In considerazione, poi, della genericità dei termini in cui è stata formulata, del pari inammissibile deve ritenersi la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento alla violazione del principio di leale collaborazione, in quanto la ricorrente si è limitata a sostenere che l’intesa prevista dalla disposizione in esame interverrebbe in una fase meramente esecutiva di disposizioni di dettaglio in cui sarebbero già precisati in modo vincolante gli stringenti parametri di virtuosità per la determinazione della dotazione organica degli enti locali.
Peraltro, a prescindere dal rilevato profilo di genericità, deve osservarsi come l’argomentazione sottesa alla censura risulti smentita dal dato letterale della norma, in quanto l’intesa non interviene affatto in una fase in cui i detti parametri sono già stati determinati, ma è prevista proprio al fine della loro determinazione.
Infine, con riferimento alla censura mossa in relazione all’adozione del criterio prioritario del rapporto tra dipendenti e popolazione residente per determinare le dotazioni organiche degli enti locali, si deve rilevare che l’assunto della ricorrente, secondo cui con il detto criterio «si prescinde dalle funzioni e si penalizzano i Comuni più piccoli, al di là di ogni diversa considerazione sulla efficienza e la “virtuosità”», non soltanto è formulato in termini meramente assiomatici, ma neppure chiarisce quale pertinenza sussista tra l’assunto medesimo e i parametri costituzionali enunciati. Di qui un ulteriore profilo di inammissibilità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunzie la decisione sull’impugnazione delle ulteriori disposizioni contenute nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135;
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 7, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, nel testo sostituito dall’art. 8, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213, dall’art. 1, comma 121, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), dall’art. 10, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64, promosse, per violazione degli artt. 5, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, promosse, per violazione degli artt. 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2014.