Sentenza n. 142 del 2012

SENTENZA N. 142

ANNO 2012

 

Commenti alla decisione di

 

I. Antonio Ruggeri, Una inammissibilità accertata ma non dichiarata, ovverosia l’errore processuale scusabile della parte, in quanto indotto dallo stesso… giudice (a prima lettura di Corte cost. n. 142 del 2012) (nella Rubrica Studi e Commenti della Sezione Studi 2012 di questa Rivista )

 

II. Alessandro Morelli, I limiti del bilanciamento: nuove regole processuali e affidamento delle parti (nota a Corte cost. n. 142/2012) per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it

 

III. Salvatore La Porta, Una sola materia (il sistema tributario), due legislazioni esclusive. Brevi riflessioni sul concetto di “tributi propri” regionali, per gentile concessione della Rivista telematica dell’AIC – Associazione Italiana dei Costituzionalisti

 

IV. Emanuele Rossi, Ratifica consiliare della delibera giuntale di ricorrere contro le leggi statali in Trentino – Alto Adige: quando il rigore sembra eccessivo e ingiustificato, per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                            Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                            “

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             “

-           Giuseppe                     TESAURO                                               “

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       “

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     “

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          “

-           Paolo                           GROSSI                                                   “

-           Giorgio                       LATTANZI                                               “

-           Aldo                           CAROSI                                                   “

-           Marta                           CARTABIA                                             “

-           Sergio                          MATTARELLA                                       “

-           Mario Rosario             MORELLI                                                “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 14 settembre 2011, depositato il successivo 21 settembre, iscritto al n. 97 del registro ricorsi 2011 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2012 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– La Giunta provinciale di Trento (previa deliberazione n. 1931 dell’8 settembre 2011, adottata d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7, dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol e ratificata dal Consiglio provinciale di Trento con delibera n. 11 dell’8 novembre 2011) ha proposto in via principale, con ricorso notificato il 14 settembre 2011 e depositato il successivo 21 settembre − in riferimento agli art. 73, 75 e 79 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) ed agli artt. 3, 9, 10 e 10-bis del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché al principio di leale collaborazione –, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64, serie generale, del 16 luglio 2011, nella parte in cui prevede che, «A partire dall’anno 2011, per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro dieci per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato».

1.1. – La Provincia ricorrente premette che: a) il secondo periodo del comma 1 dell’art. 73 dello statuto del Trentino-Alto Adige (periodo introdotto, con effetto dal 1° gennaio 2010, dal numero 1 della lettera c del comma 107 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2010”) qualifica le tasse automobilistiche istituite con legge provinciale come tributi propri della Provincia autonoma; b) in precedenza aveva istituito, a decorrere dal 1° gennaio 1999, mediante l’art. 4 della legge della Provincia autonoma di Trento 11 settembre 1998, n. 10 (Misure collegate con l’assestamento del bilancio per l’anno 1998), una propria tassa automobilistica provinciale, la cui disciplina (ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 4), «in attesa di una disciplina organica della tassa automobilistica provinciale», è assoggettata – per ciò che concerne «il presupposto d’imposta, la misura della tassa, i soggetti passivi, le modalità di applicazione del tributo» – alle «disposizioni previste per la tassa automobilistica erariale e regionale vigenti nel restante territorio nazionale». Secondo la ricorrente, «per effetto del rinvio operato dall’art. 4» della suddetta legge provinciale alla normativa statale, l’addizionale erariale introdotta con la disposizione impugnata «è destinata a trovare applicazione anche nella provincia di Trento». Da questo quadro normativo, sempre secondo la ricorrente, risulterebbe evidente l’illegittimità costituzionale dell’impugnato comma 21, perché tale comma, nel prevedere che l’addizionale erariale «è da versare alle entrate del bilancio dello Stato», attribuisce allo Stato «il gettito di un tributo provinciale» e, pertanto, si pone in contrasto con gli evocati parametri statutari. In particolare, difetterebbero, nella specie, le condizioni poste dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 per la riserva all’erario del gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi, e cioè: a) la destinazione per legge alla copertura «di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province»; b) la delimitazione temporale e la distinta contabilizzazione del gettito nel bilancio statale e, quindi, la sua precisa quantificazione.

In via subordinata – nell’ipotesi che la disposizione oggetto di censura si interpreti nel senso che lo Stato ha con essa istituito «una imposta nuova e propria» −, la Provincia di Trento lamenta la violazione dell’art. 75, lettera g) [rectius: art. 75, comma 1, alinea e lettera g)], dello statuto, che riserva alla Provincia medesima «i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l’imposta locale sui redditi, ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici». Anche in tal caso, infatti, l’addizionale non potrebbe essere di spettanza statale, perché la disposizione denunciata non rispetta le sopra indicate condizioni poste dal menzionato art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 per la riserva allo Stato del gettito. In particolare, osserva la ricorrente: a) l’addizionale e la corrispondente riserva del gettito non sono limitati nel tempo, ma si applicano «a partire dall’anno 2011»; b) il relativo gettito non è quantificato né distintamente contabilizzato e, quanto alla destinazione, l’art. 40, comma 2, del citato decreto-legge n. 98 del 2011 prevede l’utilizzazione solo di una «quota parte» delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 23, che concerne, oltre all’addizionale sulla tassa automobilistica di cui è questione, altre eterogenee misure fiscali.

La difesa della ricorrente, infine, ricorda «solo per scrupolo di completezza» che il proprio concorso – quale Provincia autonoma – al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica è specificamente disciplinato, a decorrere dal 2010, dall’art. 79 dello statuto d’autonomia, il quale prevede al riguardo (in applicazione del principio di leale collaborazione), il ricorso a un procedimento concordato fra Provincia e Ministro dell’economia e delle finanze.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza del ricorso.

Il resistente premette, in via generale, che le disposizioni impugnate costituiscono «forme finanziarie “eccezionali”, finalizzate a fronteggiare una situazione economica “emergenziale”» ed alle quali sono chiamati a concorrere tutti i livelli di governo e, quindi, anche le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, «non potendo la garanzia costituzionale dell’autonomia finanziaria alle stesse riconosciuta fungere da giustificazione per esentarle da tale partecipazione». In questo quadro di straordinaria emergenza finanziaria, prosegue il resistente, lo Stato, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di sistema tributario (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) «ben può disporre in merito alla disciplina di tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito sia di spettanza regionale, a condizione che non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte»; circostanza, questa, che non ricorrerebbe nella specie.

Posta tale premessa, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che sussistono tutti i presupposti richiesti dallo statuto per la riserva allo Stato dell’intero gettito relativo all’addizionale in contestazione. In primo luogo, l’addizionale – espressamente definita “erariale” – «possiede il carattere della novità, in quanto derivante da un atto impositivo nuovo in mancanza del quale l’entrata non si sarebbe verificata». In secondo luogo il tributo in questione è stato introdotto per la copertura di oneri che sono precisamente indicati nell’art. 40, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 98 del 2011 e che sono destinati a coprire «specifici importi di spesa ivi quantificati». Inoltre, le spese al cui finanziamento è destinata l’addizionale presentano il carattere di «nuove specifiche spese di carattere non continuativo», in quanto «dirette a sostenere […] settori sociali fondamentali per l’intera collettività (quali la sanità o la giustizia)». Quanto alla specificità della destinazione del gettito e alla sua delimitazione temporale, la difesa dello Stato rileva che «tutte le entrate derivanti dalla manovra di finanza pubblica hanno come specifico e prioritario obiettivo quello di garantire il risanamento della finanza pubblica mediante il conseguimento del pareggio di bilancio» e che, proprio in ragione di questa finalità, la destinazione allo Stato del gettito deve considerarsi delimitata al «periodo necessario per il conseguimento degli imprescindibili obiettivi concordati in sede europea che, in linea di principio, consistono nell’impegno a raggiungere il predetto pareggio di bilancio entro il 2013». La medesima difesa sostiene, infine, che la tassa automobilistica provinciale, pur dopo la modifica dell’art. 73 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, «conserva i connotati di un tributo di derivazione statale», perché è stata introdotta, nel territorio della Provincia ricorrente, in sostituzione della tassa automobilistica erariale, e quindi «non è stata istituita ex novo con legge provinciale, ma è derivata dalla corrispondente tassa erariale che nei territori provinciali ha cessato di esistere». Anche l’art. 8 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) conferma, ad avviso del resistente, che la tassa automobilistica provinciale, al pari di quella regionale, presenta i caratteri di un tributo proprio derivato «che, per quanto attribuito alle regioni, è pur sempre istituito e regolato nei suoi aspetti sostanziali dalla legge dello Stato».

Con riguardo alla denunciata violazione dell’art. 79 dello statuto e del principio di leale collaborazione, l’Avvocatura generale dello Stato ne afferma l’infondatezza, osservando che, in base alla citata disposizione statutaria, «l’accordo fra la Regione, le Province e il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha ad oggetto specificamente (ed esclusivamente) gli obblighi relativi al patto di stabilità» e, pertanto, non è applicabile alla fattispecie.

3.– In prossimità dell’udienza pubblica, la Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento della questione ed osservando che: a) l’eccezionalità della «situazione economica “emergenziale”» non autorizza a violare le norme statutarie sull’autonomia finanziaria della Provincia; b) il modo in cui la Provincia concorre al raggiungimento degli obiettivi della finanza pubblica è tassativamente definito nell’art. 79 dello statuto, «per cui risulta del tutto illegittima l’introduzione con legge ordinaria dello Stato di ulteriori oneri e ulteriori modalità», estranei a quelli specificamente concordati in attuazione della predetta norma statutaria; c) la tassa automobilistica provinciale costituisce, ai sensi dell’art. 73 dello statuto, un «tributo proprio» della Provincia e non (come invece sostiene il resistente) un tributo “derivato” sul quale lo Stato ha potestà di disciplina; d) l’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 ha trasformato la tassa automobilistica regionale in tributo proprio anche per le regioni a statuto ordinario; e) il riferimento agli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica «esclude di per sé che sia applicabile l’art. 9 d.lgs. 268/1992, che consente la riserva all’erario per “finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’articolo 10”, le quali consistono proprio nel “raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica”»; f) mancano gli altri requisiti richiesti dallo stesso articolo 9 per la riserva del gettito allo Stato e, in particolare, la delimitazione temporale dell’addizionale e del relativo gettito, in quanto è «artificioso» fissarla – come fa la difesa statale – nella data del 2013, cioè nel termine entro il quale lo Stato italiano si è impegnato in sede europea a conseguire il pareggio di bilancio.

4.– Nel corso della discussione in pubblica udienza, la difesa dello Stato – traendo spunto da quanto riferito dal giudice relatore e, in particolare, dalla questione di ammissibilità da esso indicata – ha chiesto che il ricorso venisse dichiarato inammissibile, perché la ratifica consiliare della delibera della Giunta provinciale di proporre ricorso (delibera adottata in via d’urgenza e soggetta a ratifica consiliare, ai sensi dell’art. 54, numero 7, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) non è stata depositata in giudizio entro il termine previsto per la costituzione della parte ricorrente.

La difesa della ricorrente ha osservato al riguardo che la Corte ha spesso deciso nel merito ricorsi proposti dalle Province autonome di Trento e di Bolzano senza rilevare la tardività del deposito della ratifica consiliare. La medesima difesa ha comunque chiesto un rinvio dell’udienza, per poter piú diffusamente argomentare sul punto.

Considerato in diritto

1.– La Giunta della Provincia autonoma di Trento – con deliberazione dell’8 settembre 2011, n. 1931, adottata d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e ratificata dal Consiglio della medesima Provincia con deliberazione n. 11 dell’8 novembre 2011 – ha proposto in via principale, con ricorso notificato il 14 settembre 2011 e depositato il successivo 21 settembre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), nella parte in cui prevede che, «A partire dall’anno 2011, per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose è dovuta una addizionale erariale della tassa automobilistica, pari ad euro dieci per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque chilowatt, da versare alle entrate del bilancio dello Stato». La disposizione è impugnata per violazione degli artt. 73, 75 e 79 del citato d.P.R. n. 670 del 1972 e degli artt. 3, 9, 10 e 10-bis del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché del principio di leale collaborazione.

La ricorrente premette che la tassa automobilistica provinciale è stata istituita con l’art. 4 della legge della Provincia autonoma di Trento 11 settembre 1998, n. 10 (Misure collegate con l’assestamento del bilancio per l’anno 1998), e che «Le tasse automobilistiche istituite con legge provinciale costituiscono tributi propri», in base al secondo periodo del comma 1 dell’art. 73 dello statuto del Trentino-Alto Adige (periodo introdotto, con effetto dal 1° gennaio 2010, dal numero 1 della lettera c del comma 107 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2010”). Su tale premessa, la Provincia autonoma deduce che lo Stato, con la disposizione impugnata, nel prevedere che l’addizionale erariale «è da versare alle entrate del bilancio dello Stato», si appropria illegittimamente del gettito di un tributo proprio provinciale. In via subordinata – per l’ipotesi in cui la disposizione oggetto di censura si interpreti nel senso che lo Stato ha con essa istituito «una imposta nuova e propria» – la Provincia autonoma di Trento deduce la violazione dell’art. 75, lettera g), dello statuto, che riserva alla Provincia medesima «i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l’imposta locale sui redditi, ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici».

Ad avviso della ricorrente, in entrambi i casi considerati – si tratti, cioè, della maggiorazione di una tassa provinciale ovvero di una nuova imposta statale – difetterebbero le condizioni poste dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 per la riserva del gettito all’erario e, pertanto, sarebbero violati gli articoli 73 e 75, lettera g) [rectius: art. 75, comma 1, alinea e lettera g)], dello statuto speciale di autonomia. Inoltre la norma impugnata, imponendo alla Provincia autonoma una forma di concorso al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica senza osservare lo specifico procedimento concordato previsto dall’art. 79 dello statuto, violerebbe tale disposizione statutaria ed il principio di leale collaborazione.

2.– Nel corso della discussione in pubblica udienza, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto il profilo della tardività del deposito in giudizio della ratifica, da parte del Consiglio provinciale, della deliberazione della Giunta provinciale di proporre il ricorso stesso. L’atto di ratifica, infatti, non è stato depositato in giudizio entro il termine previsto per la costituzione della parte ricorrente.

L’eccezione è fondata per le ragioni esposte nel punto 2.1., ma, nel caso di specie, non può essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in considerazione dell’affidamento ingenerato dalla prassi di questa Corte circa la non perentorietà del termine di deposito della ratifica consiliare, come si dirà nel punto 2.2.

2.1.– In punto di fatto va rilevato che la Giunta provinciale ha deliberato in data 8 settembre 2011 la proposizione del ricorso avverso la sopra indicata normativa. Il ricorso è stato notificato il successivo 14 settembre, giorno in cui scadeva il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge statale nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica in data 16 luglio 2011; termine previsto dall’art. 127 Cost. per promuovere questione di legittimità costituzionale in via principale ed applicabile anche per l’impugnazione delle leggi statali o regionali da parte delle Province autonome, a norma del secondo comma dell’art. 32 della legge 11 marzo 1953 n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), richiamato dall’art. 36 della medesima legge, in riferimento agli artt. 97 e 98 dello statuto d’autonomia. Dalla data del 14 settembre, in cui era stata effettuata la notificazione al Presidente del Consiglio dei ministri, cominciava a decorrere, ai sensi dell’art. 31, comma 4, richiamato dall’art. 32, terzo comma, della citata legge n. 87 del 1953, il termine di dieci giorni per il deposito del ricorso (termine avente scadenza, perciò, il 24 settembre). Il ricorso è stato depositato, senza che ad esso fosse allegato l’atto di ratifica, il 21 settembre 2011. La ratifica dell’impugnazione è stata successivamente deliberata dal Consiglio provinciale l’8 novembre ed è pervenuta nella cancelleria di questa Corte solo il 19 dicembre 2011 e, quindi, ben oltre il già menzionato termine del 24 settembre fissato per il deposito del ricorso.

2.1.1.– Ciò premesso, si deve rilevare che questa Corte – in tema di giudizi di legittimità costituzionale in via principale e per conflitto di attribuzione tra enti, promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Presidente della Giunta regionale – ha costantemente affermato che la «previa deliberazione» della proposizione del ricorso introduttivo da parte dell’organo collegiale competente è «esigenza non soltanto formale, ma sostanziale […] per l’importanza dell’atto e per gli effetti costituzionali ed amministrativi che l’atto stesso può produrre» (sentenza n. 33 del 1962; analogamente le sentenze n. 8 del 1967; n. 119 del 1966; n. 36 del 1962). Essa ha piú volte precisato, altresí, che non sussiste un principio generale «secondo il quale ogni organo di presidenza potrebbe, in caso di urgenza e salvo ratifica, adottare i provvedimenti spettanti al collegio» (sentenza n. 119 del 1966), non valendo a sanare l’originario difetto di potere dell’organo ricorrente una delibera di ratifica del competente organo collegiale adottata dopo la scadenza del termine per l’impugnazione (sentenze n. 54 del 1990, n. 147 del 1972, n. 8 del 1967, n. 76 del 1963).

Tale tassativa esigenza di una preventiva deliberazione autorizzatoria da parte dell’organo collegiale competente a proporre il ricorso non ha tuttavia impedito a questa Corte, con riferimento all’ipotesi di impugnazioni di leggi regionali o provinciali da parte dello Stato, di riconoscere in via di principio che, in «circostanze straordinarie (da valutare caso per caso), il Presidente del Consiglio dei ministri – accertata l’oggettiva impossibilità di procedere alla convocazione del Consiglio dei ministri e l’esigenza di garantire la continuità e l’indefettibilità della funzione di governo – possa provvedere, sotto la propria responsabilità, alla proposizione dell’impugnativa avverso la legge regionale, salva, in ogni caso, la successiva ratifica consiliare» (sentenza n. 54 del 1990). Allorché ha accertato la sussistenza di una di tali «circostanze straordinarie», questa Corte ha ritenuto sufficiente, per la proposizione del ricorso da parte dello Stato, la volontà espressa in via d’urgenza dall’organo presidenziale privo della legittimazione processuale attiva (il Presidente del Consiglio dei ministri), con ciò derogando all’art. 31 della legge n. 87 del 1953. In quell’occasione ha tuttavia precisato che l’organo consiliare competente (il Consiglio dei ministri) deve esprimere «con una formale deliberazione la detta volontà, in modo diretto o in modo indiretto […] almeno prima del deposito del ricorso davanti alla Corte» (sentenza n. 147 del 1972).

2.1.2.− Nel caso di specie, l’interinale legittimazione processuale straordinaria non è frutto di una interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, ma è positivamente disciplinata, per l’ipotesi di impugnazione di leggi statali, dal piú volte citato combinato disposto degli artt. 54, numero 7) – già art. 48, numero 7) –, e 98, primo comma, dello statuto del Trentino-Alto Adige, i quali espressamente subordinano l’efficacia dell’impugnazione di un atto legislativo statale, proposta in via d’urgenza dalla Giunta, alla ratifica da parte del Consiglio nella sua prima seduta successiva. Tale disposizione, data la sua generale formulazione, si riferisce a tutti i provvedimenti di competenza del Consiglio provinciale e, quindi, anche alle delibere di proposizione del ricorso avverso una legge o un atto avente valore di legge della Repubblica (sentenza n. 57 del 1957); delibere riservate espressamente dall’indicato art. 98 dello statuto alla competenza del Consiglio provinciale.

Il fatto, però, che in base al suddetto statuto d’autonomia sia consentito alla Giunta provinciale di proporre ricorso salvo ratifica non significa che questa sia irrilevante ai fini del giudizio davanti a questa Corte e neppure che possa intervenire in qualunque momento di esso, purché entro l’udienza di discussione.

2.1.3.− Al contrario, con riferimento al caso di specie, deve ritenersi che l’eccezionale e temporanea legittimazione processuale della Giunta (sostitutiva di quella ordinaria attribuita al Consiglio provinciale dagli artt. 54, numero 7, e 98, primo comma, dello statuto) vada necessariamente consolidata e resa definitiva, in quanto prevista solo a titolo provvisorio, mediante ratifica entro un termine predeterminato. Nel processo costituzionale, in mancanza di una normativa specifica, tale termine va individuato in base alla disciplina ed ai relativi princípi che attualmente regolano i giudizi davanti a questa Corte. In particolare, al fine di garantire l’economia, la celerità e la certezza del giudizio costituzionale, è necessario che la volontà del Consiglio provinciale di promuovere ricorso avverso una legge dello Stato sia accertata, mediante acquisizione della deliberazione agli atti del processo, al piú tardi, al momento in cui il ricorso va depositato nella cancelleria della Corte; e cioè entro il termine perentorio di dieci giorni dall’ultima notificazione, stabilito dal combinato disposto del terzo comma dell’art. 32 e del comma 4 dell’art. 31 della legge n. 87 del 1953 (citate sentenze n. 54 del 1990 e n. 147 del 1972).

Il deposito del ricorso notificato, da effettuarsi entro il termine perentorio suddetto, costituisce, infatti, un momento essenziale del processo costituzionale, perché comporta la costituzione in giudizio della parte ricorrente, fissa definitivamente il thema decidendum (impedendone ogni successivo ampliamento), instaura il rapporto processuale con questa Corte e segna l’inizio del termine ordinatorio di novanta giorni per la fissazione dell’udienza di discussione del ricorso (art. 35 della legge n. 87 del 1953). Inoltre, dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso decorre il termine perentorio entro il quale le altre parti possono costituirsi in giudizio (nella specie, per la parte convenuta nei ricorsi di impugnazione di leggi, trenta giorni, ai sensi del comma 3 dell’art. 19 delle citate norme integrative).

Questa non casuale scansione di termini processuali mostra in modo evidente che il processo costituzionale − in coerenza con la sua essenziale funzione di assicurare un preordinato e razionale sistema di giustizia legale, nel rispetto del principio del contraddittorio − è diretto a garantire alla parte resistente la possibilità di manifestare la propria volontà di opporsi al ricorso (costituendosi in giudizio) dopo che l’atto di impugnazione deliberato dall’organo solo provvisoriamente competente si sia definitivamente consolidato con la ratifica e dopo che questa sia stata prodotta in giudizio entro il termine perentorio fissato al ricorrente per il deposito in cancelleria del ricorso. Diversamente, si imporrebbe irragionevolmente alla parte resistente di costituirsi in giudizio quando ancora non è stata perfezionata e definitivamente accertata la volontà del ricorrente di proporre il ricorso. Ne segue che l’atto di ratifica dell’impugnazione della legge statale deve essere depositato nel termine del deposito del ricorso stesso.

2.1.4.– La legittimazione sostitutiva della Giunta provinciale al Consiglio provinciale non è né incondizionata né a titolo definitivo, ma sorge solo in situazioni d’urgenza ed ha efficacia interinale e provvisoria, necessitando di un consolidamento mediante ratifica da parte del Consiglio stesso. L’instabilità e l’interinalità degli effetti di tale legittimazione sono analoghe, sotto tale aspetto, a quelle della legittimazione sostitutiva attribuita extra ordinem dalla giurisprudenza di questa Corte al Presidente del Consiglio dei ministri per i ricorsi proposti in luogo del Consiglio (sentenze ricordate al punto 2.1.1.). Poiché non ha alcun rilievo la diversità della fonte immediata delle suddette legittimazioni surrogatorie (statutaria nel caso della Giunta provinciale; giurisprudenziale nel caso del Presidente del Consiglio dei ministri), occorre concludere che anche l’atto di ratifica del Consiglio provinciale deve intervenire ed essere prodotto in giudizio, al piú tardi, al momento del deposito del ricorso davanti alla Corte o, comunque, entro il termine per la costituzione in giudizio (analogamente a quanto statuito da questa Corte con la citata sentenza n. 147 del 1972 con riferimento alla ratifica del Consiglio dei ministri).

La conclusione sopra raggiunta circa la perentorietà del termine entro il quale la ratifica va depositata in giudizio non è contraddetta dalle ipotesi in cui l’organo ricorrente incompetente o con competenza meramente provvisoria ha rinunciato al ricorso prima dell’intervento della ratifica e la Corte abbia dichiarato estinto il giudizio senza rilevare il difetto di capacità processuale del rinunciante (come avvenuto, ad esempio, con la sentenza n. 461 del 1992). Infatti, la rinuncia del ricorrente (sia esso dotato o no di una definitiva capacità processuale), nel caso di accettazione del resistente costituito o nel caso in cui il resistente non sia costituito, comporta di per sé l’estinzione del giudizio ed impedisce, al pari delle ipotesi di cessazione della materia del contendere, la valutazione da parte della Corte della sussistenza del presupposto della legitimatio ad processum.

2.2.– Come si è anticipato, l’inammissibilità del ricorso per tardività del deposito della ratifica consiliare rispetto al termine per la costituzione in giudizio non può, tuttavia, essere dichiarata. Si deve, infatti, tener conto nel caso di specie della lunga prassi di questa Corte, la quale in numerose pronunce (ex multis, sentenze n. 57 del 1957; n. 56 del 1964; n. 768 del 1988; n. 104 del 2008) non ha rilevato l’inammissibilità del ricorso sotto questo profilo. Siffatta prassi ha determinato, anche per l’obiettiva incertezza interpretativa delle norme processali in materia, un errore scusabile tale da ingenerare nelle Province autonome l’affidamento circa la non perentorietà del suddetto termine di deposito.

Questa Corte ritiene, pertanto, di dover procedere all’esame nel merito della questione e di non accogliere la richiesta dalla parte ricorrente di fissare un’ulteriore udienza di discussione.

3.– Prima di esaminare nel merito la sollevata questione di legittimità costituzionale, occorre prendere atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 16, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha modificato il secondo periodo dell’impugnato comma 21 dell’art. 23 del decreto-legge n. 98 del 2011, variando, a partire dal 2012, l’importo dell’addizionale da 10 euro per ogni chilowatt superiore ai 225 a 20 euro per ogni chilowatt eccedente i 185 («A partire dall’anno 2012 l’addizionale erariale della tassa automobilistica di cui al primo periodo è fissata in euro 20 per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a centottantacinque chilowatt.»).

Detto ius superveniens, tuttavia, non ha comportato la cessazione della materia del contendere sia perché la disciplina relativa all’anno 2011 (primo periodo del comma 21) è rimasta immutata sia perché la censura della Provincia autonoma è rivolta alla prevista riserva allo Stato del gettito dell’addizionale, indipendentemente dall’entità dell’addizionale stessa e dall’importo del suo gettito. Ne segue che la questione deve essere estesa alla nuova formulazione dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge n. 98 del 2011.

4.– Nel merito, la ricorrente prospetta, in via gradata, tre diverse questioni di legittimità costituzionale. In via principale, deduce che la normativa impugnata, nel disporre l’acquisizione all’erario del gettito dell’addizionale sulla tassa automobilistica, illegittimamente stabilisce l’appropriazione da parte dello Stato del gettito di un tributo proprio della Provincia autonoma in violazione dell’art. 73 dello statuto. In via subordinata, afferma che la medesima normativa, nel prevedere l’attribuzione allo Stato dell’intero gettito di detta addizionale, víola l’art. 75, lettera g) [rectius: art. 75, comma 1, alinea e lettera g)], dello statuto, che riserva alla Provincia medesima «i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l’imposta locale sui redditi, ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici». Infine, lamenta, in via ulteriormente gradata («solo per scrupolo di completezza», come si esprime nel ricorso), che, mediante la disposizione censurata, lo Stato persegue obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica senza la previa adozione delle specifiche modalità previste – in applicazione del principio di leale collaborazione – dall’art. 79 dello statuto, secondo cui, «Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro dell’economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilità interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo».

4.1.– La prima di tali questioni, proposta in via principale, non è fondata. La ricorrente afferma che l’addizionale erariale, in quanto si innesta in un tributo proprio della Provincia – cioè nella tassa automobilistica provinciale istituita dall’art. 4 della legge prov. n. 10 del 1998, da qualificarsi «tributo proprio» in senso stretto a decorrere dal 1° gennaio 2010, ai sensi del secondo periodo del comma 1 dell’art. 73 dello statuto d’autonomia –, costituisce maggiorazione di un tributo provinciale, con la conseguenza che anche il gettito di tale addizionale andrebbe attribuito alla Provincia.

Per giungere a questa conclusione, la ricorrente presuppone che tale addizionale abbia la stessa natura di tributo proprio provinciale della tassa cui inerisce. Tale presupposto è, tuttavia, errato perché l’addizionale (sia essa qualificabile come una vera e propria addizionale oppure come una sovrimposta), pur innestandosi in un tributo proprio della Provincia, resta un prelievo erariale, stabilito dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa esclusiva in materia di «sistema tributario dello Stato» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.). Pertanto, anche il gettito di tale addizionale spetta all’erario, nei limiti consentiti dalle norme statutarie.

Né può accogliersi la tesi della ricorrente, la quale, per sostenere l’attribuzione in suo favore dell’intero gettito dell’addizionale, invoca il transitorio rinvio alla normativa statale della tassa automobilistica effettuato dal comma 2 del citato art. 4 della legge prov. n. 10 del 1998 («In attesa di una disciplina organica della tassa automobilistica provinciale il presupposto d’imposta, la misura della tassa, i soggetti passivi, le modalità di applicazione del tributo […] rimangono assoggettati alla disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 39 del 1953 [recante: «Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche»], nonché alle altre disposizioni previste per la tassa automobilistica erariale e regionale vigenti nel restante territorio nazionale»). Infatti, mediante tale comma 2, il legislatore provinciale ha solo inteso mutuare dalla normativa statale la disciplina della propria tassa automobilistica, attraverso un rinvio avente ad oggetto esclusivamente le norme statali «vigenti» relative alla «tassa automobilistica» e non anche all’«addizionale erariale» in esame, che è stata introdotta dalla normativa censurata solo successivamente alla citata legge provinciale e che, comunque, non può costituire un «tributo proprio della Provincia», in quanto non “istituita con legge provinciale”, ai sensi del comma 1 dell’art. 73 dello statuto.

Occorre, dunque, ritenere che la normativa impugnata è stata legittimamente introdotta dallo Stato nell’esercizio della propria potestà legislativa esclusiva nella materia «sistema tributario dello Stato» e che il fatto che l’addizionale erariale si innesti su un tributo proprio provinciale non implica che il relativo gettito costituisca anch’esso gettito di un tributo proprio provinciale.

4.2.– Con la seconda questione, proposta in via subordinata, la ricorrente afferma che l’attribuzione allo Stato dell’intero gettito dell’addizionale erariale e non soltanto di un decimo di esso víola gli articoli 73 e 75, comma 1, alinea e lettera g), dello statuto speciale di autonomia, difettando le condizioni poste dall’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992, per la riserva del gettito all’erario. La ricorrente lamenta, in particolare, che il gettito non può attribuirsi allo Stato, ai sensi del citato art. 9, perché: 1) l’addizionale è stata introdotta senza limitazioni temporali, ma a regime; 2) il gettito non è quantificato, né distintamente contabilizzato, in quanto alla copertura delle spese indicate nell’art. 40, comma 2, del decreto-legge n. 98 del 2011 è destinata solo una «quota parte» dell’addizionale stessa, oltre che una vasta congerie di nuove entrate; 3) l’addizionale è destinata alla copertura non di «nuove specifiche spese», ma dell’insieme indistinto di spese indicato dal citato art. 40, comma 2.

La questione è fondata.

4.2.1.– L’evocato art. 75, comma 1, alinea e lettera g), dello statuto riserva alle Province autonome «i nove decimi» delle «entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate […], ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici», che siano «percette nei rispettivi territori provinciali».

Il comma unico dell’art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992 (come modificato dall’art. 4 del decreto legislativo 24 luglio 1996, n. 432, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, concernente la finanza regionale e provinciale»), nell’attuare lo statuto, stabilisce che: «Il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge, per finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’art. 10 e al comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis, alla copertura, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamità naturali, è riservato allo Stato, purché risulti temporalmente delimitato, nonché contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile. Fuori dei casi contemplati nel presente articolo si applica quanto disposto dagli articoli 10 e 10-bis».

Per valutare se la riserva al bilancio statale dell’addizionale erariale disposta dalla norma censurata sia legittima occorre verificare se essa soddisfi tutte le condizioni previste dall’evocato art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992. In particolare, questo articolo richiede a tal fine che: 1) la suddetta riserva sia giustificata da «finalità diverse da quelle di cui al comma 6 dell’art. 10 e al comma 1, lettera b), dell’art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e cioè da finalità diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall’esercizio delle funzioni statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); 2) il gettito derivi da maggiorazioni di aliquote o dall’istituzione di nuovi tributi; sia temporalmente delimitato; sia contabilizzato distintamente nel bilancio dello Stato e, quindi, sia quantificabile; sia destinato per legge alla copertura (ai sensi dell’art. 81 Cost.) di spese specifiche, nuove, di carattere non continuativo, non riferibili a materie di competenza regionale o provinciale (ivi comprese quelle relative a calamità naturali).

Nella specie, il denunciato art. 23, comma 21, del decreto-legge n. 98 del 2011, sia nel testo originario che in quello modificato dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, non soddisfa quantomeno la condizione della delimitazione temporale del gettito, perché l’addizionale si applica senza limiti di tempo, «a partire dal 2011» e, in misura diversa, dal 2012 per effetto del citato ius superveniens. Né per delimitare gli effetti della normativa impugnata può invocarsi – come fa la difesa della resistente – il termine del 2013, entro il quale lo Stato italiano si è impegnato in sede europea a conseguire il pareggio di bilancio. Tale impegno, infatti, ha natura meramente politica e non si è tradotto in norme giuridiche vincolanti. Tanto è sufficiente per escludere la riserva allo Stato del gettito dell’addizionale.

E ciò, senza tener conto che anche la condizione del carattere non continuativo delle spese alla cui copertura il gettito stesso deve essere destinato non è soddisfatta per molte delle spese che l’addizionale è diretta a finanziare in base all’alinea del comma 2 dell’art. 40 del decreto-legge n. 98 del 2011. Tra tali spese (o minori entrate), infatti, hanno carattere continuativo quelle previste dai seguenti articoli del medesimo decreto-legge: a) 23, comma 8 (riduzione dal 10 al 4 per cento della ritenuta di acconto dell’imposta sul reddito); b) 23, comma 45 (istituzione della zona franca di Lampedusa, a condizione della previa autorizzazione comunitaria); c) 31 (esclusione da imposizione di alcuni proventi derivanti dalla partecipazione ai «Fondi per il Venture Capital»); d) 23, commi da 12 a 15 (riallineamento di valori fiscali e civilistici relativi all’avviamento ed alle altre attività immateriali); e) art. 27 (agevolazioni di imposta per l’imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità); f) art. 37, comma 20 (spese di funzionamento, a decorrere dall’anno 2011, del Collegio dei revisori dei conti, chiamato ad esercitare il controllo sulla regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e del Consiglio della magistratura militare).

4.3.– Da quanto precede risulta che il gettito dell’addizionale erariale in esame, percetto nel territorio della Provincia autonoma, non può essere attribuito integralmente allo Stato, perché non è delimitato temporalmente. Tale gettito, pertanto, spetta alla Provincia ricorrente nella misura dei nove decimi, ai sensi dell’art. 75, comma 1, alinea e lettera g), dello statuto. In tali limiti va accolta la promossa questione di legittimità costituzionale. Restano assorbiti gli altri profili di censura prospettati dalla ricorrente.

5.– Anche la terza questione – in quanto proposta dalla ricorrente in via ulteriormente subordinata – resta assorbita dall’accoglimento della seconda questione.

6.– Data l’identità della normativa statutaria e di attuazione dello statuto riguardante la Provincia autonoma ricorrente e la Provincia autonoma di Bolzano, la presente pronuncia – con riferimento all’attribuzione del gettito dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica provinciale – deve essere estesa a quest’ultima Provincia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), sia nel testo originario sia in quello modificato dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui dispone che sia integralmente versato al bilancio dello Stato il gettito dell’addizionale erariale sulla tassa automobilistica provinciale percetto nei rispettivi territori delle Province autonome di Trento e di Bolzano e non attribuisce a ciascuna di tali Province autonome i nove decimi di detto gettito.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2012.