SENTENZA N. 252
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, e 5, comma 2, della legge della Regione Marche 29 aprile 2008, n. 7 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento delle attività dei gruppi consiliari”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27 giugno 2008, depositato in cancelleria il 7 luglio 2008 ed iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2008.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi l’avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso depositato in data 7 luglio 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, con riferimento agli articoli 117, 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale, in via principale, della legge della Regione Marche 29 aprile 2008, n. 7 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento delle attività dei gruppi consiliari”).
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la predetta legge regionale presenterebbe evidenti profili di illegittimità costituzionale relativamente alle disposizioni contenute negli articoli 4, comma 1, e 5, comma 2, che consentono il conferimento di incarichi e l’instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa presso i gruppi consiliari e le segreterie della Giunta regionale a personale esterno all’amministrazione regionale, indipendentemente dal possesso dei requisiti fissati dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come da ultimo modificato dall’articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008), che costituirebbero, per espressa previsione contenuta nel comma 3 dell’articolo 1 del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001, principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, le disposizioni censurate violerebbero gli articoli 3 e 97 Cost., in quanto, da un lato, consentirebbero, nella sola Regione Marche, un’irragionevole facoltà di ricorso a soggetti privi della indispensabile professionalità e, dall’altro lato, lederebbero i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, atteso che lo svolgimento della funzione pubblica, normalmente e generalmente da espletare per il tramite del personale in servizio – da assumere per concorso, secondo un principio limitatamente derogabile – verrebbe affidato a soggetti privi dei requisiti fondamentali che ne dimostrano la capacità professionale e l’affidabilità nella cura di quella funzione.
2. – Si è costituita in giudizio la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, deducendo l’infondatezza della questione.
Preliminarmente la Regione Marche fa presente che il Consiglio regionale ha approvato la legge 29 aprile 2008, n. 7, che introduce modifiche alla legge regionale n. 34 del 1988.
In particolare, la difesa della Regione Marche, dopo avere effettuato una ricostruzione analitica della normativa censurata, fa notare che la disciplina dello stato giuridico ed economico del personale delle Regioni e degli enti regionali è, per le Regioni a statuto ordinario, riconducibile all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 274 del 2003), di competenza regionale residuale.
L’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, proprio nel testo modificato dall’art. 3, comma 76, della legge n. 244 del 2007, poi, non si limiterebbe, secondo la difesa regionale, a porre principi fondamentali ma prevederebbe vincoli rigorosamente puntuali e dettagliati, dal momento che restringerebbe ulteriormente l’area dei soggetti cui possono essere conferiti incarichi di collaborazione esterna, attraverso la sostituzione del riferimento agli «esperti di comprovata esperienza» (di cui al vecchio testo) con quello, ancor più limitativo, ad esperti «di particolare e comprovata specializzazione universitaria», con conseguente vanificazione del residuo spazio di intervento normativo in materia da parte delle Regioni.
Osserva, ancora, la resistente che il finanziamento del personale esterno dei gruppi consiliari, attribuito alla piena autonomia del Consiglio regionale ai sensi dell’art. 18 dello statuto della Regione Marche e dell’art. 17 del regolamento dello stesso Consiglio (per il quale «l’Ufficio di presidenza garantisce ai gruppi consiliari l’esplicazione delle loro funzioni, a norma delle disposizioni contenute nella legge regionale»), costituirebbe, per espressa previsione dell’art. 6, primo comma, della legge regionale n. 34 del 1988, «spesa a carico del bilancio della Regione».
Anche sotto tale profilo, la censura dello Stato sarebbe destituita di fondamento, perché, afferma la Regione, disposizioni di principio in tema di coordinamento della finanza pubblica potrebbero prescrivere solo criteri ed obiettivi, ma non imporre vincoli specifici e puntuali, mentre la disposizione di cui all’art. 3, comma 76, della legge n. 244 del 2007, che modifica il comma 6 dell’art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001, esige, come si è detto, che il personale esterno abbia una particolare e comprovata specializzazione universitaria: il legislatore statale, vincolando Regioni e Province autonome all’adozione di misure analitiche e di dettaglio, ne avrebbe compresso illegittimamente l’autonomia finanziaria, esorbitando dal compito di formulare i soli principi fondamentali della materia.
Secondo la Regione Marche, poi, le norme impugnate non violerebbero neppure i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione si configurerebbe solo nei casi in cui la disciplina impugnata risultasse arbitraria o irragionevole e le stesse deroghe alla regola del concorso, da parte del legislatore, sarebbero ammissibili nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione o di attuare altri principi di rilievo degli uffici, di volta in volta, considerati. Tra tali uffici, secondo la Regione, dovrebbero ricomprendersi anche i gruppi consiliari i quali, in considerazione delle peculiari funzioni loro proprie o per esigenze di servizio, non sono in grado di ricorrere a personale proveniente dal ruolo unico regionale (art. 6, comma 1, della legge regionale n. 34 del 1988) e che, quindi, possono avvalersi di personale esterno.
Riferisce la Regione che l’incarico al personale esterno, per espressa previsione dell’art. 6, comma 4, della suddetta legge regionale n. 34 del 1988, «è conferito dall’ufficio di presidenza, su richiesta nominativa del Presidente del gruppo». L’ufficio di presidenza, ai sensi dell’art. 17, comma 2, dello statuto regionale, «assicura ai singoli gruppi, per l’assolvimento delle loro funzioni, la disponibilità di strutture, personale e servizi e assegna ad essi risorse a carico del bilancio del Consiglio, secondo le modalità indicate dalla legge regionale» e, per conferire incarichi a personale esterno, deve osservare quanto previsto dall’art. 10, comma 9, del regolamento interno del Consiglio regionale, per il quale «il conferimento dell’incarico a persone estranee all’amministrazione regionale deve essere corredato da un dettagliato curriculum professionale del prestatore, atto a dimostrare le esperienze specifiche nella materia o nel settore cui si riferisce l’incarico».
La specificità degli incarichi così conferiti sarebbe peraltro confermata dallo stesso art. 6, comma 4, lettera b), della legge regionale n. 34 del 1988, che esclude espressamente la possibilità che essi possano costituire un canale di accesso privilegiato all’impiego, prevedendo che «la durata dell’incarico non può superare quella della legislatura».
Per quanto concerne la norma di cui all’art. 5 della legge regionale n. 7 del 2008, la Regione Marche osserva che si tratta di una disposizione transitoria e giustificata da esigenze specifiche ed eccezionali, legate alla riorganizzazione delle strutture amministrative regionali.
In altri termini, la norma sarebbe ispirata alla finalità di permettere che, per l’esperienza e la professionalità acquisita, possano essere utilizzate unità di personale che appaiano in grado di assicurare funzionalità ed efficienza del servizio al quale vengono preposte, requisiti che sono oggetto di attenta e ponderata valutazione da parte dell’amministrazione regionale, tenuto conto, fra l’altro, che la normativa impugnata non prevede un conferimento obbligatorio (l’art. 5, comma 2, stabilisce infatti che tali rapporti «possono essere conferiti...»), e che, comunque, è stabilito che tali rapporti siano instaurati ai sensi dell’articolo 22, comma 3-bis, lettera b), della legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20, quindi con tutte le garanzie poste da tale normativa.
La legge regionale n. 20 del 2001, infatti, per espressa previsione dell’art. 1, comma 1, «riordina la normativa regionale in materia di organizzazione e personale, in attuazione dei principi contenuti nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» e si premura di precisare, al comma 2, che «l’organizzazione amministrativa della Giunta regionale è disciplinata secondo i principi stabiliti dalla presente legge in modo di assicurare: […] c) l’imparzialità, la trasparenza e la tempestività dell’azione amministrativa», nonché «g) la formazione permanente del proprio personale, anche dirigenziale, per garantire una elevata motivazione all’innovazione organizzativa e per alimentare un continuo e coerente accrescimento ed aggiornamento professionale; h) la migliore utilizzazione delle risorse umane, il rispetto della parità e pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro e l’applicazione di condizioni uniformi di trattamento tra lavoratrici e lavoratori».
Peraltro, anche per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, nel proporre il conferimento di incarico, è tenuto ad osservare il suddetto art. 10, comma 9, del regolamento del Consiglio, corredando il relativo provvedimento con «un dettagliato curriculum professionale del prestatore, atto a dimostrare le esperienze specifiche nella materia o nel settore cui si riferisce l’incarico».
Di qui, secondo la difesa della Regione, discenderebbe l’infondatezza e l’arbitrarietà del profilo di illegittimità eccepito dal ricorrente, laddove interpreta le norme impugnate nel senso di consentire «un’irragionevole facoltà di ricorso a soggetti privi della indispensabile professionalità».
La specificità degli incarichi così conferiti e muniti delle suddette garanzie sarebbe poi confermata dallo stesso art. 22 della legge regionale n. 20 del 2001, che esclude espressamente la possibilità che essi costituiscano un canale di accesso privilegiato all’impiego, prevedendo che «gli incarichi di cui al presente articolo cessano contestualmente alla cessazione dell’ufficio del Presidente o dei singoli componenti della Giunta regionale che li hanno proposti» (art. 22, comma 5).
Riferisce infine la Regione che anche altre normative regionali prevedono il ricorso ad esterni nell’assegnazione di personale per i gruppi consiliari, disciplinando autonomamente le relative modalità di impiego. In particolare, la resistente menziona la legge della Regione Lombardia 7 settembre 1996, n. 21 (Ordinamento della struttura organizzativa e della dirigenza del Consiglio regionale) e la legge della Regione Piemonte 8 giugno 1981, n. 20 (Assegnazione di personale ai gruppi consiliari), nel testo modificato dalla legge della Regione Piemonte 13 ottobre 1999, n. 26.
3. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Marche ha illustrato ulteriormente le proprie conclusioni, chiedendo preliminarmente che la questione sia dichiarata inammissibile per mancata indicazione del parametro costituzionale, per omessa indicazione delle materie asseritamente coinvolte dalle disposizioni censurate e per genericità della motivazione.
Nel merito, la difesa della Regione ha sottolineato che il d.lgs. n. 165 del 2001, per effetto delle disposizioni contenute negli artt. 4 e 14 della stessa, non è applicabile a tutti gli organi di vertice delle amministrazioni pubbliche che siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, come i Consigli e le Giunte delle Regioni, per i quali sarebbe istituzionalizzato il ricorso ad uffici cosiddetti di diretta collaborazione, formati da persone qualificate assunte con contratti a tempo determinato; il che legittimerebbe l’estensione del predetto concetto di «uffici di diretta collaborazione» anche ai corrispondenti vertici regionali. Questo sistema, che troverebbe espressione in numerosi regolamenti governativi attuativi di tale scelta organizzativa per i diversi Ministeri, sarebbe la manifestazione esplicita dell’esigenza di dotare gli uffici di diretta collaborazione di personale che goda della fiducia attuale e concreta del titolare dell’organo politico.
La difesa della Regione sottolinea, infine, che una disposizione del proprio statuto (art. 48 della legge regionale statutaria 8 marzo 2005, n. 1) prevede espressamente, quanto al personale facente parte della struttura organizzativa del Consiglio, che, per la direzione delle strutture di maggiore complessità e per lo svolgimento di attività richiedenti particolari competenze e esperienze professionali, possono essere conferiti incarichi a tempo determinato anche a soggetti esterni all’amministrazione, nei limiti e con le modalità stabiliti dalla legge regionale. Di tale norma sarebbero espressione la già citata legge regionale n. 20 del 2001, nonché l’art. 10, comma 9, del regolamento interno del Consiglio regionale.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, con riferimento agli articoli 117, 3 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, e 5, comma 2, della legge della Regione Marche 29 aprile 2008, n. 7 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento delle attività dei gruppi consiliari”), nella parte in cui consentono il conferimento di incarichi e l’instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa presso i gruppi consiliari e le segreterie della Giunta regionale a personale esterno all’amministrazione regionale, indipendentemente dal possesso dei requisiti fissati dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come da ultimo modificato dall’articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008).
Le due disposizioni censurate modificano, rispettivamente, l’art. 6 della legge della Regione Marche 10 agosto 1988, n. 34 (Finanziamento delle attività dei gruppi consiliari) e l’art. 22-bis della legge della Regione Marche 15 ottobre 2001, n. 20 (Norme in materia di organizzazione e di personale della Regione).
La prima delle due disposizioni censurate stabilisce che i gruppi consiliari, in considerazione delle peculiari funzioni loro proprie o per esigenze di servizio, qualora non siano in grado di ricorrere a personale proveniente dal ruolo unico regionale, possono alternativamente avvalersi, nei limiti del contingente previsto dal precedente art. 4 e con spesa a carico del bilancio della Regione: a) di personale comandato dallo Stato ivi compreso il personale docente, amministrativo e ausiliario delle scuole, dagli enti locali o da altri enti pubblici, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e della vigente normativa regionale; b) di personale esterno, limitatamente ad una unità per gruppo. L’incarico al personale esterno, prosegue la norma censurata, è conferito dall’ufficio di presidenza, su richiesta nominativa del Presidente del gruppo, alternativamente con rapporto di lavoro dipendente a termine o con rapporto di lavoro autonomo. La norma poi stabilisce che la durata dell’incarico non può superare quella della legislatura.
E’ qui che interviene la disposizione censurata, introducendo la regola in base alla quale detto incarico può essere conferito indipendentemente dal possesso dei requisiti indicati al comma 6 dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
La seconda norma censurata (inserita tra le disposizioni transitorie e finali) prevede, a sua volta, che gli uffici delle segreterie particolari della Giunta regionale, per sopperire alle proprie esigenze lavorative, possano essere integrati (oltre che con rapporti di lavoro subordinato a termine, ai sensi dell’art. 22) con due unità di personale esterne all’amministrazione. Con esse è possibile stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Anche per tale tipologia di contratti la norma introduce la regola in base alla quale detto incarico può essere conferito indipendentemente dal possesso dei requisiti indicati al comma 6 dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
La suddetta disposizione statale, nel testo risultante a seguito delle numerose riforme avvicendatesi nel tempo, stabilisce che le amministrazioni pubbliche, per esigenze cui non è possibile far fronte con personale in servizio, possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, soltanto in presenza di alcuni presupposti di legittimità (l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente; l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione). Inoltre, si precisa che gli incarichi in oggetto possano essere conferiti solo ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, ammettendo che si possa prescindere da tale requisito esclusivamente in caso di stipulazione di contratti d’opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o da soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
Deve darsi atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, una delle norme novellate dalla disposizione censurata, l’art. 6 della legge regionale n. 34 del 1988, ha formato oggetto di due successivi interventi di modifica. L’art. 1, comma 1, della legge della Regione Marche 15 luglio 2008, n. 22 (Modifica all’art. 6, comma 4, della legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento dell’attività dei gruppi consiliari”) ne ha modificato alcuni aspetti marginali. A sua volta, la legge regionale del 4 agosto 2008, n. 27 (Modifiche alla legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20 “Norme in materia di organizzazione e di personale della Regione”, alla legge regionale 30 giugno 2003, n. 14 “Riorganizzazione della struttura amministrativa del consiglio regionale” e alla legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento delle attività dei gruppi consiliari”), di poco successiva alla prima, ha ridisciplinato integralmente la materia, abrogando, con l’art. 12, la norma censurata e, con l’art. 7, riversandone integralmente il contenuto in altri due articoli della legge novellata, gli articoli 4 e 5.
Anche in seguito a tali sopravvenienze in entrambe le norme è rimasta tuttavia immutata la deroga dal rispetto dai criteri dettati dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, che costituisce il nucleo delle odierne questioni di costituzionalità. Conseguentemente, essendo rimasta sostanzialmente inalterata la disciplina censurata, deve ritenersi ancora sussistente l’interesse dello Stato al ricorso, dovendosi presumere che la stessa medio tempore abbia avuto applicazione.
Tornando alle questioni proposte, secondo la difesa erariale, le deroghe introdotte, dalla normativa di cui si tratta, ai criteri dettati in ambito nazionale dall’art. 7, comma 6, sopra citato contrasterebbero con quelli che, in forza di quanto statuito nell’art. 1 della stessa legge statale indicata come parametro interposto, costituirebbero dei principi fondamentali dell’ordinamento, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione.
Esse poi violerebbero anche gli artt. 3 e 97 della Costituzione (irragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione).
2. – Le questioni, con riferimento all’art. 117 Cost., sono inammissibili. A prescindere dalla circostanza che tale parametro non è indicato in modo chiaro e autonomo nella delibera autorizzatoria, deve rilevarsi che il Presidente del Consiglio dei ministri, nel ricorso, non indica né quale materia sia quella incisa dalle norme censurate, né la stessa tipologia di competenza legislativa statale – principale o concorrente – a suo dire violata (vedi, per tutte, per l’inammissibilità di ricorsi privi della motivazione sulle materie asseritamente incise dalla normativa impugnata, ordinanza n. 175 del 2009 e sentenza n. 38 del 2007).
3. – Le questioni sollevate con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sono fondate.
Il riconoscimento, a favore dei gruppi consiliari – e, per analogia di situazioni, delle Giunte regionali –, di un certo grado di autonomia nella scelta dei propri collaboratori esterni (v. sentenze n. 187 del 1990 e n. 1130 del 1988), non esime la Regione dal rispetto del canone di ragionevolezza e di quello del buon andamento della pubblica amministrazione.
Questa Corte, infatti, ha dichiarato che «la previsione dell’assunzione (sia pure a tempo determinato) di personale sfornito dei requisiti normalmente richiesti per lo svolgimento delle funzioni che è destinato ad espletare determina l’inserimento nell’organizzazione pubblica di soggetti che non offrono le necessarie garanzie di professionalità e competenza» (sentenza n. 27 del 2008).
Orbene, a parte la considerazione che la citata disposizione statale, contenuta nel d.lgs. n. 165 del 2001, non comprime affatto l’autonomia delle Regioni, ma si limita a stabilire dei criteri oggettivi di professionalità, che non mettono in discussione il carattere discrezionale della scelta dei collaboratori, c’è da dire che la Regione, per accentuare tale carattere ben può derogare ai criteri statali, purché preveda, però, in alternativa, altri criteri di valutazione, ugualmente idonei a garantire la competenza e professionalità dei soggetti di cui si avvale ed a scongiurare il pericolo di un uso strumentale e clientelare delle cosiddette esternalizzazioni.
Nella legislazione della Regione Marche, d’altro canto, non sono rinvenibili criteri di valutazione idonei a garantire che la scelta dei collaboratori esterni avvenga, nell’ipotesi in esame, secondo i canoni della buona amministrazione.
Non è richiamabile al riguardo, ad esempio, la disposizione di cui all’art. 11, comma 4, della legge regionale n. 27 del 2008 – che, peraltro, è disposizione successiva a quella impugnata – la quale si limita a dettare, per la individuazione dei collaboratori esterni, un criterio di preferenza in favore di quelli eventualmente già impiegati in precedenza, senza fissare alcun requisito attitudinale. Non lo è la disposizione di cui all’art. 10 del regolamento interno del Consiglio, secondo il quale il conferimento di un incarico a persone estranee all’amministrazione deve essere corredato da un dettagliato curriculum dell’interessato, dato che tale norma riguarda solo le consulenze tecnico professionali e le attività di studio. Né si può utilizzare la previsione dell’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 20 del 2001 che détta criteri generici e non riferibili al personale di cui al successivo art. 22, comma 3-bis, della stessa legge. Neppure, infine, si può ricorrere alla disposizione di cui all’art. 48 della legge regionale statutaria n. 1 del 2005, che è riferibile solo agli incarichi richiedenti una alta professionalità e non a tutti i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
4. – In conclusione, entrambe le norme censurate, nel dispensare le amministrazioni dall’osservanza della disposizione di cui all’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, si pongono in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. La Regione Marche, nel disciplinare in modo autonomo le modalità di selezione del personale esterno destinato a collaborare con i gruppi consiliari e le segreterie della Giunta, non ha previsto alcun criterio selettivo alternativo a quelli dettati dalla legge statale. È consentito così l’accesso a tali uffici di personale esterno del tutto privo di qualificazione, in modo irragionevole e in violazione del canone di buon andamento della pubblica amministrazione.
Deve, dunque, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 1, e 5, comma 2, della legge della Regione Marche n. 7 del 2008, nella parte in cui, dette norme, consentono il conferimento di incarichi a personale esterno all’amministrazione regionale e l’instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, indipendentemente dal possesso dei requisiti fissati dall’articolo 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001.
5. – Le indicate ragioni di illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge della Regione Marche n. 7 del 2008 valgono anche per gli interventi di modifica della stessa introdotti dai citati art. 1, comma 1, della legge regionale n. 22 del 2008 e dall’art. 7, comma 4, lettera b), della successiva legge regionale n. 27 del 2008.
Come si è detto, in entrambi i sopra descritti interventi di riforma, è stata sostanzialmente riprodotta, all’interno delle disposizioni concernenti il ricorso a personale esterno, la stessa deroga, per il ricorso da parte dei gruppi consiliari alla collaborazione di esterni, al rispetto dei requisiti soggettivi stabiliti dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, deroga che costituisce, come si è visto, il nucleo centrale della odierna questione di costituzionalità.
Pertanto, in conformità con quanto statuito da questa Corte in un analogo caso di avvicendamento nel tempo di norme sostanzialmente identiche (sentenza n. 74 del 2009) la pronuncia di illegittimità, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), deve essere estesa, in via consequenziale, a tali disposizioni sopravvenute, nella parte in cui – per il ricorso da parte dei gruppi consiliari alla collaborazione di esterni – prevedono la deroga al possesso dei requisiti soggettivi stabiliti dall’art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001.
per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 1, e 5, comma 2, della legge della Regione Marche 29 aprile 2008, n. 7 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento delle attività dei gruppi consiliari”), nella parte in cui consentono il conferimento di incarichi a personale esterno all’amministrazione regionale e l’instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, indipendentemente dal possesso dei requisiti fissati dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche);
dichiara altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Marche 15 luglio 2008, n. 22 (Modifica all’art. 6, comma 4, della legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento dell’attività dei gruppi consiliari”) e dell’art. 7, comma 4, lettera b), della legge della Regione Marche 4 agosto del 2008, n. 27 (Modifiche alla legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20 “Norme in materia di organizzazione e di personale della Regione”, alla legge regionale 30 giugno 2003, n. 14 “Riorganizzazione della struttura amministrativa del consiglio regionale” e alla legge regionale 10 agosto 1988, n. 34 “Finanziamento delle attività dei gruppi consiliari”), nelle parti in cui dette norme consentono il conferimento di incarichi a personale esterno all’amministrazione regionale e l’instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, indipendentemente dal possesso dei requisiti fissati dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, e 5, comma 2, della suddetta legge della Regione Marche n. 7 del 2008, sollevate, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2009.